Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-03-2011) 09-06-2011, n. 23206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CdA di Roma, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale C.F. e C.A.C., furono condannati alla pena di giustizia in quanto riconosciuti, il primo, responsabile di lesioni in danno di Ci.Ca., il secondo di lesioni, ingiuria e minaccia in danno del predetto.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, atteso che già il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare prescritti i reati, essendo trascorsi più di 5 anni tra la consumazione dei fatti ((OMISSIS)) e il primo atto interattivo. I giudici del merito sono stati di contrario parere, in considerazione del fatto che; a) il 28.5.2005 il PM emise avviso ex art. 415 bis c.p.p., chiedendo contestualmente, ai sensi art. 132 disp. att. c.p.p., n. 2, la fissazione dell’udienza, b) il 21.12.2006 il PM emise invito alla presentazione di persona sottoposta a indagini per il 12.1.2007, c) il 10.5.2007 fu emesso decreto di citazione a giudizio.

Orbene, l’unico atto validamente interruttivo è da considerarsi l’ultimo, intervenuto dopo 5 anni dal fatto. L’invito per rendere interrogatorio è da qualificarsi abnorme o quantomeno inutilizzabile, perchè intervenuto dopo la scadenza del termine per il compimento delle indagini preliminari e quindi quando il PM non era più legittimato a esercitare alcuna attività di indagine. I giudici del merito hanno sostenuto il contrario, ma la tesi è palesemente priva di fondamento. Il PM ha emesso il predetto invito dopo aver esercitato l’azione penale; lo stesso dunque non aveva interesse alcuno allo svolgimento dell’atto e si determinò a tanto, evidentemente, solo allo scopo di interrompere la prescrizione, 2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativa alla responsabilità di C.F..

Al proposito il giudice di secondo grado non ha minimamente esaminato le censure proposte con l’atto di appello. F. giunse sul posto, accompagnato da altro giovane e non vi è certezza che a dare manforte a C.A.C. sia stato proprio il figlio piuttosto che M.R.T. (vale a dire l’arto ragazzo). Lo stesso sostiene di aver parcheggiato l’auto a 100 m. dal luogo nel quale si svolsero i fatti, ma tale dichiarazione è oltremodo sospetta. In realtà i, giudici del merito affermano la responsabilità di entrambi gli imputati, facendo riferimento alle dichiarazioni relative alla condotta del solo C.A. C., 3) violazione di legge penale sostanziale e processuale, atteso che, con l’atto di impugnazione si faceva presente che i reati ascritti a C.A.C. sarebbero oggi di competenza del GdP e dunque dovrebbero essere puniti con la sola sanzione pecuniaria; ebbene, in tema di commisurazione della pena, la motivazione della CdA è del tutto incongrua, 4) ancora violazione di legge penale in quanto i reati devono comunque ritenersi prescritti, atteso che detta prescrizione è maturata tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione.
Motivi della decisione

La prima censura è infondata.

L’invito a presentarsi per rendere interrogatorio è atto idoneo a interrompere la prescrizione.

Nel caso in esame, esso non può ritenersi atto abnorme in quanto non è certamente da considerarsi avulso dalla logica dell’ordinamento processuale, nè costituisce manifestazione di potere che si esplichi al di fuori dei casi, in astratto, consentiti e delle ipotesi previste dalla legge. Nè esso ha determinato regressione alcuna nell’iter procedimentale.

La seconda censura è inammissibile in quanto manifestamente infondata e articolata in fatto.

Non corrisponde al vero che la CdA non abbia fornito risposta alle censure formulate con l’atto di impugnazione, atteso che essa, nella ricostruzione dell’accaduto, ha chiarito che le testimonianze sulle quali il C.F. vorrebbe far perno per inficiare la pronunzia nella parte in cui afferma la sua colpevolezza, attengo ad aspetti marginali della ricostruzione stessa.

A fronte delle ricordate dichiarazioni accusatorie provenienti dalla PO e del teste B.G., il ricorrente si limita ad avanzare un’alternativa (e meramente congetturale) rilettura del materiale probatorio raccolto e vagliato, giungendo a sostenere che il reale aggressore del Ci. potrebbe essere il T., vale a dire uno dei testi della difesa.

