Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-10-2011, n. 21297 Clausola penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Con sentenza non definitiva n. 27177 del 5.10.04 il Tribunale di Roma condannò la SITAT srl, costruttrice-venditrice di un complesso immobiliare in (OMISSIS), a pagare all’INPDAP, acquirente di due corpi di fabbrica in forza di contratto del 5.3.96, la complessiva somma di Euro 5.816.337,60 (oltre interessi legali dalla domanda al saldo), a titolo di penale per il ritardo nella consegna degli edifici, ritenendola avvenuta soltanto il 19.7.01; e, accertato l’inadempimento contrattuale della venditrice all’obbligo di garantire a controparte anche la percezione di un reddito annuo da locazione degli immobili, condannò la medesima SITAT srl a pagare, in favore dell’INPDAP, pure i ratei trimestrali da reddito annuo locatizio a decorrere dal 20.9.01, oltre interessi dalle singole scadenze;

1.2. all’esito dell’ulteriore istruttoria sul minor valore o sugli eventuali vizi del compendio immobiliare consegnato e sui costi di ultimazione delle opere pure previste in contratto ed indispensabili per conseguire le certificazioni amministrative, il medesimo tribunale pronunciò sentenza definitiva n. 18853 del 2.10.07, con cui, accertati quei costi in Euro 329.139,56, condannò l’INPDAP al pagamento della differenza tra il residuo prezzo dovuto e tale ultima somma, per totali Euro 1.648.208,79, oltre interessi legali dal 19.7.01; e, valutata la complessiva prevalente soccombenza di SITAT, condannò quest’ultima alle spese di lite, ponendo a carico di quella le spese di c.t.u.;

1.3. la SITAT interpose appello avverso la. prima sentenza, gravata pure da appello incidentale da parte dell’INPDAP, mentre quest’ultimo gravò di appello la seconda, a sua volta oggetto di gravame incidentale da parte della SITAT; le due cause in secondo grado furono riunite e quindi decise dalla Corte di appello di Roma, con sentenza n. 626/10, pubblicata il 15.2.10, con la quale tutti i gravami furono rigettati, con compensazione delle spese del grado.

2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la SITAT, affidandosi a quindici motivi; resiste l’INPDAP, dispiegando a sua volta ricorso incidentale articolato su sette motivi e resistito da controricorso della ricorrente principale. All’udienza pubblica del 28 settembre 2011 le parti, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., dalla ricorrente i motivi del suo ricorso, hanno preso parte alla discussione orale ed il difensore della ricorrente principale ha presentato altresì osservazioni per iscritto alle conclusioni del Pubblico Ministero.
Motivi della decisione

2. La ricorrente principale formula quindici motivi e precisamente:

2.1. con un primo motivo (pag. 21 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione di legge (art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4); e contesta la ritenuta novità delle domande ai punti la, 1b, 1d, 3, 4, 7a, 7b, 7c della comparsa, conclusionale;

2.2. con un secondo motivo (pag. 41 del ricorso) essa adduce insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento alla affermata inammissibilità dei punti 1a, 1b, 1d, 3, 4, 7a, 7b, 7c; e contesta la motivazione sulla qualificazione di novità delle medesime domande;

2.3. con un terzo motivo (pag. 93 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione di legge quanto agli artt. 1321, 1362, 1363, 1366, 1371 c.c., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3: e contesta l’interpretazione data dalla corte di merito sulla ricostruzione del rapporto negoziale e precisamente sulla subordinazione della consegna effettiva dell’immobile all’ultimazione, utilizzabilità ed agibilità del fabbricato previa presentazione dei documenti elencati all’art. 5 del contratto;

2.4. con un quarto motivo (pag. 104 del ricorso) essa adduce insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, avuto riguardo al fatto della consegna dell’immobile con riferimento al verbale relativo del 29.11.96: e contesta la mancata attribuzione di valore negoziale a tale verbale di consegna quanto all’accettazione di quanto ivi contenuto;

2.5. con un quinto motivo (pag. 113 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione di legge quanto agli artt. 1362, 1363, 1398, 1399, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, con riferimento all’operato negoziale del consegnatario degli immobili e alla successiva ratifica da parte dell’istituto acquirente: e contesta la mancata considerazione della condotta dell’INPDAP successiva al verbale di consegna, la quale integrerebbe una ratifica;

2.6. con un sesto motivo (pag. 118 del ricorso) essa adduce insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento allo stato costruttivo degli immobili ed alle condizioni della loro utilizzabilità alla data del verbale di consegna 29.11.96: si contesta la sufficienza della motivazione sulla mancata ultimazione dei lavori e sul mancato possesso della documentazione posti a fondamento della ritenuta inutilizzabilità dell’immobile, nonchè la contraddittorietà sulla valutazione di inefficacia del verbale del 29.11.96;

2.7. con un settimo motivo (pag. 124 del ricorso) essa adduce insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento alle condizioni di inutilizzabilità degli immobili de quibus sino alla data del 19.7.01: e contesta la ritenuta persistenza della non utilizzabilità fino a tale ultima data, in cui fu redatto il verbale di riconsegna;

2.8. con un ottavo motivo (pag. 128 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, con riferimento al capo di decisione che ha ritenuto inutilizzabili gli immobili sino al 19.7.01: e lamenta l’errata o falsa applicazione delle norme sull’uso e sulla valutazione delle prove, per avere la corte deciso in contrasto con le risultanze probatorie;

2.9. con un nono motivo (pag. 132 del ricorso) essa lamenta insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento al fatto relativo alla consegna effettuata il 19.7.01 avuto riguardo alla qualificazione operatane dalla Corte di merito: e si duole del fatto che erroneamente è stata ritenuta necessaria la consegna collaudata del 2001 proprio perchè quella del 1996 non era stata effettiva;

2.10. con un decimo motivo (pag. 135 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione di legge quanto all’art. 1384 c.c., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, con riferimento alla mancata riduzione della penale contrattuale per il ritardo nella consegna degli immobili, nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, avuto riguardo al ritardato parziale inadempimento ed al conseguente effetto della mancata riduzione della penale: in sostanza, essa lamenta il mancato uso del potere di riduzione della penale;

2.11. con un undicesimo motivo (pag. 140 del ricorso) essa adduce insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, avuto riguardo al fatto costituito della garanzia del reddito gravante sulla parte venditrice a far data dal 19.7.01 per la presunta inutilizzabilità degli immobili nel periodo precedente: e lamenta l’incongruenza tra l’inutilizzabilità affermata dalla corte di merito e l’effettiva occupazione, sia pure senza valido titolo, dei beni da parte di società terze;

2.12. con un dodicesimo motivo (pag. 145 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione di legge quanto agli artt. 1221, 1256 c.c., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, con riferimento al fatto controverso relativo alla estinzione dell’obbligazione di garanzia del reddito "nonostante l’impossibilità sopravvenuta per causa del debitore": e lamenta l’erroneità della reiezione della tesi di estinzione per impossibilità sopravvenuta;

2.13. con un tredicesimo motivo (pag. 151 del ricorso) essa adduce insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento al fatto controverso relativo alla mancata, locazione degli immobili ed alla mancata percezione del reddito da parte dell’istituto quale presupposto dell’obbligo di garanzia del reddito con decorrenza 19.7.01: e lamenta che invece era stata addotta l’effettiva, benchè parziale, utilizzazione dell’immobile;

2.14. con un quattordicesimo motivo (pag. 161 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, con riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell’eccezione difensiva inerente al quantum debeatur del reddito garantito: e lamenta che male è stata ritenuta preclusa per novità in appello la deduzione dell’intervenuta novazione del contratto originario e autoriduzione dell’importo reddituale garantito;

