T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 04-11-2011, n. 603 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La soc. coop. in liquidazione I.M., partecipante al Consorzio CICLAT, riferisce di aver svolto il servizio di igiene urbana in favore del Comune di Miglianico. Riferisce, altresì, di aver chiesto a quel Comune con istanza del 8 aprile 2011 copia degli allegati alla convenzione stipulata il 12 dicembre 2002 dal Comune con il Consorzio Ciclat, tra cui l’allegato F di "assegnazione del servizio dal Consorzio Ciclat alla coop. I.M.", evidenziando, altresì, di aver proposto analoga richiesta al Consorzio, dal quale non aveva peraltro ricevuto alcuna risposta.

Con nota 17 maggio 2011, n. 4807, il Sindaco del Comune ha informato il Consorzio di tale richiesta, invitando lo stesso a soddisfare direttamente tale richiesta, in quanto non sembrava al Comune "legittimo interferire in un rapporto privatistico tra la Ciclat e la società I.M." e che nessun rapporto contrattuale era intercorso tra l’ente e la cooperativa richiedente. Concludeva, infine, di restare in attesa di conoscere le decisione che sarebbero state assunte in merito dal Consorzio.

Tale nota è stata inviata per conoscenza anche alla società I.M..

Con il ricorso in esame tale società è insorta dinanzi questo Tribunale, ai sensi dell’art. 25, VI comma, della L. 7 agosto 1990, n. 241, al fine di ottenere l’accesso ai predetti atti; ha dedotto che l’Amministrazione avrebbe dovuto consentire l’accesso agli atti richiesti, trattandosi di documenti che attengono allo svolgimento di un servizio pubblico e non essendo al riguardo rilevante la circostanza che la ricorrente non aveva stipulato direttamente la convenzione con il Comune, ma tramite il predetto consorzio.

Il Comune di Miglianico con nota 18 luglio 2011, n. 2011, ha informato il Tribunale della circostanza che il Consorzio Ciclat in data 26 maggio 2011 aveva direttamente chiesto all’Amministrazione comunale la documentazione in questione "probabilmente per aderire alla istanza della soc. coop. I.M." e che tale documentazione era stata prontamente trasmessa.

Alla camera di consiglio del 20 ottobre 2011 il difensore della ricorrente ha dichiarato di non aver ancora avuto accesso alla documentazione richiesta.

Motivi della decisione

Il ricorso in esame è solo parzialmente fondato.

Come è noto l’art 22 della L. 7 agosto 2000, n. 241, ha riconosciuto il diritto di accesso ai documenti amministrativi a favore di "chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti".

Ora, interpretando tale normativa, il giudice amministrativo ha costantemente chiarito che tale diritto di accesso è ammissibile solo con riferimento a singole situazioni o a singoli rapporti, perché in caso contrario si consentirebbe una sorta di ispezione popolare volta alla verifica della legittimità e dell’efficienza dell’azione amministrativa non consentita (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, 8 giugno 2011, n. 3457).

Ciò premesso, va evidenziato che la ricorrente – come sembra pacifico dagli atti – ha svolto il servizio di igiene urbana da favore del Comune di Miglianico sulla base di una convenzione stipulata il 12 dicembre 2002 tra tale Comune ed il Consorzio Ciclat, al quale la ricorrente partecipava.

Avendo richiesto copia degli atti allegati a tale convenzione – tra cui l’allegato F di "assegnazione del servizio dal Consorzio Ciclat alla coop. I.M." – non ha visto prontamente soddisfatta tale richiesta sostanzialmente in ragione del fatto che "nessun rapporto contrattuale era intercorso tra l’ente e la cooperativa richiedente" e che non sembrava al Comune "legittimo interferire in un rapporto privatistico tra la Ciclat e la cooperativa I.M.".

Osserva il Collegio che tali rilievi sono, sia pur solo, in parte fondati.

Sembra, invero, evidente alla Sezione che la cooperativa ricorrente non possa avere accesso a tutta la documentazione relativa ad una convenzione da lei non stipulata e rispetto alla quale tale cooperativa – allo stato degli atti – sembra sia rimasta estranea, per non aver avuto alcun rapporto diretto con il Comune.

Purtuttavia, sembra per altro verso non contestato il fatto che tale cooperativa sia risultata (non è noto in virtù dell’utilizzazione di quale istituto giuridico) assegnataria del servizio in questione. Nella prospettazione di parte l’allegato F alla convenzione avrebbe ad oggetto la "assegnazione del servizio dal Consorzio Ciclat alla coop. I.M.".

Ciò posto, deve concludersi che la società ricorrente, in quanto contemplata nell’allegato in questione, abbia di certo diritto ad accedere a tale allegato; mentre, ove dall’esame di tale allegato emergano ricorrano ulteriori specifiche ragioni da indicare espressamente, la stessa potrà, in ipotesi, avanzare al Comune nuova e più motivata richiesta di accesso anche agli altri allegati della convenzione in parola.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso proposto non può, pertanto, non essere accolto nei limiti sopra precisati e, per l’effetto, deve ordinarsi al Comune l’esibizione del predetto allegato "F".

