Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12721 Responsabilità civile

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Svolgimento del processo

P.L. ha convenuto in giudizio innanzi al giudice di pace di Bari V.A. e la Assicurazione Assitalia s.p.a. chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno patito dalla sua vettura (Lancia Thema (OMISSIS)) in un incidente stradale verificatosi il 23 novembre 1998 per fatto e colpa esclusiva del V., proprietario e conducente della vettura Fiat Uno (OMISSIS) (che non aveva rispettato la dovuta precedenza nell’attraversare l’incrocio in (OMISSIS)).

Costituitosi in giudizio il V. ha eccepito che il P. non era il proprietario del mezzo incidentato.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito giudice ha rigettato la domanda attrice, atteso che dalla documentazione del PRA risultava che proprietario del veicolo condotto dal P. risultava, al momento del sinistro, certo M.A..

Gravata tale pronunzia dal soccombente P., nel contraddittorio del V. che, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione e della Assitalia Assicurazioni s.p.a., rimasta contumace, il tribunale di Bari con sentenza 11 aprile – 20 maggio 2005 ha rigettato l’appello.

Per la cassazione di tale pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a due motivi e illustrato da memoria, P. L..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati.
Motivi della decisione

1. Assumendo l’appellante che il giudice di pace con una ordinanza resa nel corso del giudizio aveva espressamente dichiarato sussistente la legittimazione attiva di esso concludente sì, per l’effetto, che nella sentenza conclusiva non poteva – modificando la precedente statuizione – negarla, sì che era incorso nella violazione del giudicato, il giudice di appello ha rigettato la censura, atteso che la ordinanza in questione (resa il 29 gennaio 2001) non è in alcun modo qualificabile quale sentenza non definitiva di accertamento della legittimazione attiva dell’attore, atteso che il provvedimento – se pure assunto dopo che la causa era stata introitata per la decisione – ha non solo la forma, ma anche la sostanza di una ordinanza istruttoria pronunciata contestualmente alla rimessione della causa sul ruolo al fine di sentire le parti e eventualmente anche il consulente di ufficio a chiarimenti su un punto ritenuto non adeguatamente istruito.

Quanto al merito dell’appello (censurando il P. la sentenza del primo giudice, ritenendo di avere fornito piena prova della qualità di proprietario dell’auto sulla scorta di quattro elementi) il tribunale ha osservato che questi appaiono tutt’altro che significativi, pur non essendo controverso che per la vendita dei beni mobili registrati non è richiesto l’atto scritto.

In particolare, ha osservato il giudice di appello:

– nessun elemento può trarsi dalla deposizione del teste Di., essendo di tutta evidenza che alcuna conclusione può tarsi con riferimento alla esi-stenza di un valido atto di acquisto in capo all’attore dal fatto che questi ha detto testualmente io ero sull’autovettura del V., trattandosi di affermazione che non può avere alcun altro rilievo, anche in ragione dei capitoli di prova che non vertevano sulla proprietà, se non ai fini di ricostruire la dinamica del sinistro;

– è irrilevante che il V. avesse stipulato una polizza auto relativo al detto mezzo, non trattandosi di contratto riservato ai soli proprietari e non essendo nemmeno in dubbio che l’attore ne avesse la disponibilità;

– non è significativo il mancato esperimento da parte del legittimo proprietario di alcun azione di revindica o di spoglio, nulla potendosi dedurre con riferimento al titolo di proprietà.

A fronte di quanto precede è in atti procura speciale autenticata 26 novembre 1998 – in data successiva al sinistro – con la quale l’intestatario della vettura, M.A. ha conferito all’odierno appellante procura a vendere anche a se stesso del veicolo oggetto di giudizio: da tale documento correttamente il primo giudice ha tratto l’argomento che al momento del sinistro proprietario del veicolo era il M..

