Cass. pen., sez. I 18-12-2008 (04-12-2008), n. 47024 Ricorso contro decreto di inammissibilità dell’istanza emesso dal presidente del tribunale di sorveglianza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza in data 14.3.2008 il giudice monocratica del Tribunale di Genova ha accolto l’incidente di esecuzione proposto da C. S. avverso il provvedimento del Pubblico Ministero che aveva rigettato la istanza di sospensione della esecuzione dell’ordine di carcerazione emesso a seguito di decreto del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di inammissibilità della richiesta della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale presentata dal condannato.
Nei confronti del C., a seguito di provvedimento di cumulo delle pene in data 8.1.2007, era stato emesso dal Pubblico Ministero ordine di carcerazione con contemporaneo decreto di sospensione a norma dell’art. 656 c.p.p., comma 5. Il Pubblico Ministero, allorchè il Presidente del Tribunale di Sorveglianza aveva dichiarato inammissibile la richiesta di misura alternativa, aveva poi revocato, in data 13.2.2008, il decreto di sospensione dell’ordine di carcerazione, in applicazione dell’art. 656 c.p.p., comma 8, ed aveva altresì rigettato la successiva istanza di revoca del detto ordine, presentata dal C., ritenendo che il ricorso per cassazione contro il decreto di inammissibilità, nel frattempo proposto dal condannato, non avesse effetto sospensivo dell’ordine di carcerazione; il giudice dell’esecuzione è andato invece di contrario avviso ed ha quindi sospeso la esecuzione dell’ordine di carcerazione ripristinato dal Pubblico Ministero in data 13.2.2008, ritenendo che fosse applicabile nella specie la disposizione di carattere generale di cui all’art. 588 c.p.p., comma 1, secondo la quale la proposizione del ricorso per cassazione sospende sempre l’esecuzione del provvedimento impugnato, mentre la diversa disposizione di cui all’art. 666 c.p.p., comma 7, – in virtù della quale nel procedimento di esecuzione il ricorso per cassazione non sospende la esecuzione -, poichè faceva riferimento soltanto alla sospensione delle ordinanze e non anche alla sospensione dei decreti di inammissibilità, non avrebbe potuto trovare applicazione nel caso in esame in quanto disposizione derogatoria di natura eccezionale, e quindi non applicabile estensivamente in malam partem.
Contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova rilevando che l’esclusione dell’effetto sospensivo anche della impugnazione avverso il decreto del Presidente del Tribunale di Sorveglianza di inammissibilità della richiesta di misura alternativa alla detenzione appariva giustificata dalla natura del decreto di inammissibilità, relativa a situazioni in cui era di tutta evidenza la impossibilità di fruire del beneficio richiesto, ma ancor più dalla formula usata dal legislatore nell’art. 656 c.p.p., comma 8 bis (rectius comma 8) per cui il Pubblico Ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione quando la istanza di concessione alle misure alternative alla detenzione non sia stata tempestivamente presentata ovvero il Tribunale di Sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga.
Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
Il ricorso è fondato.
Il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 666 c.p.p., comma 7, per cui il ricorso per cassazione non sospende la esecuzione delle ordinanze emesse nel procedimento di esecuzione (e quindi neppure delle ordinanze emesse dal Tribunale di Sorveglianza, stante il rinvio di carattere generale operato dall’art. 678 c.p.p., che disciplina il procedimento di sorveglianza, a quello di esecuzione ed in particolare all’art. 666 c.p.p.) si ponga come norma eccezionale, per cui la deroga al principio generale fissato dall’art. 588 c.p.p., comma 1, di sospensione generalizzata della esecuzione di tutti i provvedimenti impugnati, emessi sia in sede di cognizione che in sede di esecuzione, non si applicherebbe ai decreti di inammissibilità pronunciati dal Presidente del Tribunale ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 2.
