CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE – ORDINANZA 9 settembre 2010, n.19253 AL GIUDICE AMMINISTRATIVO LE QUESTIONI IN MATERIA DI RIFIUTI, MA SOLO SE NON PATRIMONIALI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Preliminare, ai fini della decisione, è l’esame dell’atto introduttivo del giudizio di merito, posto che, secondo l’orientamento consolidato della Corte di legittimità, la giurisdizione deve essere determinata sulla base della domanda, con la specificazione che, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva, non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale tali fatti costituiscono manifestazione (v. da ultimo Cass. ord. 25.6.2010 n. 15323).

Ora, la società X srl ha chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della Y spa, affidataria del servizio di smaltimento rifiuti nella Regione Campania, per il pagamento della somma di euro 46.467,91 per l’attività di noleggio di mezzi caldo/freddo; decreto nei confronti del quale la Y spa ha proposto opposizione chiedendone la revoca ed eccependo, anche, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla base del disposto dell’art. 4 d.l. n. 80 del 2008, convertito nella l. n. 123 del 2008.

La controversia, quindi, ha ad oggetto il recupero di un credito vantato dalla X srl ed al giudice dell’opposizione spetterà di decidere solo se il credito azionato sussista o meno.

Al giudice del merito non è chiesto alcun sindacato sulla situazione soggettiva del soggetto privato a seguito dell’esercizio di un potere discrezionale da parte della P.A., ma solo la cognizione in ordine alla sussistenza del credito vantato.

È di tutta evidenza che si tratta di controversia in materia di pubblici servizi concernente canoni, indennità od altri corrispettivi, espressamente esclusa dalla giurisdizione del G.A. (Corte cost. n. 204 del 2004).

Una tale esclusione si argomenta dalle norme espresse in materia di concessioni ed appalti di pubblici servizi.

Nel primo caso, alla luce della declaratoria di parziale incostituzionalità, contenuta nella sentenza n. 204 del 2004, dell’art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 l. n. 205 del 2000, le controversie relative a concessioni di pubblici servizi sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ad eccezione di quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (v. per tutte S.U. ord. 6.3.2009 n. 5456; S.U. 8.10.2008 n. 24785).

Quanto alla materia degli appalti pubblici, la controversia relativa al pagamento dei corrispettivi di un contratto, appunto, di appalto di pubblici servizi, non rientra nella previsione di cui all’art. 33 d.lgs. n. 80 del 1998, ritenendosi applicabile il principio generale di cui all’art. 113 Cost., per il quale la tutela dei diritti soggettivi va chiesta al giudice ordinario (per tutte S.U., ord. 22.8.2007 n. 17829; v. anche S.U. 18.11.2008 n. 27346).

Né può essere seguito l’eccepito difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sollevato dalla società resistente con riferimento all’art. 4 del d.l. 23.5.2008 n. 90 convertito nella l. 14.7.2008 n. 123.

La norma posta a fondamento della tesi proposta non ne consente la sua condivisione, così come già deciso da queste Sezioni Unite con l’ordinanza 7.7.2010 n. 16032.

La Corte Costituzionale, infatti, con la sentenza n. 35 del 2010, ha dichiarato infondata (nei sensi di cui in motivazione) la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 90 del 2008, (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, sollevata in riferimento all’art. 103, primo comma, Cost..

La norma prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati; ed aggiunge che tale giurisdizione è estesa anche alle controversie relative a diritti costituzionalmente tutelati.

La Corte ha premesso la propria pregressa giurisprudenza (v. sent. n. 204/2004, n. 191/2006 e n. 140/2007) in materia di caratteri, condizioni e limiti della giurisdizione amministrativa esclusiva, ai fini della compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie a tale giurisdizione, sui presupposti: a) del coinvolgimento di situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse; b) dell’assegnazione, da parte del legislatore, al giudice amministrativo della cognizione non di “blocchi di materie”, ma di materie determinate; e c) che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità, e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi, che possono essere esercitati, sia mediante atti unilaterali ed autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio.

Ha, quindi, affermato che la disposizione impugnata, interpretata alla luce delle condizioni prescritte, non viola l’art. 103, primo comma, Cost..

E ciò perché il legislatore, nell’attribuire alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, ha, innanzitutto, individuato una particolare materia, rappresentata dalla gestione dei rifiuti, ed ha considerato l’attività amministrativa preordinata all’organizzazione od all’erogazione del servizio pubblico di raccolta e di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, la Corte ha chiarito che l’espresso riferimento normativo ai comportamenti della pubblica amministrazione deve essere inteso nel senso che quelli che rilevano, ai fini del riparto della giurisdizione, sono soltanto i comportamenti costituenti espressione di un potere amministrativo, e non anche quelli meramente materiali, posti in essere dall’amministrazione al di fuori dell’esercizio di un’attività autoritativa.

Concludendo, che quando vengono in rilievo questioni meramente patrimoniali, connesse al mancato adempimento da parte dell’amministrazione di una prestazione pecuniaria nascente da un rapporto obbligatorio, i comportamenti posti in essere dall’amministrazione stessa non sono ricompresi nell’ambito di applicazione della norma impugnata e rientrano, invece, nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Nella specie, la controversia – come già rilevato – ha ad oggetto il pagamento dei corrispettivi dovuti per la fornitura di macchinari alla società affidataria del servizio di smaltimento rifiuti. Trattasi, pertanto, all’evidenza di pretese pecuniarie nascenti da un rapporto obbligatorio di tipo privatistico, nell’ambito del quale le questioni dedotte sono di natura meramente patrimoniale, come tali al di fuori della giurisdizione del giudice amministrativo anche sotto il profilo esaminato.

Conclusivamente, la controversia in esame, avente ad oggetto una domanda di pagamento somme, attiene a posizioni di diritto soggettivo derivanti dal rapporto fra le parti in causa e non è riconducibile ad un procedimento amministrativo.

Non configura neppure una controversia “comunque attinente alla gestione dei rifiuti”, presupponendo, quest’ultima, l’esercizio di un potere autoritativo della P.A. (o dei soggetti ad essa equiparati) che è, invece, del tutto estraneo al rapporto obbligatorio dedotto in giudizio e che ha la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale, intesa a regolamentare gli aspetti patrimoniali della gestione (in questo senso v. anche S.U., ord. 11.6.2010, n. 14126 e precedenti ivi richiamati).

