T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 14-12-2011, n. 1730

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Provincia di Mantova attraverso l’avviso pubblico prot. n. 53049 del 12 ottobre 2011 ha invitato gli artigiani interessati a presentare domanda per l’inserimento in un elenco di ispettori di impianti termici. Ai soggetti inseriti nell’elenco dovrebbero essere affidati in un secondo momento specifici incarichi relativi al controllo degli impianti termici nel territorio provinciale.

2. Istituendo il suddetto elenco la Provincia intende avvalersi della possibilità, prevista dall’art. 9 comma 2 del Dlgs. 19 agosto 2005 n. 192, di svolgere i controlli di propria competenza (ossia "gli accertamenti e le ispezioni necessarie all’osservanza delle norme relative al contenimento dei consumi di energia nell’esercizio e manutenzione degli impianti di climatizzazione") attraverso organismi privati di cui sia garantita la qualificazione e l’indipendenza.

3. La procedura di selezione impostata dalla Provincia è così riassumibile: (a) il territorio provinciale è suddiviso in dieci zone; (b) i soggetti dotati della necessaria qualificazione professionale presentano la domanda di inserimento nell’elenco indicando la disponibilità a effettuare ispezioni in una o due di tali zone ed eventualmente in una terza aggiuntiva; (c) possono presentare domanda solo le persone fisiche; (d) gli incarichi sono affidati con determinazione dirigenziale che tiene conto del numero di ispezioni effettuate negli ultimi quattro anni, del numero di anni di esperienza come manutentoreinstallatoreconduttore di impianti termici, e della disponibilità a fare ispezioni in una, due o tre zone; (e) le tariffe da corrispondere agli ispettori, anticipate dalla Provincia e recuperate presso gli utenti, sono quelle definite dalla deliberazione giuntale n. 55 del 27 marzo 2008; (f) per le modalità di svolgimento dei controlli si fa rinvio alla disciplina introdotta dalla Regione con la DGR n. 8/5117 del 18 luglio 2007; (g) l’elenco rimane valido fino alla data di rinnovo dello stesso.

4. L’avviso è stato pubblicizzato soltanto tramite il sito Internet della Provincia "a scopo esclusivamente esplorativo".

5. Contro il suddetto avviso hanno proposto impugnazione le ricorrenti S. srl, P.S. srl e I. A. srl, tutti soggetti in grado di svolgere l’attività di controllo degli impianti termici ai sensi dell’art. 9 comma 2 del Dlgs. 192/2005. Le ricorrenti contestano l’impostazione seguita dalla Provincia, affermando in particolare che (i) il servizio in questione costituisce appalto di servizi; (ii) per questa ragione è doverosa l’applicazione puntuale delle procedure di affidamento previste dal Dlgs. 12 aprile 2006 n. 163; (iii) in particolare la Provincia avrebbe dovuto pubblicare un bando sulla GUUE, sulla GURI e sul sito dell’Osservatorio dell’AVCP; (iv) l’affidamento avrebbe dovuto riguardare l’intera attività di controllo degli impianti termici sul territorio provinciale e non uno spezzatino di incarichi sotto soglia tra molti professionisti; (v) la scelta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere effettuata sulla base del prezzo offerto, come sottolineato anche da TAR Milano Sez. I 31 agosto 2011 n. 2112, o congiuntamente sulla base del prezzo e della qualità; (vi) in ogni caso la predisposizione di un elenco di fornitori avrebbe richiesto la fissazione di un termine finale di validità e una migliore precisazione dei criteri di individuazione dei soggetti da incaricare; (vii) non vi sono elementi che giustifichino la riserva degli affidamenti a favore delle sole persone fisiche o dei soggetti iscritti all’albo delle imprese artigiane.

6. La Provincia si è costituita in giudizio evidenziando che con determinazione dirigenziale n. 1413 del 28 novembre 2011 l’avviso pubblico è stato revocato in vista di una riformulazione su altre basi.