2. Il ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata con il primo motivo, con il quale de-nunzia violazione degli artt. 1140, 1141,1147 e 1153 e, in definitiva, della regula iuris possesso vale titolo, in relazione all’art. 2043 cod. civ., assumendo -in buona sostanza – che il possessore, ovvero il detentore qualificato di un autoveicolo, sia pure in assenza di idonea iscrizione al PRA dell’intestazione in suo favore, ha titolo per agire in giudizio al fine di chiedere il risarcimento del danno subito a seguito di un sinistro stradale che ha visto coinvolto il veicolo suddetto.

Con il secondo motivo il ricorrente censura, ancora, la sentenza impugnata denunziando violazione dell’art. 2054 cod. civ., in relazione agli artt. 2967 c.c., art. 2121 c.c. e segg., assumendo che ai fine di escludere la responsabilità del sinistro, ai sensi dell’art. 2054 cod. civ., in capo a uno dei protagonisti non è sufficiente la prova di avere eseguito una manovra di arresto o di fortuna quale che sia, occorrendo, al contrario, dimostrare in concreto di avere fatto tutto il possibile, in relazione alle circostanze di tempo e di luogo, per evitare il danno.

3. Il ricorso è inammissibile.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3. 1. Giusta la testuale previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, – "le sentenze pronunciate in grado di appello in un unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione" esclusivamente sotto uno dei profili tassativamente indicati nello stesso art. 360 c.p.c., comma 1.

E’ onere, pertanto, del ricorrente indicare, chiaramente, e senza possibilità di equivoci, per ogni motivo, sotto quale profilo del ricordato art. 360 c.p.c. è proposta la censura.

E’ inammissibile, quindi, il motivo di ricorso che non precisi se si intende censurare la sentenza "per motivi attinenti alla giurisdizione" ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1) o piuttosto "per violazione delle norme sulla competenza" ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2) o, ancora, "per violazione o falsa applicazione di norme di diritto" ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) o – infine – "per nullità della sentenza o del procedimento" ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), o, per ipotesi, "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia" ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (tra le tantissime, cfr. Cass. 31 maggio 2010, n. 13222; Cass. 4 marzo 2010, n. 5207; Cass. 13 maggio 2009, n. 11094).

Pacifico quanto sopra si osserva che il ricorrente pur assumendo (come ribadito nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ.) di fondare le proprie censure anche sul contenuto della ordinanza 29 gennaio 2001 del giudice di pace di Bari, non ha formulato alcun motivo per censurare la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 sotto il profilo (ampiamente sviluppato invece con l’atto di appello) che sulla questione relativa alla propria legittimazione a agire si era formato il giudicato a seguito della ricordata ordinanza 29 gennaio 2001.

E’ palese – di conseguenza – che sono inammissibili tutte le argomentazioni svolte nel motivo in margine alla ordinanza 29 gennaio 2001 del giudice di pace (anche tenuto presente che non risulta in alcun modo censurata la statuizione del giudice di appello allorchè questi ha affermato che quanto ivi enunciato dal primo giudice lungi dall’essere una statuizione definitiva sulla questione era semplicemente finalizzata a dare conto del successivo corso che il giudice intendeva dare all’istruttoria).

3.2. Quanto alle doglianze sviluppate con il primo motivo si osserva che in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle particolari ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c. (Cass, 13 dicembre 2010, n. 25127; Cass. 1 dicembre 2010 n. 24382; Cass. 1 giugno 2010, n. 13431).

Non controverso quanto sopra si osserva che l’attore ha introdotto il presente giudizio sul presupposto di essere legittimato a chiedere il risarcimento dei danni patiti dalla vettura da lui condotta il giorno 2 3 novembre 1998 in quanto proprietario della stessa.

Certo quanto precede è evidente che integra una nuova questione – preclusa in questa sede di legittimità – quella prospettata con il primo motivo con il quale si invoca, a fondamento della invocata legittimazione a agire, non più la qualità di proprietario della autovettura al momento del sinistro (circostanza decisamente esclusa dai giudici del merito sulla base di molteplici concorrenti profili non ultimo il fatto che in epoca successiva al sinistro un terzo, certamente proprietario della vettura stessa al momento del sinistro, aveva rilasciato mandato a vendere all’odierno ricorrente la vettura in questione) ma di detentore qualificato della stessa, certo essendo che una pronuncia sulla fondatezza (o meno) di una tale nuova questione importa accertamenti, di fatto, mai compiuti in sede di merito e, per l’effetto, preclusi in questo giudizio di legittimità. 3.3. Parimenti inammissibile deve essere dichiarato il secondo motivo di ricorso.