In effetti tale principio è stato affermato da un indirizzo non recente di questa Corte (v. Cass. sez. 1 n. 5854 del 1997, rv. 208722 e Cass. sez. 1 n. 2538 del 1998, rv. 210785), per cui, mentre il ricorso contro la ordinanza emessa da Tribunale di Sorveglianza in materia di misure alternative alla detenzione avrebbe effetto sospensivo della esecuzione della stessa, stante la espressa previsione dell’art. 666 c.p.p., comma 7, (in virtù del richiamo operato dall’art. 678 c.p.p., comma 1, che disciplina il procedimento di sorveglianza), il decreto di inammissibilità della istanza di misure alternative non avrebbe lo stesso effetto e si dovrebbe quindi attendere, per la esecuzione dell’ordine di carcerazione emesso dal Pubblico Ministero, la definitività del decreto di inammissibilità.
Si tratta però di un orientamento giurisprudenziale lontano nel tempo e superato dalle modifiche legislative ed in particolare dalla totale riscrittura dell’art. 656 c.p.p. per effetto delle disposizioni che si sono succedute nel tempo ed in particolare della L. 27 maggio 1998, n. 165, art. 1, della L. 19 gennaio 2001, n. 4, che ha convertito in Legge il D.L. 24 novembre 2000, n. 341, della L. 5 dicembre 2005, n. 251 e della L. 21 febbraio 2006, n. 49 che ha convertito in Legge il D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, che hanno dapprima allargato i casi di sospensione generalizzata dell’ordine del Pubblico Ministero di esecuzione della sentenza definitiva e successivamente ridotto tali casi per i reati di maggiore allarme sociale e per i condannati ritenuti pericolosi.
In tale ambito, pur dovendosi ritenere che l’art. 588 c.p.p., comma 1, – per cui durante i termini per impugnare e fino all’esito del giudizio di impugnazione l’esecuzione del provvedimento è sospesa salvo che la legge disponga altrimenti – integri una disposizione di carattere generale applicabile, in via di principio, non solo ai procedimenti di cognizione, occorre infatti rilevare che, con specifico riguardo all’ordine di carcerazione emesso dal Pubblico Ministero in esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva, il legislatore ha dettato una disciplina autonoma contenuta nell’art. 656 c.p.p. che si è nel tempo arricchito di nuovi commi onde garantire, da un lato, la esigenza di sospendere la esecuzione della pena per i reati non particolarmente allarmanti e per i soggetti non pericolosi che potrebbero essere ammessi alle misure alternative, ma anche, da altro lato, quella di impedire condotte dilatorie da parte del condannato che abbia già proposto la stessa istanza ovvero altra istanza per la stessa misura diversamente motivata o per altra misura (comma 7), o ancora che proponga la istanza fuori termine o la cui istanza sia stata rigettata o dichiarata inammissibile (comma 8).
Per tali ultimi casi (e cioè per i casi in cui il Tribunale di Sorveglianza abbia dichiarato inammissibile o respinto la istanza di misure alternative) è espressamente previsto che "il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione", il che vuol dire che il Pubblico Ministero non deve attendere il decorso del termine per la eventuale impugnativa da parte dell’interessato e che comunque la successiva impugnativa non comporta il venire meno della revoca già disposta, poichè la specificità della disciplina deroga anche alla previsione dell’art. 666 c.p.p., comma 7.
D’altronde, stante la ratio della disposizione, è di tutta evidenza che il legislatore ha voluto che la revoca immediata della sospensione riguardasse soprattutto i casi di inammissibilità della istanza di misure alternative e cioè i casi in cui la istanza si era rivelata pretestuosa e dettata soltanto da finalità dilatorie.
Tale autonoma e completa disciplina derogatoria è giustificata dalla specificità della materia ed è fra l’altro prevista dall’art. 588 c.p.p., comma 1, per i casi in cui la legge disponga altrimenti.
Il provvedimento impugnata deve essere pertanto annullato senza rinvio, con i provvedimenti consequenziali indicati nel dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone darsi comunicazione al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Genova per quanto di competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione Civile, Sentenza n. 19417 del 2010 Nulla la notifica nelle mani del portiere senza l’attestazione del mancato rinvenimento dei familiari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto e diritto