Sussistono, infine, in relazione alla soccombenza parziale, giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nel senso specificato in motivazione, per l’effetto, dichiara il diritto della parte ricorrente ad accedere al predetto allegato "F" alla convenzione stipulata il 12 dicembre 2002 tra il Comune di Miglianico ed il Consorzio Ciclat.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Umberto Zuballi, Presidente

Michele Eliantonio, Consigliere, Estensore

Dino Nazzaro, Consigliere
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 21-11-2011, n. 9111

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Pomezia ed all’Agenzia del Demanio in data 8 febbraio 2011 e depositato il successivo 25 febbraio espone la ricorrente di essere proprietaria dell’immobile situato in Torvaianica censito al NCEU al Foglio 25 particella n. 239, sul quale sarebbe stato realizzato il manufatto sanzionato dall’ordinanza impugnata.

Avverso tale ingiunzione l’interessata propone:

1. eccesso di potere per erroneità e difetto dei presupposti di fatto e di diritto; inesatta e incongrua rappresentazione della realtà, contraddittorietà ed illogicità del provvedimento sviamento.

2. Eccesso di potere per erroneità e difetto dei presupposti di fatto e di diritto. Inesatta e incongrua rappresentazione della realtà contraddittorietà ed illogicità del provvedimento, violazione di legge difetto di istruttoria.

3. Violazione di legge, violazione degli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

4. Difetto di motivazione ed eccesso di potere.

Conclude chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio ed ha contestato ogni doglianza.

Alla Camera di Consiglio del 31 marzo 2011 l’istanza cautelare è stata accolta ai fini del riesame apparendo errata nel provvedimento impugnato l’indicazione della particella sulla quale sorgerebbe il manufatto in demolizione.

L’Amministrazione comunale con successivo provvedimento del 28 aprile, come in epigrafe indicato ha proceduto al richiesto riesame e, di conseguenza, la ricorrente ha impugnato anche la nuova ordinanza di demolizione proponendo le seguenti doglianze:

1. Illegittimità derivata per difetto di motivazione – eccesso di potere.

2. Violazione di legge, violazione degli articoli 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Conclude con istanze istruttorie e chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e dei motivi aggiunti.

Alla Camera di Consiglio del 14 settembre 2001 l’istanza cautelare è stata respinta in vista della già fissata udienza di merito.

Il ricorso è stato infine trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 6 ottobre 2011.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso la ricorrente impugna l’ingiunzione meglio in epigrafe indicata e con la quale l’Amministrazione comunale ha disposto la demolizione ed il ripristino di una area demaniale marittima risultando: "una parte della superficie della particella catastale di pubblico demanio marittimo n. 239 foglio 25 utilizzata come area di pertinenza della retrostante proprietà mediante uno sconfinamento sulla stessa, quantificato in mq. 54,00 circa…in particolare un manufatto adibito a bagno di mq. 5,5 circa posto sul lato nord un manufatto adibito a ripostiglio posto sul lato sud di mq. 6,75 circa e la restante area di mq. 41,75 adibita a cortile pavimentato e muro a delimitazione fronte mare…inoltre il cortile risulta parzialmente coperto da n. 2 distinte tettoie in legno e tegole ognuna di mq. 6,40 circa e sul muro di delimitazione fronte mare, vi sono 2 lucernari ed accesso verso la spiaggia…sempre su area di pubblico demanio marittimo è stato realizzato un pianerottolo pavimentato con n. 2 muretti laterali…" il tutto in assenza di titolo demaniale autorizzativo ed in violazione all’art. 54 e 1161 C.N.

2. Con la prima censura proposta parte ricorrente ha posto in rilievo che nella ordinanza di demolizione vi era l’erronea indicazione della particella cui riferire l’occupazione demaniale, trovandosi questa su proprietà privata; ne veniva dato atto alla Camera di Consiglio del 31 marzo 2011, a seguito della quale l’Amministrazione comunale rettificava l’ordinanza con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, fermo restandone il contenuto sanzionatorio.

Di conseguenza la ricorrente ha impugnato l’ordinanza di rettifica avverso la quale ha confermato le doglianze proposte avverso quella principalmente proposta posto che la rettifica sostanzialmente continua a sanzionare l’abuso commesso, pur individuandolo sulla particella catastale corretta.

La prima censura opposta dall’interessata è dunque improcedibile, mentre vanno esaminate le restanti proposte sia col ricorso principale, sia insistite con i motivi aggiunti.

3. Con la seconda censura la ricorrente fa valere che le violazioni desunte nel provvedimento non sono tali, in quanto per le opere insistenti sulla particella – non demaniale – è stata presentata domanda di concessione in sanatoria in data 27 febbraio 1995 a n. 9515 e per la quale il Comune di Pomezia ha rilasciato la concessione edilizia in sanatoria in data 7 febbraio 2002, n. 19, della quale non è in possesso ma che si riserva di produrre chiedendone copia.

Al riguardo, la circostanza di cui sopra, rimasta peraltro non provata per la mancata produzione in giudizio del documento concessorio, non rimuove la questione principale e che cioè per quanto riguarda i manufatti realizzati sull’area demaniale – la particella 2444 – la ricorrente risulta sprovvista di titolo abilitativo demaniale e ciò indipendentemente dalla avvenuta sanatoria delle opere realizzate sulla particella, attualmente di sua proprietà.