Al riguardo si osserva che ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione – o il rigetto della impugnazione proposta contro una di esse – rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 11 febbraio 2011, n. 3386; Cass., 20 novembre 2009, n. 24540; Cass. 13 febbraio 2009, n. 3640).

Certo quanto sopra, non controverso che nella specie la domanda del P. è stata rigetta sia perchè lo stesso non aveva dato la prova di essere, al momento del sinistro, proprietario dell’autovettura infortunata (prima ratio decidendi) sia perchè, comunque, non era ascrivibile al convenuto V. la responsabilità del sinistro (seconda ratio decidendi) è palese che a seguito della dichiarata inammissibilità del primo motivo che investiva la prima delle ricordate rationes decidendi è divenuto inammissibile, per carenza di interesse ( art. 100 cod. proc. civ.) il secondo motivo.

Anche, infatti, nella eventualità dovesse pervenirsi alla conclusione che lo stesso è fondato non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata che rimarrebbe comunque ferma in base alla prima, ricordata ratio decidendi di cui, con sentenza passata in giudicato, è stata accertata la correttezza.

4. Il proposto ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di lite di questo giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività, in questa sede.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;

nulla sulle spese di lite di questo giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-04-2011) 11-04-2011, n. 14411 Diritti d’autore

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 4.6.2003 il Tribunale di Napoli dichiarava R.V. colpevole dei reati, unificati da continuazione, di illecita detenzione per fini di commercio di 500 musicassette abusivamente riprodotte e di ricettazione ( art. 648 c.p., comma 2) degli stessi supporti audiofonici frutto di illecita riproduzione, fatti accertati il (OMISSIS). Assolveva l’imputato dal concorrente reato di illecita vendita dei detti supporti privi del contrassegno SIAE per insussistenza del fatto. Per l’effetto il R. era condannato alla pena di sette mesi di reclusione ed Euro 500,00 di multa. Giudicando sull’appello dell’imputato, la Corte di Appello di Napoli con sentenza del 7.7.2004 confermava la sentenza di primo grado.

Adita dal ricorso del R., attinente soltanto al diniego delle attenuanti generiche e all’afflittività della pena inflittagli, questa Corte di Cassazione (Sezione 2, sentenza 9.4.2009 n. 29477), rilevata e dichiarata l’inammissibilità dei generici e manifestamente infondati motivi di impugnazione del ricorrente, ha rilevato di ufficio l’improcedibilità ( art. 129 c.p.p., comma 1) del contestato reato di ricettazione, non previsto come reato dalla legge in vigore al momento del fatto (assenza, secondo la disciplina normativa del diritto di autore allora vigente, di un autonomo reato presupposto della ricettazione: Cass. S.U. 20.12.2005 n. 47164, Marino, rv. 232302). Ha annullato, per tanto, la sentenza di appello limitatamente al delitto di ricettazione ed ha rinviato gli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per la sola determinazione della pena afferente al residuo reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, ferma restando (definitività) l’affermata responsabilità del R. per detta fattispecie criminosa.

2. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli, giudicando in sede di rinvio, ha proceduto – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli del 4.6.2003 – alla nuova determinazione della pena per l’anzidetto reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter di detenzione e vendita di supporti audiofonici abusivamente riprodotti, infliggendo al R. la pena di sei mesi di reclusione e Euro 500,00 di multa.

