T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 12-10-2011, n. 1652 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1Con il ricorso oggi in esame la parte ricorrente premette:

– di avere ottenuto dalla Corte di Appello di Salerno decreto contenente la condanna del Ministero della Giustizia a pagare in suo favore, a titolo di equa riparazione del danno morale, la somma ivi indicata, oltre interessi legali sino al soddisfo e spese legali;

– che il decreto è stato notificato all’Amministrazione in forma esecutiva e che successivamente il medesimo Ministero è stato diffidato a pagare la suddetta somma, assegnando a tal fine un ulteriore termine;

– che a tutt’oggi l’Amministrazione non ha effettuato il pagamento del dovuto.

Ciò premesso, parte ricorrente ha chiesto di disporre l’esecuzione del decreto in epigrafe, nominando a tal fine un commissario ad acta che provveda al pagamento, a cura e spese dell’Amministrazione intimata.

2Il ricorso è fondato, e va accolto.

Osserva la Sezione che nel caso di specie ricorrono tutti i presupposti necessari, ai sensi dell’art. 112 lett. c) cod. proc. amm.,, per l’accoglimento del ricorso.

Quanto al requisito dell’avvenuto passaggio in giudicato, il comma 6, dell’art. 3, della legge 24/03/2001 n. 89, prevede che il decreto che decide in ordine alla concessione dell’indennizzo sia immediatamente esecutivo ed impugnabile per cassazione e, sotto tale profilo, dalla mancata proposizione della suddetta forma di impugnazione deriva la definitività dello stesso che, secondo il Collegio, può essere equiparato al giudicato, con conseguente suscettibilità di ottemperanza di fronte al Giudice Amministrativo.

Quanto alla mancata proposizione del ricorso in Cassazione è in atti la prova rappresentata dall’apposita attestazione del Cancelliere.

3La domanda merita quindi accoglimento ricorrendo, come già detto, tutti i presupposti necessari ed, in particolare, trattandosi di decreto oramai definitivo che sotto tale profilo esso può essere equiparato al giudicato.

Pertanto, deve essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di dare esecuzione al decreto in epigrafe, mediante il pagamento della sorte ivi indicata, oltre agli interessi legali fino al soddisfo, nonché delle spese legali comprensiva di spese, competenze e onorari, oltre IVA e CPA.

L’Amministrazione darà esecuzione al predetto decreto entro giorni sessanta dalla notificazione ad istanza di parte o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il Prefetto di Salerno o il funzionario del suo Ufficio che lo stesso riterrà di delegare, che dopo la scadenza del termine precedente darà corso a tutto quanto necessario per il pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara – in esecuzione del giudicato sopra indicato – l’obbligo del Ministero della Giustizia di dare esecuzione, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notifica della presente sentenza e nei limiti di cui in motivazione, alla sentenza in epigrafe.

Per il caso di ulteriore inottemperanza, nomina Commissario ad acta il Prefetto di Salerno con facoltà di delega ad un funzionario dell’Ufficio, che provvederà ai sensi e nei termini di cui in motivazione al compimento degli atti necessari all’esecuzione del predetto giudicato.

Determina fin d’ora in Euro 600 (seicento) il compenso, comprensivo di ogni onere e spesa, da corrispondere a tale Commissario ad acta per l’espletamento di detto incarico.

Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 300 (trecento), oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-09-2011) 06-10-2011, n. 36246 Misure cautelari

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Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 3/5/2011, il Tribunale di Lecce, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di C.S., indagato per il reato di estorsione, confermava l’ordinanza del Gip di Lecce, emessa in data 11/4/2011, con la quale era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere.

Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato sulle dichiarazioni della persona offesa e sulle circostanze che avevano portato all’arresto del prevenuto e del concorrente nel reato, R.M., in flagranza di reato, nonchè sulla incompatibilità delle dichiarazioni rese dai due arrestati. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato, per cui la custodia cautelare in carcere appariva l’unica misura adeguata.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con il quali contesta sia la sussistenza del quadro indiziario, sia la fondatezza delle esigenze cautelari riconosciute dal Tribunale.