Ma – è il caso di ripeterlo – trattasi di una mera ipotesi, avanzata dal ricorrente che si contrappone – frontalmente, ma sterilmente – alla articolata ricostruzione operata nelle due sentenze di merito.

Tutto ciò premesso, si deve rilevare che la prescrizione (non quella "intermedia" invocata nel ricorso, ma quella "per interruzione") è maturata per tutti i reati.

In presenza di ricorso che sarebbe da dichiarare infondato (cfr. quanto sopra scritto a proposito della prima censura), la predetta causa estintiva deve ritenersi operativa.

Ciò, ovviamente, rende superfluo l’esame della censura sub 3), che attiene al trattamento sanzionatorio.

La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, ma, per le ragioni sopra illustrate, il ricorso va rigettato per quanto riguarda le statuizioni civili.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-06-2011) 24-06-2011, n. 25391 Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-06-2011) 24-06-2011, n. 25391

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Svolgimento del processo

1. La difesa di G.R. propone ricorso avverso l’ordinanza del 22/11/2010 con la quale il Tribunale di Napoli ha respinto il riesame proposto avverso l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti dal Gip di quel Tribunale il 10/10/2010 per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., commesso a far tempo dal novembre 2005, con condotta perdurante.

Si lamenta nel ricorso, con il primo motivo, erronea applicazione di legge, riguardo alle disposizioni di cui all’art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 649 cod. proc. pen. per avere il giudice, pur prendendo atto della preesistente emissione di analogo provvedimento per medesima imputazione, e riconoscendo la retrodazione dell’efficacia della misura, escluso l’annullamento del provvedimento impugnato.

Rivendicando la piena applicabilità in fase cautelare del principio di cui all’art. 649 cod. proc. pen. e richiamando la giurisprudenza di legittimità espressasi in senso conforme a tali allegazioni, la difesa ricorrente sollecita l’annullamento della pronuncia impugnata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. I precedenti delle sezioni unite di questa Corte richiamati dal ricorrente (Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, dep. 20/04/2004, imp. Donelli e n. 24655 del 28/06/2005, dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati), nei quali si fa riferimento all’applicazione in fase cautelare dell’art. 649 cod. proc. pen., e si evoca un divieto di cumulo delle misure, presuppongono quale elemento di fatto l’assoluta identità delle contestazioni, non ravvisabile nella specie ove l’interessato è stato raggiunto da due misure cautelari contenenti contestazioni associative, la più antica delle quali sviluppatasi in arco temporale limitato, intercorrente tra il 2006 ed il 2008, e la seconda che configura l’associazione come costituita nel 2005, e tutt’ora perdurante.

A fronte di tale evidente, e non negata, divergenza di fatto, deve escludersi l’applicabilità del principio di diritto richiamato, ed accertato che correttamente, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, che espressamente disciplina la situazione concreta descritta, è stata disposta dal giudice di primo grado la decorrenza del termine di custodia dall’esecuzione della prima misura, deve valutarsi l’inammissibilità del ricorso, con le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen., in punto di condanna alle spese del procedimento ed al pagamento della somma determinata come in dispositivo in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 15-07-2011, n. 6361 Procedimento

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

con il presente ricorso, i sigg.ri T.P., V.A. e T.M. hanno chiesto l’annullamento dei bandi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale 23.2.1993 n. 15, con cui il Ministero della Giustizia ha indetto concorsi riservati per esami negli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti;

Rilevato che l’istanza cautelare è stata accolta da questa Sezione, limitatamente alla ammissione con riserva dei ricorrenti alla procedura concorsuale per la immissione nella quinta qualifica, con ordinanza n. 882/1993 e che il relativo appello è stato respinto con ordinanza n. 1083/1993 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato;

Rilevato che, con memoria depositata in data 20 maggio 2011, i ricorrenti hanno chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere, avendo gli stessi preso parte alla procedura concorsuale collocandosi in posizione utile alla immissione in ruolo ed avendo l’amministrazione statale proceduto autonomamente all’immissione nell’anno 1994 senza formulazione di riserva alcuna in ordine all’esito del giudizio;

