Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-12-2010) 04-02-2011, n. 4175 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P. 1. Con sentenza del 24/11/2009, la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza pronunciata in data 8/03/2007 con la quale il Tribunale della medesima città aveva ritenuto B. L. responsabile dei delitti di estorsione e tentata estorsione ai danni di C.F..

P. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 629 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto la configurabilità del delitto di estorsione consumata in ordine alle dazioni effettuate dalla pretesa parte offesa C. F., non avendo, invece, considerato che si trattava di piccole quantità di denaro consegnate in modo spontaneo per un sentimento di pietà: il che portava, appunto, ad escludere il reato sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo;

2. violazione degli artt. 56 e 629 c.p. per avere la Corte ritenuto che nell’episodio del 17/07/2003 fosse configurabile un tentativo di estorsione. Invero, nel suddetto episodio non si poteva considerare raggiunta la prova del riconoscimento da parte del C. della voce del soggetto che gli aveva telefonato il precedente giorno (OMISSIS), nè era stato documentato che, in quell’occasione, lo sconosciuto aveva rivolto minacce e richieste di denaro. La Corte, inoltre, non avrebbe dovuto tralasciare tutte le risultanze dibattimentali nella ricostruzione di quanto avvenuto il (OMISSIS), emerse dall’esame della persona offesa, nonchè tutti i contrasti con quanto invece asserito dai militari che avevano operato l’arresto del B. e di tale Z. mai poi processato;

3. errata qualificazione giuridica per non avere la Corte territoriale derubricato il reato di estorsione in quello di truffa essendo stato il male ventilato come possibile ed eventuale. Infatti, il C. aveva chiarito che aveva svolto "il ruolo del "fratello buono" differenziandosi dal soggetto che, invece, avrebbe telefonato con tono minaccioso prospettando come possibili ingiusti danni (…) in definitiva, il pericolo agli occhi del C. poteva provenire dal "terzo" soggetto che aveva telefonato e non dall’appellante il quale si era sempre comportato in modo rispettoso".
Motivi della decisione

P. 3. Il ricorso, nei termini in cui è stato proposto è manifestamente infondato.

La Corte territoriale, con motivazione ampia ed accurata, ha ricostruito la vicenda per cui è processo in modo inequivoco giungendo alla conclusione che il ricorrente si era reso responsabile non solo delle estorsioni consumate ai danni del C. ma anche della tentata estorsione del giorno (OMISSIS) a seguito della quale i C.C., ai quali il C. aveva denunciato le minacce estorsive del B., lo avevano arrestato proprio in flagranza di reato avendogli trovato addosso anche le banconote che gli erano state consegnate dalla parte offesa.

La Corte territoriale ha puntualmente evidenziato i numerosi riscontri probatori (denuncia della parte offesa – testimonianza dei militari che avevano avuto occasione di ascoltare una telefonata minatoria – arresto in flagranza) ed ha confutato, in modo logico e coerente il "debole tentativo difensivo di minimizzare la portata della vicenda, come se la parte offesa non fosse stata minacciata e avesse consegnato i soldi solo per pietà o per elemosina". Le censure, quindi, riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

Non miglior sorte ha la doglianza in ordine alla pretesa derubricazione del reato in quello di truffa sia perchè il fatto così come ricostruito dalla Corte territoriale integra gli estremi del ritenuto reato di estorsione sia perchè, a tutto concedere, quand’anche si volesse seguire la tesi difensiva del "fratello buono e di quello cattivo", il reato sarebbe ugualmente configurabile ovvio essendo che il ricorrente, pur avendo rivestito il ruolo del "fratello buono", avrebbe pur sempre commesso, in concorso con il "fratello cattivo", il reato addebitatogli.

P. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-04-2011, n. 8089 Assemblea dei condomini

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 27-29/12-1988 T. A., premesso di essere proprietario di tre appartamenti siti nella palazzina sinistra del Condominio di via (OMISSIS), conveniva in giudizio il suddetto Condominio dinanzi a Tribunale di Roma chiedendo dichiararsi la nullità della delibera assembleare del 29-11-1988 con la quale era stato deciso di eliminare il sistema binario di distribuzione dell’acqua, ovvero diretta (cosiddetta acqua potabile) e ad accumulo con cassoni individuali (cosiddetta acqua sanitaria).