Va, pertanto, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della resistente.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Condanna la resistente al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro 3.700,00, di cui euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE – SENTENZA 29 giugno 2011, n.14319 PARCHEGGIO A PAMENTO E FURTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1.- I difensori della ricorrente Vinci ed Ottavi, all’odierna udienza, hanno lamentato di non aver ricevuto la comunicazione prescritta dall’art. 377 cod. proc. civ., secondo comma.

Il rilievo è infondato.

Infatti l’Axa Assicurazioni con comparsa, autenticata, del 17 aprile 2007, nel revocare il mandato all’avv. Domenico Mugnano, con studio in Milano conferito a questi e all’avv. Luigi Ottavi del foro di Roma presso il quale aveva eletto domicilio con procura speciale in calce al ricorso – non soltanto ha nominato in sua sostituzione l’avv. Paolo Vinci, con studio in Milano, ma ha altresì eletto domicilio in Roma presso io studio dell’avv. Maria Concetta Trovato. Pertanto la notifica dell’udienza dinanzi a queste Sezioni Unite è stata effettuata dall’ufficiale giudiziario in data 15 settembre 2010 a questo nuovo domicilio eletto dalla ricorrente.

2.- Con il primo motivo la ricorrente deduce: ‘Violazione di norme di diritto ex artt. 1766 – 1782 c.c.. Del deposito in generale e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 1571 – 1606 c.c.. Della locazione. Disposizioni generali’.

2.1 – Con il secondo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione della norma di diritto ex art. 7, comma primo, lettera f) dlgs del 1992 n. 285’.

2.2 – Con il terzo motivo: ‘Erronea interpretazione e/o valutazione dei documenti probatori e violazione degli artt. 1341, secondo comma, c.c. (Condizioni generali di contratto) e 1362, secondo comma, c.c. (Intenzione dei contraenti)’.

2.3 – Erroneamente la Corte di merito ha ricondotto il contratto alla locazione di area anziché al deposito disconoscendo il reale contenuto del rapporto e ignorando il dato normativo di cui agli artt. 1766 – 1782 c.c., relativi al contratto atipico di parcheggio, in cui il veicolo è affidato al gestore dietro il pagamento del corrispettivo con conseguente applicabilità della disciplina del deposito. Assiomaticamente quindi la Corte di merito, richiamando l’art. 15 della l. n. 122 del 1989 e l’art. 7 del C.d.S., ha ritenuto il parcheggio di Cascina Gobba senza custodia, ossia un parcheggio a monete o con dispositivo cartaceo di sosta, c.d. gratta e sosta, definibile anche come locazione di area. Invece dovrà esser confermato il consolidato orientamento di legittimità, secondo il quale il contratto di affidamento al gestore di un parcheggio di un automezzo è deposito o contratto atipico, con obbligo di custodia, poiché il servizio offerto attraverso la predisposizione di un’area di sosta, automatizzata per l’accesso, per il pagamento della prestazione e per il ritiro del veicolo, modalità che l’automobilista accetta all’atto dell’immissione – in particolare in prossimità di aeroporti, ospedali, supermercati, onde liberarsi del veicolo – lo inducono a confidare nel servizio di custodia, elemento essenziale del deposito, in cui il titolare dell’aerea di parcheggio, nel mettere a disposizione uno spazio, contemporaneamente assume la detenzione del veicolo, e questo comportamento oggettivo prevale su eventuali condizioni generali predisposte dall’impresa escludenti la custodia le quali, se richiamate nello scontrino o scheda rilasciati dagli apparecchi automatici, è legittimo ritenere sfuggano alla conoscenza dell’utente dato il modo rapidissimo con cui il contratto si è realizzato. Né la chiusura dell’auto a chiave, né la recinzione dell’aerea finalizzata alla riscossione del prezzo nella sosta a tempo, possono escludere la custodia ed il ragionevole affidamento dell’automobilista su di essa, pur se manca il personale addetto alla consegna e riconsegna delle auto, perché la moderna tecnologia ha sostituito i dipendenti con dispositivi automatizzati di accesso e uscita mediante schede magnetizzate, soprattutto nei grandi parcheggi metropolitani per quei viaggiatori che hanno interesse ad avvalersi non solo di un’area di sosta, ma anche della custodia. Il gestore quindi avrebbe potuto provvedere adottando un unico scontrino automatizzato per l’entrata e l’uscita, indicando la targa dei veicoli in modo da consentire il controllo della corrispondenza del numero all’uscita. Peraltro la struttura protettiva perimetrale dell’area utilizzata dal B. denotava la funzione di custodia e la sicurezza dei veicoli immessi, ed infatti egli aveva denunciato il furto di un’auto all’interno di un parcheggio custodito, mentre la locazione dell’area – che non ricorre nel caso di stazionamento di veicolo anche perché il depositante non consegna l’area ai depositario, ma questi gli consegna l’auto – non può esser recintata e deve consentire una molteplicità di vie di uscita, non protette e custodite.

2.4 – La delibera comunale n. 1740/1993 richiamata dalla Corte di merito è un atto politico e la normativa del 1989 n. 122 si riferiva ai parcheggi regolamentati con parchimetri. Ed infatti nella stessa delibera il Comune di Milano precisa che dopo l’entrata in vigore di detta legge, con delibera di urgenza del giugno 1989, la Giunta aveva deciso di far cessare il servizio di custodia nei parcheggi regolamentati da parchimetri estendendo poi la normativa speciale anche ai parcheggi di interscambio gestiti dall’ATM per attenuare il deficit di gestione. L’art. 7 del n.C.d.S, al primo comma, lettera f), precisa che nei centri abitati i Comuni possono con ordinanza del sindaco stabilire, previa deliberazione della giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe, e questa norma, come la legge delega, si riferisce a parcheggi regolati con meccanismi funzionanti con l’introduzione di monete, mentre nel caso vi siano una struttura protettiva perimetrale, le sbarre di ingresso e di uscita, le videocamere a circuito chiuso e il personale addetto alla sorveglianza, il parcheggio non può esser ricondotto a quello ‘gratta e sosta’ poiché ingenera l’affidamento in custodia. Né d’altra parte alla configurabilità di un contratto di parcheggio privato osta l’affidamento da parte del Comune della gestione del parcheggio. Quindi, poiché nel caso di specie l’auto non era stata immessa in un’area aperta, ma integralmente recintata, significa che non era destinata soltanto alla sosta e del resto anche la Corte di legittimità ha ritenuto che il pagamento progressivo e differenziato secondo la durata è legittimo soltanto per il parcheggio con custodia. Dunque il depositario si libera dalla responsabilità ex recepto provando che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile.

