Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-11-2011) 25-11-2011, n. 43774

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 25.10.2010 il Tribunale di Firenze, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta avanzata da A.I., volta alla revoca della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano in data 24.10.2006 per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 comma 5 – ter, commesso in (OMISSIS) per precedente giudicato in relazione allo stesso fatto di cui alla sentenza del Tribunale di Milano in data 16.3.2005.

Invero, ad avviso del giudice dell’esecuzione i reati cui si riferiscono le condanne di cui alle suddette sentenze sono affatto diversi, commessi in violazione di differenti decreti del Questore e consumati in epoche diverse.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il condannato, a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge In quanto la sentenza di cui si chiede la revoca riguarda la violazione di un ordine del Questore nullo e che pertanto doveva essere disapplicato. Deduce, altresì, che l’istanza era stata formulata sia ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen. che, in subordine, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., trattandosi di due sentenze relative alla violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 – ter.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato nei termini in cui è stato proposto non potendosi ravvisare, per le ragioni indicate nel provvedimento impugnato, la dedotta violazione del divieto di bis in idem.

Tuttavia, la invocata revoca della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano in data 24.10.2006 per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 comma 5-ter, commesso in (OMISSIS), deve essere comunque disposta, ai sensi dell’art. 673 c.p.p..

Come è noto, In fatti, hanno acquisito efficacia diretta nell’ordinamento giuridico interno gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, 2008/115/CE, ed, inoltre, è sopravvenuta la decisione della Corte di giustizia della Unione Europea, Sezione 1, 28 aprile 2011, nel procedimento C- 61/11 PPU, che ha statuito nel senso che le succitate disposizioni sovraordinate non consentono la "normativa di uno Stato membro (..) che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo"; con la conseguenza che ai giudici penali degli Stati della Unione spetto "disapplicare ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115", tenendo anche "debito conto del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri".

La decisione della Corte di Giustizia, interpretando in maniera autoritativa il diritto dell’Unione con effetto diretto per tutti gli Stati membri e le rispettive giurisdizioni, incide sul sistema normativo impedendo la configurabilità del reato. L’effetto è paragonabile a quello della legge sopravvenuta (cfr. C. Cost. nn. 255 del 1999, 63 del 2003, 125 del 2004 e 241 del 2005, secondo cui "i principi enunciati nella decisione dalla Corte di giustizia si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno, con il valore di jus superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quella norma conserva efficacia e deve essere applicata anche da parte del giudice nazionale") con portata abolitrice della norma incriminatrice.