Il Condominio convenuto costituendosi in giudizio chiedeva il rigetto della domanda attrice.

Il Tribunale adito con sentenza del 27-5-1994 rigettava la domanda attrice.

Proposto appello da parte del T. cui resisteva il suddetto Condominio la Corte di Appello di Roma con sentenza del 4-12-1996 accoglieva il gravame assumendo che con la delibera impugnata era stata disposta una innovazione vietata in quanto comportante l’impossibilità per i condomini di continuare a servirsi nella originaria misura della cosa comune e di trame la quantità di utilità in precedenza assicurata, cosicchè per la sua validità avrebbe dovuto ottenere il consenso di tutti i condomini e non invece, come si era verificato, un numero di voti rappresentanti appena 346 millesimi del valore dell’edificio.

Avverso tale sentenza il Condominio di via (OMISSIS) proponeva un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi cui resisteva il T..

Questa Corte con sentenza del 20-6-2000 accoglieva i primi due motivi di ricorso, esaminati congiuntamente, con i quali il ricorrente aveva dedotto che il giudice di appello aveva dichiarato la nullità della delibera del 29-11-1988 sul presupposto che la stessa avesse un determinato oggetto (ovvero la trasformazione del sistema di distribuzione dell’acqua), mentre in realtà tale modifica era stata decisa in precedenti assemblee non impugnate; al riguardo assumeva che, come rilevato dal giudice di primo grado, nella assemblea del 29- 11-1988 era stata respinta la proposta di utilizzare la colonna discendente dell’acqua diretta anche nella trasformazione in corso, e che lo stesso T. nel controricorso aveva dato atto che la trasformazione era stata deliberata nelle precedenti assemblee del 25- 2-1988 e del 4-5 1988; ha quindi dichiarato assorbiti il terzo ed il quarto motivo di ricorso (con i quali il Condominio ricorrente aveva dedotto che la trasformazione del sistema di distribuzione dell’acqua non solo non costituiva innovazione vietata, ma non costituiva neppure innovazione), ha cassato la sentenza impugnata ed ha rinviato la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

A seguito di riassunzione da parte del predetto Condominio cui resisteva il T. la Corte di Appello di Roma con sentenza dell’11-1-2005 ha rigettato l’appello proposto da quest’ultimo avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 27-5-1994.

Per la cassazione di tale sentenza il T. ha proposto un ricorso affidato a cinque motivi cui il Condominio di via (OMISSIS) ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno successivamente depositato delle memorie.
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 1 e dell’art. 143 disp. att. c.p.c., censura la sentenza impugnata per non essersi uniformata al principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione con la menzionata pronuncia del 20-6-2000 e per aver affermato che, come già rilevato dal giudice di primo grado, "la delibera impugnata non ha deliberato alcunchè", essendosi l’assemblea del 29-11-1988 limitata a respingere la proposta avanzata da uno dei condomini di "utilizzare le attuali colonne discendenti dell’acqua diretta anche nella trasformazione in corso", non considerando che il respingimento di una proposta implica che una delibera su tale proposta era stata adottata.

Il T. poi assume che erroneamente il giudice di appello, dopo aver affermato che la decisione di trasformare l’impianto idrico del suddetto Condominio da bocca tarata a contatore sarebbe stata adottata all’unanimità con delibera del 25-2-1988 e che l’assemblea del 5-4-1988 avrebbe rinnovato tale volontà approvando il preventivo della ditta Federico Pestalozzi per l’esecuzione dei relativi lavori, ha sostenuto che, avendo l’assemblea del 13-7-1988 approvato il piano di riparto delle spese necessarie per la suddetta trasformazione autorizzando l’amministratore a stipulare il contratto di appalto sulla base del preventivo approvato, poichè detto preventivo prevedeva io smantellamento delle vecchie tubazioni, era evidente che alla data del 13-7-1988 (in cui era stato approvato il preventivo di spesa), l’assemblea dei condomini aveva già approvato non solo la trasformazione dell’impianto idrico, ma anche le modalità tecniche della trasformazione (che prevedevano l’eliminazione delle tubazioni originarie); in realtà la più volte richiamata trasformazione dell’impianto idrico non implicava necessariamente l’abbandono del sistema binario con opzione obbligatoria per il sistema monotubo, come evidenziato nella C.T.U. espletata nel giudizio di primo grado;