7. La revoca determina l’improcedibilità del presente ricorso. Tuttavia poiché le parti non hanno raggiunto un accordo relativamente alle spese di giudizio e all’onere del contributo unificato è comunque necessario delibare le questioni proposte, allo scopo di individuare il soccombente virtuale.

8. In particolare si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) l’attività di controllo degli impianti termici ai sensi dell’art. 9 del Dlgs. 192/2005 deve essere qualificata come servizio pubblico locale, in quanto viene svolta non solo nell’interesse dell’amministrazione ma anche degli utenti, sui quali ricade in definitiva il costo del servizio sotto forma di tariffe predeterminate (v. CS Sez. V 11 gennaio 2011 n. 77);

(b) non trattandosi di un appalto di servizi non sono applicabili le norme di dettaglio contenute nel Dlgs. 163/2006, ma soltanto le disposizioni dell’art. 30 relative alle concessioni di servizi (rispetto dei principi comunitari di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, gara informale, predeterminazione dei criteri selettivi);

(c) i principi di trasparenza e adeguata pubblicità impongono che della formazione di un elenco per l’affidamento di uno o più incarichi sia data notizia con modalità proporzionate all’importanza economica del servizio. Pertanto se la stima delle tariffe complessivamente erogabili negli ambiti territoriali a cui possono iscriversi i concorrenti (nello specifico tre delle dieci zone individuate dalla Provincia) supera la soglia dell’affidamento in economia di cui all’art. 125 del Dlgs. 163/2006 (norma richiamabile in via analogica) è necessario dare pubblicità secondo le ordinarie forme degli appalti di servizi;

(d) lo "spezzatino" di incarichi non appare vietato per sé, in quanto le concessioni di servizi consentono all’amministrazione un ampio spazio di elaborazione delle forme di affidamento e di svolgimento delle attività di interesse pubblico, ma occorre sempre verificare che in concreto non siano poste in essere soluzioni in grado di eludere i principi comunitari;

(e) in questa prospettiva, i principi di non discriminazione e di parità di trattamento non impediscono la formazione di un elenco di potenziali affidatari ripartito in ambiti territoriali (purché tali ambiti non siano disegnati sulle esigenze di soggetti specifici a danno di altri) ma esigono che vengano chiariti con precisione i criteri di attribuzione dei singoli incarichi, e specificamente l’ordine di priorità nella chiamata e il numero massimo di affidamenti per singolo professionista;

(f) al riguardo occorre prima di tutto evidenziare che l’art. 30 del Dlgs. 163/2006 consente all’amministrazione di stabilire anche un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa. Partendo da tale facoltà si può ritenere ammissibile la predeterminazione delle tariffe (il cui onere finale è a carico degli utenti). In questo modo è infatti possibile, attraverso una valutazione complessiva dei costi e dei benefici, raggiungere l’obiettivo previsto dall’art. 9 comma 2 del Dlgs. 192/2005, norma che impone di sostenere i costi del servizio (e quindi anche l’utile del professionista) mediante un’equa ripartizione tra tutti gli utenti;

(g) dunque non è necessario effettuare una gara con il criterio del prezzo più basso per poi affidare tutti i controlli in un determinato ambito territoriale al soggetto che chiede la tariffa più bassa. Questa è senz’altro una via percorribile. È però anche possibile individuare a priori una tariffa omogenea e incaricare in successione tutti i soggetti disposti a praticarla, purché vi sia a monte una seria analisi dei costi di mercato a garanzia dell’equità del prezzo traslato sugli utenti;

(h) se la selezione non viene praticata sul piano del prezzo devono essere individuati altri criteri oggettivi per stilare la graduatoria all’interno dell’elenco. In tal caso, peraltro, a fronte di prestazioni standardizzate e con un prezzo uniforme, la graduatoria serve solo per individuare l’ordine di affidamento degli incarichi, perché non essendovi una vera gara occorre applicare il principio della rotazione (che è un corollario della non discriminazione). Anche le modalità con cui viene applicata la rotazione tra i soggetti inseriti nell’elenco devono essere oggetto di un’attenta disciplina esplicitata preventivamente;