Rilevato che, dalla documentazione depositata in atti, emerge che i sigg.ri T.M. e T. P. sono stati dichiarati immessi nell’esercizio delle funzioni senza l’apposizione di alcuna riserva relativa all’esito del giudizio in corso, mentre non risulta documentazione relativa al sig. V.A.;

Rilevato che se l’amministrazione, nell’esercizio del potere di riesame, adotti una nuova determinazione non vincolata dalla mera esecuzione dell’ordinanza cautelare e questa sia pienamente satisfattiva per la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, deve essere dichiarata la cessata materia del contendere ai sensi dell’art. 34, co. 5, c.p.a.;

Ritenuto che l’immissione nell’esercizio delle funzioni dei sigg.ri M. e P. senza l’apposizione di alcuna riserva in ordine alla definizione del presente giudizio è indice di una manifestazione volitiva dell’amministrazione che non può ritenersi meramente esecutiva della pronuncia cautelare, anche perché quest’ultima è stata limitata alla ammissione con riserva alla procedura concorsuale per la immissione nella quinta qualifica, sicché costituisce un atto successivo ed indipendente dalla esecuzione della misura cautelare;

Ritenuto, pertanto, che, con riferimento ai ricorrenti M. e P., deve essere dichiarata cessata la materia del contendere, mentre, con riferimento al ricorrente Arena, deve essere disposta l’acquisizione in giudizio di copia degli eventuali atti con cui lo stesso è stato immesso nell’esercizio delle funzioni;

Riservata al definitivo ogni ulteriore decisione in rito, nel merito e sulle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

riservata al definitivo ogni ulteriore decisione in rito, nel merito e sulle spese, così provvede sul ricorso in epigrafe:

dichiara cessata la materia del contendere con riferimento ai ricorrenti T.M. e T. P.;

ordina al Ministero della Giustizia, con riferimento al ricorso proposto dal sig. V.A., il deposito presso la Segreteria della Sezione della documentazione indicata in motivazione entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione, se anteriore, della presente sentenza.

Fissa per il prosieguo l’udienza pubblica del 25 gennaio 2012.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 04-08-2011, n. 4678 Contratti Atti amministrativi Comunicazione, notifica o pubblicazione del provvedimento lesivo

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La E. s.r.l., aggiudicataria di 7 lotti (attraverso ribassi ricompresi tra il 46% e quasi il 92%) nella gara n. 7/2009 indetta da L. I. s.p.a. per la fornitura di antisettici e disinfettanti destinati agli enti sanitari lombardi, mediante sottoscrizione di convenzioni ai sensi dell’art. 26, comma 1, L. n. 488/99, impugnava dinanzi al TAR per la Lombardia il provvedimento del 2 marzo 2010 con cui la Stazione appaltante le aveva comunicato l’esclusione dalla procedura (recte: la decadenza dall’aggiudicazione) per mancata prestazione della cauzione definitiva ai sensi del paragrafo VI.1 del disciplinare di gara.

Veniva congiuntamente impugnato il bando di gara, nonché l’eventuale – e pur non nota- nuova aggiudicazione a terzi, con richiesta di annullamento e/o dichiarazione di invalidità, nullità e/o inefficacia dei contratti eventualmente conclusi per le stesse forniture di cui al ricorso con soggetti diversi da E. s.r.l..

La ricorrente domandava, infine, la condanna di L. I. s.p.a. al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata stipula del contratto di fornitura e, in ogni caso, al versamento dell’indennizzo previsto dall’art. 21quinquies della L. 7 agosto 1990, n. 241, eventualmente anche ai sensi dell’art. 1226 Cod. Civ., con interessi e rivalutazione monetaria.