2.5 – Nel regolamento dell’area di parcheggio di (omissis) si afferma che è istituito un servizio di sosta regolamentata entro spazi delimitati dall’apposita segnaletica o indicati dal personale di sorveglianza a cui possono esser denunciati i danni. Pertanto il personale di sorveglianza espleta attività di custodia e quindi il B. ha accettato un servizio che, secondo le modalità di esecuzione, era con sorveglianza, come ha dichiarato nella denuncia di furto, e poiché il contratto deve esser interpretato secondo il principio di buona fede, la limitazione di responsabilità indicata nel regolamento non ha effetto ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ. se non espressamente approvata per iscritto e neppure conosciuta o conoscibile prima della conclusione, per adesione, del contratto, a norma degli artt. 1469 bis n. 10 e 1469 quinquies c.c. poiché la clausola affissa alle casse del parcheggio e sul biglietto di ingresso non poteva esser conosciuta prima della conclusione del contratto, che avviene proprio con l’immissione nel parcheggio dell’auto, e dovendo il comportamento della P.A., allorché fornisce servizi pubblici mediante contratti di diritto comune, esser improntato ai principi di correttezza e buona fede.

3.- I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati. Il quadro normativo di riferimento che disciplina il contratto di parcheggio a pagamento senza custodia è costituito da norme di rilevanza pubblica e di diritto privato.

Infatti, la legge [Tognoli] del 1989, n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del Testo Unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con d.P.R. del 1959, n. 393. Ecologia) – emanata (cfr. Relazione governativa sul disegno di legge e dibattito parlamentare che ne ha preceduto l’approvazione) per ovviare ad una situazione di grave disagio e di concreti danni, divenuta ‘all’improvviso polo di riferimento dell’attenzione collettiva’ per la gravità che nelle aree a grande intensità, in specie negli ultimi anni, a seguito dell’aumento dei veicoli circolanti, ha assunto il problema ‘della paralisi della circolazione che, rallentando i tempi delle comunicazioni e del trasporto, influisce direttamente e negativamente sulla produzione nazionale… danneggia lo svolgimento degli affari e delle relazioni commerciali… mette a rischio le stesse condizioni di salute dei cittadini a cagione dell’aumento dell’inquinamento atmosferico e di quello acustico, tale da compromettere in modo serio e forse irreparabile lo sviluppo dell’intero Paese ed il benessere, non soltanto fisico, dei suoi abitanti’ – ha stabilito (art. 3) ‘di consentire la realizzazione e l’organizzazione di un servizio essenziale per le città e per i loro abitanti, a salvaguardia di esigenze primarie dei singoli e dell’intera collettività nazionale’. A tal fine ‘le Regioni, entro 150 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, individuano i Comuni… i quali, sulla base di una preventiva valutazione del fabbisogno e tenendo conto del piano urbano del traffico… sono tenuti alla realizzazione del programma urbano dei parcheggi. Tale programma deve tra l’altro indicare le localizzazioni ed i dimensionamenti, le priorità di intervento ed i tempi di attuazione, privilegiando le realizzazioni volte a favorire il decongestionamento dei centri urbani mediante la creazione di parcheggi finalizzati all’interscambio con sistemi di trasporto collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli a due ruote, nonché le disposizioni necessarie per la regolamentazione della circolazione e dello stazionamento dei veicoli nelle aree urbane’, (art. 5.1) Pertanto, ‘Per l’attuazione del piano il Comune interessato provvede alla progettazione ed alla esecuzione dei lavori, nonché alla gestione del servizio direttamente ovvero mediante concessione di costruzione e gestione con affidamento a società, imprese di costruzione anche cooperative, loro consorzi. Per le opere da ammettere ai contributi previsti dall’articolo 4, la concessione è subordinata alla stipula di una convenzione redatta secondo gli schemi-tipo predisposti dal Ministro per i problemi delle aree urbane di concerto con il Ministro del Tesoro e diretta, tra l’altro, a garantire l’equilibrio economico della gestione. A tal fine il Comune è tenuto ad inviare al Ministro per i problemi delle aree urbane copia dell’atto di concessione e della convenzione stipulata’. Perciò (art. 6.1) ‘I Comuni [di quindici maggiori città]., tra cui Milano., formulano entro 150 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge un programma urbano dei parcheggi per il triennio 1989 – 1991. Il programma deve essere redatto… indicando, tra l’altro, le localizzazioni, i dimensionamenti, le priorità di intervento nonché le opere e gli interventi da realizzare in ciascun anno; il programma dovrà privilegiare le realizzazioni più urgenti per il decongestionamento dei centri urbani mediante la creazione di parcheggi finalizzati all’interscambio con sistemi di trasporto collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli a due ruote….’ (art. 8). ‘Per l’attuazione degli interventi la Cassa depositi e prestiti è autorizzata a concedere ai Comuni i mutui occorrenti. Per le medesime finalità il Fondo centrale di garanzia per le autostrade e ferrovie metropolitane,… è autorizzato ad erogare… contributi in conto interessi a ( fronte di contratti di mutuo da essi stipulati per il finanziamento delle infrastrutture’.

Quindi la suddetta legge, al fine di coordinare le norme precitate con la disciplina del codice della strada, con l’art. 15 ha disposto: ‘Al quinto comma dell’articolo 4 del Testo Unico delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con d.P.R. del 1959, n. 393 e successive modificazioni, è aggiunta infine la seguente lettera: Comuni possono… d) stabilire con deliberazione del consiglio comunale aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo della durata, anche senza custodia dei veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe’, e ‘i commi ottavo e decimo dell’articolo 4 del medesimo Testo unico sono rispettivamente sostituiti dai seguenti: qualora il Comune assuma l’esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dia in concessione ovvero disponga l’installazione dei dispositivi di controllo della sosta di cui al quinto comma, lettera d) – precitato – su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze deve essere autorizzato un adeguato parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo della sosta.