inoltre nel preventivo della ditta Gallozzi non vi era alcuna espressa previsione dello smantellamento delle vecchie tubazioni nel senso che a tale espressione ha attribuito la Corte territoriale, riguardando lo smantellamento soltanto le vecchie tubazioni esterne di risalita; pertanto il rigetto della delibera impugnata si fondava sull’errato convincimento che il taglio della tubazione, avvenuto dopo l’assemblea del 29-11-1988, fosse già stato deliberato il 13/7/1988.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione, rileva che la sentenza impugnata non ha considerato che il rigetto della sopra enunciata proposta del T. da parte dell’assemblea condominiale del 29-11-1988 aveva comportato la definizione delle modalità attuative della deliberata trasformazione dell’impianto idrico, determinando il Condominio ad effettuare la resezione della tubazione sino a quel momento rimasta inutilizzata, con definitiva opzione per un sistema monotubo in luogo di quello del precedente sistema binario di erogazione.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

Il giudice di appello, premesso che l’assemblea condominiale del 29/11/1988 si era limitata a respingere la proposta avanzata da uno dei condomini di "utilizzare le attuali colonne discendenti dell’acqua diretta anche nella trasformazione in corso", ha rilevato che la decisione di trasformare l’impianto idrico del Condominio di via (OMISSIS) era stata adottata all’unanimità con delibera del 25-2-1988, ed ha aggiunto che la successiva delibera del 4-5-1988 aveva rinnovato la volontà di procedere alla trasformazione dell’impianto idrico, approvando il preventivo per l’esecuzione dei lavori presentato dalla ditta Gallozzi; inoltre la delibera del 13/7/1988 aveva approvato il piano di riparto delle spese necessarie per trasformare l’impianto idrico, autorizzando l’amministratore a stipulare il contratto di appalto con la ditta Gallozzi sulla base del preventivo approvato dall’assemblea; ha quindi concluso che, poichè il preventivo dei lavori prevedeva espressamente lo smantellamento delle vecchie tubazioni, ne conseguiva che alla data del 13-7-1988 (in cui era stato approvato il preventivo di spesa), l’assemblea dei condomini aveva già approvato non solo la trasformazione dell’impianto idrico, ma anche le modalità tecniche della trasformazione (che prevedeva l’eliminazione delle tubazioni originarie).

Orbene è agevole osservare che la Corte territoriale ha proceduto ad un accertamento di fatto -sul solco del quadro processuale già tracciato dalla menzionata sentenza di questa stessa Corte -sorretto da congrua ed adeguata motivazione, come tale insindacabile in questa sede dal ricorrente il quale, a prescindere dal rilevare che deduce una pretesa non conformità della decisione impugnata ad un principio di diritto della Corte di Cassazione non meglio chiarito ed in realtà non enunciato (essendosi il giudice di legittimità limitato a sollecitare un nuovo esame in fatto della controversia), tende inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione della vicenda che ha dato luogo alla presente causa, oltretutto in contraddizione con le sue stesse ammissioni, posto che nella proposta da lui formulata all’assemblea dei 29-11-1988 di "utilizzare le attuati colonne discendenti dell’acqua diretta", si faceva espresso riferimento "alla trasformazione in corso", così almeno implicitamente riconoscendo che la trasformazione del sistema di distribuzione dell’acqua era già stato deliberato nelle precedenti assemblee sopra richiamate.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., comma 2, rileva che il giudice di appello non ha esaminato tutte le argomentazioni difensive svolte dall’esponente a sostegno della invocata declaratoria di nullità della delibera impugnata che, avendo respinto la proposta del T. di "…utilizzare le attuali colonne discendenti acqua diretta anche nella trasformazione in corso…", così implicitamente attestando che fino a quel momento la relativa eliminazione non era sta oggetto di delibera condominiale, aveva determinato la resezione della tubazione su cui si controverte, configurando pertanto una innovazione vietata ai sensi della norma sopra richiamata, in quanto comportava l’inservibilità all’uso o al godimento del condomino T. di parte dell’acquedotto comune.