A fondamento del gravame venivano dedotti, in sintesi, i seguenti motivi:

1) violazione della L. n. 241/1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento; 2) violazione del principio di tipicità dei provvedimenti, essendo stata adottata un’esclusione quando ormai la gara si era già conclusa; 3) violazione dell’art. 113 D.Lgs. n. 163/2006, per avere l’Amministrazione preteso di ancorare l’importo della cauzione definitiva da prestare al valore contrattuale posto a base di gara, piuttosto che all’effettivo valore contrattuale risultante dal prezzo di aggiudicazione; 4), 5) e 6) eccesso di potere e contraddittorietà tra le clausole del bando per l’eccessiva rilevanza attribuita al valore posto a base d’asta del singolo lotto, senza tener conto delle quantità presunte dall’Amministrazione, né comunque di quelle effettivamente acquistabili dagli enti sanitari.

La Stazione appaltante si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza delle doglianze avversarie e chiedendo la reiezione del ricorso.

Il T.A.R. adito respingeva il gravame con la sentenza in forma semplificata n. 1576 del 2010.

Avverso tale pronuncia veniva indi proposto il presente appello, con il quale la società in epigrafe riproponeva le proprie censure, argomentazioni e richieste, e criticava la sentenza appellata per averle disattese.

Resisteva all’impugnativa anche in questo grado la L. I., che eccepiva l’inammissibilità dell’appello per omessa impugnativa delle successive aggiudicazioni disposte per i lotti in questione e per altri profili, e ne deduceva comunque l’infondatezza nel merito.

La società ricorrente illustrava ulteriormente le proprie doglianze e deduzioni con una successiva memoria, con la quale insisteva per l’accoglimento dell’appello.

Entrambe le parti depositavano, infine, degli scritti di replica.

Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

La sicura infondatezza dell’appello esime la Sezione dall’intrattenersi su profili di rito, suggerendo di concentrare subito l’attenzione sul merito della controversia.

La gara intorno alle cui sorti si controverte, indetta da un’amministrazione che agisce come centrale di committenza, prevedeva l’aggiudicazione dei vari lotti con il criterio del massimo ribasso sull’importo pari alla base d’asta di ciascun lotto.

La non condivisibilità dei rilievi di ordine giuridicoformale svolti dall’appellante si rivela con particolare immediatezza.

1 E’ il caso della censura circa la omessa comunicazione di avvio del procedimento, atteso che, come ha già osservato il primo Giudice, gli atti di causa comprovano che la ricorrente ha avuto ampio modo di esporre le proprie ragioni in sede procedimentale.

Invero, alla richiesta del 20/11/2009 da parte di L. I. della consegna di una fideiussione a norma di bando, a pena di decadenza dall’aggiudicazione, E. ha potuto replicare già con la propria nota del seguente giorno 23, anticipando con completezza il proprio punto di vista sull’argomento.

A tanto la Stazione appaltante ha poi fatto seguire il proprio atto di riscontro del 9/2/2010, che, nel tenere ferma l’interpretazione della centrale di committenza, insisteva nella richiesta della garanzia dalle caratteristiche indicate, sempre con l’avvertenza che in difetto sarebbe stata applicata la misura della decadenza. Ma anche a tale nota la E. ha potuto replicare, il 18/2/2010, sempre prima della conclusione del procedimento.

La ricorrente non può quindi in alcun modo lamentare una carenza di preventivo contraddittorio, stante anche (al di là del carattere sostanzialmente vincolato della misura avversata, che già di per sé sarebbe decisivo) il pacifico principio giurisprudenziale secondo il quale l’eventuale omissione dell’adempimento prescritto dall’art. 7 della legge n. 241/1990 non è causa di illegittimità del provvedimento finale allorché il suo destinatario sia stato posto comunque in condizione di partecipare al procedimento (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 3/3/2009, n. 1207; VI, 20/1/2009, n. 258).

2 E’ parimenti evidente l’inconsistenza del rilievo con il quale, invocato il principio di tipicità degli atti amministrativi, si osserva che nessuna "esclusione" sarebbe stata in realtà possibile, dal momento che la gara in questione si era già conclusa con l’aggiudicazione definitiva.