Ai sensi dell’art. 55 C.N., infatti "L’esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare è sottoposta all’autorizzazione del capo del compartimento", che nel caso di specie appunto manca.

4. Va respinta pure la censura di mancata comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, atteso che, come rilevato nella analoga fattispecie di ingiunzione di sgombero sulla medesima area demaniale di Torvaianica "E’ noto che le ordinanze di demolizione o come in questo caso le ingiunzioni di sgombero sono atti vincolati, nei confronti dei quali non è predicabile alcun utile apporto degli interessati (TAR Lazio, sezione I quater, 10 dicembre 2010, n. 36046 e la giurisprudenza ivi citata: TAR Umbria, Perugia, 28 ottobre 2010, n. 499 e di recente, TAR Puglia, Lecce, sezione III, 9 febbraio 2011, n. 240), sicché non se ne può senz’altro far derivare la illegittimità del provvedimento impugnato a causa della sua mancanza" (TAR Lazio, sez. I quater, 21 giugno 2011, n. 5486).

5. Con la quarta censura del ricorso principale l’interessata fa valere che l’ordinanza non riporta puntualmente le disposizioni sulle quali si fonda; infatti nel preambolo mancano le precise indicazioni dei fatti e delle violazioni di legge, contro il principio di trasparenza dell’attività amministrativa. Osserva che è mancata una adeguata comparazione tra l’interesse pubblico e quello del privato, dato che nella zona vi sono numerosi altri immobili che si trovano nella stessa identica condizione, ma la ricorrente ha acquistato l’immobile soltanto nel 2002 e le opere risalgono almeno a trent’anni prima.

Come chiarito in altre analoghe occasioni la circostanza che l’opera abusiva sia stata realizzata da altri ed in un momento risalente nel tempo – asseritamente trenta anni prima – non fa perdere all’Amministrazione il potere di reprimere gli abusi, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, in quanto "la realizzazione di un’opera abusiva costituisce comunque un illecito permanente, che si protrae nel tempo e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni" (TAR Lazio, sezione I quater, 6 aprile 2011, n. 3037 e la giurisprudenza ivi citata: Consiglio di Stato, sezione IV, 16 aprile 2010, n. 2160).

Quanto poi alla argomentazione secondo cui la situazione è analoga a quella di numerosi altri immobili nella zona, occorre osservare che se ad essa si volesse sottendere una disparità di trattamento rispetto a identiche situazioni è da rilevare che, per giurisprudenza costante sull’argomento essendo i provvedimenti sanzionatori in materia di edilizia atti vincolati, per essi non sono configurabili situazioni di disparità di trattamento nei confronti di altri soggetti, (cfr. TAR Lazio, sezione I quater, 21 giugno 2011, n. 5487), sempre fermo restando che tale aspetto appare comunque genericamente dedotto.

6. Con i motivi aggiunti la ricorrente riproduce la censura esaminata per prima alle cui contestazioni occorre dunque fare riferimento.

Con la seconda doglianza osserva che non è stato indicato il termine e l’autorità cui ricorrere, ma al riguardo occorre osservare che tale censura formale non può essere accolta, alla stregua dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 che non consente al giudice di annullare il provvedimento per vizi formali, laddove il ricorrente non dimostri che il suo contenuto avrebbe potuto essere diverso (TAR Lazio, sezione I quater, 11 gennaio 2011, n. 123 e la citata: TAR Puglia, Bari, sezione III, 10 giugno 2010, n. 2406) mentre per le superiori considerazioni tale prova non appare, nel caso, raggiunta.

Né può essere condivisa l’ultima censura proposta con la quale l’interessata fa valere che l’Amministrazione non ha predisposto le necessarie misurazioni a delimitazione tra la particella 239 di sua proprietà e la particella 2444 di demanio marittimo, tanto più necessarie in quanto l’avanzamento del mare ha determinato un restringimento dell’arenile stesso su tutta la zona di Torvajanica. Il difetto di istruttoria è tanto più grave se si tiene conto che in data 14 giugno 2011 la ricorrente ha presentato al Comune di Pomezia – Ufficio demanio marittimo istanza di sdemanializzazione marittima del Foglio 25 particella 2444 relativamente alla superficie di detta particella ove insiste l’area di pertinenza della proprietà privata della stessa.

A parte che, come osservato del tutto condivisibilmente dal Comune, la circostanza che la ricorrente abbia presentato istanza di sdemanializzazione di parte dell’area demaniale confinante con la sua proprietà dimostra che è ben consapevole della demanialità della stessa e che, quindi, non è di sua proprietà, sicché non può ora dolersi di un indimostrato difetto di istruttoria, va rilevato che, come chiarito in altre analoghe occasioni, è chi asserisce di essere proprietario di un suolo ad avere "l’onere di dare la prova del suo titolo di acquisto (contratto di compravendita, eredità, donazione) e del titolo di acquisto dei precedenti titolari fino ad arrivare a quello originario, secondo il criterio della cosiddetta probatio diabolica" e "non è concepibile neppure un’inversione dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione comunale che, secondo le tesi di parte ricorrente, non avrebbe dimostrato la demanialità dell’area" (per l’analoga fattispecie: TAR Calabria, Catanzaro, 3 maggio 2006, n. 460) o non avrebbe predisposto le opportune misurazioni resesi necessarie per il fenomeno della erosione delle coste italiane, con conseguente reiezione anche di questa ultima censura.