3. Contro tale sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo violazione di legge e difetto di motivazione sotto i seguenti due profili: 1) inosservanza degli artt. 157 e 161 c.p. in ordine alla mancata declaratoria di estinzione del reato ascritto al R. per intervenuta prescrizione, essendo decorso alla data dell’impugnata decisione il corrispondente termine di sette anni e sei mesi (termine rimasto invariato anche alla luce della nuova disciplina dei termini di prescrizione introdotta dalla L. n. 251 del 2005); 2) erronea disapplicazione dell’art. 62 bis c.p. in riferimento ai parametri dettati, in tema di gravità del reato, dall’art. 133 c.p., atteso che la condotta del prevenuto, caratterizzata da modesto disvalore sociale, appare meritevole della concessione delle attenuanti innominate nella loro massima estensione.

4. L’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile, per l’indeducibilità e l’infondatezza manifesta dei delineati motivi di ricorso.

La sentenza di annullamento parziale della prima decisione di appello emessa da questa Corte di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso del R. in punto di responsabilità dell’imputato per l’ascritto reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, producendo il passaggio in giudicato della decisione di condanna per tale reato e rimettendo al giudizio rescissorio la mera determinazione della misura della relativa pena, per essere stato espunto dalla regiudicanda il concorrente reato di ricettazione in origine ascritto al R. (fatto non previsto dalla legge come reato).

Espressamente, del resto, la stessa sentenza di legittimità, rilevato in via incidentale che il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter non era prescritto al momento della pronuncia della prima sentenza di appello parzialmente cassata (7.7.2004), ha richiamato il principio del giudicato progressivo sulla responsabilità dell’imputato, osservando come il giudice di rinvio, investito della decisione sulla determinazione della pena, non possa applicare cause estintive del reato sopravvenute alla pronuncia di annullamento (Cass. S.U. 26.3.1997 n. 4904, Attinà, rv. 207640;

Cass. Sez. 4, 27.1.2010 n. 24732, La Serra, rv. 248117). Del resto la genetica inammissibilità delle censure sollevate dal R. contro la sentenza di appello del 7.7.2004 (addotta generica onerosità della pena), evidenziata da questa S.C., impedendo l’instaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, precludeva a questa stessa Corte di legittimità di rilevare la sussistenza di cause estintive del reato (prescrizione) sopravvenute all’impugnata sentenza di appello, ancorchè parzialmente annullata ex officio per il solo insussistente reato di ricettazione (cfr, Cass. S.U., 22.11.2000 n. 32, De Luca, rv. 217266; Cass. SU 27.6.2001 n. 33542, Cavalera, rv. 219531; Cass. S.U. 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164).

Ne discende, dunque, l’indeducibilità, oltre che la palese infondatezza giuridica, dell’odierna doglianza in punto di maturata prescrizione del reato per il quale è stato condannato il ricorrente, la cui speculare responsabilità è ormai definitiva dopo l’anteriore decisione di legittimità. Definitività (passaggio in giudicato) oggettivamente verificatasi nel caso di specie, va aggiunto, prima del maturare del temine di prescrizione (situabile, fatte salve eventuali sospensioni ex lege del termine, al 20.6 2005 e, quindi, ben dopo la sentenza di appello del 7.7.2004 divenuta definitiva per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter).

Non diverso giudizio va formulato anche per il subordinato rilievo afferente alla affettività della pena derivante dal diniego delle attenuanti generiche. E’ di tutta evidenza, infatti, che – da un lato – anche questo profilo della regiudicanda relativa al reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter potrebbe considerarsi attinto dal giudicato e -per ciò, stesso- da una postuma immutabilità, dal momento che il ricorso contro la precedente sentenza di appello, già deducente l’eccessività della pena e l’incongruo diniego delle attenuanti generiche, è stato dichiarato inammissibile Da un altro lato non può comunque prescindersi dalle specifiche ragioni ostative alla concessione delle invocate attenuanti generiche segnalate dalla sentenza di primo grado, cui rinvia per relationem l’impugnata sentenza di appello, che ad essa si giustappone dando vita ad un unitario e inscindibile compendio valutativo (il Tribunale richiama i numerosi precedenti penali anche specifici annoverati dal R., tant’è che procede alla revoca ex art. 168 c.p. del beneficio della sospensione delle pene infittegli con ben tre precedenti sentenze irrevocabili di condanna).