(i) nella suddetta disciplina occorre inserire anche il termine finale di utilizzabilità dell’elenco, per evitare che si formi una rendita a favore dei soggetti inseriti e a discapito degli ultimi operatori arrivati sul mercato;

(j) infine, non vi sono margini per limitare sul piano soggettivo l’inserimento nell’elenco. Tutti i richiedenti, e non solo quindi le persone fisiche o gli iscritti all’albo delle imprese artigiane, devono essere inseriti una volta che abbiano dimostrato di possedere la necessaria professionalità.

9. Come si può osservare, l’avviso pubblico elaborato dalla Provincia viola sotto diversi profili la griglia di criteri sinteticamente esposta sopra. Pur non essendo condivisibili nella loro interezza le censure delle ricorrenti, si deve quindi concludere individuando nella Provincia il soccombente virtuale.

10. La complessità di alcune questioni consente la compensazione delle spese di giudizio tra le parti, ma il contributo unificato deve essere posto a carico del soccombente virtuale ai sensi dell’art. 13 comma 6bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile il ricorso. Spese compensate. Contributo unificato a carico della Provincia ai sensi dell’art. 13 comma 6bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-06-2012, n. 9534 Divorzio

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Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1948 depositata il 5 maggio 2010, pronunciando sull’appello proposto da F.M. avverso precedente decisione del Tribunale di Roma n. 6794/2006 che aveva posto a suo carico il pagamento dell’assegno in favore della moglie divorziata M.S. in Euro 200,00 mensili ed in Euro 500,00 mensili in favore della figlia Ma., ha ritenuto non perfezionato, nonostante la convergenza emersa ex actis, l’accordo asseritamente raggiunto tra i coniugi circa la corresponsione dell’assegno in unica soluzione realizzabile mediante la cessione alla M. ed alla figlia della quota di comproprietà della casa familiare, nonchè invariate le condizioni assunte a base della statuizione impugnata in relazione alle reciproche capacità reddituali delle parti. Confermata in parte qua la decisione appellata, l’ha riformata nel resto, disponendo l’affidamento della minore, all’epoca dodicenne, ad entrambi i genitori con potestà congiunta, ma con collocazione prevalente presso la madre e facoltà del padre di vederla e tenerla con sè secondo quanto statuito in motivazione.

Avverso questa decisione F.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito l’intimata M. S. con controricorso contenente ricorso incidentale a sua volta articolato in quattro motivi ai quali non ha replicato il ricorrente principale.

Motivi della decisione

In linea preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la medesima decisione.

Il ricorrente principale denuncia col primo motivo violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e dell’art. 2729 c.c. e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’accertamento del diritto della M. all’assegno divorzile, non sostenuto dal riscontro circa l’effettivo tenore di vita goduto dal nucleo familiare in costanza di matrimonio, nonchè malgoverno del regime probatorio in ordine a tale requisito. La Corte distrettuale non avrebbe rilevato che la M. non aveva dimostrato l’insussistenza di mezzi adeguati e l’impossibilità oggettiva di procurarseli; che, secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza, ella aveva percepito nell’anno 2008 retribuzione mensile di Euro 950,00; che per sua stessa ammissione aveva lavorato prima e durante il matrimonio e l’assegno di mantenimento le era stato attribuito in sede di separazione in ragione delle sue gravi condizioni di salute, pacificamente risolte; che si era iscritta all’università seguendo il corso di studi con profitto. Di contro avrebbe travisato le sue condizioni patrimoniali, reputate solide sulla scorta della contestazione di un mutuo di Euro 279.000,00 impiegato per la costruzione di una villa di tre piani intestata alla sua convivente e garantita da ipoteca, e dei regali costosi fatti alla figlia, senza considerare che la garanzia reale è stata prestata dalla convivente e che egli era mero fideiussore del prestito concesso dalla banca.