Conseguentemente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio e, a norma dell’art. 673 c.p.p., comma 1, la sentenza del Tribunale di Milano in data 24.10.2006 nei confronti di A. I. deve essere revocata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato; deve essere, altresì, dichiarata la cessazione dell’esecuzione della relativa pena ed ordinata l’immediata liberazione dell’ A. se non detenuto per altra causa, dandone comunicazione alla Procura della Repubblica di Firenze.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e revoca la sentenza 24.10.2006 del Tribunale di Milano nei confronti di A.I. perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Dichiara cessata l’esecuzione della relativa pena e ordina l’immediata liberazione dell’ A. se non detenuto per altra causa e che sia data comunicazione della decisione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 14-01-2011, n. 138 Controinteressati al ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato al Comune di Caserta in data 6 giugno 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 13 giugno 2008, la Sig.ra L.F. espone in fatto che:
– è proprietaria di un immobile sito al sesto piano del fabbricato di V. D. n. 2 in Caserta, oggetto di lavori di ampliamento per i quali presentava una domanda di condono ai sensi dell’art. 32 D.L. 30 settembre 2003 n. 269 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 24 novembre 2003 n. 326);
– dopo aver ottenuto il titolo edilizio in sanatoria, la ricorrente presentava un progetto di interventi per la riarticolazione distributiva che il Comune di Caserta autorizzava con permesso di costruire n. 85 del 23 aprile 2007;
– insorgeva una controversia civilistica con i proprietari dell’appartamento sottostante (Sig.ri G.F.G.R. e J.M.R.) i quali proponevano innanzi al Tribunale civile azione di danno temuto ai sensi dell’art. 1172 del codice civile lamentando danni ed infiltrazioni conseguenti alla realizzazione delle opere edili;
– il giudice civile disponeva una consulenza tecnica e, all’esito, riscontrava vizi di costruzione dell’opera e, per l’effetto, con ordinanza n. 880 del 10 aprile 2008 disponeva l’immediata esecuzione dei lavori necessari per l’eliminazione dei pericoli incombenti nel rispetto delle indicazioni fornite dal consulente tecnico d’ufficio nominato in corso di causa;
– al fine di eseguire le prescrizioni disposte dal Tribunale ordinario, la Sig.ra F. depositava in data 24 aprile 2008 una denuncia di inizio attività avente ad oggetto la ristrutturazione edilizia del manufatto senza alcun aumento di volumetria o superficie;
– con nota prot. n. 53388 del 28 maggio 2008 il Comune di Caserta esprimeva parere contrario, contestando in particolare la difformità dell’intervento edilizio rispetto alle prescrizioni contenute nell’ordinanza del Tribunale civile di Caserta che, facendo proprie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio nominato in corso in causa, imponeva l’eliminazione del manufatto realizzato dalla Sig.ra F. (nella relazione del c.t.u. si legge infatti che, al fine di eliminare il danno temuto, occorre la "completa eliminazione del manufatto realizzato (…) e gravante in modo errato sul lastrico solare come evidenziato nella planimetria di sovrapposizione allegata alla presente relazione") e non la mera sostituzione edilizia parziale, come proposto dalla esponente.
Avverso tale ultimo atto insorge la ricorrente deducendo i profili di illegittimità di seguito rubricati:
I) violazione del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, violazione dell’art. 1172 del codice civile: l’intervento edilizio (sostituzione edilizia parziale per adeguamento statico) è conforme alle vigenti prescrizioni edilizie ed urbanistiche del Comune di Caserta e l’ente locale ha frainteso il provvedimento cautelare emesso in sede civile dal Tribunale ordinario che, invero, non reca alcun divieto di ricostruzione dell’opera seppur epurata dai profili di criticità statici e strutturali rilevati dal giudice civile;
II) violazione dell’art. 2909 del codice civile, eccesso di potere per errore di fatto e nei presupposti, per motivazione errata ed incoerente: il provvedimento impugnato è illegittimo poiché il Comune di Caserta ha omesso di considerare che non esiste alcun provvedimento inibitorio dell’attività edilizia proposta.
Con memoria depositata il 4 luglio 2008 si è costituito in giudizio il Comune di Caserta che contesta il dedotto e conclude per la reiezione del gravame.
Il T.A.R. ha accolto la domanda cautelare con ordinanza n.1925 del 7 luglio 2008.
All’udienza pubblica del 6 dicembre 2010 il ricorso è stato spedito in decisione.
2. In limine litis, il Collegio rileva l’omessa notificazione del ricorso ai soggetti controinteressati ai sensi dell’art. 41 del codice del processo amministrativo.
3. Invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3692) la qualità di controinteressato ad un ricorso giurisdizionale richiede la simultanea presenza di due elementi costituiti dalla immediata o, quanto meno, agevole identificazione del soggetto in virtù del contenuto del provvedimento amministrativo (c.d. elemento formale) e dall’interesse qualificato del medesimo alla conservazione dell’atto impugnato in quanto ne ricavi un vantaggio diretto ed immediato (c.d. elemento materiale).
4. Nel caso in esame è indubbio che tale qualifica di controinteressato debba essere riconosciuto ai proprietari dell’immobile sottostante (Sig.ri G.F.G.R. e J.M.R.), in quanto parti del giudizio innanzi al Tribunale civile di Caserta, nell’ambito del quale veniva resa la precitata ordinanza ex art. 1172 del codice civile rispetto alla quale il Comune, con il provvedimento impugnato, contesta la difformità delle opere edilizie.
5. Sussiste quindi l’elemento formale dell’agevole identificazione dei controinteressati in quanto agevolmente individuabili, dal momento che gli stessi erano espressamente menzionati nella richiamata ordinanza n. 880/08 del Tribunale civile, a sua volta richiamata nel provvedimento impugnato.
6. Parimenti ricorre l’elemento sostanziale, ossia la titolarità di un interesse analogo e contrario a quello azionato con il ricorso. Difatti, non vi è chi non veda che i predetti soggetti vantano sicuramente un interesse qualificato contrario all’eventuale accoglimento del gravame, avendo già esperito rimedi civilistici a tutela della proprie posizioni giuridiche soggettive e sussistendo in capo ai medesimi una pretesa giuridicamente apprezzabile a verificare il rispetto delle prescrizioni normative ed urbanistiche dell’intervento proposto dalla ricorrente che, già in passato come si è visto, ha presentato profili di criticità statici e strutturali nonché concretamente lesivi della proprietà sottostante.
7. Dalle considerazioni svolte discende che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
8. Spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidati in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna F.L. al pagamento delle spese ed onorari di giudizio in favore del Comune di Caserta che liquida in Euro 1.000,00 (mille/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Alessandro Pagano, Consigliere
Gianluca Di Vita, Referendario, Estensore