All’inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo determinare in misura di Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-02-2011) 26-04-2011, n. 16326 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza pronunziata in data 15 ottobre 2010, il Tribunale di Palermo – Sezione del riesame respingeva l’appello proposto da M.G. avverso le ordinanze emesse dal GIP dello stesso Tribunale, in data 30 luglio ed in data 12 agosto 2010, di rigetto di altrettante richieste di revoca della misura cautelare della custodia in carcere, applicata al predetto quale indagato dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74. Ricorre per cassazione il M., tramite il difensore, deducendo:

1. violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e) in relazione all’art. 310 c.p.p. nonchè mancanza ed illogicità della motivazione.

Secondo il ricorrente, il Tribunale, con l’ordinanza 12 ottobre 2010, avrebbe illegittimamente disposto l’acquisizione di una certificazione presso la Procura della Repubblica di Palermo attestante la data della registrazione, in originale, delle conversazioni captate in base ai Decreti nn. 2302/2007; 2882/2007 e 2985/2007, in violazione della disciplina del procedimento d’appello dettata dall’art. 310 c.p.p. (che non richiama l’art. 309 c.p.p., comma 9) nei quale vige il principio del tantum devolutum quantum appellatum. Ha quindi il Collegio respinto gli atti d’appello con cui la difesa aveva eccepito l’inutilizzabilità delle Intercettazioni eseguite in attuazione dei citati decreti poichè, dai verbali di chiusura delle operazioni, era emerso che la registrazione del dialoghi era avvenuta presso i locali della P.G.. Il Tribunale era quindi chiamato a verificare la fondatezza del proposto gravame sulla base degli atti trasmessi dal GIP, come già stabilito da altra Sezione dello stesso Ufficio che, a seguito di sentenza di annullamento con rinvio pronunziata Suprema Cotte, aveva dichiarato inutilizzabili le predette intercettazioni rimettendo in libertà tutti gli indagati per il venir meno dei gravi indizi di colpevolezza.

2. violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e) in relazione all’art. 268 c.p.p., commi 1 e 3, art. 271 c.p.p., comma 1, artt. 273 e 299 c.p.p. nonchè mancanza ed illogicità della motivazione.

Assume il difensore del M. che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, a sensi dell’art. 271 c.p.p. siccome eseguite in violazione del disposto dell’art. 268 c.p.p., comma 3. Invero i soli atti in grado di certificare in quale luogo vengono eseguite le operazioni di prima intercettazione sono i verbali della polizia giudiziaria. Nel caso di specie tali verbali attestavano che sia l’ascolto che la registrazione delle conversazioni erano avvenute nei locali della Caserma della Compagnia Carabinieri di Bagheria. A nulla rilevava quindi che, dopo tre anni dall’avvenuta registrazione, la stessa P.G. avesse precisato, a richiesta della Procura della Repubblica e dopo l’eccepita inutilizzabilità, che l’attività di registrazione era stata eseguita presso i locali di tale Ufficio giudiziario e che solo l’ascolto era stato eseguito nella caserma dei Carabinieri con la procedura di remotizzazione.

Il ricorso è infondato e deve esser, per quanto di ragione, respinto con ogni ulteriore conseguente onere, a carico del ricorrente.

Il provvedimento impugnato è del tutto immune dai vizi denunziati con il primo motivo.