Come ha bene osservato il T.A.R. lombardo, non può essere considerato alla stregua di un motivo di illegittimità dell’atto l’avere la Stazione appaltante adoperato la parola "esclusione" in luogo di quella, di "decadenza", conforme alla misura già preannunciata, e poi sostanzialmente assunta, in coerenza con le previsioni della lex specialis e dell’art. 113, comma 4, del D. Lgs. n. 163/2006.

Sotto questo profilo viene infatti in rilievo un chiaro -quanto ininfluente- errore materiale, che non mette in discussione la natura decadenziale del provvedimento che in concreto è stato assunto proprio nei termini che alla E. erano stati ampiamente anticipati.

Del resto, l’atto dà conto della precisa ragione che ne aveva giustificato l’adozione. Ed è noto che la qualificazione dei provvedimenti amministrativi non procede secondo criteri di pura interpretazione nominalistica e letterale, bensì alla stregua del potere che oggettivamente può reputarsi esercitato nel caso concreto.

3a Pure prive di pregio sono le critiche di contraddittorietà e di irragionevolezza svolte con il secondo e terzo motivo dell’originario ricorso, le quali introducono nel vivo della presente controversia.

La E. deduce che, mentre i documenti di gara evidenziano il fabbisogno stimato dalla Stazione appaltante per il periodo contrattuale per ciascun lotto, all’art. 1.1 del disciplinare, invece, il riferimento alle quantità presunte viene obliterato e sostituito da un criterio diverso, riflettente le quantità risultanti dall’applicazione alla base d’asta del valore di aggiudicazione.

La ricorrente assume, inoltre, con il mezzo successivo, l’irragionevolezza della differente disciplina delle quantità "presunte" e delle quantità "contrattuali".

Non si comprenderebbe, in particolare, il senso logico di una quantità dedotta solo per differenza tra i valori a base d’asta ed i valori di aggiudicazione; né si comprenderebbe la razionalità della scelta di rapportare l’impegno dell’aggiudicatario a siffatto valore, del tutto casuale e avulso dalle effettive esigenze regionali e, dunque, svincolato dalla realtà.

Viene altresì richiamata, con il primo mezzo, la inderogabilità della previsione dell’art. 113 del Codice degli Appalti, che esige che la cauzione definitiva sia rapportata all’importo contrattuale. La ricorrente ritiene errato pretendere la cauzione sulla base dell’importo indicato a base di gara, in quanto per "importo contrattuale" deve intendersi quello di aggiudicazione. Il prezzo unitario da essa offerto avrebbe dovuto pertanto essere moltiplicato per i quantitativi presunti di fornitura.

3b Osserva la Sezione, muovendo da quest’ultimo aspetto, che effettivamente l’art. 113 cit. àncora la cauzione definitiva all’importo del singolo contratto (cfr. anche l’art. 123 del d.P.R. n. 207/2010, che prevede che la garanzia venga "calcolata sull’importo di contratto"). E si può trovare ragionevole anche la tesi della non modificabilità, da parte delle Amministrazioni, dell’entità della garanzia da prestare, così come essa discende dai precisi criteri matematici dettati dalla norma del Codice (cfr., del resto, C.d.S., II, n. 2222 del 19 febbraio 2003 a margine dell’art. 30 della legge n. 109/1994).

Il punto da mettere a fuoco, però, è quello della corretta applicazione della suddetta disciplina a fattispecie di contratto come quella per cui è causa.

3c Nella normalità dei casi, l’importo contrattuale che rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 113 cit. corrisponde effettivamente alla base d’asta, così come diminuita dallo sconto proposto dall’aggiudicatario.

La Stazione appaltante ha però posto in giusta evidenza che la gara in discussione era destinata a portare alla sottoscrizione di convenzioni ex art. 26, comma 1, legge n. 488 del 1999, le quali hanno delle peculiarità rispetto ai comuni contratti delle PP.AA. che non siano centrali di committenza.

Qui l’impresa prescelta si impegna ad accettare gli ordinativi di fornitura deliberati dagli enti che si avvalgono della convenzione, alle condizioni da questa previste, sino a concorrenza di una quantità massima complessiva. L’effettivo importo contrattuale non è quindi rigidamente predeterminato: ciò che il fornitore fatturerà non è un dato noto a priori, ma dipende dagli ordinativi che saranno emessi dalle Amministrazioni legittimate a fruire della convenzione.