2.15. con un quindicesimo motivo (pag. 166 del ricorso) essa adduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1282 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e lamenta l’omesso riconoscimento (in sede di appello incidentale di essa SITAT) degli interessi sulle somme dovute da INPDAP dal 2 9.11.96 (ove si riconoscesse che a tale data si è avuta la consegna dell’immobile), anzichè dal 19.7.01;

2.16. incorpora nel ricorso la riproduzione di numerosi documenti, per poi formulare le sue conclusioni a pag. 297. 3. Dal canto suo, la ricorrente incidentale sviluppa sette motivi ed in particolare:

3.1. con un primo motivo (pag. 113 del ricorso incidentale), lamenta omessa o insufficiente motivazione o contraddittorietà della stessa, su un punto decisivo della controversia, costituito dall’individuazione degli inadempimenti della Sitat oggetto dell’eccezione ex art. 1460 c.c., dell’Inpdap: e sostiene che malamente è stata ritenuta abbandonata l’originaria eccezione di inadempimento, perchè questa era stata riferita non solo all’obbligazione di consegna, ma anche a numerose altre obbligazioni;

3.2. con un secondo motivo (pag. 126 del ricorso incidentale), di error in procedendo, lamenta l’omessa pronuncia su una domanda e/o eccezione ritualmente formulata, sostanzialmente adducendo la non corrispondenza tra chiesto e pronunciato quanto all’argomento precedente;

3.3. con un terzo motivo (pag. 127 del ricorso incidentale), di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. e degli artt. 1218, 1460 e 2697 cod. civ. (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3), lamenta la mancata valutazione unitaria. delle condotte oggetto di accuse di reciproco inadempimento;

3.4. con un quarto motivo (pag. 130 del ricorso incidentale), di omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, individua il vizio nei mancato esame in sede di consulenza tecnica delle porzioni consegnate da Sitat a Mediterranea Auto nel 1998: e lamenta la mancata considerazione delle lavorazioni incomplete o ineseguite nelle porzioni a suo tempo consegnate a quest’ultima e dell’istanza di rinnovazione o integrazione delle operazioni di c.t.u.;

3.5. con un quinto motivo (pag. 140 del ricorso incidentale), di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 184 bis cod. proc. civ. (testo previgente) e art. 345 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, e di omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5), contesta la negazione dei presupposti per la rimessione in termini o per l’indispensabilità ai fini della decisione;

3.6. con un sesto motivo (pag. 143 del ricorso incidentale), di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1477 e 1497 cod. civ. (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3), lamenta, ai fini della quantificazione del danno da minor valore dell’opera, la pretermissione delle difformità delle destinazioni d’uso effettive rispetto a quelle promesse in contratto;

3.7. con un settimo motivo (pag. 151 del ricorso incidentale), di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 61, 112, 115, 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ. (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) e di omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5), lamenta sotto altro profilo l’erroneità del rigetto dell’istanza di integrazione della C.T.U., negandosi che non fossero state addotte (e provate) le difformità riscontrate nelle destinazioni d’uso.

4. In via preliminare:

4.1. a giudizio del Collegio, i due ricorsi, principale ed incidentale, vanno riuniti, siccome proposti avverso la medesima sentenza;

4.2. non rileva, in mancanza di specifiche doglianze delle parti su concreti effetti pregiudizievoli che ne fossero derivati o sull’incompletezza del materiale probatorio effettivamente esaminato e posto a base della decisione, l’annotazione della corte territoriale sulle vicende del fascicolo di una delle parti;

4.3. neppure rileva che una cospicua parte del ricorso principale consti della riproduzione integrale di numerosi degli atti del giudizio di merito:

4.3.1. è ben vero che, di norma, il confezionamento del ricorso per cassazione mediante spillatura o materiale inclusione in esso della copia degli atti di causa ne comporta l’inammissibilità (per Cass. Sez. Un., 17 luglio 2009, n. 16628, sarebbe in tal modo particolarmente indaginosa l’individuazione della materia del contendere e Si contravverrebbe allo scopo dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, preordinato ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura; nello stesso senso:

Cass. 23 giugno 2010, n. 15180 e Cass. 16 marzo 2011, n. 6279): una simile modalità equivale nella sostanza ad un mero rinvio agli atti di causa e viola, di conseguenza, il principio di autosufficienza del ricorso (Cass. Sez. Un., ord. 9 settembre 2010, n. 19255); con conseguente irritualità del c.d. ricorso "sandwich" (tra le più recenti e per ulteriori approfondimenti, v.: Cass. 14 giugno 2011, n. 12955; Cass. 14 luglio 2011, n. 15466; Cass. 29 agosto 2011, n. 17643; Cass. 12 settembre 2011, n. 18646);

4.3.2. e tuttavia, quando la spillatura integrale di alcuni degli atti del processo o della produzione di parte, indispensabili per la prospettazione dei motivi e per la decisione delle questioni agitate con il ricorso, sia accompagnata – come nel caso di specie – da un’esposizione dei motivi e dei fatti di causa la quale già di per sè – per puntualità e completezza di riferimenti e, se del caso, di trascrizioni – complessivamente risponda in modo idoneo al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, l’atto spillato svolge una funzione integrativa e non già sostitutiva degli elementi essenziali del ricorso stesso e la sua incorporazione a quest’ultimo, sebbene ne comporti un obiettivo appesantimento di lettura e comprensione a rischio di incompletezze o equivoci a danno del ricorrente, non ne comporta peraltro l’inammissibilità (in senso in parte analogo ed evidentemente per il carattere limitato dell’atto incorporato, v. Cass. 11 marzo 2011, n. 5836, la quale rileva che può tener luogo dell’esposizione sommaria dei fatti di causa – richiesta dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, a pena d’inammissibilità del ricorso per cassazione – l’incorporazione al ricorso di una copia della sentenza impugnata in modo da costituirne parte integrante, dovendo in tal caso ritenersi realizzato lo scopo della norma di permettere la conoscenza della vicenda processuale mediante la lettura del ricorso, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi).

5. A questo punto, per le modalità di formulazione dei motivi dei ricorsi, è indispensabile raggrupparli a seconda delle questioni cui si riferiscono, sicchè, ai fini della loro disamina, possono considerarsi separatamente:

5.1. quanto al ricorso principale:

5.1.1. congiuntamente il primo ed il secondo, siccome relativi ad una prima complessiva questione sulla novità di alcune delle domande formulate nella comparsa conclusionale di appello;

5.1.2. congiuntamente quelli dal terzo al nono, nonchè il quindicesimo, siccome relativi alla centrale questione dell’operatività o meno della penale pattizia in relazione alle date di consegna o di collaudo del bene costruito e venduto, con le connesse doglianze sulla conseguente individuazione della decorrenza degli interessi sul saldo del prezzo;

5.1.3. il decimo, riferito alle doglianze di mancato esercizio del potere di riduzione della penale;

5.1.4. congiuntamente quelli dall’undicesimo al quattordicesimo, siccome relativi all’ulteriore centrale questione, riguardante la contestata operatività della garanzia del reddito locatizio minimo e l’eccepito inadempimento o comunque fatto impeditivo consistente nella mancata cooperazione del creditore;

5.2. quanto al ricorso incidentale:

5.2.1. congiuntamente quelli dal primo al terzo, siccome relativi alla mancata integrale complessiva considerazione delle condotte delle parti, anche valutando gli eventuali inadempimenti come tra loro connessi;

5.2.2. congiuntamente quelli dal quarto al settimo, riferiti alla mancata considerazione degli ulteriori danni pretermessi, anche per la mancata ammissione di supplementi di indagini peritali, nella quantificazione dell’effettivo saldo prezzo spettante alla venditrice- costruttrice.