7. Per le superiori considerazioni il ricorso principale ed i motivi aggiunti vanno respinti.

8. Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge in ogni sua parte.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-07-2011) 09-11-2011, n. 40650

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Milano, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., con ordinanza del 16 febbraio 2011, ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, in data 31 gennaio 2011, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di S. G., sottoposto ad indagini per i seguenti fatti:

A) delitto di cui agli artt. 81 cpv., 56 e 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 2, art. 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1, nn. 3 e 4, art. 61 c.p., n. 1; L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, per essere stato promotore ed organizzatore del tentato omicidio pluriaggravato, eseguito da C.A. e D.G., del Maresciallo dei Carabinieri, Sa.Pa., Comandante della Stazione CC di Porto Ceresio, attuato nella sera del (OMISSIS) con ripetuti colpi d’arma da fuoco contro l’alloggio di servizio dell’ufficiale, sparati ad altezza d’uomo e in direzione del soggiorno illuminato dell’abitazione, dove si trovava il Sa. con la sua famiglia, composta da moglie e tre figli;

A bis) delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 2, art. 612 c.p., comma 2 e art. 339 cod. pen.; L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, per essere stato promotore ed organizzatore della minaccia grave in danno dello stesso Maresciallo e dei suoi familiari mediante l’esplosione, nella sera del 25 novembre 2007, di più colpi di arma da fuoco contro la facciata esterna della caserma di Porto Ceresio, sparatoria materialmente attuata dai predetti C. e D.; A ter) delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 2, art. 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, nn. 2, 5 e 7, art. 61 c.p., n. 2, per essere stato promotore ed organizzatore del furto dell’autovettura Fiat Uno, commesso in Varese il 25 novembre 2007, utilizzata dal C. e dal D. per eseguire il suddetto delitto di minaccia aggravata;

C) delitto di cui all’art. 368 cod. pen., perchè, con denuncia alla Procura della Repubblica di Varese in data 3 settembre 2008, falsamente incolpava il maresciallo Sa., sapendolo innocente, del delitto di falso ideologico in atto pubblico, affermando che quest’ultimo, inoltrando relazione di servizio all’autorità giudiziaria, lo aveva falsamente indicato come suo confidente e come colui che gli aveva rivelato che D.G. era uno dei responsabili della rapina in danno del supermercato Tigros di Lavena Ponte Tresa.

A ragione il Tribunale ha addotto la chiamata in correità del S. da parte del C., valutata come intrinsecamente attendibile perchè spontanea e sempre coerente, e i numerosi riscontri estrinseci che essa avrebbe avuto.

Il C., nell’indicare il S. come mandante della minaccia a mano armata e del tentativo di omicidio del Sa. tramite il D., che di sua iniziativa aveva richiesto l’aiuto dello stesso C., senza avergli preventivamente specificato il reale obiettivo dell’azione delittuosa, aveva specificato il legame di amicizia esistente tra il S. e il D., entrambi addetti alla sicurezza in pubblici locali, legame positivamente riscontrato dalle indagini svolte e dagli accertati contatti tra il D. e il S., sia immediatamente prima, sia dopo i fatti delittuosi del 26 e 27 novembre 2007, come da acquisiti tabulati telefonici.

Un altro elemento di riscontro era costituito, secondo il Tribunale, dai motivi di astio e risentimento nutriti dal solo S. nei confronti del maresciallo Sa., il quale, nel recente passato, lo aveva arrestato; più volte gli aveva contestato anche violazioni contravvenzionali; e lo aveva proposto, altresì, per la misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno, effettivamente applicatagli fino al 2009.

Non solo.

Per sviare i sospetti dalla sua persona come mandante dei predetti delitti di minaccia aggravata e tentato omicidio, il S. non avrebbe esitato prima a confidare al maresciallo la commissione, da parte del D., di rapine in danno del supermercato Tigros, per poi calunniare il Sa. attribuendogli di aver riferito il falso nell’indicarlo come autore delle confidenze in danno del D..

Quest’ultimo, appresa la slealtà del compagno, pur rifiutandosi di rispondere ai magistrati nel processo subito per i fatti in danno del Sa., avrebbe cercato di estorcere denaro dal S. come prezzo del suo silenzio circa il ruolo di quest’ultimo come mandante dei medesimi fatti, ciò che ulteriormente corroborava la chiamata in correità del C..

D’altronde, sia il C. con sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato e confermata in appello, sia il D. con sentenza pronunciata dal Tribunale di Varese il 25/06/2010, erano stati, entrambi, già condannati, sia pure con decisioni non ancora irrevocabili, come concorrenti materiali nei delitti di tentato omicidio e minaccia aggravata, in danno del Sa., e nel furto dell’autovettura utilizzata in occasione della commissione dei medesimi reati.