[OMISSIS] ha impugnato la sentenza n. 9369 del 21 febbraio 2006 con la quale il Giudice di Pace di Roma ne ha respinto il ricorso avverso la cartella esattoriale n. [OMISSIS] per l’importo complessivo di euro 42,18 notificatagli in data 10 marzo 2005 ai sensi dell’articolo 139 c.p.c. per il mancato pagamento di una sanzione amministrativa emessa dal Comune di Roma nell’anno 2001.

L’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale ha fatto pervenire requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Le considerazioni svolte nella relazione e condivise dal Procuratore Generale sono da recepire.

L’odierno ricorrente aveva dedotto con l’opposizione di non aver mai ricevuto la notificazione del verbale di cui alla cartella; quindi, depositatasi dal Comune in sede di costituzione la copia notificata del verbale, aveva contestato la validità della notificazione, in quanto effettuata al portiere dello stabile di sua residenza per difetto dei requisiti di legge.

Il Giudice di Pace ha respinto l’eccezione, ritenendola un indebito ampliamento dei motivi posti a fondamento del ricorso, qualificandola come mutatio libelli.

Con l’unico motivo di ricorso si deducono violazione e falsa applicazione dell’articolo 320 c.p.c. nonché vizi di motivazione su un punto decisivo della controversia per avere il G.d.P. erroneamente ritenuto di non doversi pronunciare sull’eccezione avanzata a seguito delle deduzioni e produzioni del Comune.

La censura è fondata.

Il motivo d’opposizione sollevato col ricorso era la mancata notifica del verbale posto a fondamento della cartella, onde incombeva al Comune provare l’avvenuta e rituale notifica, cosa che ha ritenuto di fare col deposito della copia notificata; soltanto una volta effettuato tale deposito l’opponente ha potuto sollevare la relativa eccezione di irregolarità della notificazione e, ciò facendo, non ha dedotto un nuovo motivo di opposizione, ma semplicemente specificato quello già proposto con l’atto introduttivo, evidenziando come la già dedotta mancata conoscenza del verbale per sua omessa notificazione fosse conseguenza dell’irritualità della notificazione stessa quale risultante dalla copia depositata dalla controparte.

La legittimità di specificazione siffatta deriva dall’espressa previsione dell’art. 183/V c.p.c..

L’oggetto, poi, di tale specificazione atteneva ad un vizio effettivo della notificazione, in quanto questa risultava eseguita a mani del portiere senza la dovuta specificazione dell’esito negativo delle prioritarie ricerche delle altre persone preferenzialmente destinatarie della consegna.

Al riguardo, le SS.UU. di questa Corte, con sentenze 20.4.05 n. 8214 e 30.5.05 n. 11332, hanno evidenziato che «è principio ripetutamente affermato in materia che, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale notificante debba dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde nel riferire al riguardo, sebbene non debba necessariamente fare uso di formule sacramentali né riprodurre testualmente le ipotesi normative, deve, non di meno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dal secondo comma dell’art. 139 c.p.c., la successione preferenziale dei quali è nella norma tassativamente stabilita… è, pertanto, nulla la notificazione nelle mani del portiere quando, come nella specie, la relazione dell’ufficiale giudiziario non contenga l’attestazione del mancato rinvenimento delle persone indicate nella norma citata (e pluribus, Cass. 11.5.98 n. 4739, 7.2.95 n. 1387, 21.11.83 n. 6956)».

L’impugnata sentenza va, dunque, annullata in relazione al motivo accolto e, decidendosi nel merito ex art. 384/II c.p.c., in accoglimento altresì dei corrispondenti motivi d’opposizione, va annullata la cartella esattoriale opposta.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie l’originaria opposizione ed annulla la cartella esattoriale opposta; condanna il Comune di Roma alla refusione delle spese di lite che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 500,00 per diritti ed onorari quanto alla fase di merito ed in euro 200,00 per esborsi ed in euro 400,00 per onorari quanto alla fase di legittimità.