6. Per esaminare la prima questione del ricorso principale (sopra, punto 5.1.1.):

6.1. il primo motivo – relativo all’erronea qualificazione di novità di alcune delle domande "in termini esplicativi" della comparsa conclusionale in appello – è inammissibile e comunque infondato:

6.1.1. in primo luogo, è noto che le nullità processuali in tanto possono rilevare ed integrare un vizio della pronuncia in quanto si riverberino in concreto in un detrimento per il diritto di difesa, non sussistendo un generico ed astratto diritto della parte alla regolarità formale del processo: e, a ben vedere, nonostante l’ampia illustrazione dei passaggi degli atti di merito in cui la novità sarebbe stata esclusa, la ricorrente principale non prospetta alcun detrimento concreto alle tesi sostenute o alle domande come originariamente presentate e cioè alcuna effettiva lesione del proprio diritto di difesa, in rapporto alla decisione finale: la quale ultima ha invece comunque esaminato, a ben vedere, tutti i profili indicati, sia pure con il conclusivo risultato di escluderne la fondatezza;

6.1.2. in secondo luogo, con la comparsa conclusionale non possono giammai, per scolastica nozione, riformularsi le conclusioni, nemmeno per "esplicarle", dovendosi fare riferimento agli atti introdottivi del giudizio – e quindi, nel caso di specie, a quelli introduttivi della fase di gravame o, a tutto concedere, a quelli successivi espressamente deputati alle consentite modificazioni delle domande:

ma, nel caso di specie, si tratterebbe di giudizio di secondo grado, nel quale non opera il meccanismo dell’art. 133 cod. proc. civ., nel testo ex lege n. 353 del 1990, applicabile ratione temporis (risultando iniziato, ad istanza di INPDAP, in primo grado il giudizio – v. punto 2 a pag. 9 del ricorso principale – il 23.12.97);

6.1.3. in terzo luogo, come si ricava dalla stessa riproduzione in ricorso, la totalità delle domande esplicitate in comparsa conclusionale di appello e dichiarate – peraltro solo in motivazione – nuove dalla corte territoriale risultano formulate, in termini chiari e specifici assolutamente coincidenti con quelli adoperati in comparsa conclusionale di appello, appunto in tempi successivi alla costituzione in primo grado od al termine di maturazione delle cosiddette preclusioni di merito od assertive;

6.1.4. infine, un conto è svolgere argomentazioni a sostegno o sviluppo o illustrazione delle domande (o, in generale, eccezioni e difese), altro conto è elevare le prime al rango delle seconde:

sicchè l’esplicitazione in appositi capi di petita non formulati in precedenza, benchè corrispondenti ad argomenti già addotti per sostenere la domanda formulata nelle competenti sedi o ad effetti potenziali ma non resi espressi, effettivamente comporta una domanda appunto formalmente nuova;

6.2. analogamente, il secondo motivo – di vizio di motivazione sulla novità delle medesime domande "in termini esplicativi" – è infondato: la motivazione, benchè non supportata da ulteriori argomenti, si incentra evidentemente sulla riscontrata non corrispondenza delle domande suddette con quelle formulate entro i termini illustrati al punto precedente; ed attiene al merito della valutazione – già prospettato con il primo motivo – il conclusivo esito della loro qualificazione di novità. 7. In ordine alla complessa e centrale seconda questione del ricorso principale (sopra, punto 5.1.2: operatività o meno della penale pattizia in relazione alle date di consegna o di collaudo del bene costruito e venduto, con le connesse doglianze di mancato esercizio del potere di riduzione della penale stessa e circa la conseguente individuazione della decorrenza degli interessi sul saldo del prezzo), si osserva quanto appresso, considerando unitariamente, in quanto intimamente tra loro connessi, i motivi dal terzo al nono compresi, in uno al quindicesimo, riguardante una questione consequenziale:

7.1. preliminarmente, in tema di interpretazione dei contratti, costituisce questione di merito valutare il grado di chiarezza della clausola contrattuale, ai fini dell’impiego articolato dei diversi criteri ermeneutici: con conseguente esclusione, nel giudizio di cassazione, di una diretta valutazione della clausola contrattuale, al fine di escludere la legittimità del ricorso da parte del giudice di merito ad altri canoni ermeneutici (Cass. 15 marzo 2005, n. 5624);

in sostanza, l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, poichè il sindacato di legittimità può avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2C06, n. 7597); ed un tipico errore giuridico è effettivamente riscontrabile allorchè l’interpretazione di una delle clausole contrattuali sia operata omettendone il riferimento ad altre tra quelle, nonchè prescindendo dall’equo contemperamento degli interessi delle parti di cui all’art. 1371 cod. civ. (Cass. 17 marzo 2005, n. 5788);

7.2 nel caso di specie, peraltro, il tenore testuale del contratto per cui è causa (atto per notar Angelo Falcone del 5.3.96, riprodotto integralmente anche nel ricorso principale dopo la sua pag. 166) prevede:

– al comma primo dell’art. 5 (pagina 1.9 del contratto e 185 del ricorso principale), espressamente una "consegna degli immobili medesimi liberi da persone e da cose, ultimati ed utilizzabili …, con gli impianti perfettamente funzionanti ed eseguiti conformemente alle norme di prevenzione e sicurezza vigenti … ", da effettuarsi entro una certa data (individuata dal 27 maggio 1996, ma poi pacificamente prorogata di accordo tra le parti al 29 novembre 1996);

– al comma 2 del medesimo art. 5 (pagina 20 del contratto, alla pagina 186 del ricorso), espressamente che al ritardo di una tale consegna sarebbe stata collegata una penale pattizia di L. 6 milioni al giorno;

– al comma quinto dello stesso art. 5 (pagina 20 del contratto), che la venditrice avrebbe dovuto produrre, cinque giorni prima della consegna descritta al comma primo, una copiosa documentazione;

– al comma sesto del ripetuto articolo (pagina 22 del contratto, alla pagina 188 del ricorso), che "eventuali documenti e/o certificati la cui mancanza non è preclusiva alla ottimale utilizzazione degli immobili e dei relativi impianti e non ne ostacoli l’utilizzazione stessa dal punto di vista giuridico, potranno essere prodotti all’Istituto entro il termine di ultimazione del collaudo";

– alla lett. B) dell’art. 7 (pag. 32 del relativo rogito, alla pagina 198 del ricorso principale) la possibilità di dare corso al pagamento di una parte cospicua del prezzo anche prima del collaudo e precisamente dopo la consegna;

7.3. pertanto, se è vero che incontestabilmente nel contratto stesso sono stati tenuti distinti (ed anche ad alcuni rilevanti fini, quali il pagamento del saldo del prezzo) i momenti della consegna e del collaudo, secondo quanto argomenta la ricorrente principale, eppure la consecuzione e correlazione delle due previsioni contrattuali, cioè la circostanza che la penale sia stata prevista in riferimento alla specifica consegna appena descritta al comma precedente, vale a dire ad una consegna connotata evidentemente ed indefettibilmente da tali specifici requisiti degli immobili e salva una diversa valutazione di sufficienza dello stato degli stessi prevista ad altri fini (tra cui il pagamento del saldo del prezzo), impediscono di ancorare la maturazione della penale in questione a tempi od eventi successivi ad una consegna di beni con le caratteristiche rigorose appena descritte;

7.4. correttamente pertanto i giudici del merito interpretano, complessivamente considerando le clausole tutte del contratto (e non rilevando, per quanto si dirà, la condotta successiva dell’INPDAP), come fatto costitutivo del diritto alla penale pattizia la mancata consegna degli immobili con le caratteristiche contrattuali, tra cui la presenza dell’intera documentazione descritta nella richiamata parte iniziale dell’art. 5;