3.1- Le disposizioni contenute nel d.P.R. del 1959, n. 393, sono state confermate dal dlgs del 1992, n. 285 e successive modificazioni. Infatti l’art. 4, quinto comma, lett. a, b, c, dei primo decreto contenente le norme sulla circolazione stradale conferivano al Sindaco il potere di stabilire con ordinanza aree sulle quali autorizzare il parcheggio dei veicoli con e senza custodia, ma – art. 3, sesto comma del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1959, n. 420 – anche in quest’ ultimo caso con possibilità di ‘uso di mezzi e dispositivi atti al controllo del tempo di sosta’ (definito dall’art. 115 ‘arresto del veicolo protratto nel tempo con possibilità di allontanamento da parte del conducente’) – [fermo l’obbligo di destinare anche aree autorizzate a parcheggio libero non a pagamento (art. 3, quinto comma d.P.R. del 1959, n. 420]. L’art. 3, primo comma, n. 34, del dlgs del 1992 n. 285, definito il parcheggio come ‘area o infrastruttura posta fuori della carreggiata, destinata alla sosta regolamentata o non dei veicoli’ – nel ribadire che ‘la sosta è la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità di allontanamento da parte del conducente (art. 157, comma 1, lett. c)’, ha riaffermato il potere del Sindaco di regolamentare la circolazione nei centri abitati stabilendo [art. 7. 1 – lett. f]: ‘.. previa deliberazione della Giunta, aree destinate al parcheggio – da ubicare preferibilmente fuori della carreggiata (art. 7.6, omologo dell’art. 4, settimo comma d.P.R. del 1959, n. 393 ‘le aree indicate nel quinto comma debbono essere ubicate possibilmente fuori della carreggiata e comunque in modo che il parcheggio non ostacoli lo scorrimento del traffico’) – sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta – le cui caratteristiche, modalità costruttive, procedura di omologazione e criteri di installazione e di manutenzione sono stabiliti con decreto del Ministro dei LL.PP., di concerto con il Ministro per i problemi delle aree urbane (art.7.5, omologo dell’art. 3, ultimo comma del regolamento approvato con d.P.R. del 1959 n. 420) – anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle Direttive dei Ministero dei LLPP di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri., ed i cui ‘proventi.. sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi.. e le somme eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana (art.7.7)’, ribadendo che (art. 7.8). ‘Qualora il Comune assuma l’esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dia in concessione, ovvero disponga l’installazione dei dispositivi di controllo di durata della sosta di cui al comma 1, lett. f), su parte della stessa area, o nelle immediate vicinanze, deve riservare una adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta’, da appositamente segnalare (art. 7.10).

Quindi, dai complesso di norme surrichiamate si evince che il legislatore ha rimesso la regolamentazione della sosta e del parcheggio e il pagamento per il tempo di sosta – termini equivalenti, come si desume anche dall’art. 157, comma 6, del DLGS 285 del 1992 secondo il quale nella sosta a tempo limitato deve esser segnalata l’ora di inizio – al potere deliberante della giunta comunale e del Sindaco per motivi di pubblico interesse.

Questo assetto normativo, compresa la possibilità di sosta a pagamento senza custodia del veicolo, è stato ritenuto conforme alle norme (artt. 76, 16 e 23) e ai principi costituzionali – Corte Costituzionale sentenza 29 gennaio 2005 n. 66 – poiché ‘il precetto di cui all’art. 16 non preclude al legislatore la possibilità di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione. In particolare l’uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere. La tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi in gioco: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’uso indiscriminato del mezzo privato. Si tratta pur sempre, però, di una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza’.

Peraltro, prosegue la Corte Costituzionale ‘il pagamento per la sosta del veicolo sfugge sia alla nozione di tributo che a quella di prestazione patrimoniale imposta; esso è configurabile piuttosto come corrispettivo, commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta, di una utilizzazione particolare della strada, rimessa ad una scelta dell’utente non priva di alternative; sicché il corrispettivo risulta privo di uno dei fondamentali requisiti che questa Corte ha ritenuto indispensabile affinché possa individuarsi una prestazione patrimoniale imposta; e ciò esclude che debba essere assistito dalla garanzia prevista dall’art. 23 Costituzione’.

La giurisprudenza di legittimità ha poi aggiunto che (Cass. 15 settembre 2009 n. 19841) il suddetto costo è legittimo anche perché l’area pubblica, pur se concessa ad un’impresa, non è sottratta all’uso generalizzato, che permane pur se la gestione persegue un reddito, peraltro da investire nell’installazione, costruzione e gestione di parcheggi e per migliorare la mobilità urbana (art. 7.7 dlgs del 1992 n. 285).

3.1 – È dunque evidente che nelle zone urbane ad alta densità in cui sussiste la finalità sociale e pubblica di snellire il traffico la disciplina applicabile al contratto di autoparcheggio trova fondamento nell’interesse primario del conducente di parcheggiare l’auto in zone in una certa misura sorvegliate, e nell’interesse pubblico di incentivare la sosta dei veicoli a tariffe contenute, fissando le relative condizioni in modo da prestare un servizio non particolarmente oneroso né per il gestore, né per l’utente, salvaguardando l’equilibrio economico delle parti e il reciproco principio di buona fede, nonché il potere normativo di impresa se il servizio è concesso dal Comune ad un professionista (art. 33, primo comma, decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206).

Ne consegue che la scelta tra i due tipi di parcheggio normativamente disciplinati nei centri urbani dalla surrichiamata legislazione è rimessa all’utente: se il suo interesse concreto prevalente è di concludere un contratto che gli assicura uno spazio per lo stazionamento del veicolo in prossimità di luoghi di interscambio con sistemi di trasporto collettivo a cui intende accedere velocemente e senza incorrere in divieti sanzionati dal codice della strada (art. 158 dlgs del 1992 n. 285), pagando la somma corrispettiva della prestazione del gestore – mettere a disposizione un’area – senza trasferire la detenzione del veicolo al personale eventualmente preposto alla sorveglianza del parcheggio, e purché l’avviso dell’esclusione della custodia sul veicolo sia apposto in modo da esser adeguatamente percepibile prima della conclusione del contratto secondo le modalità predisposte dal proponente (artt. 1326, primo comma, e 1327 cod. civ.), si configura il contratto di parcheggio senza custodia, e senza che l’esclusione di questa attività debba esser contenuta in una clausola da sottoscrivere ai sensi art. 1341, secondo comma, cod.civ. poiché è oggetto di proposta negoziale, manifestata prima dell’accettazione di essa, e perciò, se richiamata in una clausola negoziale, è efficace a norma della legge 6 febbraio 1996 n. 52 [e valida a norma dell’art. 33, secondo comma, lettera 1) dlgs dei 2005 n. 206], non potendosi presumere nessuna vessatorietà di essa poiché le caratteristiche del servizio da fornire secondo le modalità indicate non sono determinate successivamente alla conclusione del contratto stesso, né attengono ai suoi effetti o garanzie legali, ovvero alla limitazione di adempimento di obblighi o esonero di responsabilità (Cass. 7 febbraio 2003 n. 1833).