Con i quarto motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione, assume che la Corte territoriale ha omesso di motivare la mancata declaratoria di nullità della delibera impugnata che, respingendo con il voto favorevole di soli otto condomini per millesimi 346 la proposta avanzata dall’esponente, aveva consentito il taglio della tubazione per cui è causa, costituente parte comune dell’edificio condominiale, rendendola in tal modo inservibile all’uso o al godimento del T., dando luogo ad una innovazione vietata.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, restano assorbite all’esito del rigetto dei primi due motivi di ricorso; invero, una volta escluso che la delibera del 29/11/1988 avesse un qualsiasi contenuto innovativo, vengono meno tutte le questioni relative ad una sua dedotta nullità in quanto avente ad oggetto una innovazione vietata.

Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2, rileva che la statuizione della Corte di Appello di Roma del 4-12-1996, che aveva dichiarato la nullità della delibera del 29-11-1988 in quanto aveva disposto una innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2 non era stata impugnata in cassazione, cosicchè si era determinata una acquiescenza al riguardo.

La censura è palesemente infondata.

Come evidenziato chiaramente nella sentenza di questa stessa Corte del 20-6-2000, il Condominio di via (OMISSIS) con i motivi terzo e quarto del ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 4-12-1996 aveva dedotto che la trasformazione del sistema di distribuzione dell’acqua non solo non costituiva innovazione vietata, ma non costituiva neppure innovazione; tali motivi, poi, come già esposto, sono stati dichiarati assorbiti all’esito dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2000,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2011) 08-03-2011, n. 8986 Misure cautelari

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino, con ordinanza emessa il 19/04/010 – provvedendo sulla richiesta di riesame presentata nell’interesse di C.A. avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Aosta, in data 29/03/010, con la quale era stata disposta la misura coercitiva degli arresti domiciliari nei confronti del predetto C., in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – respingeva il gravame. L’interessato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

In particolare il ricorrente esponeva:

1. che non ricorrevano i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, trattandosi di modesto quantitativo di hashish, detenuto per uso personale;

2. che non ricorrevano esigenze cautelari, trattandosi di soggetto non pericoloso dedito a lecita attività lavorativa;

3. che, in sede di udienza di convalida dell’arresto, non era stata eseguita la riproduzione fonografica dell’interrogatorio del C. (che era detenuto) ai sensi dell’art. 141 bis c.p.p., con conseguente inutilizzabilità dell’interrogatorio.

Tanto dedotto, il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il PG della Cassazione, nell’udienza in Camera di Consiglio del 09/02/011, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Tribunale di Torino ha congruamente motivato tutti i punti fondamentali della decisione.

Quanto ai gravi indizi di colpevolezza relativi al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, risulta accertato, allo stato degli atti, che C.A. – nelle condizioni di tempo e di luogo come individuate in atti – è stato trovato in possesso di oltre 500 grammi di hashish destinato prevalentemente allo spaccio.

Quanto alle esigenze cautelari le stesse sono state ravvisate nel pericolo concreto del reiterarsi di altri reati similari. Pericolo desumibile dal fatto che il C. era inserito in modo abituale nell’attività di spaccio di stupefacenti.

La misura degli arresti domiciliari (con autorizzazione a svolgere attività lavorativa) era idonea a garantire dette esigenze cautelari.

Trattasi di valutazioni di merito, immuni da errori di diritto, conformi ai parametri di cui all’art. 273 c.p.p., art. 274 c.p.p., lett. c); non censurabili in sede di legittimità.

Per contro le censure dedotte nel ricorso sia quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia quanto alle esigenze cautelari, sono generiche perchè ripetitive di quanto esposto in sede di riesame, già valutate esaustivamente dal Tribunale.

Sono, altresì, infondate perchè in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal giudice del merito.

Dette doglianze, peraltro costituiscono nella sostanza ad eccezioni in punto di fatto, non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, bensì alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura delle risultanze processuali, per pervenire ad una diversa interpretazione delle stesse, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all’art. 606 c.p.p. (Giurisprudenza consolidata e costante: Cass. Sez. Unite Sent. n. 6402 del 02/07/97, rv 207944; Cass. Sez. Unite Sent. n. 930 del 29/01/96, rv 203428; Cass. Sez. 1^ Sent. n. 5285 del 06/05/98, rv 210543; Cass. Sez. 5^ Sent. n. 1004 del 31/01/2000, rv 215745; Cass. Sez. 5^ Ord. n. 13648 del 14/04/2006, rv 233381).