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Cass. civ. Sez. I, Sent., 31-07-2012, n. 13636

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Svolgimento del processo

Il ricorrente in epigrafe impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello che, confermando la pronuncia resa dal Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo, ha dichiarato inammissibile la domanda tardiva d’insinuazione al passivo per le ultime tre mensilità di retribuzione spettanti al dipendente della società fallita in quanto preceduta da domanda tempestiva per altri crediti anche dello stesso tipo fondati sullo stesso rapporto di lavoro.

Il ricorso è affidato a sette motivi.

L’intimata curatela non ha proposto difese.

Motivi della decisione

La questione sottoposta all’esame della corte è stata già decisa con ripetute sentenze, su ricorsi del tutto analoghi a quello in esame, riguardanti opposizioni allo stato passivo del medesimo fallimento (si vedano, tra le altre, Cass. da n. 26539 a 26543 del 2011).

In tali precedenti sentenze le censure sono state ritenute infondate le ragioni in base alle quali la corte d’appello ha giudicato inammissibile la domanda d’insinuazione tardiva al passivo del fallimento.

Infatti si è anzitutto escluso che, essendo stata chiesta e concessa l’ammissione dei credito per TFR ed essendo il suo ammontare calcolato sulla retribuzione, la mancata indicazione del credito relativo alle ultime mensilità avesse comportato una definitiva quantificazione del trattamento di fine rapporto, incompatibile con il riconoscimento di crediti per mensilità ulteriori.

E’ stato invece chiarito che si tratta di un’ulteriore domanda fondata su un diverso titolo ed avente un diverso oggetto (sia quanto ai petitum sia quanto alla causa petendi).

Non è infatti da considerarsi nuova la domanda relativa alle ultime tre mensilità, posto che la causa petendi si identifica con i fatti costitutivi del diritto azionato e che tale non è il rapporto di lavoro ma lo sono i fatti rilevanti che nello svolgimento dello stesso si succedono, sicchè nessuna identità di causa petendi e di petitum è ravvisabile tra la pretesa per retribuzioni relativa ad un determinato segmento temporale del rapporto di lavoro rispetto a quella attinente ad altro segmento.

E’ stato del pari escluso che la pronuncia del giudice delegato sulla domanda tempestiva abbia necessariamente comportato l’esame e la pronuncia sull’intero rapporto, così precludendone una rivalutazione in sede di successiva domanda di ammissione tardiva, dal momento che non risulta e non viene neppure esplicitamente sostenuto nella decisione in esame che la domanda tempestiva abbia espressamente investito l’intera durata del rapporto lavorativo fino alla data del fallimento (e quindi anche quella per cui sono state richieste le ultime tre mensilità).

Non v’è ragione per discostarsi da tali enunciazioni, con la conseguenza che il ricorso deve essere accolto, con la necessità di una nuova decisione di merito e l’assorbimento della censura riguardante la regolazione delle spese.