Ha ineccepibilmente evidenziato il Tribunale di Palermo,sulla base di consolidata e condivisibile giurisprudenza di legittimità che, in sede di appello proposto ex art. 310 c.p.p. avverso ordinanza di rigetto di istanza di revoca di misura cautelare, non deve logicamente procedersi ad una nuova valutazione, della sussistenza dei presupposti di applicazione della medesima misura, fatta, salva la sopravvenienza di nuovi elementi atti a determinare il mutamento dei gravi indizi di colpevolezza ovvero il venir meno delle esigenza cautelari, nel caso in cui abbia avuto luogo, In precedenza, vaglio critico della la misura, in sede di riesame. Nel caso di specie, già la posizione del M. era stata oggetto della valutazione del Tribunale del riesame che, con ordinanza n. 2963/2009 divenuta definitiva il 29 settembre 2010, aveva respinto l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni "poichè da un’attestazione del 29 dicembre 2009 del Comandante la Compagnia Carabinieri di Bagheria era risultato che le operazioni di registrazione delle conversazioni erano state eseguite presso i locali della Procura della Repubblica con il sistema del c.d. ascolto remotizzato", concludendosi quindi per la ricorrenza dei "gravi indizi di colpevolezza". A tale statuizione aveva altresì fatto riferimento il GIP, come opportunamente sottolinea il Tribunale nella parte narrativa, con l’ordinanza 12 agosto 2010, oggetto del proposto appello, ribadendo la sopravvenuta formazione del c.d. giudicato cautelare.

Ne discende quindi che il Tribunale, richiedendo la certificazione della Procura della Repubblica attestante la data di registrazione in originale delle conversazioni captate sulla base del Decreti nn. 2302/07; 2884/07 e 2985/07 ha inteso solamente acquisire ulteriori approfondimenti, dall’Ufficio giudiziario che le stesse intercettazioni aveva richiesto, a miglior dimostrazione di circostanze oggetto del materiale "istruttorio" già valutato dallo stesso Tribunale in sede di riesame. Deve quindi escludersi qualsivoglia violazione del principio devolutivo, fermi peraltro,con specifico riferimento al procedimento di cui all’art. 310 c.p.p., gli ampi poteri cognitivi riconosciuti, in via generale, al Tribunale, anche in sede di appello, nel rispetto del contraddittorio (cfr.

Cass. pen. n. 2527 del 2003) non potendo comunque escludersi che la limitazione della cognizione ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi, stabilita dall’art. 597 c.p.p., comporti comunque per il giudice di secondo grado il dovere di esaminare, anche tutti i punti indissolubilmente legati a quelli espressamente oggetto del gravame e quindi, a fortiori, di compiere i necessari approfondimenti istruttori sugli stessi temi già vagliati in sede di riesame.

Quanto sin qui premesso consente di concludere per l’infondatezza anche del secondo motivo, essendo l’ordinanza impugnata pacificamente immune dai denunziati vizi di violazione della legge penale sostanziale e processuale e di difetto di motivazione.

Alla stregua di quanto statuito dalle Sezioni Unite penali di questa Corte con sentenza n. 36359 del 2008, non incorrono nella sanzione di inutilizzabilità (non ricorrendo pertanto alcuna violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3) le intercettazioni la cui attività di registrazione "- che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione del dati captati in una memoria informatica centralizzata -" avvenga nei locali della Procura della, Repubblica attraverso l’uso degli impianti ivi esistenti, a nulla rilevando che le, altre attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati registrati abbia avuto luogo "in remoto" presso gli uffici della polizia giudiziaria. Nel caso concreto si era infatti accertato, grazie alle certificazioni acquisite a miglior chiarimento dello svolgimento dei fatti, come opportunamente rimarcato dal Tribunale, che la registrazione in originale delle conversazioni captate in esecuzione dei decreti surrichiamati era avvenuta presso il "server" ubicato nei locali della Procura della Repubblica di Palermo,mentre le operazioni genericamente definite di "ascolto e di registrazione " dalla Compagnia Carabinieri di Bagheria nei verbali di fine servizio non potevano che riferirsi al c.d. riascolto remotizzato ed alla successiva immissione o scaricamento dei dati su supporti informatici. A conforto di ciò ancora ha sottolineato il Tribunale, in termini del tutto condivisibili ed esaustivi (e quindi insindacabili in questa sede) la perfetta coincidenza tra le ore, i minuti e le singole date di inizio delle registrazioni riportate nel "server" della Procura della Repubblica e quelle riportate nei suddetti verbali della Polizia Giudiziaria.