Quanto alle esigenze cautelari, esse sono state ritenute sussistenti e tali da giustificare la misura di massimo rigore a carico del S. per i suoi numerosi precedenti penali, anche per reati in materia di sostanze stupefacenti, e per la sua condotta intesa ad inquinare le fonti di prova (richiamati danneggiamene delle autovetture di due testimoni dei fatti e attività di depistaggio delle indagini di cui si sarebbero resi responsabili il S. e il D. nei termini sopra riferiti), cosicchè la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si profilava inidonea a prevenire il concreto pericolo di commissione di ulteriori illeciti e di perpetuazione dei contatti con ambienti malavitosi.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il S. tramite il suo difensore, deducendo tre motivi.

2.1. Con il primo denuncia la manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione con riferimento alla fonte di prova a suo carico, indicata nella chiamata in correità del C., e, altresì, l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3.

Il Tribunale del riesame, così come il Giudice per le indagini preliminari, nell’emettere la misura custodiale di massimo rigore nei suoi confronti sulla base delle dichiarazioni accusatorie del C., peraltro tardive, avendo in un primo tempo chiamato in correità il solo D., avrebbe motivato in modo palesemente contraddittorio e illogico la ritenuta attendibilità intrinseca del chiamante, per avere, da un lato, ritenuto credibile il C. nella sua accusa del S. come mandante del delitto di tentato omicidio in danno del maresciallo Sa., e, dall’altro lato, non stimato attendibile lo stesso C., laddove aveva dichiarato di essere stato coinvolto dal D. nell’azione criminosa senza esserne preventivamente informato, avendogli l’amico richiesto di accompagnarlo, il (OMISSIS), a bordo della Fiat Uno rubata per non lasciare tracce, in una spedizione finalizzata ad impartire una lezione all’amante di sua moglie, cosicchè il C., secondo la sua versione non ritenuta credibile, avrebbe appreso solo in un successivo momento che il bersaglio era, in realtà, costituito dal maresciallo Sa. contro l’abitazione del quale il solo D. avrebbe sparato alcuni colpi, ad insaputa dello stesso C. rimasto in macchina.

Il ricorrente precisa che il chiamante nulla avrebbe riferito in merito alla prima sparatoria contro la facciata esterna della caserma, nella sera del 25/11/2007; aggiunge che la versione del C. di non aver assistito agli spari del giorno successivo, attribuiti al solo D., contrasta col fatto che un bossolo esploso fu rinvenuto nella Fiat Uno rubata, utilizzata proprio per raggiungere il luogo della sparatoria nella sera del 26/11/2007;

precisa che il chiamante avrebbe fornito una versione non verificabile del successivo nascondimento in un laghetto dell’arma impiegata per sparare e del suo ripescaggio tramite un bastone prelevato in un cantiere non meglio precisato, senza indicare dove fosse finita l’arma e consentirne il ritrovamento, non avvenuto, da parte degli inquirenti; sottolinea che il C. aveva affermato di aver ricevuto dal D. la promessa di un compenso per la sua partecipazione all’azione criminosa e, contemporaneamente, di aver rotto i rapporti col compagno per non essere stato da lui informato della sparatoria, circostanza quest’ultima che sarebbe smentita dagli accertati numerosi contatti telefonici tra i due fino al 22 dicembre 2007 e dalla commissione, in concorso tra loro, di una rapina il 10 dicembre dello stesso anno; rimarca la circostanza che il C., pur avendo insistito nel dichiarare di avere appreso dell’aggressione armata contro il Sa. solo a fatto compiuto, risulta, tuttavia, già condannato in primo e secondo grado come concorrente materiale nel medesimo fatto, ciò che avvalora ulteriormente la sua totale inattendibilità intrinseca.

Il C. e il D. risultano, inoltre, arrestati per concorso in tre fatti di rapine, commessi tra il 20 novembre e il 10 dicembre 2007 con pistole calibro 7,65 analoghe a quella utilizzata per sparare contro la casa del Sa., ciò che escluderebbe la necessità di ricevere dal S., come ipotizzato dagli inquirenti, la pistola impiegata nei fatti contestati nel provvedimento cautelare emesso nel presente procedimento.

Su tutte le predette numerose aporie e contraddizioni;che inficiano il narrato del C., il Tribunale non avrebbe motivato; avrebbe, inoltre, omesso di valutare l’attendibilità intrinseca della fonte terza, D.G., dalla quale il chiamante avrebbe appreso che il mandante della sparatoria in danno del Sa. era stato il S.; del tutto acriticamente, infine, avrebbe escluso motivi di personale risentimento proprio del D. nei confronti del Maresciallo, resi invece plausibili dal non trascurabile inserimento dello stesso D. nella criminalità locale, come testimoniato dal suo nutrito certificato penale.

Anche la verifica degli elementi estrinseci di riscontro della chiamata in correità sarebbe del tutto carente, non essendo noto il contenuto dei messaggi e delle comunicazioni telefoniche tra il D. e il S. nei giorni 25, 26 e 27 novembre 2007, sia prima che dopo i fatti delittuosi contestati.