Non avrebbe infine rilevato la riduzione del suo reddito d’impresa dal 2006 al 2008; che l’esercizio commerciale in (OMISSIS) in cui ha saltuariamente prestato collaborazione è gestito dalla sorella A.; l’esiguo importo risultante da suo conto corrente, cointestato alla convivente K.E.. I dati sintomatici apprezzati non sono idonei a fondare giudizio presuntivo; gli altri sono stati trascurati nonostante la loro decisività.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia rappresentato dall’accordo intervenuto con la M. avente ad oggetto la cessione del 50% della casa coniugale, ai fini dell’esonero dal pagamento dell’assegno divorzile. Siffatta modalità solutoria per raggiungere il suo effetto non necessitava di essere formalizzato nell’atto notarile, perfezionandosi proprio col provvedimento del giudice.

Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione dell’art. 155 c.c. per lamentare l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto l’affidamento condiviso della figlia senza tener conto del comportamento gravemente contrario ai suoi doveri del padre nè offrire adeguato sostegno motivazionale circa l’interesse della stessa bambina.

Il secondo motivo, con riferimento a violazione dell’art. 155 bis c.c., reitera la precedente censura, deducendo il travisamento da parte della Corte del merito del rapporto padre-figlia, in una bigenitarialità che in realtà non esisterebbe, stante il mancato versamento dell’assegno di mantenimento della bambina da parte del F. per ben cinque anni e la sua trascuratezza rispetto ai suoi bisogni.

Il terzo motivo introduce tematica in ordine all’assegnazione della casa familiare.

Il quarto motivo ascrive alla sentenza impugnata vizio di motivazione su punti non meglio definiti della controversia.

Con riguardo al primo motivo del ricorso principale, occorre rilevare che, secondo quanto riscontrato dalla Corte del merito, la comparazione tra le condizioni economiche dei coniugi emergenti dagli atti acquisiti ne ha evidenziato la notevole disparità. Il F. verserebbe in situazione disastrosa, secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza, tale da apparire inverosimile, soprattutto se rapportata al credito di cui egli gode presso le banche, che nel periodo di maggior sofferenza economica gli hanno concesso credito mediante mutuo dell’importo di L. 279.000.000 impiegato per la costruzione della villa a tre piani intestata alla convivente. La Corte territoriale ha inoltre osservato che l’improvviso tracollo economico del predetto risulta contraddetto dal tenore di vita e dai costosi regali destinati alla figlia. Di contro la M., la cui età non consentiva positive aspettative di lavoro, ha percepito modesto reddito, come documentato dal CUD in atti. Ciò ha giustificato tanto l’obbligo contributivo posto a carico del F., che la misura degli assegni come stabilita. Emerge da questo articolato tessuto argomentativo che, fondandosi su corretto riferimento all’epoca della pronuncia ai fini dell’accertamento dell’esistenza del diritto all’assegno di divorzio nonchè della sua quantificazione, la Corte territoriale ha in maniera parimenti corretta accertato l’inadeguatezza della condizione economica della M. a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, condotto esaminando comparativamente la sua situazione attuale e quella della famiglia desunta dalle condizioni economiche emerse dalle rispettive allegazioni istruttorie, ed in particolare del coniuge. L’apprezzamento nel merito delle risultanze del complessivo compendio istruttorie che, come rilevato, è stato assunto regolarmente a fonte di convincimento da parte dell’organo giudicante, non è sindacabile in questa sede in quanto sostenuto da adeguata ed esaustiva giustificazione nelle ragioni illustrate a sostegno, riconducibili a tutte le circostanze illustrate. La censura peraltro mira in sostanza alla contestazione nel merito di tale vaglio critico che, per le considerazioni svolte, si sottrae al richiesto sindacato.

