Ripuari (Rivieraschi)

Popolo del ceppo franco che, alla metà del IV secolo si era localizzato lungo il Reno, venendo poi da Clodoveo soggiogato e riunito con i Salii.
La lex Ripuria era il codice che conteneva il loro diritto.
Essi lo portarono con sé nelle loro migrazioni verso occidente.
I Ripuari reseo generico il principio della personalità della legge.
Secondo questo i soggetti dello stesso ordinamento politico giuridico potevano vivere e regolarsi nei rapporti privati secondo le leggi delle diverse nationes a cui appartenevano.
Pertanto tali leggi si accompagnavano alla sua persona ovunque si recasse e con chiunque trattasse

Riforme murattiane

Divenuto re di Napoli nel 1808, per concessione di Napoleone, Gioacchino Murat [vedi Murat Gioacchino] operò nel regno un complesso organico di riforme, che apportò vaste e radicate trasformazioni.
La legge di eversione della feudalità. L’opera del Murat iniziò con una delle più imponenti riforme che vide l’abolizione assoluta della feudalità.
La legge di abolizione era stata promulgata da Giuseppe Bonaparte il 2 agosto 1806, ma fu merito del governo murattiano averle dato una pratica applicazione. Il primo passo per dare esecutività alla legislazione eversiva fu l’istituzione della Commissione Feudale, che aveva il compito di risolvere tutte le questioni, tra comuni ed ex-baroni, introdotte presso le ordinarie magistrature prima della pubblicazione della legge, e di esaurire tutte le liti pendenti non oltre l’anno 1808. Il secondo passo fu costituito dall’abolizione di tutti i diritti giurisdizionali, proibitivi e personali.
Il terzo ed ultimo passo riguardò la divisione dei demani (possesso indistinto degli ex-baroni, delle Chiese, dello Stato e dei comuni che vi godevano usi civici ed altre servitù) secondo la quale questi, di qualsiasi natura siano, feudali, di chiesa, comunali o promiscui, dovevano essere ripartiti in modo da divenire libere proprietà di coloro ai quali sarebbero poi toccati.
Le riforme finanziarie. La gravissima situazione finanziaria del Regno di Napoli, venne affrontata dal Murat attraverso due leggi: la confisca della manomorta [vedi] ecclesiastica e la liquidazione del debito pubblico, che attraverso espedienti quale l’istituzione di un Consiglio di liquidazione del debito pubblico, la vendita di tutti i beni dello Stato, la creazione del Gran libro del debito pubblico (nel quale vennero iscritti i crediti di coloro che non volevano utilizzare le cedole, emesse dalla Commissione di liquidazione per i crediti nati in precedenza, per acquistare beni dello Stato), un prestito nei confronti dell’Olanda ed altri ancora, riuscì a portare il debito pubblico da 35.000.000 di ducati a 840.000, una somma tollerabile per il Regno di Napoli.
Le riforme tributarie. Il principio base della riforma tributaria approntata da Murat era fondato su di una maggiore perequazione e semplicità dei tributi.
La più importante fu sicuramente l’istituzione dell’imposta fondiaria, che tassava indistintamente tutti i terreni; concepita come imposta unica, strettamente connessa ai nuovi ordinamenti della proprietà ed in primo luogo alle leggi eversive della feudalità, rappresentava una misura fortemente perequativa poiché sostituiva antiche imposte che, gravando sulla “testa” e sulle “braccia” (testatico, focatico e tassa sull’industria), colpivano, con una progressività all’inverso, i più poveri.
La riforma delle contribuzioni dirette continuò, nel 1810, con l’istituzione di un diritto di patente; imposto a tutti coloro che esercitavano un commercio, un’industria, un mestiere ed una professione, colpiva i redditi commerciali, industriali e delle libere professioni, che erano considerevoli e che per i nuovi principi di eguaglianza tributaria dovevano essere assoggettati. Non meno importanti le riforme delle contribuzioni indirette che videro la soppressione delle dogane baronali e l’istituzione di un Corpo delle guardie dei dazi indiretti, dipendente esclusivamente dallo Stato e sottoposto ad una rigida disciplina militare e ad un rigoroso ed efficace sistema di controllo.
La riforma legislativa e penale. Il 1 gennaio 1809 venne esteso al Regno di Napoli il Code Napoléon [vedi]. Su ordine di Murat il codice non solo venne tradotto, ma fu anche adattato, nei contenuti, alle esigenze del regno.
La riforma delle amministrazioni provinciali. Nell’ambito della riforma complessiva dell’amministrazione civile, l’istituzione del ministero dell’interno rappresentò una innovazione di importanza centrale. Il territorio nazionale venne diviso e furono istituite le intendenze provinciali; queste prevedevano tre divisioni fondamentali: quella dell’amministrazione civile, quella finanziaria e l’alta polizia.
Nel 1808 fu portata a termine la riforma dell’amministrazione civica della capitale, Napoli, su modello della capitale francese, che la vide composta dal sindaco, da dodici eletti ed un cancelliere, e comprendente l’amministrazione delle città e dei borghi; mentre il decurionato ne era il corpo rappresentativo.