Con il primo motivo deduce violazione della legge penale. In particolare si duole che non sia stato trasmesso dal P.M. procedente il verbale della denunzia presentata dalla persona offesa dinanzi ai Carabinieri e contesta che il Tribunale del riesame possa utilizzare, in assenza del documento originale, quella parte delle dichiarazioni che risultano trasfuse nel verbale di arresto in flagranza.

Eccepisce, quindi, che, in assenza del verbale delle dichiarazioni accusatorie rese dalla parte offesa, M.A., la consegna del denaro assume un significato neutro, facendo venir meno il quadro di gravità indiziaria.

Con il secondo motivo deduce il difetto di motivazione in ordine alle esigenze cautelari e, segnatamente, alla proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare custodiale.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento".

(Cass. Sez. 6A sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).

Inoltre "Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto". (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998rv 210566).

Tanto premesso, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, in ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese da M.A. per la mancata allegazione della denunzia presentata ai Carabinieri in data 1/4/2011, la questione non è fondata. In particolare è inconferente il richiamo al principio di diritto formulato da questa Corte, secondo cui: "Le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, non sottoscritta dal dichiarante, devono considerarsi acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nell’ipotesi di inutilizzabilità di cui all’art. 191 cod. proc. pen.; ne consegue che la insuscettibilità ad essere utilizzate in dibattimento rende tali dichiarazioni inutilizzabili anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare, in quanto deve escludersi che possano costituire gravi indizi di colpevolezza a norma dell’art. 273 cod. proc. pen., non essendo idonee a formulare alcuna prognosi di probabilità della colpevolezza dell’imputato" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 21937 del 01/04/2003 Cc. (dep. 17/05/2003) Rv. 225681).

Nel caso di specie, infatti, non siamo in presenza di dichiarazioni accusatorie non verbalizzate e raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota non sottoscritta dal dichiarante. Il verbale di arresto, utilizzato da Gip e dal Tribunale per il riesame come elemento utile per la formazione del quadro indiziario, non fa riferimento a dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma riporta il contenuto essenziale delle dichiarazioni rese da costui con la denunzia presentata ai Carabinieri in data 1/4/2011. E’ ben vero che il verbale della denunzia presentata dalla p.o. non è stato allegato agli atti e che tale circostanza indebolisce l’assunto accusatorio per l’impossibilità di verificare l’intrinseca coerenza del narrato e quindi l’attendibilità del dichiarante. Tuttavia le dichiarazioni rese dalla parte offesa non costituiscono l’unico elemento a carico dell’indagato, ma si inseriscono in un quadro indiziario in cui sono riscontrate da numerose circostanze oggettive, quali la consegna della somma di denaro di Euro 300,00, avvenuta sotto il controllo della polizia giudiziaria ed i risultati del servizio di osservazione predisposto dai Carabinieri. A completare il quadro indiziario concorrono inoltre le dichiarazioni rese dai due arrestati in flagranza che sono state ritenute inattendibili ed incompatibili dal Tribunale per il riesame.

Pertanto il vaglio logico e puntuale delle risultanze processuali operato dal Tribunale per il riesame non consente a questa Corte di legittimità di muovere critiche, nè tantomeno di operare diverse scelte di fatto.

Quanto alle censure in punto di fondatezza delle esigenze cautelari, le stesse risultano inammissibili, essendo le relative valutazioni del Tribunale del riesame fondate su una motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici, come tale incensurabile in questa sede.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp att. c.p.p..

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-07-2011) 24-10-2011, n. 38219

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Svolgimento del processo

A R.A., sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di P.S., con obbligo (anche) di rientrare nella propria abitazione non oltre le ore 21,00, sono state contestate due violazioni del suddetto obbligo: una commessa il (OMISSIS), in quanto gli agenti preposti al controllo non l’avevano trovato in casa alle ore 3,10, e l’altra commessa il (OMISSIS) perchè, in occasione di un analogo controllo, non era stato trovato in casa alle ore 22,00.