7.5. è del resto altrettanto indubbio, tanto che la ricorrente principale invoca la considerazione delle condotte successive, che nel verbale di "consegna" del 29.11.96 siano state fatte riserve tali da parte del rappresentante dell’INPDAP da non potersi ritenere che la consegna sia stata accettata come riferita agli immobili nel possesso di tutti i requisiti espressamente e liberamente dalle parti indicati e da intendersi come caratterizzanti la consegna idonea ad escludere la penale;

7.6. costituisce poi un apprezzamento di fatto, incensurabile nella presente sede di legittimità in quanto scevro da evidenti vizi logici o giuridici e secondo quanto si evince dalla motivazione della qui gravata sentenza (pag. 14), che al 29 novembre 1996, data del verbale di consegna contestato, vi fossero "carenze documentali e …. vizi costruttivi, tali da comportare una vera e propria carenza funzionale dell’opera, di fatto inutilizzabile per i fini suoi propri – di investimento e di redditività – sottesi alla compravendita" (con valutazione poi confermata ed ampliata alle pagine 18 e seg. della sentenza):

essendo idoneo il riferimento alle risultanze dell’ATP, cui bene il giudice del merito può fare richiamo senza la necessità di una puntuale trascrizione;

non essendo prospettati, se non altro con la necessaria specificità, nel ricorso per cassazione (pie di pag. 121) i motivi per i quali le descrizioni analitiche di quelle risultanze di fatto sarebbero state malamente valutate dal giudice del merito: essendo sul punto necessarie le trascrizioni di quelle e delle relative critiche, accompagnate queste ultime dall’indicazione della sede processuale in cui sarebbero state formulate;

– non soccorrendo le tesi della ricorrente la generica invocazione di una Consulenza Tecnica di Ufficio, ove non si invochino specifici difetti dell’accertamento o ulteriori necessità diverse da quelle già considerate in quest’ultimo, nè si indichi la sede processuale in cui tanto sarebbe stato prospettato nel giudizio di merito;

– non integrando, ictu oculi, un argomento favorevole la sola limitata entità dei lavori a farsi, senza la loro analitica considerazione, visto che, in astratto, anche opere di modesto valore potrebbero rendere un immobile del tutto inidoneo all’uso dedotto in contratto;

7.7. del pari costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile nella presente sede di legittimità in quanto scevro da evidenti vizi logici o giuridici e secondo quanto si evince dalla motivazione della qui gravata sentenza (pag. 14), che le pretese condotte successive dell’INPDAP si esauriscano nel generico riferimento alla consegna "non collaudata" come presa d’atto di un fatto materiale e che non possano ritenersi una ratifica di una qualificazione della medesima come riferita agli immobili con quelle determinate caratteristiche esplicitate nel comma 1, dell’art. 5 del contratto;

7.8. costituisce adeguata valutazione di diritto poi che le medesime condotte successive non possano rilevare, in quanto non provenienti da organi dell’INPDAP in grado di impegnarne o determinarne validamente la volontà; mentre l’intervenuto pagamento di una quota di prezzo non costituisce affatto, in un contesto caratterizzato dall’esplicita presenza di contestazioni sull’idoneità della "consegna" del 1996, una condotta univoca, assunta nella consapevolezza di superarle e di qualificare risolte tutte le numerose problematiche connesse all’effettiva ed alla giuridica possibilità di utilizzazione degli immobili che ne erano stati oggetto;

7.9. pertanto, correttamente la consegna rilevante ai fini dell’art. 5, comma 2, del contratto va intesa quella del 19 luglio 2001 e non quella, carente ed incompleta a termini del comma 1, dell’art. 5 del contratto, del 29.11.96: con reiezione quindi dei motivi dal terzo al nono compresi;

7.10. l’individuazione di quella del 29.11.96 quale unica consegna rilevante ai fini dell’art. 5 del contratto comporta, quale ulteriore conseguenza, la reiezione del quindicesime motivo di gravame, siccome gli interessi sul pagamento del prezzo non potevano decorrere che dalla consegna effettiva o a termini di contratto, individuata appunto dai giudici del merito in quella del 29.11.96. 8. Neppure è fondato il decimo motivo, relativo al mancato o difettoso esercizio del potere di riduzione della penale:

8.1. è ben vero che la valutazione dell’adeguatezza della penale va riferita al momento della pattuizione e non a quello del ritardo una volta già maturato; e che il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 cod. civ., a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato – perfino d’ufficio – per ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perchè l’obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacchè in quest’ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale, se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta (Cass. Sez. Un. 13 settembre 2005, n. 18128; Cass. 10 aprile 2006, n. 8293; Cass. 19 ottobre 2007, n. 22002; Cass. 10 gennaio 2008, n. 246, in motivazione): pertanto, non correttamente respinge, sull’opposta tesi, la domanda di riduzione della penale la Corte capitolina;

8.3. e tuttavia, per giurisprudenza consolidata, benchè la domanda di riduzione della penale possa essere proposta per la prima volta in appello e potendo anzi il giudice provvedervi anche d’ufficio, occorre pur sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare il giudizio di manifesta eccessività (tra le più recenti: Cass. 28 marzo 2008, n. 8071; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25888; Cass. 18 novembre 2010, n. 23273);

8.4. al contrario, nel caso di specie, all’atto della proposizione del gravame la SITAT non adduce affatto – e tanto meno nella dovuta analitica maniera – gli elementi in forza dei quali la clausola penale andava qualificata come eccessiva, come risulta dalla stessa trascrizione del relativo passaggio nel ricorso principale;

8.5. pertanto, sia pure così correggendosi la motivazione della gravata sentenza sul punto, non può qualificarsi fondata neppure la doglianza sulla mancata riduzione della penale.

9. Occorre a questo punto valutare il complesso di motivi relativo all’ulteriore centrale questione agitata nel ricorso principale (sopra, punto 5.1.4), relativa alla contestata operatività della garanzia del reddito locatizio minimo ed all’eccepito inadempimento o comunque fatto impeditivo consistente nella mancata cooperazione del creditore (motivi dall’undicesimo al quattordicesimo); ed al riguardo si osserva quanto appresso:

9.1. anche in tale frangente è indispensabile esaminare la lettera delle previsioni contrattuali, in base alle quali, nel medesimo art. 5, negli ultimi dodici commi (alle pagine da 26 a 28 del rogito e da 192 a 194 del ricorso principale), si prevede una peculiare obbligazione ulteriore della venditrice ed in particolare:

9.1.1. al dodicesimo comma dalla fine dell’art. 5 (pag. 26 del rogito), che "la società venditrice assume espressamente l’impegno di locare a proprie cura e spese, in nome e per conto dell’Istituto, a locatari di gradimento di quest’ultimo, le porzioni immobiliari a destinazione non residenziale oggetto del presente atto, per un periodo di sei anni decorrente dal sessantesimo giorno dalla data di effettiva consegna degli immobili ed assume altresì l’alea di corrispondere all’Istituto per uguale periodo, il reddito annuo da locazione non inferiore allo 8,50% (otto virgola cinquanta per cento) della quota di prezzo di L. 22.064.000.000 (ventiduemiliardisessantaquattromilioni) convenuto fra le parti per le porzioni immobiliari non residenziali;

9.1.2. così qui riepilogando il complesso contenuto delle relative clausole, che i contratti sarebbero stati stipulati però dall’Istituto e che questo avrebbe percepito i canoni, in particolare assumendosi – in modo sostanzialmente incondizionato – la venditrice il rischio della mora dei locatari ed anzi l’obbligo di produrre adeguata fideiussione per L. 11.252.640.000, riducibile annualmente;