Per sottrarre simili accordi contrattuali alla patologia dell’indeterminatezza, occorre naturalmente che una soglia massima funga da tetto all’espansione degli ordinativi.

Tale soglia non deve però identificarsi forzosamente con il fabbisogno preventivabile nel periodo di vita del contratto: questo sia perché la prevedibilità di un simile fabbisogno è spesso del tutto indicativa e sommamente incerta, sia perché la Stazione appaltante che pure disponga di previsioni (ed è interprete quanto mai qualificata del loro grado di attendibilità) ha tutto il diritto di dimensionare l’impegno contrattuale da richiedere ai futuri contraenti parametrandolo su scenari di massimo bisogno, al fine di assicurare il soddisfacimento delle esigenze pubbliche anche in presenza di dinamiche al di là dell’ordinario prevedibile.

Da qui la possibile presenza di un importo massimo contrattuale complessivo diverso dalla mera proiezione del fabbisogno realmente atteso.

3d La convenzione delineata dalla lex specialis del caso concreto rientra puntualmente in questa cornice.

Il paragr. 1,1 del disciplinare stabiliva: "… con l’aggiudicatario di ciascun lotto L. I. S.p.A. stipulerà una Convenzione… con la quale l’aggiudicatario medesimo si obbliga ad accettare… gli ordinativi di fornitura emessi… sino a concorrenza dell’importo massimo contrattuale della Convenzione (di seguito anche solo "importo massimo contrattuale") pari alla base d’asta complessiva indicata per ciascun lotto…. Tuttavia, tale importo massimo contrattuale non è garantito al fornitore… ".

Alla convenzione si assegnava una durata di 18 mesi, peraltro prorogabile per ulteriori 9 mesi, dietro comunicazione di L. I. S.p.A., "qualora alla scadenza del termine non sia esaurito l’importo massimo contrattuale" (paragr. 1.2 del disciplinare).

Nel paragr. 4.1, inoltre, si puntualizzava che le quantità stimate (c.d. Qi) sono "stime del fabbisogno di prodotti nell’ambito dell’intera durata della Convenzione, effettuate al meglio delle possibilità e conoscenze attuali sui presunti profili di uso da parte degli Enti; tali quantità vengono pertanto fornite a titolo puramente indicativo sulla base di una stima effettuata allo stato delle informazioni rese… dai predetti Enti e sono determinate ai soli fini della valutazione delle offerte e non sono vincolanti ai fini contrattuali, atteso che, in caso di aggiudicazione, il Fornitore si impegna… sino a concorrenza dell’importo massimo contrattuale stabilito per ciascun lotto".

Nel paragr. 6.1, infine, si precisava che "Ai fini della stipula della Convenzione, l’aggiudicatario di ciascun lotto dovrà prestare, ai sensi dell’art. 113 del D.lgs. n. 163/2006, una garanzia fideiussoria pari al 10 % dell’importo massimo contrattuale della Convenzione".

3e Da queste univoche previsioni si desume, pertanto, che l’unico possibile "importo di contratto" cui parametrare l’ammontare della cauzione definitiva era, giusta il paragr. 6.1 del capitolato, il c.d. importo massimo contrattuale. Proprio a tale dato era difatti commisurato l’impegno obbligatorio del fornitore, mentre le "quantità stimate" erano state esposte quale mero indice ai fini della formulazione delle offerte (per dare ai concorrenti un ordine di grandezza dei prevedibili volumi della fornitura) e della loro successiva valutazione comparativa, ma erano prive di valenza contrattuale.

Ne consegue l’inconsistenza sia dell’asserto che la Stazione appaltante avrebbe determinato l’entità della cauzione "a proprio piacimento", sia dell’addebito di violazione, da parte sua, del disposto dell’art. 113 del Codice.

3f La Sezione non rinviene nemmeno la contraddizione che pure viene denunziata.