Al rigetto del ricorso fanno seguito gli adempimenti, di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 – ter, demandati alla cancelleria.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 – ter.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 12-05-2011, n. 4150 Amministrazione Pubblica

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Svolgimento del processo

Con atto (n. 11371/2007) il Consorzio S. ha adito questo Tribunale per l’annullamento del provvedimento regionale del 6.8.2001, in epigrafe indicato, con cui è stato comunicato di dover procedere alla revoca dell’accreditamento, in ragione di riscontrate irregolarità relative ad alcuni corsi di formazione, nonché della determinazione dirigenziale con cui è stata disposta la sospensione dei pagamenti ad esclusione dei progetti denominati "Selects"in ragione di tale revoca.

Parte ricorrente espone di svolgere per conto dell’Amministrazione regionale un’intensa attività di formazione approvata e finanziata con determina dirigenziale del 19.1.2007 e del 12.2.2007 e che la Regione con nota del 15.1.2007 ha comunicato l’avvio di un procedimento di verifica connesso ad altro procedimento avviato nel riguardi del Conservatorio di Santa Cecilia, volto ad accertare la sussistenza sia di eventuali irregolarità, sia dei presupposti di fatto per l’erogazione di misure sanzionatorie a carico della ricorrente medesima.

Espone di aver provveduto a presentare alla Regione nota di controdeduzioni e di aver comunicato la propria estraneità rispetto all’attività di gestione di alcuni corsi di formazione (codice 5540, 5541, 5542, 5543, 5544, 5545), in quanto direttamente eseguita dal succitato Conservatorio; che l’attività del Consorzio e del suo presidente pro tempore dott. Busotti si è limitata alla consulenza per la progettazione dei corsi e che nessuna fatturazione, né alcun compenso è stato percepito dal Consorzio stesso per il coordinamento dei predetti corsi, in quanto affidati a titolo personale al dott. Busotti.

Riferisce che con nota del 7.6.2007 la Regione ha asserito che l’affidamento di detta attività di coordinamento dei corsi aveva interessato il Consorzio stesso e non il suo Presidente, in virtù di apposita deliberazione del Consiglio d’amministrazione del 22.3.2002, e di aver all’uopo precisato di essersi limitata a svolgere attività di preparazione degli interventi formativi, ovvero di progettazione dei corsi, e di formazione del personale di segreteria, con sua esclusione di qualsiasi attività di gestione dei corsi medesimi, curata esclusivamente dal Conservatorio di Santa Cecilia e dal suo Direttore pro tempore.

Precisa, a tale riguardo, di non aver mai percepito compensi per l’attività di coordinamento e di gestione dei predetti corsi di formazione.

Avverso tale provvedimento il Consorzio ha dedotto le seguenti censure:

a) Violazione degli artt. 97 e 113 della Costituzione e violazione della legge n. 241/1990, della legge quadro n. 845/1978, della legge regionale n. 23/1992, del decreto legislativo n. 469/1997, della legge regionale n. 14/1999, in ragione della assoluta illegittimità della revoca dell’accreditamento per omessa valutazione ed opposizione alle deduzioni consortili rappresentate con nota del 24.9.2007, e per mancanza di motivazione in ordine alla sospensione dei pagamenti.

b) Falsa ed erronea applicazione della delibera della Giunta regionale n. 1150 del 21.11.2002, atteso che la revoca dell’accreditamento e la sospensione dei pagamenti sarebbero state disposte in virtù del falso presupposto dell’omesso riscontro, da parte del Consorzio, della nota del 7.6.2007, e che l’attività di gestione innanzi riferita sarebbe stata svolta esclusivamente al Conservatorio di Santa Cecilia.

c) Sviamento di potere, contradditorietà dei provvedimenti ed ingiustizia manifesta, atteso che la deliberazione della Giunta regionale n. 1150 del 21.11.2002 agli artt. 5 e 9 citati nella comunicazione regionale non indicherebbe alcuna disciplina dell’istituto della revoca dell’accreditamento.

Si è costituita in giudizio la Regione Lazio.