9.2. come correttamente argomenta la corte territoriale, rilevano allora le condizioni degli immobili nel periodo anteriore alla consegna effettiva, insorgendo il relativo unitario ma complesso obbligo della venditrice soltanto da tale data, individuata – per quanto più sopra considerato – nel 19 luglio 2001;

9.3. costituisce apprezzamento in fatto, adeguatamente motivato e scevro da evidenti vizi logici e giuridici, il già ricordato complessivo stato degli immobili, tale da renderli di fatto o di diritto inutilizzabili a fini locatizi almeno fino alla consegna del 19 luglio 2001 (vedi sopra, punto 7.6);

9.4. tanto elide certamente la rilevanza di qualunque eventuale condotta renitente o non collaborativa da parte dell’INPDAP, o perfino di per sè ostativa all’adempimento del debitore, se posta in essere in tempi precedenti; ma, poichè le argomentazioni dell’obbligata si riferiscono, al contrario, proprio a tempi antecedenti la consegna effettiva, in modo del tutto corretto la corte territoriale ha ritenuto operante l’obbligo di garanzia del reddito locatizio minimo previsto nel contratto per il tempo successivo;

9.5. in particolare e sulla base di tali premesse, l’undicesimo motivo è infondato: correttamente non si può tener conto dell’occupazione pregressa da parte di Mediterranea Auto srl, in quanto, a prescindere dalla sussistenza o meno di un formale rapporto di locazione tra questa e l’INPDAP, non ha l’obbligata venditrice dato prova – nè specificamente dedotto in questa sede, indicando pure la sede processuale, di avere offerto e fornito prova – del suo contenuto (durata e relativo canone), ma soprattutto dell’effettivo versamento del corrispettivo, visto che essa venditrice si è obbligata comunque a tener indenne la controparte dalla mancata percezione di quest’ultimo;

9.6. anche il dodicesimo motivo di gravame è infondato: l’obbligo peculiare assunto nell’ultima parte dell’art. 5 del contratto tra le parti permaneva comunque quanto meno per la parte degli immobili non residenziali non destinati a sede degli uffici territoriali della compratrice; e la circostanza dell’avvenuta occupazione da parte di Mediterranea Auto srl di una parte del residuo degli immobili non esime da responsabilità la venditrice in difetto – per il fatto, ad essa imputabile, dell’inidoneità degli immobili – dei presupposti di locabilità e di prova del versamento di un corrispettivo da parte dell’occupante o locatario all’INPDAP;

9.7. proprio per la riscontrata inidoneità degli immobili a fini locatizi per il periodo anteriore alla consegna effettiva (del 2001) si qualifica infondata la tesi della sopravvenuta impossibilità dell’adempimento dell’obbligazione per fatto del creditore, siccome non riferita, nel complesso defensionale dell’obbligata venditrice, a tempi successivi alla consegna effettiva del luglio 2001: e tanto comporta la reiezione del tredicesimo motivo di gravame;

9.8. e neppure il quattordicesimo motivo è fondato, sia pure previa correzione della motivazione della qui gravata sentenza:

9.8.1. è vero che la destinazione di almeno una parte degli immobili a propri uffici territoriali da parte dell’INPDAP, di cui alla Delib.

Consiglio Amministrazione 29 luglio 1997, n. 611 (riportata integralmente alle pagine 247 a 249 del ricorso principale), risulta oggetto di menzione quanto meno nella comparsa di costituzione dinanzi al Tribunale (secondo la trascrizione del relativo passaggio a pag. 162 del ricorso principale), sia pure quale condotta impeditiva della prestazione di garanzia da parte della SITAT e non espressamente quale circostanza delimitativa del concreto ambito di operatività dell’obbligo di garanzia di reddito locatizio (e non rilevando gli ulteriori generici richiami nelle note ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., o nell’atto di appello, che non pongono in risalto la circostanza dell’effettiva destinazione di una parte degli immobili a sede dei propri uffici territoriali);

9.8.2. ma, d’altro canto, come puntualmente ribatte l’INPDAP, una tale delibera non solo era fondata sul presupposto della rituale consegna ed utilizzabilità dei beni, poi escluso dalla più attenta valutazione delle circostanze di fatto, ma soprattutto è stata – una volta rifiutata in toto della SITAT srl la garanzia del reddito locatizio – formalmente revocata, come si ricava dalle allegazioni e dai documenti richiamati a pag. 56 del ricorso incidentale, con successiva Delib. 3 dicembre 1997, n. 678. 10. Per passare alla disamina del ricorso incidentale, la prima questione, relativa alla mancata integrale complessiva considerazione delle condotte delle parti, anche valutando gli eventuali inadempimenti come tra loro connessi (motivi dal primo al terzo, suscettibili di considerazione unitaria per la loro intima connessione: vedi sopra, punto 5.2.1), non può essere esaminata:

10.1. che alla domanda di pagamento del saldo del prezzo, proposta da SITAT srl, sia stata opposta l’eccezione di cui all’art. 1460 cod. civ., ma fondata non tanto sulla mancata consegna dei beni in condizioni tali da essere utilizzati, quanto pure sull’inadempimento di numerose altre obbligazioni, manca il necessario riscontro in ricorso: tale circostanza non risulta suffragata – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, applicabile anche a quello incidentale – dalla puntuale trascrizione dei relativi passaggi degli atti del giudizio di primo grado in cui sarebbe stata dispiegata per la prima volta la specifica eccezione di inadempimento riferita anche alle obbligazioni ulteriori rispetto a quella di consegna; infatti, nei motivi dal primo al terzo vi è la trascrizione dell’atto di appello, ma non anche di quelli di primo grado idonei a contenere la riferita eccezione;

10.2. ne deriva che non può apprezzarsi il vizio di omessa pronuncia prospettato al riguardo, ma neppure il merito della relativa eccezione, non constando, dall’esame dei soli atti legittimamente esaminabili in questa sede, la ritualità della sua proposizione, nè il suo esatto tenore; ed i motivi dal primo al terzo del ricorso incidentale sono inammissibili.

11. Sempre per quanto attiene al ricorso incidentale ed ai motivi dal quarto al settimo, di cui è possibile un esame unitario per la loro intima interconnessione, siccome riferiti alla questione della mancata considerazione degli ulteriori danni pretermessi, anche per la non ammissione di supplementi di indagini peritali, nella quantificazione dell’effettivo saldo prezzo spettante alla venditrice- costruttrice (vedi sopra, punto 5.2.2), si osserva quanto appresso:

11.1. in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non si riportano i passaggi e le conclusioni della consulenza tecnica di ufficio da cui desumere che le relative operazioni siano state consapevolmente parziali, nel senso di escludere dalle indagini la cospicua porzione immobiliare già occupata da Mediterranea Auto; con la conseguenza che la doglianza di erroneità dell’omesso ordine di integrazione delle operazioni di consulenza non può essere esaminata;

11.2. sempre in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non si riportano le date in cui i singoli documenti che si assumono conosciuti per la prima voltai dopo la maturazione delle preclusioni istruttorie sono stati portati a conoscenza dell’INPDAP, che pure ammette averne avuto notizia informale, da un legale della Mediterranea Auto: alle pagine 132 e 133 del ricorso incidentale si riscontrano le sole date del 30.11.99, riferita ad una memoria INPDAP, senza specificazione del giudizio cui si riferisce, nonchè del 26.6.03, riferita al ricorso per sequestro conservativo in corso di causa; risulta quindi impossibile verificare se la conoscenza di tali documenti, per la cui produzione è stato invocato l’art. 184 bis cod. proc. civ., nel testo al tempo vigente, sia stata incolpevolmente ignorata da INPDAP fino al momento di maturazione delle preclusioni assertive (o di merito) e di quelle istruttorie: e la doglianza sull’erroneità del rigetto dell’istanza di rimessione in termini non può accogliersi;