L’indicato astio dell’indagato nei confronti del maresciallo, valorizzato nel provvedimento impugnato come elemento di riscontro della chiamata in correità, sarebbe smentito dal ruolo di confidente dello stesso maresciallo, pure riconosciuto al S. e come tale riferito proprio dal Sa.. I giudici della cautela, con palese forzatura logica, avrebbero interpretato il detto comportamento dell’indagato come funzionale al disegno di accreditarsi presso la sua vittima, salvo non spiegare che l’accusa in via confidenziale del D. come autore di fatti criminosi (rapine in danno di supermercati) esponeva il S. proprio al pericolo che avrebbe voluto prevenire come confidente del maresciallo, ovvero al concreto rischio di essere a sua volta accusato dal D., presunto esecutore dei delitti da lui commissionati, come mandante degli attentati in danno del Sa..

La somma di denaro pretesa dall’arrestato D., informato della delazione del S. agli inquirenti (e, segnatamente, al maresciallo Sa.) su recenti fatti di rapina a lui attribuiti, non sarebbe univocamente interpretabile come prezzo del silenzio sul ruolo di mandante dell’indagato, imposto dal D. al S., potendo trovare spiegazione anche nella reazione dell’accusato per i danni subiti a causa della "soffiata" a suo carico.

2.2. Con un secondo motivo di ricorso è denunciata la mancanza o contraddittoria motivazione in merito alla sussistenza dell’elemento psicologico dei reati contestati al S..

Il configurato dolo alternativo con riguardo al tentato omicidio sarebbe sostenibile solo con riguardo agli esecutori del fatto e non estensibile al mandante di esso, al quale non può imputarsi neppure il dolo eventuale incompatibile con il contestato tentativo criminoso.

Il Tribunale, d’altronde, non avrebbe in alcun modo motivato il mandato ad uccidere attribuito al S., il quale, secondo le propalazioni del C. informato dal D., si sarebbe limitato a incaricare quest’ultimo di "dare una lezione al Sa.". 2.3. Con il terzo motivo si censura l’omessa motivazione circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, a carico del S., con riguardo al delitto di furto dell’autovettura, non compreso nel presunto mandato conferito dall’indagato al D., con ipotizzata consegna dell’arma (una pistola calibro 7,65) da utilizzare al detto fine.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa la ricorrenza delle esigenze cautelari per l’ipotizzato delitto di calunnia in danno del Sa., avendo i giudici della cautela limitato il loro esame delle predette esigenze ai delitti di tentato omicidio, minaccia e furto aggravati, e, in ogni caso, non sussistendo pericolo di inquinamento probatorio con riguardo al reato di calunnia, avendo il S. ammesso il fatto.

Motivi della decisione

3.1. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Poichè, come emerge dall’ampia narrativa che precede, i gravi indizi di colpevolezza a carico del S., come mandante dei delitti di cui ai capi A), Abis) e A ter) il ricorrente ha ammesso la sua responsabilità esclusivamente per il reato di cui al capo C), si fondano sulla chiamata in correità de relato da parte di C. A., già condannato nel doppio grado di merito come concorrente nell’esecuzione dei delitti di tentato omicidio pluriaggravato e minaccia grave (capi A e A bis) in danno del maresciallo Sa., si imponeva la rigorosa valutazione dell’attendibilità intrinseca del chiamante con estensione all’affidabilità della fonte informativa, nella fattispecie rappresentata dal coimputato, D. G., come il C. giudicato separatamente.

In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la chiamata di correo "de relato", di per sè valida, esige un più rigoroso controllo dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca sia in riferimento al suo autore immediato, sia in relazione alla fonte originaria dell’accusa (Sez. 4, n. 4727 del 15/03/1996, dep. 23/04/1996, Rv. 204544; Sez. 5, n. 2542 del 30/06/1993, dep. 04/09/1993, Rv. 195840; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003 dep. 24/11/2003, Andreotti, Rv. 226090).

Nel caso in esame, il giudice della cautela ha del tutto omesso di verificare l’intrinseca attendibilità soggettiva del C., chiamante in correità de relato, limitandosi ad un generico controllo oggettivo della chiamata, qualificata "spontanea e sempre coerente" (pag. 6 dell’ordinanza impugnata), ciò che evidentemente attiene all’attendibilità intrinseca oggettiva, relativa cioè al narrato e non al narratore; e non ha fatto cenno alcuno alla credibilità del D., quale autore delle confidenze al C. circa il ruolo del S. di mandante delle minacce e dell’attentato all’incolumità del maresciallo S. o dei suoi familiari.

Siffatte lacune motivazionali, già di per sè idonee a inficiare la legittimità del percorso argomentativo seguito, assumono ulteriore rilevanza alla luce dei dati, già sopra indicati, circa la ritenuta inattendibilità del C., nel processo in cui è stato imputato, a proposito della sua dichiarata ignoranza che il D., pur da lui accompagnato sul luogo degli attentati a colpi di arma da fuoco (il primo solo intimidatorio, il secondo diretto contro le persone), avesse usato una pistola e che il bersaglio fosse il maresciallo Sa.; senza tralasciare il contenuto della conversazione tra presenti intercettata il 24 marzo 2010, all’interno dell’autovettura Range Rover, tra il ricorrente, S.G., e suo fratello, A., nella quale il primo diceva al secondo che il C., già condannato, aveva collaborato con gli inquirenti e che egli era indagato, rammaricandosi di avere aiutato, come confidente, il Sa. e rivelando al fratello di essere ricattato e minacciato dal D., il quale aveva suggerito al C. di coinvolgerlo negli attentati contro il maresciallo e aveva tentato di estorcergli una rilevante somma di denaro per non accusarlo del tentato omicidio del Sa., ciò che, qualche giorno dopo, veniva dichiarato dallo stesso S. nel corso del suo interrogatorio di garanzia, in data 10 aprile 2010, con la specificazione che la somma richiestagli dal D. era di Euro 20.000,00 (c.f.r., su tutte le predette circostanze, l’ordinanza impugnata a pag. 6).