L’impugnata sentenza deve dunque essere cassata e la causa rinviata al giudice a quo che provvedere anche sulle spese.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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Cass. pen., sez. I 11-12-2008 (02-12-2008), n. 45785 Elezione di domicilio effettuata nella procedura di ammissione al gratuito patrocinio – Operatività anche ai fini del procedimento principale.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Pistoia, quale giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da A. G. volta a contestare la validità del passaggio in giudicato della sentenza 16.1.2007 del Tribunale di Genova.
A ragione osservava che dagli atti acquisiti risultava che il 12.4.2005 – deposito del 14.4.2005 – l’A. aveva effettuato, in quel procedimento, nomina a difensore di fiducia dell’avvocato T.A., eleggendo domicilio presso il suo studio e che tutti gli atti propulsivi (avviso ex art. 415 bis c.p.p., citazione a giudizio) e l’estratto contumaciale della sentenza erano stati ritualmente effettuati presso il difensore di fiducia domiciliata rio.
Ricorre l’imputato personalmente e chiede l’annullamento del provvedimento impugnato denunciando:
– con il primo motivo, violazione delle regole sulla competenza, giacchè la sentenza della Corte d’appello di Firenze, assertivamente passata in giudicato e dalla quale ripeteva la competenza territoriale come giudice dell’esecuzione il Tribunale di Pistoia, era stata in realtà oggetto di restituzione nel termine per impugnare e pendeva per essa ricorso in Cassazione;
– con il secondo, violazione di legge processuale, giacchè la elezione di domicilio presso il difensore era stata effettuata nell’ambito della procedura di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e solo in tale ambito valeva e giacchè la elezione di domicilio prevale sulla dichiarazione di domicilio anche successiva, di modo che le notificazioni si sarebbero dovute effettuare al domicilio eletto per primo e non ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis o art. 161 c.p.p.;
– che comunque la richiesta di restituzione in termine andava accolta anche nell’incertezza della effettiva conoscenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Osserva il Collegio che il ricorso appare nel suo complesso infondato. La deduzione relativa alla incompetenza del Tribunale di Pistoia, per non essere irrevocabile la decisione d’appello che riguardava la sentenza da quello emessa, è sguarnita di elementi a conforto a fronte del dato risultante dal certificato penale e risulta inammissibilmente proposta per la prima volta in questa sede.
L’affermazione secondo cui la nomina di difensore di fiducia con contestuale elezione di domicilio presso di lui effettuata nell’ambito della procedura incidentale dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non varrebbe quale valida elezione di domicilio nel procedimento principale, anche quando sia ad esso espressamente riferita (come risulta dagli atti e rileva il provvedimento impugnato), è infondata alla stregua dei principi reiteratamente affermati da questa Corte in, tra molte: Sez. 1, Sentenza n. 35438 del 21/09/2006, Corsaro; Sez. 6, Sentenza n. 9066 del 21/11/2005, Calandruccio.
E’ infatti principio largamente condiviso che l’art. 161 c.p.p. non consente parcellizzazioni degli effetti della dichiarazione di domicilio per l’una o l’altra procedura incidentale nell’ambito di uno stesso procedimento e del resto, ricevendo gli atti del procedimento principale notificati al proprio assistito, il difensore di fiducia ha implicitamente riconosciuto la sua qualità di domiciliatario.
Inconferente è quindi la confusa esposizione sul dibattito circa la prevalenza da darsi al domicilio eletto rispetto al dichiarato ovvero alla manifestazione di volontà successiva (peraltro superato da S.U. n. 41280 del 17/10/2006, Clementi) in assenza di allegazioni circa la esistenza di una successiva diversa dichiarazione o elezione di domicilio.
Ed è impertinente il richiamo alla giurisprudenza secondo cui ai sensi dell’art. 175 c.p.p. in situazione di dubbio circa l’effettiva conoscenza deve riconoscersi al giudicato in contumacia il diritto ad essere rimesso in termini, in situazione quale quella in esame, di notificazioni effettuate al difensore di fiducia. La nomina di difensore fiduciario e l’elezione di domicilio presso di lui da un canto, l’accettazione da parte di questo delle notificazioni degli atti indirizzati all’assistito dall’altro, impongono infatti di presumere la persistenza del rapporto fiduciario e la possibilità di comunicazione tra legale e cliente. Presunzione che risulta peraltro confortata dal fax inviato il (OMISSIS) dal difensore al Giudice dell’udienza preliminare recante nomina di sostituto processuale e dalla lettera (OMISSIS) del difensore al suo assistito, pure in atti.
A fronte di tali elementi è del tutto generica perciò (e contraddetta dalla nomina e dichiarazione di domicilio nonchè dal fax prima richiamato, recanti il numero del r.g.n.r. del procedimento di cui si discute) l’asserzione che il ricorrente avrebbe senza sua colpa ignorato l’esistenza del procedimento.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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