11.3. la possibilità di applicare l’art. 345 cod. proc. civ., è stata correttamente, benchè con succinta motivazione, esclusa dalla corte territoriale; ed invero:

11.3.1. trattandosi di documenti, occorreva comunque che gli stessi fossero indispensabili ai fini della decisione, cioè tali che la loro produzione avrebbe comportato con ogni plausibile probabilità il cambiamento di quest’ultima, secondo la condivisibile più rigorosa interpretazione della norma data dalle Sezioni Unite di questa Corte (a partire da Cass. Se2.. Un., 20 aprile 2005, n. 8203, con indirizzo consolidato; per tutte, si vedano: Cass. 20 gennaio 2006, n. 1120; Cass. 8 marzo 2007, n. 5323; Cass. 11 maggio 2010, n. 11346; Cass. 31 marzo 2011, n. 7441);

11.3.2. ma sul punto, a ben vedere, la ricorrente incidentale neppure argomenta;

11.3.3. del resto, una consulenza di parte – che rimane una allegazione difensiva, per quanto proveniente da soggetto particolarmente qualificato – o atti provenienti da terzi – ancor più liberamente valutabili – non avrebbero potuto, di per sè soli considerati, condurre ad una diversa decisione finale e non sarebbero stati, così, neppure indispensabili ai fini dell’art. 345 cod. proc. civ.;

11.3.4. e tanto a prescindere dalla pluralità di rationes decidendi poste dalla Corte territoriale a base della sua decisione (ad esempio, in ordine alla destinazione d’uso), non tutte delle quali in modo evidente attinte da critiche rituali.

12. In conclusione:

12.1. tutti i motivi del ricorso principale sono da qualificarsi infondati, sia pure, quanto al decimo ed al quattordicesimo, previa correzione della motivazione della gravata sentenza; mentre gli altri non possono trovare accoglimento;

12.2. i motivi del ricorso incidentale sono invece tutti i inammissibili, con conseguente necessità di rigettare il ricorso;

12.3. il rigetto di entrambi i ricorsi rende di ragione la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-11-2011, n. 23453 Conciliazione in sede sindacale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

che:

1. la Corte d’appello di Firenze, in riforma delle sentenze di prime cure, ha dichiarato, fra l’altro, l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati da Poste Italiane con i lavoratori R.R., N.F., D.P. F., S.L., G.P., P. F., L.A.P., B.O., A. F. e Sa.Va. e la conseguente sussistenza fra ciascuno dei suddetti lavoratori e Poste Italiane s.p.a. di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato con le decorrenze specificate nel dispositivo della sentenza impugnata;

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi illustrati da memoria; i lavoratori hanno resistito con due distinti controricorsi;

3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;

4. in corso di causa sono stati depositati distinti verbali di conciliazione in sede sindacale concernenti i lavoratori N., D.P., S., P., L. e B.;

dai suddetti verbali di conciliazione, ciascuno debitamente sottoscritto dal lavoratore interessato, oltre che dal rappresentante delle Poste italiane s.p.a., risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale;

ad avviso del Collegio i suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti dei lavoratori sopra elencati in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278);

in definitiva il ricorso nei confronti dei suddetti lavoratori deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse;

5. tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, che ha anche regolato le spese processuali dei giudizi di merito, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse e spese dei giudizio di cassazione;

6. per quanto concerne gli altri lavoratori controricorrenti nel presente giudizio, si osserva che gli stessi sono stati assunti con contratti a termine stipulati tutti per esigenze eccezionali … ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997; le decorrenze dei suddetti contratti a termine sono le seguenti: R., 12 ottobre 1998;

G., 3 ottobre 2000; A., 17 dicembre 1999;

Sa., 1 dicembre 1999;

7. la Corte di merito ha ritenuto l’illegittimità del termine apposto ai suddetti contratti avendo attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che tutti erano stati stipulati in data successiva al 30 aprile 1998;

8. tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto ai contratti de quibus; devono essere pertanto rigettati i primi due motivi di ricorso che censurano la suddetta conclusione circa l’illegittimità de termine sia sotto il profilo della violazione di legge (della L. n. 56 del 1987, art. 23 artt. 1362 e segg. cod. civ.) sia sotto quello del vizio di motivazione;

al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alfa data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

9. il terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11 oltre che vizio di motivazione, è da ritenere inconferente in quanto si riferisce alla legittimità di contratti stipulati da lavoratori (in particolare la S.) che hanno conciliato la causa;

10. sono da considerare inammissibili il quarto e quinto motivo di ricorso con i quali viene denunciato vizio di motivazione e violazione di norme di diritto in relazione alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha condannato la società, a seguito della declaratoria di illegittimità del termine apposto ai contratti de quibus, al pagamento, nei confronti dei singoli lavoratori, delle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora;

in particolare, col quarto motivo, attinente al profilo della detrazione dell’aliunde perceptum dal danno da risarcire in conseguenza dell’accertata nullità del termine e della conversione del contratto a tempo indeterminato, la società ricorrente deduce, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare la richiesta ex art. 210 cod. proc. civ. concernente l’ordine di esibizione della documentazione idonea a provare la percezione, da parte del lavoratore, di eventuali corrispettivi per attività prestate alle dipendenze di terzi; il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ.: dica la Corte se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande ed eccezioni – e segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto;

col quinto motivo parte ricorrente lamenta, in sostanza, la violazione dei principi in tema di mora accipiendi e di corrispettività delle prestazioni; il motivo si conclude con il seguente quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ.: se attesa la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in applicazione del principio generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni, sia dovuta o meno l’erogazione del trattamento retributivo pur in assenza di attività lavorativa e se tale erogazione abbia natura retributiva o risarcitoria;

osserva il Collegio che i suddetti quesiti risultano del tutto generici e non pertinenti rispetto alla fattispecie; essi, così come formulati, appaiono in buona parte estranei alle argomentazioni sviluppate nei motivi e comunque del tutto astratti, senza alcun riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato; ciò in contrasto con i principi enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36) secondo cui il principio di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio; ne consegue che essi devono ritenersi inesistenti, con la conseguenza che devono ritenersi inammissibili i relativi motivi, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.;

11. con riferimento agli ultimi due motivi esaminati, concernenti, in buona sostanza, le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore da 24 novembre 2010;

tale richiesta della società non può essere accolta; va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; in caso di inammissibilità delle censure in ordine alle conseguenze economiche dell’accertata nullità del termine, come del caso di specie, non sussistono i presupposti per applicare lo ius superveniens:

12. il ricorso va pertanto respinto e la società ricorrente, in applicazione del criterio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in dispositivo tenendo conto del fatto che il R. ha resistito con controricorso distinto da quello con cui hanno resistito gli altri lavoratori.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di N., D.P., S., P., L. e B.;

compensa fra Poste Italiane s.p.a. e i suddetti lavoratori le spese del giudizio di cassazione; rigetta il ricorso nei confronti di R., G., A. e Sa. e condanna Poste Italiane s.p.a. alla rifusione delle spese processuali liquidate, quanto al R., in Euro 40,00, oltre Euro 2500 (duemilacinquecento) per onorari e quanto a G., A. e Sa. in complessivi Euro 60,00 oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per onorari, e oltre, in entrambi i casi, spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-05-2011) 12-07-2011, n. 27086 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto in data 4.5.2010 la Corte di appello di Roma confermava il provvedimento con il quale in data 25.1.2010 il Tribunale della stessa città aveva applicato a D.D.B. G. la misura della prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di (OMISSIS), per la durata di anni quattro, ai sensi della L. n. 1423 del 1956.