Qualora invece l’utente intenda assicurarsi non solo l’utilizzazione dell’area, ma anche la conservazione e la restituzione del veicolo nello stesso i stato in cui lo ha consegnato – anche senza le chiavi (Cass. 3 dicembre 1990 n. 11568), se il posteggiatore non è incaricato del posizionamento di esso, e ancorché chiuso con inserimento di sistemi di allarme e sicurezza, accorgimenti di solito necessari ai fini della validità della polizza assicurativa e idonei ad escludere la custodia degli oggetti all’interno dell’abitacolo – si configura il contratto di parcheggio con custodia a cui è applicabile la disciplina sui deposito, contratto a struttura reale (art. 1766 cod. civ.: ‘…il contratto con il quale una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura’ – Cass. 14 gennaio 1977 n. 189, 16 novembre 1979 n. 5959, 25 febbraio 1981 n. 1144, 22 dicembre 1983 n. 7557, 2 marzo 1985 n. 1787, 12 dicembre 1989 n. 5546/1989, 23 agosto 1990 n. 8615) perché funzione prevalente dei contratto ed obbligazione caratteristica del gestore del parcheggio è l’espletamento della custodia dell’auto, e perciò egli deve adottare cure e cautele – come ad esempio apporre videocamere o personale per la sorveglianza a distanza, installare sistemi dotati di allarme per l’uscita da vie diverse da quelle indicate – e svolgere attività idonee all’adempimento di tale obbligo e a tutelare l’utente dal rischio di furto del veicolo (art. 1177 cod.civ.), il cui costo questi paga anche in proporzione al valore del veicolo, che incide sulla difficoltà della prestazione, ed in cui il danaro è anche misura della diligenza nell’esecuzione di essa (criterio analogico desumibile dall’art. 1768, secondo comma, cod. civ.). Ed infatti nel caso di autorimessa, in cui l’obbligo di dare l’utilizzazione di area delimitata è accessorio alla prevalente prestazione di espletare il servizio di custodia, questo è proporzionalmente remunerato.

Pertanto operazione ermeneutica preliminare per individuare la disciplina applicabile è accertare il tipo di contratto di parcheggio concluso – con o senza custodia – in base alla volontà manifestata dalle parti che si integra e si coordina, funzionalmente, giuridicamente ed economicamente con le prestazioni individuanti l’oggetto di esso: offerta di godimento di un’area a pagamento – riservata per legge con provvedimento dell’autorità competente (artt. 4, secondo comma, lettera a) del d.P.R. del 1959 n. 393 e 3 del Regolamento approvato con d.P.R. del 1959 n. 420) – per parcheggiare per prevalenti finalità di pubblico interesse – e cioè decongestionare il traffico privato nelle grandi città e agevolare il collegamento pubblico da e con località limitrofe – desumibili anche dall’ubicazione dell’area in prossimità di servizi di trasporto pubblico (stazioni auto pubbliche o ferroviarie, metropolitane) – o offerta di area di sosta per parcheggiare un’auto in uno spazio in cui, ancorché sussista un interesse collettivo ad accedere ad un servizio limitrofo, pubblico o privato, il costo remuneri il gestore dal rischio del trafugamento del veicolo, che egli assume.

Ne consegue che se invece le parti si sono accordate sulla qualificazione del contratto come parcheggio senza custodia, significa che hanno escluso l’obbligo del gestore di controllare che il veicolo venga prelevato soltanto da colui che lo ha parcheggiato, e perciò non può essergli richiesta in fase esecutiva del rapporto una prestazione ulteriore a quella offerta ed accettata dall’utente, rimasta estranea al procedimento di contrattazione, e su cui è stato parametrato il corrispettivo da pagare, né, in presenza di tale espressa volontà negoziale, la responsabilità ex recepto del gestore può trovare il suo fondamento nel criterio sussidiario della buona fede dell’utente, ovvero esser originata dall’obbligo di protezione del medesimo derivante dall’art. 1177 cod.civ. sul presupposto che comunque nel contratto di parcheggio è ravvisabile una funzione prevalente di deposito derivante dal controllo altrui sul luogo in cui è lasciato il veicolo, che perciò è esposto ad uno specifico rischio di danno, non essendo ipotizzabile tale principio di ordine generale prevalente sul perseguimento di un interesse pubblico sociale rilevante qual’è lo stazionamento di un veicolo in una zona di sosta a costo sostenibile, senza custodia.

Né può ritenersi che i presupposti per tutelare l’affidamento incolpevole dell’utente sulla custodia sono costituiti dalle modalità con cui è offerta al pubblico la prestazione, e cioè l’apparente predisposizione del servizio – area recintata o chiusa, autosilo, sbarra meccanica di entrata e uscita del parcheggio – perché se la custodia è univocamente esclusa, le strutture ed i meccanismi predisposti costituiscono modalità organizzativa del gestore per lo stazionamento dei veicoli, volte a delimitare l’area ad esso destinata per escluderla dalla viabilità – come prescrive la normativa innanzi richiamata del codice della strada – e ad impedire, mediante meccanismi automatizzati di controllo o personale a tal fine addetto, la gratuita utilizzazione dell’area, garantendo invece al gestore la riscossione del corrispettivo della sosta – progressivo e differenziato secondo la durata, e perciò rapportato al tempo dell’occupazione del suolo altrui – prima di consentire l’uscita del veicolo, conformemente alle indicazioni solitamente scritte nello scontrino, automatizzato e non personalizzato – poiché non è richiesto nessun riconoscimento personale per ritirare il veicolo – tipico mezzo per lo scambio delle prestazioni negli affari di massa a conclusione rapida e semplice (mass market transactions), senza possibilità di adottare particolari accorgimenti identificativi del fruitore del servizio – e documento di prova del tempo dell’utilizzazione dello spazio messo a disposizione.