Riforma protestante

Movimento religioso sviluppatosi nell’Europa occidentale durante il secolo XVI ma i cui prodomi risalgono ai secoli XII-XV. Esso si originò dalle esigenze di riforma delle dottrine e dei costumi della Chiesa di Roma e portò ad un distacco da quest’ultima da parte delle popolazioni di razza germanica ed alla nascita di Chiese nazionali o libere.
Protagonisti furono Lutero [vedi] in Germania, Zwingli nella Svizzera tedesca, Calvino nella Svizzera francese e nell’Europa nord-occidentale.
Il problema di una riforma della Chiesa era, in realtà, considerato fin dal Medioevo uno dei principali problemi della cristianità occidentale. Già nel corso del secolo XIV era stata invocata da più parti la necessità di una rinascita dell’originario spirito cristiano e di un risanamento morale del corpo ecclesiastico. Per molti aspetti si trattava essenzialmente di mettere in atto una riforma morale, ma, sotto altri punti di vista non ci si poteva limitare soltanto a una riforma dei costumi e ad una generica rinascita della devozione religiosa: ci si doveva indirizzare decisamente verso una riforma delle strutture fondamentali della Chiesa stessa. Il vasto rinnovamento spirituale, promosso nei diversi paesi europei dagli umanisti durante tutto il XVI secolo, influenzò profondamente anche la coscienza religiosa degli ambienti più colti e raffinati del continente, diffondendovi l’ispirazione ad un rinnovamento della vita ecclesiastica che corresse in parallelo a quello avvenuto nel campo degli studi in genere.
Diffuso era il malcontento per la politica papale degli ultimi decenni. In effetti, la Roma rinascimentale appariva più come una capitale di sovrani temporali che il centro della vita religiosa dell’Europa occidentale. Il clero possedeva enormi ricchezze e disponeva di rendite vastissime.
In una situazione di questo genere, la concessione delle indulgenze per la liberazione delle anime del Purgatorio, accompagnata da offerte di denaro alla Chiesa, assumeva sempre più l’aspetto di una vera e propria transazione finanziaria.
Le stesse banche guadagnavano enormi cifre anticipando ai papi le somme loro necessarie e prendendo in appalto la vendita delle indulgenze. A causa di tutto questo, ogni aspirazione riformatrice o qualunque trasformazione della società ispirata agli ideali evangelici non poteva non acquisire anche un carattere politico ed economico-sociale.
La (—) solitamente si fa iniziare con la pubblicazione (1517) delle 95 tesi teologiche da parte di Lutero. In esse si negava la salvezza per mezzo delle opere e si affermava il principio che la sola fede, frutto della grazia, è efficace; si proclamava la negazione del culto dei Santi, del Purgatorio e delle indulgenze; si condannavano i voti sacerdotali e di clausura, affermandosi la necessità di sacerdozio universale dei fedeli.
Quasi in contemporanea al mite riformatore luterano, ebbe il suo sviluppo l’opera del riformatore francese Calvino a Ginevra. Egli fu profondamente convinto che l’opera della Riforma non poteva essere scissa da un rinnovamento culturale, che iniziasse con la formazione di un corpo di ministri del culto moralmente irreprensibili e accuratamente istruiti. Seguendo le orme delle correnti religiose più radicali, Calvino rifiutò la subordinazione luterana della Chiesa allo Stato, sottoponendo anzi sia lo Stato sia la società civile al giudizio del Vangelo. In sostanza, il calvinismo vagheggiava una società di asceti che vivono nel mondo e in esso operano, attribuendo ad ogni atto della propria vita un valore religioso.