La Corte territoriale – condividendo la valutazione del giudice di primo grado che richiamava – affermava la sussistenza di elementi di fatto idonei a ritenere l’attuale pericolosità sociale del proposto, gravato da innumerevoli precedenti penali relativi a reati contro il patrimonio (furti e rapine), omicidio, violazioni in materia di armi e di sostanze stupefacenti, evasione, commessi tra il (OMISSIS). Risultava, altresì, la pendenza a carico del predetto di tre procedimenti per i reati di rapina aggravata, commessi tra il (OMISSIS), per uno dei quali era intervenuta condanna di primo grado; inoltre, il proposto non svolgeva alcuna attività lecita e frequentava soggetti pregiudicati. Pertanto, anche la determinazione della durata della misura e l’applicazione dell’obbligo di soggiorno, ad avviso della Corte di appello, devono ritenersi adeguatamente proporzionati alla elevata pericolosità manifestata dal D.D. B. dalla quale deriva l’esigenza di contenere e limitare i movimenti sul territorio al fine di una efficace vigilanza da parte dell’autorità competente per il controllo.

Quanto alla eccepita mancanza di legittimazione dell’autorità proponente, fondata sulla prospettata incompetenza del Procuratore della Repubblica di Velletri, in ragione della errata individuazione del luogo di dimora, la Corte affermava che il proposto risulta essere residente a (OMISSIS), luogo in cui aveva avuto dimora negli ultimi sei anni, nè, d’altro canto, la difesa aveva documentato circostanze diverse; del resto, evidenziava ancora la Corte, il D. D.B. negli ultimi anni era stato quasi sempre in stato di detenzione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il D.D.B., personalmente, deducendo con il primo motivo la violazione di legge in relazione alla già eccepita inammissibilità della proposta di applicazione della misura di prevenzione perchè avanzata dal Procuratore della Repubblica di Velletri incompetente. Infatti, erroneamente è stato ritenuto che il proposto aveva dimora in (OMISSIS), atteso che lo stesso è stato ivi residente soltanto dal 19.7.2004 al 20.9.2007 e, d’altro canto, tutte le condotte illecite poste a fondamento della ritenuta pericolosità erano state poste in essere in (OMISSIS) e zone limitrofe.

Con il secondo motivo di ricorso contesta la violazione di legge in ordine all’applicazione della misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, atteso che detta misura presuppone una pericolosità particolarmente elevata, tale da ravvisare la necessità di porre limitazioni alla libera circolazione; detto presupposto nella specie, ad avviso del ricorrente, non è ravvisabile tenuto conto della assoluta mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata e della riconducibilità delle condotte alle condizioni di vita ed allo stato di tossicodipendenza del proposto.

Infine, contesta la sussistenza dei presupposti necessari per l’applicazione della misura di prevenzione per la durata di anni quattro, alla luce della genericità delle valutazioni della Corte territoriale; delle inesattezze contenute nelle informative della p.s. e della omessa indicazione delle circostanze di fatto dalle quali è stata tratta l’asserita frequentazione di soggetti pregiudicati.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, preliminare ed assorbente, è fondato nei termini di seguito precisati.

1. Il procedimento di prevenzione, funzionale all’applicazione di misura sia ai sensi della L. n. 1423 del 1956 che ai sensi della L. n. 575 del 1965 ha sempre inizio con l’atto di proposta avanzata del titolare dell’azione di prevenzione.

Come è noto, il testo originario della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 estese il potere di proposta, concesso dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4 unicamente al questore, al Procuratore della Repubblica solo relativamente alle persone indicate nella stessa L. c.d. antimafia, art. 1. Successivamente, con l’emanazione della L. 22 maggio 1975, n. 152, e, più precisamente, con gli artt. 18 e 19, tale facoltà è stata ampliata ed estesa alle persone indicate nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 2, 3 e 4 (ora numeri 1 e 2 per effetto della L. n. 327 del 1988, art. 2) oltre che a tutti i soggetti elencati nel citato art. 18.

Non avendo previsto nulla specificamente in ordine alla individuazione del pubblico ministero competente il testo originario della cit. L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2, poichè la competenza del pubblico ministero nel codice di rito del 1930 non era autonomamente attribuita ma era riflessa e derivata da quella dell’organo giurisdizionale presso il quale esercita le sue funzioni, la giurisprudenza di legittimità costantemente affermava che la competenza, di natura funzionale, a formulare la proposta per l’applicazione della misura di prevenzione spettava al pubblico ministero presso il tribunale competente ad applicare la misura, ossia al Tribunale con sede nel capoluogo di provincia ove la persona ritenuta pericolosa dimora (L. n. 1423 del 1956, art. 4), con esclusione, quindi, del pubblico ministero presso altro tribunale della stessa provincia. Anche il codice di rito vigente, del resto, espressamente ha attribuito la funzione di pubblico ministero all’ufficio di procura presso il giudice competente (art. 51 c.p.p., comma 3). Tuttavia, il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 20, conv. dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, ha sostituito la L. n. 575 del 1965, art. 2 ed ha attribuito la competenza al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui circondario dimora la persona; sicchè, risultava esclusa per la proposta la competenza del pubblico ministero presso il Tribunale capoluogo di provincia, tranne, ovviamente, il caso in cui il circondario coincida con quello del Tribunale con sede nel capoluogo di provincia.

Su tale quadro normativo è intervenuto il legislatore col D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con la L. 24 luglio 2008, n. 125, disponendo con il nuovo testo della L. n. 575 del 1965, art. 2: "Nei confronti delle persone indicate all’articolo 1 possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia.". Quindi, in tema di proposta di misure personali ai sensi della L. n. 575 del 1965, c.d. antimafia, la competenza è stata concentrata in capo al pubblico ministero distrettuale, che sostituisce i singoli procuratori circondariali del distretto, ferma restando la competenza del Tribunale del capoluogo di provincia. Il Procuratore del circondario rimane, invece, competente per le proposte di cui alla L. n. 1423 del 1956 (c.d. pericoiosità comune), come espressamente ribadito anche dal testo novellato della L. n. 152 del 1975, art. 19: "Le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche alle persone indicate nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn. 1) e 2).

Nei casi previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona". 2. Ancora, è opportuno ricordare l’assoluta peculiarità del procedimento di prevenzione all’interno del quale il potere di iniziativa del pubblico ministero territorialmente competente è stato disegnato in termini funzionali e inderogabili.

Pertanto, come è stato più volte affermato, l’incompetenza dell’autorità proponente determina l’inammissibilità della proposta per carenza di legittimazione, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento di prevenzione (S.U. n.5, 20/06/1990, Corica, rv. 185283; Sez. 1, n. 49994, 27/11/2009, Gioia, rv. 245973).

3. Orbene, ai fini della determinazione del contenuto concettuale della nozione di dimora indicata dalle norme innanzi richiamate è stato pressochè costantemente ritenuto che occorra avere riguardo ai presupposti ed agli scopi della L. n. 1423 del 1956 che, così come in ordine alla L. n. 575 del 1965, sono correlati alla pericolosità sociale del soggetto ed al luogo ove essa si manifesta e trova alimento.