4.- Nella fattispecie la Corte di merito di Milano ha accettato che il Comune di questa città, con delibera del 6 agosto 1993, ha predisposto un’area di parcheggio sorvegliato senza custodia, concessa in gestione all’A.T.M., nella zona di (omissis), in prossimità della stazione della metropolitana milanese, e che il B. ha accettato questo servizio posteggiando l’auto in detta area. Perciò ha ritenuto concluso tra dette parti un contratto di parcheggio incustodito, e, poiché fondato nelle innanzi richiamate norme dei codice della strada volte al perseguimento del pubblico interesse allo snellimento del traffico e all’incentivazione all’uso del mezzo pubblico, e nell’interesse concreto del B., prevalente su quello alla custodia del veicolo, a reperire velocemente uno spazio di stazionamento in prossimità di mezzi di trasporto pubblico, a costi proporzionati al servizio reso, l’ha ritenuto valido ed efficace. Accertato poi che il gestore ha adempiuto agli obblighi assunti, ha ritenuto il rapporto giuridico che ne è derivato rispettoso del sinallagma tra le rispettive prestazioni (corrispettivo per la locazione o comodato del c.d. posto auto e responsabilità limitata alla struttura dell’area). Di conseguenza la Corte ambrosiana ha legittimamente confermato l’esclusione della responsabilità dell’A.T.M. per il danno derivato dal furto dell’auto parcheggiata dai B. nell’area di (OMISSIS) e il rigetto della domanda risarcitoria che l’assicurazione ha proposto nei confronti dell’azienda di trasporto surrogandosi al danneggiato.

La decisione è conforme a diritto ed immune da vizi logici dovendosi osservare inoltre che la mancanza di sperequazione tra le prestazioni ed il contenimento delle tariffe permette la fruizione diffusa del servizio di parcheggio che il Comune offre anche senza custodia per perseguire i suddetti interessi pubblici, poiché se invece il costo del parcheggio dovesse remunerare una custodia idonea ad assicurare la persistente vigilanza del veicolo da parte del gestore fino al ritiro di esso da parte dell’utente, il servizio diverrebbe limitato soltanto a coloro che pagano una tariffa proporzionata agli strumenti e meccanismi di ordine tecnico, ambientale e strutturale adottati.

Pertanto il ricorso va respinto ed il contrasto di giurisprudenza è composto con l’affermazione del seguente principio di diritto: ‘L’istituzione da parte dei Comuni, previa deliberazione della Giunta, di aree di sosta a pagamento ai sensi dell’art. 7, primo comma, lettera f), d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (codice della strada), non comporta l’assunzione dell’obbligo del gestore di custodire i veicoli su di esse parcheggiati se l’avviso ‘parcheggio incustodito’ è esposto in modo adeguatamente percepibile prima della conclusione del contratto (artt. 1326, primo comma, e 1327 cod. civ.) perché l’esclusione della custodia attiene all’oggetto dell’offerta al pubblico (art. 1336 cod. civ.), e l’univoca qualificazione contrattuale del servizio, reso per finalità di pubblico interesse, normativamente disciplinate, non consente il ricorso al sussidiario criterio della buona fede, ovvero al principio della tutela dell’affidamento incolpevole sulle modalità di offerta del servizio (quali ad esempio l’adozione di recinzioni, di speciali modalità di accesso ed uscita, dispositivi o personale di controllo), per costituire l’obbligo della custodia, potendo queste costituire organizzazione della sosta.

Ne consegue che il gestore concessionario dei Comune di un parcheggio senza custodia non è responsabile del furto del veicolo in sosta nell’area all’uopo predisposta’.

Si compensano le spese del giudizio di cassazione per le oscillazioni anche recenti della giurisprudenza di legittimità e le frastagliate pronunce di merito sulla questione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 17-01-2011, n. 58 Edilizia popolare ed economica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in date 11 aprile 1992 e ritualmente depositato il successivo 9 maggio, il Sig. L.R. ha impugnato l’ordinanza meglio distinta in epigrafe, con la quale il Sindaco del Comune di Salerno ha disposto nei suoi confronti la decadenza dell’assegnazione dell’alloggio ai sensi della L.n. 219/81 e quindi ordinato lo sgombero dello stesso per mancata occupazione. Ha quindi sollevato, sotto distinti e concorrenti profili, i vizi della violazione di legge e dell’eccesso di potere, per i seguenti motivi: l’ordinanza impugnata sarebbe priva di adeguata motivazione; l’atto sarebbe privo del presupposto perché il ricorrente abiterebbe stabilmente l’alloggio assegnato; sarebbe stata omessa l’esatta indicazione delle norme violate; non sarebbe stata consentita la partecipazione del ricorrente per non essergli stata notificato il rapporto dei Vigili Urbani che ha dato corso all’ordinanza impugnata.

Ha concluso invocando l’annullamento degli atti impugnati.

Si è costituito il Comune di Salerno resistendo.

Alla Camera di Consiglio del 20 maggio 1992 la domanda di sospensiva è stata respinta.

Alla pubblica udienza del 25 novembre 2010 il ricorso, sulle conclusioni delle parti costituite, è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I. Il ricorso all’attenzione del Collegio verte sulla legittimità dell’ordinanza di sgombero emessa dal Sindaco di Salerno nei riguardo del ricorrente relativa ad alloggio precedentemente assegnato ai sensi della L.n. 219/81.

II. Il ricorso è infondato.

III. Va liminarmente disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da parte resistente, secondo cui la controversia verterebbe su posizioni di diritto soggettivo, avuto riguardo alla formula dell’art. 11, comma 13, d.P.R. n. 1035/72 in materia di decadenza e revoca dell’assegnazione di alloggio concesso ex lege n. 219/81. L’eccezione va disattesa alla luce dell’orientamento del Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa, secondo cui "Il provvedimento, che dichiara la decadenza dall’assegnazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica per mancata occupazione dello stesso, deve essere espressivo di un corretto contemperamento dei delicati interessi in gioco e deve fondarsi su un’adeguata istruttoria ed una congrua motivazione, da cui risultino gli elementi valutati dall’Amministrazione e l’iter logico da essa seguito per pervenire alla determinazione assunta" (C. Stato, sez. IV, 09 luglio 2010, n. 4473). La piattaforma valutativa alla quale l’Amministrazione accede pertanto riflette apprezzamenti di carattere discrezionale che comportano l’emersione di posizioni di interesse legittimo, appartenenti in quanto tali alla sfera giurisdizionale del giudice amministrativo.

L’eccezione in esame va conclusivamente respinta.

