T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 01-04-2011, n. 867 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

il gravame è stato proposto per i dedotti motivi di legittimità avverso il decreto indicato in epigrafe, con il quale è stata respinta, ai sensi degli artt. 5, comma 5 e 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/98, l’istanza presentata dal ricorrente tesa al rinnovo del permesso di soggiorno;

che si è costituita l’amministrazione intimata, che ha chiesto che il ricorso sia respinto per infondatezza nel merito;

Ritenuto che il ricorso sia infondato;

che, infatti, dall’esame del provvedimento impugnato si evince che lo straniero è stato condannato in data 2 luglio 2008 dal Tribunale di Milano per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, ovvero in relazione ad ipotesi prevista dall’art. 4, comma 3, del medesimo d.lgs.;

Ritenuto, di conseguenza, che il provvedimento impugnato sia stato emesso nel pieno rispetto delle disposizioni normative succitate ed in particolare dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. 286/98, che così recita: "… Non è ammesso in Italia lo straniero… che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite….", nonché adeguatamente motivato con riferimento alle medesime disposizioni normative, che elencano tassative ipotesi nelle quali il giudizio di pericolosità sociale dello straniero risulta legittimamente già effettuato a monte dal legislatore;

che, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto;

che sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della controversia, per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 26-04-2011, n. 3608

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Considerato che, dall’esame della documentazione in atti, è emerso che il ricorso è stato notificato in data 21.9.2010 ed è stato depositato in data 20.10.2010 e che, pertanto, lo stesso è stato depositato in giudizio dopo la scadenza del termine perentorio – stabilito a pena di irricevibilità del ricorso dal combinato degli articoli 45 e 87, comma 3, del D.lgs 2 luglio 2010, n. 104 – di 15 giorni dal perfezionamento della notifica;

Considerato che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato irricevibile;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-09-2011, n. 18312 usl

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

E’ impugnata con ricorso per due motivi la sentenza della Corte di Appello di Salerno che, confermando, sia pur con diversa motivazione, la decisione del primo giudice, ha rigettato la domanda dell’attuale ricorrente, dipendente dell’ASL SA/ (OMISSIS), volta ad ottenere il risarcimento del danno derivatogli dall’usura psicofisica subita per le giornate lavorative effettuate nei giorni destinati a riposo compensativo a seguito di turno di reperibilità prestato in giorno festivo, ritenendo non fornita dall’interessato la prova del pregiudizio sofferto in concreto e la sua dipendenza causale dalla mancata fruizione del riposo. L’ASL SA/(OMISSIS) resiste con controricorso e propone altresì ricorso incidentale.
Motivi della decisione

I ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti ( art. 335 c.p.c.) Con il primo motivo del ricorso principale è denunziata violazione del diritto costituzionalmente garantito al giorno di riposo compensativo previsto dalla contrattazione collettiva (D.P.R. 27 luglio 1987, art. 18, comma 5; art. 7, comma 6, del CCNL 20 settembre 2001, integrativo del CCNL comparto sanità del 7 aprile 1999; dell’art. 19 del CCNL area dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del comparto sanità del 5 dicembre 1996); violazione dell’art. 32 Cost., dell’art. 36 Cost., comma 3, e dell’art. 41 Cost.; delle convenzioni OIL 19 novembre 1921, n. numero 14 e 26 giugno 1957 n. 106; dell’articolo 5 della direttiva 93/104 CE; dell’art. 2109 c.c., comma 1, e dell’art. 2087 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 9 per violazione del diritto, di rilevanza costituzionale all’integrità psicofisica del lavoratore nonchè del diritto, da esso conseguente, al risarcimento in via equitativa del danno da usura psicofisica per avere lavorato in giornate destinate a riposo compensativo.

Si addebita alla sentenza impugnata in sostanza di non aver considerato che diversamente dal danno biologico, il danno da usura psicofisica per mancata concessione del riposo settimanale, deve ritenersi presunto.