Il Tribunale di Taranto, con sentenza in data 26.4.2007, condannava il predetto, al quale era stata contestata la contravvenzione di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 1 con la recidiva reiterata e infraquinquennale, alla pena complessiva di mesi sette di arresto (mesi tre di arresto per ciascuna delle violazioni, con aumento di un mese per la recidiva).

La Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – con sentenza in data 22.9.2009 confermava la suddetta sentenza del Tribunale di Taranto, rilevando che l’imputato neppure in corso di giudizio aveva giustificato la ragione per la quale non era stato trovato in casa nelle occasioni sopra indicate.

Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, sostenendo che l’imputato non era potuto rientrare nella sua abitazione causa un non precisato stato di necessità.

Ha lamentato anche che all’imputato non fossero state riconosciute le attenuanti generiche, chiedendo comunque un ridimensionamento della pena per adeguare la stessa alle circostanze e modalità del fatto contestato.

Motivi della decisione

Il motivo di ricorso con il quale si contesta l’affermazione della responsabilità dell’imputato è chiaramente infondato, perchè del tutto generico.

Deve essere invece accolto il motivo riguardante la determinazione della pena, perchè all’imputato è stata contestata la recidiva, aggravante ritenuta sussistente dal Tribunale che, in ragione della medesima, ha calcolato la pena.

L’art. 99 c.p. prevede un aggravamento della pena per la recidiva solo in materia di delitti, mentre nel caso de quo all’imputato è stato contestato un reato contravvenzionale.

La sentenza, quindi, deve essere annullata, ma non deve procedersi al rinvio per una nuova determinazione della pena poichè, nel frattempo, il reato si è prescritto (dopo quattro anni e sei mesi dalla data di commissione del reato).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

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Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-05-2012, n. 7529 Responsabilità professionale

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Svolgimento del processo

1. Con citazione del 23 luglio 2001 gli eredi di V.C., M.A. e le figlie D.E. e L.E., convenivano dinanzi al Tribunale di Milano la Azienda sanitaria locale della Provincia di Milano per sentirla dichiarare responsabile, a titolo contrattuale o extracontrattuale, per il decesso della congiunta avvenuto il giorno (OMISSIS), dopo due visite domiciliari della guardia medica, nelle persone dei dottori O.K. e R.A. che avevano sottovalutato le gravi condizioni della paziente, senza provvedere al ricovero ospedaliero. Paziente poi deceduta il giorno successivo alla seconda visita per complicazioni respiratorie da infezione polmonare.

La Azienda si costituiva e contestava il fondamento della domanda, ma chiamava in giudizio i due medici. Si costituiva il dr. O. e sosteneva che la paziente non aveva osservato le prescrizioni mediche non assumendo i medicinali trovati intatti al suo capezzale, restava contumace la R..

Era disposta consulenza medico legale e l’interrogatorio libero del dottore e delle figlie della defunta, era acquisita documentazione medica.

2. Il Tribunale di Milano con sentenza del 7 settembre 2004 rigettava le domande attrici e compensava le spese di liti ma poneva per un terzo le spese di consulenza medica a carico delle attrici.

4.Contro la decisione hanno proposto appello principale gli eredi della V., in proprio e nella qualità, affidato a sei motivi;

hanno resistito le controparti.

Motivi della decisione

5. Il ricorso non merita accoglimento per le considerazioni appresso indicate.

Per chiarezza espositiva si offre una sintesi descrittiva dei motivi, ed a seguire la confutazione in punto di diritto.