Una cosa è la stima di un fabbisogno, esercizio cui era sottesa (mai come in questo caso, in cui la Stazione appaltante era chiamata a preventivare le presumibili esigenze dell’intera sanità regionale) una considerevole incertezza; ed altro è la definizione del valoresoglia da assegnare al contratto quale limite massimo dell’impegno richiesto al fornitore, ai sensi dell’art. 1.1 del disciplinare.

Tra quantità "presunte" e quantità "contrattuali" non si rinviene, perciò, contraddizione alcuna, avendo le due grandezze nell’economia della lex specialis funzioni notevolmente diverse, e possedendo solo la seconda di esse valenza contrattuale.

3g Né è persuasiva la critica di irragionevolezza riproposta con il presente appello.

Al di là delle previsioni disponibili sui futuri fabbisogni, normalmente del tutto indicative ed incerte, ed in ogni caso rinvenienti l’interprete migliore del loro grado di attendibilità proprio nella centrale di committenza, a quest’ultima deve riconoscersi un’ampia discrezionalità nel dimensionare l’impegno contrattuale da richiedere ai futuri contraenti. E questa discrezionalità viene esercitata in modo non irrazionale parametrando tale impegno su scenari di massimo bisogno, come è avvenuto nella fattispecie, al fine di assicurare comunque il soddisfacimento delle esigenze pubbliche, anche in presenza di dinamiche esorbitanti dall’ordinario prevedibile.

Una volta maturato l’orientamento di impegnare i concorrenti oltre il livello delle "quantità presunte", d’altra parte, non si presenta manifestamente irrazionale la scelta di ancorare la relativa soglia all’ammontare della base d’asta di ciascun lotto, piuttosto che individuare un apposito dato ulteriore per la bisogna. E nemmeno può addursi, per quanto è stato già esposto, che una simile scelta abbia condotto a valori avulsi dalle esigenze regionali.

3h La E. lamenta, infine, che l’applicazione dei criteri previsti da L. I. determini uno stravolgimento dell’equilibrio che si imporrebbe fra la misura della prestazione contrattuale dovuta dall’aggiudicatario e l’entità della fideiussione presso questi esigibile. In particolare, per il lotto n. 20, la garanzia sarebbe stata chiesta per un importo pari a circa venti volte quello del valore presunto di aggiudicazione.

Vale però notare, a tale riguardo, che i partecipanti alla procedura, grazie alla chiarezza della disciplina di gara, ben conoscevano l’entità dell’esborso cui sarebbero andati incontro gli aggiudicatari per la prestazione della cauzione definitiva, ed avevano l’onere di tenerne adeguato conto nel formulare i loro ribassi.

Va poi ricordato ancora una volta che i "valori del contratto, realisticamente desumibili dai valori stimati", sui quali l’appellante pur comprensibilmente insiste, avevano solo una valenza meramente orientativa, mentre ciò che connotava e dimensionava l’impegno obbligatorio dell’aggiudicatario era, a norma di lex specialis e di contratto, unicamente la soglia costituita dall’importo massimo contrattuale.

Va infine condivisa l’osservazione del Tribunale che l’apparente irragionevolezza dell’importo della garanzia che si ricava è imputabile almeno per buona parte all’elevata percentuale (nell’esempio, il 92%) dei ribassi offerti.

4 Essendo state disattese le critiche svolte dall’appellante sulla legittimità degli atti gravati in prime cure, la loro emersa conformità a diritto non può non incidere inesorabilmente sulla fondatezza della richiesta risarcitoria pure esperita dalla E.. La presenza di un provvedimento amministrativo rivelatosi immune da vizi impedisce, infatti, la qualificazione come ingiusti dei pregiudizi ad esso astrattamente ricollegabili.

Né la ricorrente potrebbe ottenere l’indennizzo previsto dall’art. 21quinquies della L. 7 agosto 1990, n. 241, venendo qui in esame non già una discrezionale revoca di provvedimento amministrativo, bensì un atto dovuto di decadenza.

5 Le considerazioni svolte conducono, in conclusione, alla integrale reiezione dell’appello.

Le spese processuali del grado possono tuttavia essere compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.