Con il secondo motivo del ricorso principale è denunciata violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.. Si addebita alla sentenza impugnata di aver ritenuto non provato il danno da usura psicofisica senza tener conto che la prova di tale danno è data dimostrando o allegando che il comportamento consistito nella mancata fruizione del giorno di riposo compensativo è un fatto potenzialmente dannoso, e che tale onere probatorio era stato compiutamente assolto dal ricorrente con l’indicazione di presunzioni ed il ricorso al fatto notorio. I due motivi, che per la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente sono infondati.

La vicenda in esame consiste nella effettuazione da parte dell’attuale ricorrente di turni di reperibilità passiva in giorni festivi, con diritto ad un giorno di riposo compensativo nella settimana successiva, in concreto non usufruito.

Le fonti normative rilevanti sono costituite dal D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270, art. 18 (norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale per il triennio 1985-1987 relativa al comparto del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale), l’art. 7 del CCNL 20 settembre 2001 integrativo del CCNL comparto sanità del 7 aprile 1999, l’art. 19 del Contratto dell’area della dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del comparto sanità, 5 dicembre 1996, normativo 1994 – 1997 economico 1994 – 1995.

L’art. 1, comma 1, stabilisce che: "Il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo dello stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata, secondo intese a definirsi in sede locali" e, nel comma 5, che "nel caso in cui la pronta disponibilità cada in giorno festivo spetta un riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale".

Il cit. art. 7 del CCNL 20 settembre 2001, dopo aver ribadito nel comma 1 il contenuto sostanziale del cit. D.P.R. n. 270 del 1987, art. 18, comma 1 conferma nel comma 6 che qualora il servizio di pronta disponibilità cada in giorno festivo "spetta un riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale". In entrambe le fonti normative la pronta disponibilità viene compensata con una indennità rapportata ad ogni 12 h del servizio stesso.

Infine, l’art. 19, nel comma 1, definisce in termini del tutto simili il servizio di pronta disponibilità, stabilisce nel comma 5 che "la pronta disponibilità da diritto ad una indennità per ogni dodici ore" ed attribuisce, nel comma 6, nel caso di coincidenza fra pronta disponibilità e giorno festivo "un giorno di riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale".

Dalle disposizioni così richiamate emerge quindi che, non avendo il dipendente diritto a riduzioni dell’orario settimanale per effetto della espletata reperibilità, la eventuale fruizione del riposo compensativo comporta allungamento della prestazione giornaliera.

La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che la reperibilità prevista dalla disciplina collettiva si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio lavoro, in vista di un’eventuale prestazione lavorativa, e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta.

Pertanto, non equivalendo all’effettiva prestazione lavorativa, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso quindi comporta il diritto non ad un trattamento economico uguale a quello spettante per l’ipotesi di effettiva prestazione di lavoro in quel medesimo giorno bensì ad un trattamento inferiore proporzionato alla minore restrizione della libertà della lavoratore (Cass. 9468/ 1991; 27477/2008).

La suddetta configurazione della reperibilità esclude che si possa applicare alla fattispecie la giurisprudenza di questa Corte in tema di ristoro della prestazione lavorativa effettivamente resa nel settimo giorno consecutivo, facendo ricorso alla presunzione di sussistenza del danno che questa Corte ha affermato a proposito della maggiore gravosità del lavoro prestato nel giorno destinato riposo (vedi, fra le altre, Cass. 16398/2004). Il doversi tenere disponibile per una eventuale prestazione lavorativa è, infatti, cosa diversa dall’effettuazione in concreto di tale prestazione. L’obbligo di mera disponibilità non seguito dal godimento del riposo compensativo è del pari situazione diversa dalla prestazione di lavoro resa nel giorno destinato al riposo, e non vi è alcuna ragione per ritenere che esso sia di per sè idoneo ad incidere sul tessuto psicofisico del lavoratore così da configurare un danno in re ipsa. D’altra parte, il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa è già monetizzato dalla contrattazione collettiva (vedi Cass. 2747/2008 cit.).

E’ certo possibile che quel disagio assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica ma a tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Nè è il datore di lavoro a dover dimostrare, diversamente che nel caso di reperibilità attiva, l’idoneità dei benefici contrattuali a fornire l’integrale ristoro il mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest’ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno.