SINTESI DEI MOTIVI. Nel PRIMO MOTIVO si deduce error in iudicando per violazione delle norme di cui agli artt. 2049 e 1228 c.c., in tema di responsabilità dell’ente sanitario per lo operato dei medici preposti in regime di convenzione. Si censura la motivazione della Corte di appello nel punto in cui esclude in capo alla ASL la responsabilità basata sulla norma dell’art. 2049 c.c. configurando unicamente la responsabilità contrattuale. In particolare si deduce – a pag. 43 del ricorso – che il punto relativo della responsabilità contrattuale non era stato oggetto di motivo di appello da parte della convenuta e che su di esso opera il giudicato interno. La esclusione della responsabilità aquiliana era da considerarsi errata sul rilievo che il rapporto di preposizione non si concreta necessariamente in un rapporto di lavoro subordinato, risultando il potere direttivo, con chiarezza dalla prassi e dalla disciplina legislativa del servizio della guardia medica, dovendosi considerare lo inserimento dei medici di guardia nella organizzazione funzionale ed aziendale degli enti sanitari. Nel caso di responsabilità contrattuale si deduce la applicazione dello art. 1228 cod. civ..

Nel SECONDO MOTIVO si deduce error in iudicando per violazione degli artt.1176, 1218, 2043 c.c., in tema di responsabilità medica per omissione e vizio della motivazione su punto decisivo. La tesi è che i sanitari non disposero il ricovero di urgenza in ospedale, che avrebbe consentito appropriate indagini e cure, e che tale omissione è in nesso di causalità con lo evento di danno, e si cita Cass. SU 11 gennaio 2008 n. 581. Nel corpo del motivo si censura inoltre la CTU che ha considerato adeguate alla situazione clinica le prescrizioni di medicine in occasione delle visite domiciliari. Si deduce inoltre la mancata considerazione dei rilievi critici del consulente di parte, rilevanti e specifici.

Nel TERZO MOTIVO si deduce il vizio della motivazione omessa e insufficiente su punti decisivi, in relazione al mancato rilievo della gravità della situazione clinica, che riguardava una grave infiammazione polmonare, tale da rendere doveroso lo immediato ricovero ospedaliero.

Il quadro clinico consentiva una diagnosi di infezione localizzata alle vie aeree con concomitante presenza di dispnea.

Nel QUARTO MOTIVO si deduce l’error in iudicando per la violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., in tema di responsabilità medica per interventi di non speciale difficoltà e in tema di distribuzione degli oneri probatori. Si assume che lo evento di danno era direttamente imputabile ad una colpa presunta a carico dei sanitari e non già ad una complicanza imprevista ed imprevedibile; presunzione che doveva essere superata con elementi di prova giustificativi della condotta dei sanitari, elementi di prova a carico dei medici.

Nel QUINTO MOTIVO si deduce la nullità della CTU per omesso esame di punti tecnici decisivi e per la inadeguatezza della stessa formulazione dei quesiti, come error in procedendo. Si riproduce il quesito formulato dal tribunale a ff 67 del ricorso per sostenere che la sua inedaguatezza risulta fuorviante per le valutazioni e gli approfondimenti richiesti al CTU e per la conseguente inidoneità delle risposte formulate ai quesiti.

Nel SESTO MOTIVO si deduce ancora error in iudicando e vizio della motivazione in tema di determinazione del nesso di causalità tra condotta ed evento, sul rilievo che era stato accertato che la V. non aveva assunto lo antibiotico Velamox prescritto dal Dott. O., sul rilievo che i carabinieri rinvennero presso il domicilio della defunta una confezione intatta di detto medicinale.