Il secondo motivo è inammissibile dal momento che travisa il senso della decisione impugnata che, nella parte censurata non esclude la rilevanza dell’accordo circa la cessione della quota del 50% della casa coniugale ai fini di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 8 ma la stessa sussistenza, stante il suo mancato perfezionamento. Il ricorrente introduce pertanto problematica, riguardante le formalità necessarie a tal fine, non pertinente al nucleo della decisione.

Il ricorso per l’effetto deve essere rigettato.

Analoga sorte meritano i primi due motivi del ricorso incidentale, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse.

La questione di diritto sollevata dal ricorrente è stata risolta da questa Corte con sentenza n. 16593/2008, secondo cui "nel quadro della nuova disciplina relativa ai provvedimenti riguardo ai figli dei coniugi separati, di cui agli artt. 155 e 155 bis c.c., come riscritti dalla L. n. 54 del 2006, improntata alla tutela del diritto del minore alla bigenitorialità, al diritto cioè dei figli a continuare ad avere un rapporto equilibrato con il padre e con la madre anche dopo la separazione, l’affidamento condiviso si pone non già, come nel precedente sistema, quale evenienza residuale, bensì come regola, rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo". La deroga a tale regola opera solo se la sua applicazione risulta pregiudizievole per l’interesse del minore, e, in assenza di tipizzazione normativa delle circostanze ostative, l’individuazione di tale pregiudizio resta rimessa alla decisione del giudice del caso concreto, da adottarsi con provvedimento che renda conto, in via di eccezione, dell’opportunità dell’affidamento esclusivo, perchè uno dei genitori versa in condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore. L’esclusione, e non già l’applicazione della modalità dell’affidamento condiviso deve pertanto risultare sorretta da motivazione che evidenzi l’inidoneità educativa del genitore, e la non rispondenza all’interesse del figlio dell’adozione del modello legale prioritario di affidamento (Cass, citata). A tali principi si è ispirata la Corte del merito che nella specie ha vagliato in positivo la relazione padre-figlia, non ostativa all’affido condiviso, svalutando la violazione dell’obbligo del padre di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore della minore nel quadro di un rapporto per ogni altro aspetto positivo ed affettuoso, idoneo a creare un clima di serenità familiare necessario per una sana ed equilibrata crescita della bambina.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, devono ritenersi insussistenti sia la dedotta violazione degli artt. 155 e 155 bis c.c., che i prospettati vizi di motivazione della sentenza impugnata, considerato altresì che le ulteriori censure sollevate dalla ricorrente si risolvono in doglianze di merito, non consentite in sede di giudizio di legittimità, in ordine alla valutazione delle risultanze processuali ed all’accertamento dei fatti di causa da parte della Corte di appello.

I restanti motivi sono inammissibili. Il terzo motivo non esplica censura alcuna in ordine all’assegnazione della casa familiare di cui la ricorrente è tuttora assegnataria. Il quarto motivo si risolve in astratta affermazione di vizio motivazionale su di un punto della controversia assolutamente non individuato.

Stante la reciproca soccombenza delle parti, si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

riunisce i ricorsi. Rigetta il principale; rigetta i primi due motivi del ricorso incidentale e dichiara inammissibili il terzo ed il quarto; compensa per l’intero le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-01-2013) 01-02-2013, n. 5208

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 18.1.2012 il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, decidendo sull’istanza avanzata da L.S. volta alla revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., delle sentenze di condanna specificamente indicate, accoglieva la richiesta con riferimento alle sentenze relative al reato di cui al R.D. n. 1736 del 1993, art. 116, n. 2, depenalizzato, e rigettava la richiesta avuto riguardo al decreto penale di condanna emesso dal Gip del Tribunale di Palermo, in data 18.2.2008 (irrev. il 10.12.2010), per il reato di cui all’art. 483 c.p. in relazione al D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 46 e 76.