IV. Non persuade innanzitutto la censura, articolata nell’ambito del primo e terzo motivo di gravame, con la quale si lamenta che l’Amministrazione sarebbe incorsa nell’articolato vizio del difetto di motivazione, in quanto sia l’ordinanza sindacale che la previa delibera giuntale, parimenti impugnate, contengono esatto riferimento alle ragioni poste a base della contestata determinazione, evidenziandosi che il ricorrente "non occupa l’alloggio" assegnatogli. Per giunta, nel corpo della delibera di Giunta Municipale n. 4990 del 13.12.91, espressamente richiamata nella successiva ordinanza n. 81 del 18.3.92, che costituisce quindi parte integrante della motivazione, si richiama a fini applicativi sia il punto X del bando di concorso, nella parte in cui "prevede, tra l’altro, la decadenza nei confronti di chi non abiti stabilmente nell’alloggio assegnatogli", sia gli artt. 11 e 17 del d.P.R. n. 1035/72, ancorché ritenuti applicabili alla fattispecie soltanto in sede analogica. Ordunque, disattesa la censura del difetto motivazionale, siccome, per le anzidette ragioni, da ritenere priva di pregio, occorre verificare la fondatezza del rilievo, anch’esso mosso nel contesto del primo articolato motivo di gravame, con il quale si contesta la circostanza in fatto della stabile occupazione di alloggio diverso da quello assegnato e, in punta di diritto, la inapplicabilità al caso di specie del combinato disposto degli artt. 11 e 17 del d.P.R. richiamato. Non persuade il primo versante della censura, che – come detto – impinge nella dinamica fattuale della vicenda, in quanto essa è adeguatamente lumeggiata dagli accertamenti espletati dalla Polizia Municipale di Salerno, secondo le stesse risultanze poste a base degli atti impugnati. Invero, nel rapporto VV.UU. prot. n. 946 del 26/10/91 è detto che il ricorrente "non abita l’alloggio assegnatogli dal fabbricato 1 scala A piano 1 int. 2 di Ogliara", in quanto "il R.L. unitamente al proprio nucleo familiare, abita alla via L. Cavaliero n° 44 piano III int. 9, in un appartamento composto da tre vani ed accessori (n° tel. 25.26.34)". Il tenore sfavorevole degli accertamenti espletati è invero corroborato anche dalla intestazione del servizio telefonico, come si desume dalla copia dell’elenco abbonati allegata agli atti del giudizio, in quanto in corrispondenza del nominativo del ricorrente è riportato l’indirizzo di Via Cavaliero n. 44 invece di quello relativo all’alloggio assegnatogli. Ad ogni modo, parte ricorrente non corrobora le proprie contestazioni da alcun elemento probatorio che denoti una diversa dinamica della vicenda, di talché, per le ragioni evidenziate, non rimane al Collegio apprezzare sfavorevolmente la censura, che pertanto va disattesa.

Pari esito sfavorevole va riservato al profilo di censura che attiene alla individuazione della disciplina di riferimento, potendosi constatare che la fattispecie della mancata stabile occupazione dell’alloggio è sanzionata con la decadenza dall’art. 11, comma 10 del d.P.R. n. 1035/72, così come irrogata con gli atti impugnati, che pertanto sono da ritenere immuni alla relativa doglianza.

V. Denota infine l’infondatezza del quarto ed ultimo motivo di gravame, con il quale si denuncia l’omessa partecipazione procedimentale, il fatto che, come riportato nella delibera di G.M. n. 4990/91, il ricorrente "benché invitato con raccomandata prot. n. 1544/94484 dell’8/11/91 alla presentazione di controdeduzioni ai sensi dell’art. 16 D.P.R. 1035/72, non ha fatto comunicazione alcuna". Tale circostanza, comprovata in atti mediante copia del relativo avviso di ricevimento, costituisce tangibile segno dell’avvenuta attivazione del momento dialogico in epoca antecedente alla emanazione degli atti impugnati, con conseguente infondatezza della censura in esame.

Anche tale motivo va quindi disatteso.

In conclusione, il ricorso va respinto siccome del tutto infondato.

VI. Sussistono nondimeno giusti motivi, attesa la peculiarità della vicenda, per integralmente compensare tra le parti spese ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, n. 991/92, lo respinge, come da motivazione.

Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 02-02-2011) 07-02-2011, n. 4446

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro ha ritenuto sussistenti le condizioni per l’accoglimento dell’estradizione richiesta dal governo australiano nei confronti di D.C.G., colpito da due ordini di cattura internazionali (n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS)), emessi in data 2 marzo 2010 dal Tribunale di Balmain (Australia), per il duplice omicidio consumato il 6 maggio 2009 ai danni di F.A. e F.M..

Secondo la Corte territoriale esistono i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’estradando, in quanto le indagini riferite nella richiesta dell’autorità australiana hanno accertato: a) che tra D.C.G. e F.A. esistevano forti contrasti, che avevano determinato aggressioni e minacce da parte del primo nei confronti dell’altro; b) che il (OMISSIS) D.C.G. si è recato presso l’abitazione di F.A. indossando una parrucca e con il volto coperto da una sciarpa; c) che nel corso della colluttazione tra i due D.C. ha perso la sciarpa, poi rinvenuta sul luogo del delitto; d) che sulla sciarpa sono stati rilevati profili di DNA appartenenti al D.C..

2. – L’avvocato Flavio Greco ricorre per cassazione nell’interesse del D.C., deducendo violazione di legge e difetto di motivazione in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistenti le condizioni per l’estradizione non sulla base di un impianto indiziario, ma in forza di mere congetture ed ipotesi. Secondo il ricorrente l’unico elemento indiziario è costituito dal ritrovamento della sciarpa, su cui è stato rilevato materiale biologico compatibile con il corredo genetico del D.C., ma tale elemento da solo è del tutto insufficiente a sostenerne il coinvolgimento nel duplice omicidio, dal momento che la sua presenza presso l’abitazione del F. è una mera congettura, al pari della circostanza riferita circa lo strappo della sciarpa nel corso della colluttazione tra i due, non emergendo alcun elemento probatorio al riguardo.

Peraltro, il ricorrente muove critiche alla ricostruzione dei fatti, non risultando chiare le modalità del duplice omicidio e, inoltre, lamenta la mancata allegazione dei risultati di laboratorio concernenti l’esame del DNA, nonchè del risultato autoptico, sostenendo che in questo modo non risulta possibile conoscere la causa del decesso, con la conseguenza di avere un quadro indiziario del tutto carente, comunque inidoneo a provare la colpevolezza del D.C..

Con il secondo motivo si lamenta la mancata previsione nell’ordinamento australiano di circostanze che, anche in presenza di un omicidio, attenuino la pena e che consentano al giudice di effettuare una gradazione del trattamento penale non arbitraria, ma ancorata a parametri certi e normativamente previsti; inoltre, si sottolinea come nessuna previsione di benefici è offerta dalla legge australiana a favore del condannato all’ergastolo. In conclusione, tali caratteristiche della normativa si porrebbero in contrasto con il principio rieducativo della sanzione penale, di cui è espressione l’art. 27 Cost., sicchè anche sotto questo profilo i giudici avrebbero dovuto negare l’estradizione.