Si sostiene che tale circostanza non vale ad interrompere il nesso di causalità. 6. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, nel testo vigente ratione temporis, in quanto la Corte di appello nella qualificazione della natura contrattuale dello illecito, quanto alla responsabilità professionale dei medici e della struttura, ha deciso le questioni di diritto in modo conforme ai dicta delle Sezioni Unite 1 luglio 2002 n. 9556 e 11 gennaio 2008 n. 577 e successive conformi tra cui ord. SU 26 gennaio 1778 n. 2011, e lo esame del motivo non offre elementi tali da indurre un mutamento di giurisprudenza consolidata. Non senza rilevare, in una diversa prospettiva problematica che le sezioni unite della Cassazione nelle sentenze gemelle del novembre 2008 ed in particolare nella sentenza n. 11 novembre 2008 n. 26972, nel punto 4.3 della motivazione sistematica della responsabilità contrattuale da inadempimento con effetti lesivi di un diritto umano inviolabile quale è la salute, hanno riproposto ed esteso il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato, anche alla struttura medica ed hanno ampliato la tutela dei soggetti terzi, inserendoli nel principio di garanzia, contenente lo obbligo di adempimento immediato della tutela della salute e della libera autodeterminazione attraverso il principio del consenso informato.

Con la integrazione sistematica, la posizione dei sanitari della guardia medica, sulla base della organizzazione del servizio di continuità assistenziale all’epoca dei fatti vigente, gennaio 2000, appare connotata dalla esistenza di un contatto sociale da cui scaturisce un obbligo di protezione. In tal senso deve integrarsi e completarsi la lettura della disciplina in esame, senza peraltro modificare la valutazione che esclude la violazione del detto obbligo sia da parte dei medici che da parte della struttura.

Peraltro correttamente i giudici del merito hanno escluso la responsabilità extracontrattuale in capo alla ASL per la insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2049 c.c., che è norma che attiene alla fattispecie propria dello illecito aquiliano, mentre qui opera la responsabilità organizzativa dello ente sanitario in relazione a poteri di vigilanza e controllo sul presidio di guardia medica.

Il secondo motivo è giuridicamente infondato avendo la Corte di appello, nel confermare la decisione del tribunale, esattamente applicato il principio espresso dalle Sezioni Uniti nella sentenza 11 gennaio 2008 n. 576 secondo cui "nella imputazione per omissione colposa il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto" corollario deve valutarsi la omissione specifica imposta da una norma giuridica, ovvero anche una omissione generica in relazione alla prestazione professionale del sanitario impegnato nello intervento da contatto sociale.

Nella fattispecie in esame i giudici di appello concordano con i primi giudici sulla adeguatezza delle condotte e delle prescrizioni dei medici di guardia, le cui condotte vengono esaminate e valutate dai consulenti medici legali in contraddittorio con i consulenti di parte.

NON risulta dunque verificato lo inadempimento nella forma di condotta emissiva ovvero nella forma di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa, in riferimento ad entrambi i sanitari, e dunque l’evento di danno non si ricollega deterministicamente, o in termini di probabilità, con la condotta dei sanitari. La gravissima complicanza non è da ascrivere a condotta medica, ma alle condizioni di solitudine della malata, che non ebbe la forza o la volontà di prendere le medicine prescritte, con conseguente progressivo indebolimento delle capacità respiratorie.

I RESTANTI motivi, dal terzo al sesto, ruotano tutti sulla questione centrale della valutazione del nesso causale, tardivamente deducendosi la nullità intrinseca della CTU per la omessa considerazione delle particolari condizioni di salute della paziente e per la inidoneità di quesiti fuorvianti.

In senso contrario si osserva; tutte le censure sono strumentali ad una diversa ricostruzione del fatto dannoso e delle condotte dei sanitari e tendono ad una valutazione delle prove e ad una confutazione delle conclusioni peritali, che, invece, dimostrano un particolare impegno e scrupolo nella ricostruzione e nello esame del consulente di ufficio ed il prudente apprezzamento delle prove da parte del giudice del merito, non sindacabile in questa sede.

Non sussiste pertanto nè la nullità della CTU,tardivamente sollevata, nè gli errores in iudicando od i vizi della motivazione denunciati, con la conseguenza del rigetto complessivo del ricorso.

QUANTO al regolamento delle spese, la complessità delle questioni esaminate e le difficoltà obbiettive anche sul piano delle indagini scientifiche, evidenziano la presenza di giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2012

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