Depositata in Cancelleria il 11 Settembre 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-02-2011, n. 3229

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12/7/07 la Corte d’Appello di Potenza – sezione lavoro rigettò l’impugnazione proposta il 31/10/05 da G.M. C. avverso la sentenza emessa il 10/3/05 dal giudice del lavoro del Tribunale di Matera, con la quale le era stata respinta la domanda del 14/4/00 diretta al conseguimento della pensione o dell’assegno di invalidità di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 per accertata mancanza del requisito sanitario, ritenendo che difettava, invece, la prova della sussistenza dei requisiti socio – economici richiesti dalla predetta normativa per l’accesso ai benefici di cui trattasi, vale a dire il requisito reddituale e quello della incollocazione, essendo stati tardivamente prodotti in giudizio i relativi documenti, per cui confermò la sentenza gravata, seppur sulla base della diversa motivazione appena spiegata.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la G. affidando l’impugnazione a tre motivi di censura. Resiste con controricorso l’Inps.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 416 e 437 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendo che nella sentenza impugnata, contrariamente alle regole previste da tali norme codicistiche sulle preclusioni processuali, non si era tenuto conto del fatto che in primo grado l’Inps non aveva eccepito affatto l’insussistenza del requisito socio – economico e che era da considerare tardivo il rilievo dal medesimo ente svolto al riguardo solo in secondo grado. Il motivo è infondato.

Invero, è agevole osservare che, dovendosi fornire, da parte della ricorrente, la prova della sussistenza di un elemento costitutivo della pretesa prestazione, vale a dire il requisito socio – economico concorrente per legge al pari di quello sanitario al riconoscimento delle prestazioni di invalidità in esame, era suo preciso onere farsi carico di dimostrare che lo stesso era stato già allegato col ricorso introduttivo del giudizio, in quanto in mancanza di una tale allegazione nemmeno poteva sorgere in capo all’Inps l’onere di contestarlo. Al riguardo le sezioni unite della suprema Corte hanno, infatti, chiarito che "nel processo del lavoro, le parti concorrono a delineare la materia controversa, di talchè la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso perchè lo rende incontroverso, mentre la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice.

Tuttavia, intanto la mancata contestazione da parte del convenuto può avere le conseguenze ora specificate, in quanto i dati fattuali, interessanti sotto diversi profili la domanda attrice, siano tutti esplicitati in modo esaustivo in ricorso (o perchè fondativi del diritto fatto valere in giudizio o perchè rivolti a introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria), non potendo, il convenuto, contestare ciò che non è stato detto, anche perchè il rito del lavoro si caratterizza per una circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo".

(Cass. Sez. un. n. 11353 del 17/06/2004).

Ne consegue che non è pertinente al "thema decidendum" il quesito attraverso il quale la ricorrente tende a porre in risalto il principio del divieto di eccezioni nuove in appello, atteso che un tale quesito trascura il problema reale che nella fattispecie è rappresentato, come già spiegato in precedenza, dalla mancanza di prova dell’allegazione della sussistenza del requisito in esame fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, solo in presenza della quale sarebbe sorta in capo all’ente convenuto l’onere di contestazione con la memoria costitutiva.

2. Col secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine alla prova dei cosiddetti requisiti amministrativi. In pratica, la G. solleva il dubbio circa il fatto che la decisione presa dalla Corte territoriale in merito alla rilevata tardività della produzione documentale reddituale possa essere dipesa da una erronea convinzione dello stesso collegio giudicante, vale a dire il convincimento che la documentazione rilevante ai fini di causa fosse quella prodotta in secondo grado ad integrazione di quella già esistente negli atti del fascicolo di parte di primo grado.

Anche tale motivo è infondato, essendo agevole osservare che il giudice d’appello è assolutamente chiaro nell’evidenziare la tardività della produzione documentale inerente il concorrente requisito socioeconomico con specifico riferimento ai documenti prodotti dalla ricorrente in entrambi i gradi del giudizio, senza cenno alcuno a presunti vizi di incompletezza dei soli documenti introdotti in giudizio a titolo esclusivamente integrativo.