L’omessa valutazione dell’attendibilità intrinseca del chiamante de relato, con il necessario rigore postulato da tale tipo di chiamata, costituisce, pertanto, violazione della regola di giudizio posta dall’art. 192 c.p.p., comma 3, applicabile anche nel procedimento cautelare a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, e, segnatamente, omissione del primo passaggio valutativo della chiamata in correità, postulante, secondo un criterio progressivo avallato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, innanzitutto, l’esame di intrinseca attendibilità soggettiva del chiamante in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, la verifica dell’intrinseca consistenza e delle caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine l’esame dei riscontri cosiddetti esterni che, sul piano generico e specifico (cosiddetti riscontri individualizzanti), rafforzano dall’esterno la medesima chiamata.

L’esame del giudice deve esser compiuto seguendo l’indicato ordine logico perchè non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli "altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità" se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sè, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465).

La violazione del predetto ordine logico e, in particolare, l’omessa valutazione dell’attendibilità intrinseca soggettiva del chiamante inficia i passaggi valutativi successivi non sostenuti dal superamento di quello precedente e a tutti preliminare, e determina, pertanto, in sede cautelare, il cedimento dell’impianto indiziario primariamente fondato, come nella fattispecie, sulla chiamata in correità de relato non intrinsecamente verificata.

3.2. La fondatezza del primo motivo di gravame rende superfluo l’esame della seconda censura concernente la denunciata carenza di motivazione in punto di gravi indizi di sussistenza dell’elemento psicologico del più grave delitto di tentato omicidio (capo A), attribuito al S. come mandante, per il quale la principale fonte indiziaria è costituita dalla chiamata in correità de relato del C..

3.3. Anche il terzo motivo è fondato, non essendo in effetti indicati, nel provvedimento impugnato, i gravi indizi di colpevolezza, a carico del ricorrente, come mandante anche del furto dell’autovettura, Fiat Uno (capo A ter), utilizzata dal C. e dal D. per commettere il delitto di minaccia aggravata di cui al capo A bis), donde la totale mancanza di motivazione al riguardo.

3.4. L’ultimo motivo di ricorso, attinente all’omessa motivazione delle esigenze cautelari con specifico riguardo al delitto di calunnia (capo C) per il quale il S. è reo confesso, non è fondato, posto che, come si ricava dalla lettura della motivazione dell’ordinanza impugnata (v. pag. 8 in fine), le medesime esigenze sono state dichiaratamente apprezzate come sussistenti solo con riguardo ai reati contestati ai capi A), A bis) e A ter), per i quali, come si è detto, manca la motivazione in punto di gravi indizi di colpevolezza, cosicchè si imporrà, in sede di giudizio di rinvio, insieme alla giustificazione del quadro indiziario, la rivalutazione di esse. Non si imponeva, pertanto, alcuna motivazione delle esigenze cautelari in riferimento al delitto di calunnia di cui al capo C).

4. Alla luce di quanto precede, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano, che si atterrà alle regole di giudizio come sopra enunciate.

La cancelleria provvedera alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 02-01-2012, n. 14 Silenzio della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Società appellata ha presentato nel novembre del 2008 una richiesta di rilascio dell’autorizzazione unica alla realizzazione ed esercizio di un impianto fotovoltaico nel comune di Ribera ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003.

Decorso inutilmente il termine di 180 giorni – previsto dal comma 4 del citato articolo per la convocazione della Conferenza dei servizi – la istante nel maggio del 2010 ha quindi adito ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. il TAR Palermo, il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha accolto il ricorso, accertando l’illegittima natura omissiva del comportamento silente tenuto dall’Amministrazione.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dall’Amministrazione regionale la quale ne ha chiesto l’integrale riforma osservando – sulla scorta di recente pronuncia di questo Consiglio – che il silenzio non poteva dirsi nella fattispecie formato dal momento che la società non aveva soddisfatto una specifica richiesta di integrazioni documentali avanzata dal responsabile del procedimento sulla base di quanto previsto dalle linee guida al PEARS approvate con delibera di G.R. in data 3 febbraio 2009 e medio tempore entrate in vigore.

Si è costituita la società appellata instando per il rigetto dell’avverso gravame.

Con ordinanze n. 182 del 4.2.2011 e n. 649 del 10 giugno 2011 questo Consiglio ha disposto adempimenti istruttori, ai quali l’Amministrazione ha provveduto depositando nella camera di consiglio del 30 giugno 2010 una nota dirigenziale.

Nella predetta camera di consiglio l’appello è stato trattenuto in decisione, per essere definito con sentenza succintamente motivata.

Motivi della decisione

L’appello non è fondato e va pertanto respinto.