Sicchè per dimora deve intendersi, ai fini della prevenzione, superando gli angusti limiti di tale concetto in senso civilistico, il luogo in cui il soggetto proposto ha tenuto comportamenti sintomatici di tale sua pericolosità, traendo vantaggi per la propria attività. Non avendo, pertanto, rilevanza lo spazio anagrafico di residenza, non assumono rilievo nè le risultanze anagrafiche nè la considerazione del luogo ove la persona vive abitualmente, bensì lo spazio geografico ambientale nel quale il soggetto manifesta comportamenti socialmente pericolosi, idonei, come si premetteva, a costituire elementi sintomatici della sua pericolosità. Il riferimento del legislatore al concetto di dimora va inteso rimarcando la realtà ed effettività del rapporto del soggetto proposto con il territorio, anche prescindendo dalle risultanze anagrafiche e tenuto conto delle finalità della legge che, all’evidenza, rinviano all’esigenza di prevenzione di manifestazioni di pericolosità del proposto nel contesto territoriale al quale la pericolosità è legata e nel quale trova alimento e potenziamento.

Tali principi sono stati affermati e ribaditi da questa Corte sia con riferimento alla Individuazione dell’autorità competente per la proposta di applicazione della misura di prevenzione, sia avuto riguardo alla competenza territoriale del Tribunale chiamato a decidere sulla proposta (Sez. U, n. 18, 03/07/1996, Simonelli, rv.

205259, secondo cui la competenza per territorio a decidere in materia di applicazione di misure di prevenzione spetta al tribunale del capoluogo della provincia nella quale il proposto ha la sua dimora la quale, anche se non coincidente con la residenza anagrafica, va individuata nel luogo in cui il proposto ha tenuto comportamenti sintomatici idonei a lasciar desumere la sua pericolosità, a nulla rilevando eventuali modificazioni intervenute successivamente alla proposta di applicazione della misura; Sez. 1, n. 3837, 26/05/2000, Mincuzzi, rv. 216289; Sez. 6, n. 21710, 14/04/2003, Buonanno, rv. 225687; Sez. 5, n. 19067, 31/03/2010, Gagliano, rv. 247504). E nell’ipotesi di una pluralità di condotte pericolose poste in essere in luoghi diversi, la competenza si determina in base al luogo in cui si sono verificate quelle di maggiore spessore e rilevanza.

4. Ribaditi tali principi di diritto, deve rilevarsi che in ordine alla eccepita incompetenza dell’autorità proponente, Procuratore della repubblica di Velletri, nel decreto impugnato la Corte territoriale ha evidenziato soltanto che il proposto risulta essere residente a (OMISSIS), luogo in cui si trova anche l’ultima ed unica dimora conosciuta negli ultimi sei anni, e che il D.D.B. negli ultimi anni era stato quasi sempre in stato di detenzione.

La Corte di merito, pertanto, ha omesso qualsivoglia valutazione in ordine al luogo in cui si è manifestata la pericolosltà sociale del proposto, in specie con riferimento all’epoca nella quale è stata avanzata la proposta di applicazione della misura di prevenzione, sebbene la difesa del ricorrente avesse rappresentato che il D.D. B. aveva radicato la propria esistenza e posto in essere la quasi totalità delle condotte illecite nel territorio di (OMISSIS) e dintorni, come rilevabile dal certificato penale in atti.

Conseguentemente, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Roma per nuovo esame sul punto.

Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-05-2011) 25-07-2011, n. 29754

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Novara, Sezione distaccata di Borgomanero, in data 22.1.2007, P.F. veniva condannato alla pena di anni tre e mesi nove di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile G.I., per il reato continuato di cui agli artt. 582, 612 e 635 cod. pen., commesso il (OMISSIS) dapprima, in concorso con altre cinque persone, colpendo G. I. con pugni e con mazze da baseball e cagionandogli frattura della rotula sinistra, ferite al cuoio capelluto ed alla gamba sinistra ed ematoma lombare, e successivamente colpendo ripetutamente con un’accetta la porta dell’abitazione di S.V. e C.P. e l’autovettura della C. e minacciando i predetti di ucciderli se non avessero aperto la porta e non fossero andati (OMISSIS).

La responsabilità dell’imputato, assolto in primo grado con sentenza appellata dal pubblico ministero e della parte civile, era affermata in base alle dichiarazioni del G., confermate da quelle dei fratelli G.F.C. e G.C., e del S., a quelle rese nelle indagini preliminari dalla C. e dalla teste T.A., considerate prevalenti sulle ritrattazioni dibattimentali delle testi per essere state queste ultime sottoposte a minaccia, ed alla ritenuta inattendibilità dei testi a difesa sull’alibi addotto dall’imputato.

2. Il ricorrente deduce:

2.1. violazione di legge in ordine all’acquisizione delle dichiarazioni extradibattimentali della C. e della T., lamentando la mancata indicazione di elementi concreti sulle ipotizzate minacce nei confronti delle testimoni;

2.2. mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta inattendibilità dei testi a difesa, denunciando anche a questo proposito l’omessa indicazione di elementi specifici a riguardo.

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso relativo all’utilizzazione della denuncia della C. e dell’integrazione di denuncia della T. è infondato.

L’acquisizione delle precedenti dichiarazioni del testimone per essere stato lo stesso sottoposto ad atti intimidatori non richiede che questi ultimi siano accertati nei termini necessari per la prova dei fatti di cui all’imputazione; essendo viceversa sufficiente a tal fine qualsiasi elemento sintomatico dell’avvenuta intimidazione, purchè di concretezza superiore al mero sospetto e connotato da precisione, oggettività e significatività (Sez. 6, n. 2704 del 18.2.2008, Imp. Morabito, Rv. 240971; Sez. 1, n. 44160 del 30.9.2009, imp. Siniaku, Rv. 245558), e tale da rendere logicamente plausibile che la genuinità della deposizione dibattimentale sia stata compromessa (Sez. 2, n. 38894 del 216.9.2008, imp. Dal Gesso, Rv.

241447).

Ciò posto, la sentenza impugnata motivava congruamente sul punto in aderenza a questi principi, desumendo il condizionamento delle ritrattazioni dibattimentale della C. e della T. da una pluralità di elementi emergenti dalle stesse denunce, nelle quali le predette testi manifestavano uno stato di intimorimento e di soggezione nei confronti del P., dal tenore delle ritrattazioni, inverosimilmente motivate al punto che la T. giungeva ad accusare il pubblico ministero e i carabinieri di pressioni indebite, e da circostanze indicate da altri testimoni, segnatamente l’essersi il S. ed il G. trasferiti da Prato Sesia successivamente ai fatti e le pressioni direttamente subite ad opera del P. dallo stesso G. e da D.P. P. perchè rispettivamente ritrattassero la denuncia e confermassero l’alibi dell’imputato. Tale argomentazione dava in effetti conto, senza manifeste discrasie logiche, della presenza di una diffusa attività intimidatoria del P., che rendeva senz’altro plausibile la commissione di atti analoghi nei confronti della C. e della T. rispetto a ritrattazioni altrimenti inspiegabili ed immotivate.

2. Infondato è pure il motivo di ricorso relativo alla ritenuta inattendibilità dei testi a difesa.

Anche per questo profilo la motivazione della sentenza impugnata si presenta invero immune da vizi logici, nel momento in cui riteneva inattendibili i testi Q.V., Q.M., Cr.An., C.V. ed A.A. sulla cena alla quale gli stessi avrebbero partecipato con il P. la sera dei fatti in considerazione dell’intervento dei predetti testi nella sola fase dibattimentale, dei descritti atti intimidatori del P. e delle dichiarazioni del teste D.P., anch’egli presente alla cena, laddove lo stesso riferiva che ad un certo punto il P., Q.V. ed altri tre uomini si allontanavano con delle mazze e tornavano dicendo di aver colpito una porta con un piccone, strumento che effettivamente il P. aveva in mano, e di aver spaccato un ginocchio ad una persona.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.