In ogni caso, in aperta violazione del principio dell’autosufficienza posto a presidio del giudizio di legittimità, la difesa della ricorrente non specifica in cosa realmente consistette la suddetta documentazione integrativa, quando e in quale occasione processuale la stessa venne prodotta e in quale punto degli atti del procedimento fu inserita.

3. Con l’ultimo motivo la G. deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine al requisito sanitario, dolendosi del fatto che tale specifico aspetto della domanda, valutato dal primo giudice, non venne affatto esaminato dalla Corte d’appello.

Anche tale motivo è infondato.

Anzitutto, non è vero che la Corte omise completamente la motivazione in ordine al requisito sanitario, posto che lo dichiarò semplicemente assorbito dalla decisione formatasi sulla rilevata insussistenza del concorrente requisito socio – economico, decisione, quest’ultima, perfettamente logica e consequenziale alla luce della riscontrata mancanza di prova di quest’ultimo elemento costitutivo del diritto in esame.

Quanto alle critiche mosse alla relazione del consulente d’ufficio, che fu posta a base della decisione di rigetto di primo grado con argomentazioni assolutamente congrue, si rileva che le stesse sono inammissibili, sia perchè introducono istanze di rivisitazione del merito dell’aspetto sanitario che non possono essere esaminate nella presente sede di legittimità, sia perchè si rivelano del tutto inconferenti al tema della decisione oggi impugnata, che si basa, invece, sulla accertata mancanza di prova del concorrente requisito socioeconomico, la cui assenza, in quanto incidente su un elemento costitutivo del relativo diritto, rende del tutto superflua ogni considerazione sul requisito sanitario che da solo, quand’anche fosse dimostrato, non potrebbe mai condurre ad un accoglimento della domanda.

Si impone, quindi, il rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione va adottata sulle spese del presente giudizio non essendovi stata costituzione dell’ente previdenziale intimato.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 01-02-2011, n. 935 Atti amministrativi diritto di accesso Silenzio della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con nota del 13 luglio 2010, AGEA ha chiesto al Consorzio U. la restituzione di premi comunitari, pari a euro 94.613,45, indebitamente percepiti per il settore trasformazione agrumi per la campagna 2005 – 2006.

AGEA, nella stessa nota, ha, altresì, preannunciato l’irrogazione della sanzione prevista dal secondo capoverso del paragrafo 2 del Regolamento (CE) n. 2113/03.

In ragione di ciò, il Consorzio ricorrente, con istanza del 18 agosto 2010, ha chiesto all’Agenzia resistente di accedere alla documentazione richiamata nella nota del 13 luglio 2010 (in particolare, le note n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010), oltre a quella acquisita in sede di istruttoria sulla base della quale è stato poi adottato il provvedimento di restituzione dei premi comunitari.

A tale istanza, AGEA non ha risposto nei 30 gg. previsti dall’art. 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241, tanto che il Consorzio ha proposto ricorso in esame, ai sensi dell’art. 116 del D.lgs 2 luglio 2010 n. 104.

Si è costituita in giudizio AGEA la quale, con memoria, ha chiesto il rigetto del ricorso sul presupposto che la nota n. 3460 del 19 giugno 2009 era già stata notificata al ricorrente e che la comunicazione n. 630 del 5 febbraio 2010 è un atto di corrispondenza interna che non ha costituito il presupposto della richiesta di restituzione dei premi comunitari. In ogni caso, AGEA ha depositato in giudizio le due note richieste dal Consorzio (n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010).

Alla camera di consiglio del 14 gennaio 2011, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. Va, anzitutto, precisato che il Consorzio ricorrente ha chiesto l’accesso alla seguente documentazione:

– le note n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010 richiamate nella richiesta restitutoria del 13 luglio 2010 (depositate in giudizio da AGEA, in prossimità della trattazione della camera di consiglio);

– gli atti e i documenti acquisiti in sede di istruttoria sulla base dei quali è stato poi adottato il provvedimento di restituzione dei premi comunitari.