A ragione riteneva irrilevante, ai fini della valutazione in oggetto, la sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2008 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del R.D. n. 267 del 1942, artt. 50 e 142 nella parte in cui stabiliscono che le incapacità processuali personali derivanti dal fallimento al fallito perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale. Tale pronuncia, infatti, non elimina il disvalore penale dell’accertata falsità, atteso che la declaratoria richiamata non investe il titolo del reato, bensì la rilevanza della condizione di fatto che non è sufficiente per ritenere revocabile la condanna definitiva, ai sensi dell’art. 673 c.p.p..

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il condannato, personalmente, denunciando la violazione di legge ed il vizio della motivazione dell’ordinanza impugnata.

Premesso che con il decreto penale di condanna di cui si chiedeva la revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., il L. è stato condannato per avere falsamente dichiarato al pubblico ufficiale, in atti destinati a provare la verità dei fatti ivi attestati ed indirizzati al Comune di Palermo in sede di richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività commerciali su aree pubbliche, di essere in possesso dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 5, commi 2 e 4, si ribadisce che, a seguito della decisione della Corte costituzionale n. 39 del 2008 – che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del R.D. n. 267 del 1942, artt. 50 e 142 nella parte in cui stabiliscono che le incapacità processuali personali derivanti dal fallimento al fallito perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale – le incapacità personali derivanti dalla dichiarazione di fallimento vengono meno automaticamente al momento della chiusura del fallimento e, nel caso di specie, erano cessate il 14.2.1992. Pertanto, deve ritenersi venuta meno la rilevanza penale dei fatti contestati cui si riferisce il decreto penale di condanna, atteso che, in sostanza, il L. al momento in cui ha effettuato le dichiarazioni contestategli era in possesso dei requisiti di legge.

Conseguentemente, in applicazione dell’art. 2 c.p., comma 2 e della L. n. 87 del 1953, art. 30, u.c., la condanna deve essere revocata.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato.

L’art. 673 c.p.p., comma 1, nel prevedere la revoca della sentenza di condanna, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato, fa espresso riferimento al caso di abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice. In tale indicazione deve, all’evidenza, farsi rientrare anche la norma extrapenale che integra il precetto penale.

Tuttavia, nella fattispecie in esame le norme extrapenali richiamate dal ricorrente sulle quali è intervenuta la dichiarazione di illegittimità costituzionale non integrano il precetto penale, pertanto, alla loro caducazione non consegue una modifica della disposizione sanzionatoria. Non è, quindi, intervenuto alcun mutamento del quadro normativo che comporti abolitio criminis.

La intervenuta declaratoria di incostituzionalità delle norme citate, al più, potrà determinare per il futuro una diversa valutazione della condotta da parte del giudice della cognizione, ma non può avere alcuna ricaduta sulla rilevanza penale del fatto giudicato con decisione irrevocabile.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento della spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Puglia Bari Sez. I, Sent., 21-01-2011, n. 115