Al fine di perimetrare i confini fattuali della presente controversia giova ricordare che la società appellata ha presentato l’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione unica per l’installazione di un impianto fotovoltaico in data 11 novembre 2008 e, nell’inerzia dell’Amministrazione, ha notificato il ricorso avverso il silenzio dalla stessa serbato in data 13 maggio 2010.

Con successiva nota del 17 giugno 2010 l’Amministrazione ha richiesto integrazioni documentali sulla base di quanto previsto dalle linee guida al PEARS approvate con delibera di G.R. in data 3 febbraio 2009.

L’appellata sostiene di aver prodotto tale documentazione in data 27 luglio 2010.

Ciò premesso va altresì evidenziato che con le ordinanze nn. 182/2001 e 649/2011 questo Consiglio ha richiesto all’Amministrazione di riferire per iscritto chiarendo quale documentazione integrativa è stata richiesta all’impresa e se la stessa abbia compiutamente adempiuto a tale richiesta.

Al riguardo l’Avvocatura ha depositato in data odierna una nota dirigenziale del 23 giugno 2011 nella quale, a giudizio del Collegio, non sono in realtà forniti gli elementi istruttori richiesti e vengono invece riportate informazioni (ad es. sulla data di richiesta da parte della Regione delle integrazioni documentali) palesemente generiche se non contraddittorie.

Tale nota, in ogni caso, è stata depositata ben oltre il termine perentorio all’uopo assegnato nelle predette ordinanze istruttorie e comunque in violazione del termine dilatorio risultante dal combinato disposto degli artt. 73 ed 87 c.p.a.

A giudizio del Collegio, il comportamento inadempiente tenuto dall’Amministrazione va necessariamente valutato ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a. e dell’art. 116, 2° comma, c.p.c., come del resto preannunciato all’atto dell’istruttoria.

In tale ottica, con il primo motivo e con il terzo motivo d’appello l’Amministrazione sostiene che la società non avrebbe riscontrato la richiesta di integrazioni documentali avanzata dall’Amministrazione.

I mezzi sono inammissibili per la loro genericità, esistendo agli atti nel fascicolo di primo grado copia della nota in data 27 luglio 2010 con la quale la società afferma di aver dato completo riscontro alla richiesta e non risultando questo punto in alcun modo chiarito dal sopracitato adempimento istruttorio.

Con il secondo motivo l’Amministrazione deduce che il silenzio inadempimento può sostanzialmente concretizzarsi solo una volta decorsi 180 giorni dal momento in cui l’amministrazione procedente è stata posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata dalla documentazione necessaria.

Anche questo mezzo va disatteso.

Il criterio orientativo richiamato dall’appellante – che trova preciso riscontro nella giurisprudenza di questo Consiglio: cfr. C.G.A. 213 del 2011 – va interpretato a giudizio di questo Collegio nel senso che il termine semestrale non decorre solo se la documentazione inoltrata presenti carenze tali da non consentire di sottoporre la relativa istanza all’organo deliberante: in caso diverso, secondo i principi, spetta invece a tale organo di richiedere le integrazioni istruttorie che reputi necessarie ai fini della definizione del procedimento.

Nel caso in esame, non avendo l’Amministrazione chiarito alcunchè al riguardo, deve ritenersi operante il criterio generale e fisiologico secondo cui spettava alla Conferenza rilevare le eventuali incompletezze della documentazione presentata a corredo dell’istanza e di quella versata in via integrativa.

A ciò deve aggiungersi che in linea generale la richiesta di integrazione documentale non interrompe il termine per la conclusione del procedimento ma lo sospende sino all’avvenuta integrazione, come chiaramente si evince dall’art. 2, comma 7, della legge n. 241 del 1990.

Quindi di norma la richiesta istruttoria dà luogo a sospensione, fermo restando che a livello normativo ben possono configurarsi ipotesi di interruzione del termine procedimentale conseguenti a richieste di natura istruttoria o assimilabile, come previsto ad esempio dall’art. 10-bis della citata legge n. 241 per il caso specifico del preavviso di rigetto.

Con l’ultimo motivo l’Amministrazione sostiene, se ben si comprende, che nella Regione Sicilia in virtù delle competenze esclusive ad essa demandate dallo Statuto costituzionale non si applica il termine procedimentale di 180 giorni divisato dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003.

Il mezzo va disatteso per la sua assoluta genericità in quanto l’appellante non indica quale diverso termine sarebbe applicabile a livello regionale.

In ogni caso è evidente, alla stregua della pertinente normativa comunitaria e nazionale nonchè avuto riguardo alle pronunzie della Corte costituzionale in materia, l’impossibilità di ipotizzare un procedimento la cui conclusione sia rimessa all’arbitrio dell’Amministrazione procedente, con ulteriore patente violazione della normativa regionale in tema di procedimento amministrativo.

Sulla base delle esposte considerazioni l’appello va quindi respinto.

Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese di questo grado del giudizio possono essere compensate, avuto riguardo alle richiamate oscillazioni giurisprudenziali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

Compensa tra le parti spese e onorari di questo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 30 giugno 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori: Luciano Barra Caracciolo, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Gerardo Mastrandrea, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.

Depositata in Segreteria il 2 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.