2.1 Ciò premesso, va accolto il ricorso proposto dal Consorzio ricorrente posto che non vi sono dubbi sulla sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa in materia di accesso di cui alla legge n. 241 del 1990.

Ed invero, il Consorzio è stato destinatario di un provvedimento con cui AGEA ha chiesto la restituzione di premi comunitari e ha preannunciato l’irrogazione di sanzioni (nota del 13 luglio 2010).

Nel predetto atto del luglio 2010, si fa riferimento alle note n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010 (in ordine alle quali, a seguito del deposito in giudizio da AGEA, si è avuto modo di verificare che la prima ha ad oggetto il provvedimento di accertamento di indebita percezione di contributi comunitari e la seconda una comunicazione interna alla stessa Agenzia resistente con cui si chiede al competente ufficio di verificare la sussistenza dei presupposti per applicare al ricorrente le misure sanzionatorie) ed alla segnalazione della Procura della Repubblica di Siracusa pervenuta ad AGEA con nota n. 487/UG della Guardia di finanza dello stesso capoluogo di provincia.

Il Consorzio ricorrente ha, poi, richiesto la predetta documentazione al fine di una compiuta partecipazione procedimentale nonché per la difesa in giudizio.

2.2 Ciò posto, l’istanza di accesso – come detto – va accolta con riferimento alle note n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010 in quanto richiamate espressamente nel provvedimento del 13 luglio 2010, a nulla rilevando il fatto che, per quanto riguarda la prima (la n. 3460 del 19 giugno 2009), questa sia già stata portata a conoscenza del Consorzio ricorrente poiché tale circostanza non esclude la possibilità per la parte interessata di richiederne comunque l’ostensione (ciò semmai può rilevare ai fini della decorrenza del dies a quo per l’eventuale impugnazione).

Lo stesso vale con riferimento agli atti istruttori di cui si fa riferimento nel provvedimento del luglio 2010 (in particolare, la segnalazione della Procura della Repubblica di Siracusa pervenuta ad AGEA con nota n. 487/UG della Guardia di finanza) in quanto, essendo richiamati nell’atto da ultimo citato, risulta evidente che l’accesso a tale documentazione costituisca, ai sensi dell’art. 24, comma 7, della legge 241/90, un elemento utile per difendere e curare gli interessi giuridici dell’interessato, sempre che la predetta segnalazione della Procura della Repubblica di Siracusa non sia coperta da segreto istruttorio.

3. In conclusione, il ricorso va accolto con la precisazione che la segnalazione della Procura della Repubblica di Siracusa pervenuta ad AGEA con nota n. 487/UG della Guardia di finanza va esibita al Consorzio ricorrente, sempre che non contenga dati e notizie coperti dal segreto istruttorio imposto dalla predetta autorità giudiziaria.

Ciò posto, va ordinato ad AGEA, dopo aver chiarito in tempi brevi (e comunque non oltre i termini previsti in dispositivo) se la predetta segnalazione della Procura della Repubblica sia coperta o meno dal segreto istruttorio, di mettere a disposizione del ricorrente gli atti richiesti con l’istanza del 17 agosto 2010 affinchè possa prenderne visione e, se del caso, estrarne copia, e rimettendo comunque alla facoltà del ricorrente, con riferimento alle note n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010, di prenderne visione ed estrarne copia da quelle depositate dall’Agenzia resistente nel fascicolo di causa.

4. Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, sussistendo giusti motivi in ragione dei dubbi con riferimento all’apposizione del segreto istruttorio sulla segnalazione della Procura della Repubblica di Siracusa e del fatto che AGEA ha, comunque, depositato in giudizio le note n. 3460 del 19 giugno 2009 e n. 630 del 5 febbraio 2010.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, ordina ad AGEA di mettere a disposizione del ricorrente, entro 30 gg. dalla notifica ovvero, se antecedente, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, gli atti richiesti con l’istanza del 17 agosto 2010 affinchè possa prendere visione e, se del caso, estrarne copia.

Spese del giudizio compensate.

Contributo unificato a carico di AGEA, ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, del DPR 115/2002.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.