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.La ricorrente è consigliere comunale di minoranza presso il Comune di XXX Con l’istanza in epigrafe, acquisita al protocollo comunale in data 17.8.2010, chiedeva il rilascio del documento "prot. 7262 del 9.8.2010 Corte dei Conti: Trasmissione relazione questionario bilancio di previsione 2010", nell’esercizio del munus pubblico di cui è titolare.
Il documento richiesto consiste in un questionario da compilarsi a cura dell’organo di revisione e da inviarsi alla Corte dei Conti ai sensi dell’art.1, commi 166 e 167 della legge n.266/2005, con la funzione di delineare la situazione economicofinanziaria dell’Ente.
Con il provvedimento gravato il Sindaco ha negato il rilascio del documento in parola adducendone sostanzialmente l’indisponibilità materiale per essere stato lo stesso inviato dal Revisore dei Conti direttamente alla Corte dei conti.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione resistente con atto in data 27.11.2010 chiedendo la reiezione del ricorso.
2.Il gravame proposto è incentrato su due motivi.
Il primo è diretto a censurare la -presunta- incompetenza del Sindaco; il secondo le motivazioni del diniego di accesso sicchè deve avere precedenza logica nell’ottica di garantire alla ricorrente una tutela piena ed effettiva.
Il secondo motivo è fondato e va accolto.
Ed invero la più recente e consolidata giurisprudenza ha chiarito che i consiglieri comunali godono di un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento del loro mandato; ciò al fine di permettere di valutare -con piena cognizione- la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha infatti una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini (ex articolo 10 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) ovvero a chiunque sia portatore di un "interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso" (ex art. 22 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241): è strettamente funzionale all’esercizio del mandato, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici ed è peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (cfr. da ultimo C.d.S., Sez.V, 17.9.2010, n.6963; in termini C.d.S., Sez.I, 26.5.2010, n.1858; Sez.V, 22.2.2007, n.929 e 2.9.2005, n.4471).
Si ritiene inoltre che non sia soggetto ad alcun onere motivazionale giacchè diversamente opinando sarebbe introdotto una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio del mandato del consigliere comunale; che il termine "utili", contenuto nell’ articolo 43 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 garantisca l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio del mandato (cfr. C.d.S. n.6963/2010 cit.) senza che alcuna limitazione possa derivare dall’eventuale natura riservata delle informazioni richieste essendo il consigliere vincolato al segreto d’ufficio (C.d.S., sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716 e da ultimo Tar Trentino Alto Adige, Trento, Sez.I, 7 maggio 2009, n.143); che, infine, gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali si rinvengano, per un verso, nel fatto che esso debba avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che non debba sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri debba essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazione al diritto stesso.
3.- Sulla scorta del delineato indirizzo giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi, discende che nella specie sussistono i presupposti per l’accesso richiesto dalla ricorrente e rifiutato dall’Ente resistente.
La ricorrente stessa ha specificamente indicato l’atto di cui intende acquisire copia; è atto proveniente da un organo dell’Ente, qual’è espressamente qualificato il Collegio dei revisori dall’art.234 del d.lgs. n.267/2000; e, quand’anche dall’invio diretto del documento stesso alla Corte dei conti se ne voglia far discendere la riservatezza, ciò non rappresenterebbe comunque un ostacolo all’ostensione, secondo gli enunciati principi.
Il Sindaco nella nota gravata allude invero all’indisponibilità materiale del documento in questione; e la difesa dell’amministrazione rimarca la circostanza ponendo l’accento sull’invio diretto alla Corte dei Conti da parte dei revisori e sulla responsabilità altrettanto diretta degli stessi in caso di ritardo, con l’ulteriore precisazione che, in ogni caso, il questionario in parola non sarebbe parte integrante del bilancio.
Entrambi gli addotti profili non sono tuttavia dirimenti. Sotto il primo profilo deve rimarcarsi: a) che la trasmissione diretta non esclude che si tratti di un atto formato da un "organo comunale" espressamente previsto -si ribadisce- dall’art.234 del d.lgs. n.267/2000; b) che l’atto stesso, in uscita, abbia acquisito un numero di protocollo, per ciò stesso andando a confluire nell’archivio dell’ente.
Sotto il secondo profilo deve invece ribadirsi che l’art.43 del T.U. enti locali riconosce il diritto di accesso a qualsiasi "informazione" utile e non può certo dubitarsi che, trattandosi di un documento esplicativo di un atto complesso, questo sia in grado di fornire un’utile chiave di lettura del bilancio di previsione (come noto sottoposto all’approvazione del Consiglio comunale), restando irrilevante stabilire se ne costituisca o meno parte integrante.
La visione di tale atto non può pertanto essere impedita al consigliere nell’esercizio del suo mandato.
4. In conclusione il ricorso deve essere accolto. La peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il diniego di accesso gravato e ordina all’Amministrazione resistente l’esibizione della documentazione richiesta, consentendone l’estrazione di copia, entro e non oltre venti giorni dalla comunicazione della presente sentenza. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Doris Durante, Presidente FF
Giuseppina Adamo, Consigliere
Giacinta Serlenga, Referendario, Estensore

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