Con una successiva memoria il difensore del D.C., premesso che la Corte d’appello di Catanzaro, con provvedimento del 4 gennaio 2011, ha sostituito la custodia cautelare con gli arresti domiciliari per le gravi condizioni di salute dell’estradando, ha chiesto il rigetto della domanda di estradizione proprio in considerazione delle gravi patologie da cui risulta affetto il D.C..
Motivi della decisione

3. – Il primo motivo è infondato.

Preliminarmente, deve rilevarsi che la Convenzione di estradizione tra l’Italia e l’Australia, sottoscritta il 26 agosto 1985 e resa esecutiva con la L. 2 gennaio 1989, al pari di altre convenzioni bilaterali e della stessa Convenzione Europea di estradizione, non replica la formula contenuta nell’art. 705 c.p.p., comma 1, che, nel disciplinare il regime della estradizione extraconvenzionale, condiziona espressamente la decisione favorevole alla consegna dell’estradando alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Infatti, normalmente per gli Stati legati da una convenzione bilaterale l’estradizione viene accordata sulla base dell’esame dei soli documenti allegati alla domanda; tuttavia ciò non significa che si prescinda dai gravi indizi, ma solo che la sussistenza di essi va presunta dai documenti che le convenzioni indicano e che devono essere allegati alla domanda, sulla base di una procedura "semplificata" – rispetto a quanto previsto dall’art. 705 c.p.p., comma 1, -, che trova la sua giustificazione nel reciproco riconoscimento di una comune cultura giuridica e di un rapporto di affidabilità tra Stati che sottoscrivono una comune convenzione in cui è preventivamente operata una scelta in ordine all’effettivo riconoscimento del diritto ad un "processo giusto" in favore dell’estradando.

In tali casi però l’esame non dovrà limitarsi alla semplice verifica dell’avvenuta trasmissione dei documenti ovvero ad un controllo meramente formale, in quanto la presunzione di sussistenza dei gravi indizi può risultare superata quando i fatti allegati appaiano del tutto inconciliabili con essa: l’esame dovrà essere condotto accertando che dalla documentazione trasmessa risultino evocate le ragioni per le quali si ritiene probabile che l’estradando abbia commesso il reato oggetto dell’estradizione. La differenza rispetto a quanto accade per il regime previsto dall’art. 705 c.p.p., comma 1, è che la parte richiesta non deve nè valutare autonomamente tale presupposto, nè rielaborare criticamente il materiale trasmesso (in questo senso, Sez. 6^, 3 ottobre 2007, n. 44852, Pallasà; Sez. 6^, 21 maggio 2008, n. 30896, Dosti; Sez. 6^, 9 aprile 2009, n. 17913, Mirosevich).

Nel caso di specie, dalla documentazione trasmessa dall’autorità australiana i gravi indizi a carico del D.C. emergono chiaramente, così come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello:

infatti, secondo la relazione contenuta nella domanda di estradizione, all’origine del duplice delitto vi sarebbero stati forti contrasti tra D.C. e F.A. per interessi relativi alla gestione di un esercizio commerciale gestito assieme, contrasti che in precedenza avevano determinato anche aggressioni e minacce, sfociate in un contenzioso giudiziario conclusosi a favore del F.; inoltre, nell’appartamento dei F., attorno al braccio del cadavere di F.A. sarebbe stata rinvenuta una sciarpa, sulla quale sono stati rilevati profili del DNA appartenenti al D.C., sciarpa che sarebbe stata persa dall’estradando nel corso della violenta colluttazione avuta con la vittima; sempre stando alla ricostruzione dei fatti contenuta nella relazione, la sciarpa sarebbe stata utilizzata dal D.C. per occultare la propria identità nel momento in cui si è recato presso l’abitazione dei F. per porre in essere l’aggressione.

Si tratta, pertanto, di una documentazione in concreto idonea a rappresentare l’esistenza di elementi a carico dell’estradando, che non costituiscono mere ipotesi congetturali, così come assume il ricorrente, non potendosi certamente considerare tali il ritrovamento, sul luogo del delitto, della sciarpa con tracce del DNA appartenente al D.C..

Il ricorrente lamenta anche la mancata trasmissione del risultato dell’esame autoptico e dell’esame del DNA, ma a questo proposito deve rilevarsi che la richiamata Convenzione non richiede che siano trasmessi atti di indagine, ma che di questi si faccia menzione nella domanda di estradizione, come del resto è stato fatto nel caso di specie, in cui l’autorità australiana ha indicato sia i risultati dell’esame del DNA, sia la causa della morte, determinata da ferite da taglio (sono state contate 27 pugnalate inferte a F.A. e 21 pugnalate inferte a F.M.).

4. – Manifestamente infondato è il secondo motivo, in quanto, secondo una giurisprudenza assolutamente pacifica, ai fini dell’estradizione passiva è necessario che il fatto costituisca reato sia per la legge penale dello Stato richiedente sia per quella dello Stato italiano, ma è indifferente che sia punito diversamente o che sia prevista una diversa disciplina per le circostanze (Sez. 5^, 9 aprile 1984, n. 1179, Kirkaldy; Sez. 6^, 1 ottobre 2003, n. 47614, Buda; Sez. 6^, 13 gennaio 2009, n. 4965, Mihai).

Quanto alla ritenuta mancanza di benefici penitenziari nell’ordinamento australiano, che per questa carenza si porrebbe in contrasto con il principio di rieducazione della pena, deve rilevarsi che si tratta di una mera affermazione del ricorrente, sfornita di qualsiasi allegazione che la conforti.

5. – Del tutto infondato è, infine, anche il motivo rappresentato con la memoria da ultimo depositata.

Infatti, il grave stato di salute dell’estradando non è motivo di rifiuto della estradizione, ma ai sensi dell’art. 7 della Convenzione bilaterale citata consente alla Parte richiesta di sollecitare la Parte richiedente a ritirare la domanda di estradizione, indicandone i motivi. Si tratta, evidentemente, di una valutazione di opportunità e che per questo deve ritenersi di competenza dell’autorità politica, cioè, nel caso dell’Italia, del Ministro della Giustizia.

6. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento della spese processuali.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti previsti dall’art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.