In definitiva, il danno da usura psicofisica si iscrive secondo la più recente giurisprudenza di questa corte (Sez. un. 24 marzo 2006 n. 6572; 11 novembre 2008 n. 26972) nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da fatto illecito o da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava, pertanto, l’onere della relativa specifica deduzione della prova eventualmente anche attraverso presunzioni semplici.

Queste, peraltro, – è appena il caso di sottolinearlo – non possono consistere nella mera deduzione di avere reso la prestazione di reperibilità, poichè in tal caso si tornerebbe alla tesi del danno ex se, della quale si è mostrata l’erroneità. In conclusione, il ricorso principale va rigettato.

Il ricorso incidentale, diretto contro la statuizione della sentenza che aveva negato la sussistenza di alcun obbligo risarcitorio della ASL in assenza di richiesta del lavoratore di fruire del riposo compensativo, va dichiarato assorbito. La parte ricorrente deve essere condannata alle spese del giudizio.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese in Euro 40,00 oltre ad Euro 1500,00 per onorari, nonchè IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 26-05-2011, n. 436 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con le concessioni edilizie indicate in epigrafe il comune di Pontinia ha accolto una istanza di concessione edilizia in sanatoria ex articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 presentata in data 31 dicembre 1986 dalla signora F.F. e relativa a un fabbricato sito in Pontinia, contrassegnato in catasto al foglio n. 61, particelle nn. 56/5 e 56/6.

In particolare, da quel che è dato capire dai documenti depositati, la signora F.F. aveva ottenuto la concessione edilizia n. 3253 del 21 maggio 1983 per la realizzazione di un fabbricato costituito da un portico di mq. 77 e da un piano primo avente superficie utile residenziale di mq. 66,55.

Il fabbricato era però realizzato in totale difformità dal progetto per cui era richiesto il condono edilizio; con le concessioni edilizie a sanatoria impugnate il comune di Pontinia: a) sanava la trasformazione (e ampliamento) in abitazione del piano terra (concessione edilizia n. 12650/2000, relativa alla particella n. 56/5 e a una superficie utile di mq. 113,02); b) sanava l’ampliamento del primo piano (concessione edilizia n. 13098/2000, relativa alla particella 56/6 e a una superficie utile di mq. 46,47, pari alla differenza tra l’intera superficie del primo piano, pari a mq. 113,02 e la superficie autorizzata nel 1983, pari a mq. 66,55).

2. Con il ricorso all’esame la signora C., proprietaria di un edificio su suolo confinante, contesta la legittimità della sanatoria, sostenendo che essa è stata assentita illegittimamente, essendo il fabbricato sanato posto a distanza dal confine inferiore a quella (minima di 5 m.) prevista dal regolamento edilizio comunale.

3. Con i successivi motivi aggiunti la ricorrente denuncia altresì che il condono non avrebbe potuto essere assentito in quanto il fabbricato in questione sarebbe stato completato in epoca posteriore a quella del 1° ottobre 1983 (ultima data utile per poter beneficiare del condono edilizio) e comunque il comune di Pontinia non ha compiuto alcun accertamento per verificare la data di effettivo completamento.

4. Resistono al ricorso il comune di Pontinia e i signori D.F. e F.F..

5. Preliminarmente occorre esaminare le eccezioni d’inammissibilità sollevate dai resistenti.

6. Anzitutto i signori Ferraro deducono che il ricorso è inammissibile poiché la ricorrente ha omesso di impugnare la concessione edilizia rilasciata nel 1983; sul punto essi evidenziano che le concessioni edilizie impugnate si riferiscono a opere, ultimate nel 1983, eseguite in difformità dalla concessione n. 3253 del 21 maggio 1983, cosicchè la lesione degli interessi della ricorrente è conseguenza non degli atti impugnati a mezzo del ricorso all’esame ma della originaria concessione non impugnata nei termini.

L’eccezione è infondata.

A prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine al rapporto tra la concessione edilizia del 1983 (che si riferiva a un fabbricato da adibire ad abitazione di circa 66 mq.) e le concessioni a sanatoria impugnate (che si riferiscono a due distinte unità immobiliari di circa 133 mq.), dal confronto tra i grafici di progetto approvati nel 1983 (nei quali la distanza dai confini è indicata in metri 6) e i grafici di progetto allegati alle concessioni a sanatoria impugnate si desume chiaramente che la sagoma del fabbricato realizzato è stata spostata (e in misura considerevole) verso il confine della ricorrente; in pratica nella planimetria allegata alla concessione del 1983 il fabbricato realizzato è posto nel centro del lotto della signora Ferraro (a distanza di metri 6 dai confini), mentre nei grafici allegati alle concessioni a sanatoria il fabbricato effettivamente realizzato è posto nelle immediate prossimità dei medesimi confini (a metri 2,70 e 2,40). In sostanza la deroga alla distanza dal confine è stata legittimata dagli atti impugnati.

7. Ciò premesso, il problema che pone il ricorso principale consiste nello stabilire se il condono edilizio previsto dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 sia o meno impedito dalla violazione delle norme che stabiliscono la distanza minima degli immobili dai confini del lotto in cui insistono.

La ricorrente sostiene che il rispetto delle distanze dai confini costituisce un presupposto del condono, mentre i resistenti sostengono il contrario, invocando il tradizionale principio secondo cui le concessioni edilizie sono rilasciate dall’amministrazione con salvezza dei diritti dei terzi.

Il Collegio condivide gli assunti dei resistenti; il condono edilizio, infatti, attiene al rapporto pubblicistico tra il comune e il richiedente e permette a quest’ultimo di ottenere il titolo edilizio, nonostante la violazione di disposizioni di carattere urbanisticoedilizio, pagando la prevista oblazione.

Questo meccanismo, tuttavia, sana la violazione nei (soli) rapporti tra l’amministrazione e il richiedente ma – stante la relatività del titolo – non incide sui rapporti tra il richiedente e terzi i cui diritti siano lesi dall’edificazione.

In altri termini, nel caso in cui sia leso il diritto dei terzi al rispetto di una distanza minima dal confine, il condono sana la violazione nei rapporti con il comune ma evidentemente non estingue il diritto del proprietario confinante (al rispetto delle distanze prescritte) che potrà farlo valere innanzi all’autorità giurisdizionale competente; questa impostazione trova del resto puntuale conferma nella disposizione dell’articolo 39, comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nel testo modificato dall’articolo 37, comma 2, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo cui "il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi"; ed è utile ricordare che il testo originario della medesima disposizione disponeva invece che "le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime, a meno che queste ultime non siano conformi e compatibili sia con lo strumento urbanistico approvato che con quello adottato, e che siano state realizzate su parti comuni".

Insomma la circostanza che l’immobile dei controinteressati sia posto a distanza dal confine inferiore a quella minima prevista dal regolamento edilizio comunale non impediva il condono, salvo naturalmente l’interesse della ricorrente a far valere il suo diritto al rispetto della distanza davanti al giudice ordinario a tutela del suo diritto di proprietà (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8262).

Il ricorso principale è quindi infondato.

8. Può ora passarsi all’esame dei motivi aggiunti.

9. Preliminarmente occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dai resistenti.

9.1. Questi eccepiscono che i motivi aggiunti sarebbero inammissibili in quanto: a) essi non sono stati sottoscritti dal legale della ricorrente con conseguente nullità degli stessi; b) il difensore della ricorrente sarebbe privo della procura, non ricomprendendo il mandato a margine del ricorso principale il potere di proporre motivi aggiunti; c) il ricorso per motivi aggiunti è stato notificato al domicilio effettivo dei controinteressati (e in unica copia) e non presso il domicilio eletto e in duplice copia; d) essi sono stati proposti oltre il termine di 60 giorni dalla conoscenza degli atti impugnati risalente, per stessa ammissione della ricorrente, alla data del 22 settembre 2000.