Con ordinanza n. 1610/2010 sono stati disposti adempimenti istruttori nei confronti della Regione intimata e, segnatamente, l’acquisizione del provvedimento di revoca dell’accreditamento e dei provvedimenti ad essa connessi e conseguenti, nonché una relazione concernente i profili risarcitori prospettati dal Consorzio, odierno ricorrente.

L’Amministrazione regionale, in esecuzione a tale ordine, ha provveduto al deposito di quanto richiesto ai fini istruttori.
Motivi della decisione

Con il presente ricorso il Consorzio S. chiede l’annullamento del provvedimento regionale del 6.8.2007 con cui la Regione Lazio ha comunicati di "dover procedere alla revoca dell’accreditamento" conseguito dalla parte ricorrente per lo svolgimento dell’attività di formazione per conto della Regione stessa, in considerazione di accertate irregolarità riscontrate riguardo ad alcuni corsi di formazione cosiddetti "voucher", contrassegnati con i codici 5540 e ss., nonché a causa del mancato riscontro della nota regionale del 7.6.2007, n. 39905.

Giova rilevare, in primo luogo, che con la nota del 6.8.2007, oggetto di impugnativa, l’Amministrazione resistente si è limitata ad effettuare una mera comunicazione al Consorzio di dover procedere alla revoca dell’accreditamento per le ragioni ivi descritte ed anticipate, rinviando ad una successiva determinazione l’effettiva revoca.

Difatti, dalla relazione redatta dall’Amministrazione regionale in esecuzione della predetta ordinanza n. 1610/2010, emerge che nei confronti del Consorzio alcun provvedimento formale di revoca dell’accreditamento risulta essere stato adottato, con conseguente insussistenza dei danni conseguenti e connessi a tale revoca, prospettati dalla Difesa del Consorzio.

Per quel che concerne invece le doglianze relative al mancato finanziamento dei corsi di formazione curati dalla parte ricorrente, è dato rilevare, per tabulas, che i corsi "Selects" non sono stati esclusi dal finanziamneto per mancato accreditamento, essendo stati oggetto di valutazione da parte degli organi regionali con attribuzione di punteggi che non hanno consentito un posizionamento utile nella graduatoria finale di merito (punti n. 51); tale circostanza risulta, peraltro comprovata dal deposito in atti delle schede di valutazione dei progetti identificati con i numeri 649 e 651.

Con riferimento ai corsi denominati "OOSS", è dato rilevare che il Consorzio ricorrente risulta essere stato non ammesso a finanziamento, almeno in un primo tempo, a causa del mancato accreditamento, e che i relativi progetti sono stati successivamente riesaminati dalla commissione regionale con attribuzione di un punteggio inferire a quello minimo richiesto, ad eccezione di n. 5 progetti ai quali sono stati riconosciuti punti sufficienti ai fini della loro ammissione al beneficio. Anche tale circostanza è comprovata dal deposito in atti, ad opera della Regione Lazio, del verbale n. 9 della commissione di valutazione dei progetti, relativo alla riunione del 6 marzo 2008.

Infine, per quel che concerne i corsi denominati "IFTS" la Regione ha rappresentato e comprovato l’effettiva partecipazione del Consorzio al finanziamento dei progetti all’uopo presentati, con relativa ammissione con riserva in ragione di accertamenti pendenti in sede penale e successivo mancato finanziamento all’esito di tale indagine per mancato rinnovo dell’accreditamento da parte del Consorzio per il 2010 che, a seguito della proposizione di ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo l’Amministrazione ha proceduto al finanziamento di tali corsi.

Ne consegue, pertanto, alla luce delle circostanze fattuali riferite e documentate dall’Amministrazione regionale in esito all’ordine istruttorio impartito dal Tribunale, che i prospettati motivi di doglianza appaiono infondati, unitamente ai dedotti profili risarcitori.

Pertanto, per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Le spese e gli onorari di giudizio possono essere integralmente compensati fra le parti in causa, stante la peculiarità della fattispecie in esame.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente, fra le parti in causa, le spese e gli onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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