Quanto all’eccezione processuale, ex art. 141 bis c.p.p., si rileva che detta doglianza – mancata registrazione dell’interrogatorio – è stata solo prospettata come eventuale, non è stata documentata, non risulta eccepita nè in sede di convalida, nè in sede di riesame.

Trattasi di censura generica con conseguente inammissibilità della stessa.

Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da C.A., con conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 23-03-2011, n. 11588 ricusazione

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Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 27 maggio 2010 la Corte di appello di Napoli ha dichiarato inammissibile, per tardività, la dichiarazione di ricusazione proposta dai legali rappresentanti delle società Fisia Italimpianti S.p.a e Fibe S.p.a., nei confronti dei giudici del Tribunale per il riesame, dott.ssa P.A., dott.ssa M. R. e dott.ssa Me.Ba., condannando le società proponenti al pagamento di una ammenda.

Avverso tale provvedimento propongono ricorso le due società per mezzo dei rispettivi difensori e procuratori speciali, deducendo l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 38 cod. proc. pen..

Al riguardo rilevano che i difensori non erano presenti all’udienza del Tribunale per il riesame del 19 maggio 2010 e che hanno avuto effettiva conoscenza della composizione del collegio soltanto nel pomeriggio dello stesso giorno, all’esito dell’udienza, in quanto notiziati dai colleghi napoletani presenti per altre posizioni.

Eccepiscono, quindi, che l’istanza, presentata in data 21 maggio 2010 doveva ritenersi tempestiva in quanto depositata entro il terzo giorno successivo a quello in cui i difensori avevano avuto l’effettiva conoscenza della causa di ricusazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

In punto di rito, l’art. 38, comma 2, ultima parte, prevede che se la causa di ricusazione è sorta o è divenuta nota durante l’udienza, la relativa dichiarazione deve essere in ogni caso proposta prima del termine dell’udienza.

Nell’ambito di questa previsione normativa, la questione sollevata dalle società ricorrenti è stata già esaminata da questa Sezione che, con la sentenza n. 17280/2002 ha rilevato che:

"Gli istituti dell’incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice – inseriti nel titolo primo del libro primo del codice di rito (SOGGETTI/Giudice) – non attengono al diritto di difesa, ma all’imparzialità del giudice. Nel bilanciamento delle esigenze di immutabilità del giudice naturale, se non per ragioni specifiche ed insuscettibili di interpretazione estensiva; di speditezza dei processi; di esercizio della facoltà di ricusazione, il legislatore ha previsto, fra l’altro, un sistema di termini e di conoscenza dei fatti, volto ad eliminare ogni possibilità di inserire nel processo elementi di incertezza che possano minarne il corretto andamento.

Deve quindi ritenersi che con l’espressione "divenire noto", contenuta nell’art. 38 citato, il legislatore abbia inteso prendere in considerazione una situazione obbiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza del fatto, ma soltanto alla conoscibilità mediante l’uso dell’ordinaria diligenza. Ne consegue che l’imputato, il quale per sua libera scelta, abbia rinunciato a presenziare all’udienza, abbia nel contempo accettato tutte le conseguenze della sua assenza, che non attengono al diritto di difesa, ma proprio all’ordinario andamento dell’udienza stessa e del processo.

Diversamente opinando si verrebbe a delineare una sorta di remissione in termini, in favore dell’imputato assente – non espressamente prevista, nè deducibile dal sistema – per fatti verificatisi in udienza" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17280 del 15/02/2002 Cc. (dep. 08/05/2002) Rv. 221715). Tale indirizzo giurisprudenziale è stato ulteriormente ribadito da questa Sezione (Sentenza n. 18210 del 30/04/2010 Cc. (dep. 13/05/2010) Rv. 247049). Il Collegio non intende discostarsi da tale orientamento, che condivide.

Di conseguenza il ricorso deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che respinge il ricorso, chi che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le società ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.