9.2. Le eccezioni sono infondate.

Anzitutto il mandato conferito a margine del ricorso principale per la sua ampiezza comprendeva anche il potere di proporre motivi aggiunti; quanto alla omessa sottoscrizione da parte del difensore della copia notificata ai controinteressati, poiché l’originale dei motivi aggiunti reca la sottoscrizione del difensore non vi è nullità, poiché la copia notificata, ancorchè priva di sottoscrizione autografa, reca in calce le generalità del difensore e pertanto risulta allo stesso riferibile.

In ordine alla circostanza della notifica di una sola copia dei motivi aggiunti presso il domicilio reale dei contro interessati, può rilevarsi che: a) per giurisprudenza consolidata la notifica dei motivi aggiunti può avvenire sia al domicilio eletto che al domicilio reale della parte (T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 giugno 2009, n. 1876, T.A.R. Lazio, Latina, 1 febbraio 2007, n. 100); b) la nullità della notifica, in caso di pluralità di controinteressati aventi il medesimo domicilio e di consegna presso quest’ultimo di un numero di copie dell’atto inferiore al loro numero, è sanata dalla costituzione in giudizio allorchè sia raggiunto lo scopo. Nella fattispecie ambedue i controinteressati si sono costituiti e hanno avuto la possibilità di difendersi.

Infondata è infine anche l’eccezione di tardività in quanto il Collegio non condivide l’assunto dei controinteressati secondo cui alla data di notifica del ricorso principale la ricorrente sarebbe già stata nella condizione di proporre la censura proposta a mezzo dei motivi aggiunti.

E infatti la ricorrente ha proposto il ricorso principale sulla base della nota 22 settembre 2000 con cui il comune si era limitato a comunicarle l’avvenuto rilascio di due concessioni edilizie a sanatoria facendo generico riferimento alle legge 28 febbraio 1985 n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724; solo a seguito dell’accesso avvenuto in epoca posteriore ella ha potuto quindi sapere che la signora Ferraro aveva proposto istanza di condono in base alla legge n. 47 del 1985 dichiarando pertanto che l’opera abusiva era stata completata entro la data del 31 ottobre 1983.

In altri termini non è stata fornita la prova – il cui onere grava sulla parte che eccepisce la tardività – della conoscenza piena delle concessioni a sanatoria impugnate in epoca anteriore di oltre 60 giorni alla data del 17 gennaio 2001 in cui i motivi aggiunti sono stati consegnati per la notifica all’ufficiale giudiziario.

10. Ciò premesso in ordine all’ammissibilità dei motivi aggiunti, ritiene il Collegio che essi non siano maturi per la decisione e che debba accogliersi l’istanza istruttoria formulata dalla ricorrente nella memoria depositata il 7 marzo 2001.

Si ordina pertanto al comune di Pontinia di trasmettere alla segreteria della sezione copia della seguente documentazione: 1) atti e documenti relativi alla istanza di condono edilizio prot. n. 1552 del 31 dicembre 1986, ivi compresi la stessa istanza, con tutti i relativi allegati, e ogni altro atto depositato dalla istante ovvero formato dall’amministrazione; 2) se esistenti, atti e documenti relativi ai lavori intrapresi in base alla concessione edilizia n. 3253 del 1983 (in particolare eventuali dichiarazioni aventi a oggetto l’inizio dei lavori); 3) relazione di chiarimento sui fatti di causa; in particolare la relazione chiarirà se e quali accertamenti siano stati fatti in ordine alla data di completamento dei lavori prima del rilascio in data 8 agosto 2000 delle concessioni edilizie a sanatoria.

Per l’esecuzione dell’incombente è fissato il termine di 60 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza.

11. Ogni altra determinazione sul rito, sul merito e sulle spese è riservata alla sentenza definitiva.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, interlocutoriamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe e riservata al definitivo ogni ulteriore determinazione sul rito, sul merito e sule spese, respinge il ricorso principale e ordina al comune di Pontinia di depositare la documentazione indicata in motivazione presso la segreteria nel termine di giorni 60 dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza; rinvia l’ulteriore trattazione alla udienza pubblica del 12 gennaio 2012.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.