Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-04-2011, n. 8233 Tutela delle condizioni di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 11 aprile 2006, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva il gravame svolto dalla s.p.a. Poste italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, contro la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda risarcito ria proposta da C., per danni alla salute, per violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, per non aver il datore di lavoro ridotto al minimo i rumori inquinanti ed esiziali per la salute dei lavoratori, e riconosciuto il nesso di causalità tra malattia diagnosticata al lavoratore ed ambiente lavorativo.

2. La Corte territoriale, a sostegno del decisum, riteneva:

– l’esenzione del datore di lavoro dagli obblighi di adozione di misure di protezione sussistendo nell’ambiente lavorativo una rumorosità oggettivamente tollerabile (71,5 dBA accertata nel corso della consulenza tecnica d’ufficio disposta in sede cautelare); – la mancanza di prova dell’eziologia delle malattie e del loro aggravamento a causa dell’attività lavorativa, prova della quale era onerato il lavoratore, la cui modesta ipoacusia era ricollegabile all’età e il generale disturbo d’ansia dovuto a generica situazione di stress indipendente dall’ambiente di lavoro.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C. C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due articolati motivi. Poste italiane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. e per vizio motivazionale, per aver il Giudice del gravame omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità del gravame e sul dedotto giudicato interno ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

5. Con il secondo motivo la decisione impugnata è censurata per violazione dell’art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 277 del 1991 e per insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

6. Osserva il Collegio, a parte il rilievo che la decisione della causa nel merito evidentemente comporta l’implicito rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, il vizio di omessa pronuncia non è configurabile in ordine alle eccezioni di rito e, più in generale, in ordine alle questioni impedienti di ordine processuale ma solo nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito. Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza è configurabile esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano necessariamente una statuizione di accoglimento o di rigetto. In ordine alle questioni processuali può, invece, profilarsi un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se ed in quanto la soluzione implicitamente data dal Giudice alla problematica prospettata dalla parte si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata (cfr., ex multis, Cass. 1701/2009; Cass. 13373/2008).

7. Le censure per violazione di legge sono, inoltre, inammissibili per la mancata formulazione del quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal citato decreto legislativo e in vigore fino al 4 luglio 2009 ( L. n. 69 del 2009; art. 47, comma 1, lett. d e art. 58, comma 5, ex multis, Cass. 7119/2010; Cass. 20323/2010).

8. Per il resto, le doglianze della ricorrente si risolvono in un’inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio del Giudice di merito, non sussumibile nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, (ex multis, Cass. 6694/2009; Cass. 4766/2006).

9. Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 14,00 oltre ad Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-02-2011) 08-03-2011, n. 9077 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 17 novembre 2009, depositata in cancelleria il 24 novembre 2010, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia dichiarava inammissibile le istanze avanzate nell’interesse di S.N. volte a ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale ( L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47) o la detenzione domiciliare ( L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1 bis).

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione S.N. chiedendone l’annullamento per inosservanza ed erronea applicazione delle norme processuali in relazione alla L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 e 58. Il Tribunale di Sorveglianza aveva per vero dichiarato la inammissibilità delle avanzate istanze sulla semplice constatazione dell’intervenuta sentenza di condanna per il reato di evasione commesso nel triennio precedente alla decisione e ciò senza svolgere alcun approfondito esame in ordine alla personalità del condannato, sulla sua effettiva pericolosità sociale e sulla verifica delle condizioni richieste per la concessione del beneficio richiesto.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Venezia.

3.1 – La L. n. 354 del 1975, art. 58-quater, come modificato dalla L. n. 251 del 2005, art. 7, prevede il divieto di concessione dei benefici ivi indicati nell’ipotesi in cui il richiedente (il condannato) "sia stato riconosciuto colpevole" di una condotta punibile ai sensi dell’art. 385 c.p. (ovverosia di evasione o dei reati assimilati). La nuova formulazione, sostituendo la precedente ("che ha posto in essere una condotta punibile ai sensi") sulla quale esisteva contrasto interpretativo, è indicativa delle volontà del legislatore di non consentire efficacia ostativa a condotte punibili a norma dell’art. 385 c.p., ove non accertate con sentenza definitiva di condanna (cfr., seppur in forma di obiter, Sez. 1 9 maggio 2007, n. 28685, non massimata) giacchè vige nell’ordinamento, in applicazione del principio fissato dall’art. 27 Cost., comma 2, la regola che nessuno può ritenersi riconosciuto (ovvero considerato) colpevole sino alla condanna definitiva.

3.2 – Questa Corte, ha più volte affermato (Cass., Sez. 1, 22 ottobre 2009, n. 41956, rv. 245078, P.G. in proc. Bello; Sez. 1, 28 maggio 2009, n. 22368, rv. 244130) anche in base a una attenta interpretazione della L. n. 251 del 2005, art 7, comma sesto, che ha novellato la L. n. 354 del 1975, art. 58 quater, comma 1 e successive modifiche (ed. legge di ordinamento penitenziario) rispettosa delle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale in argomento, il principio di diritto secondo cui "la condanna per il delitto di evasione non è automaticamente preclusiva della possibilità di concessione di benefici penitenziari …, dovendo il giudice impegnarsi nell’esame approfondito della personalità del condannato e sulla sua effettiva, perdurante, pericolosità sociale, oltre che sulla verifica della sussistenza di tutte le condizioni richieste per la concessione del beneficio". In particolare, va osservato che dalle più recenti decisioni della Consulta emerge una trama interpretativa unitaria, in base alla quale l’automatica preclusione dell’accesso ai benefici penitenziari in ragione di una scelta generai – preventiva si porrebbe in evidente contrasto con la finalità rieducativa della pena e vanificherebbe i principi di proporzione e di individualizzazione della stessa che caratterizzano il trattamento penitenziario.

Principi generali, questi, recepiti anche in due recenti decisioni delle Sezioni Unite (Sez. Un. 28 marzo 2006, Alloussi; Sez. Un. 30 maggio 2006, Aloi), sicchè deve ritenersi che l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione in carcere (nel caso di specie, l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare) di un soggetto nei cui confronti sia intervenuta affermazione di penale responsabilità per il delitto di evasione non possa essere automaticamente preclusa, senza limiti di tempo, dalla intervenuta condanna, a prescindere da qualsiasi altra valutazione in ordine, in generale, all’avvenuta realizzazione di tutte le condizioni per usufruire del beneficio richieste dalla legge e, in particolare, in merito alla personalità del condannato e alla sua effettiva pericolosità sociale residuale.

4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 623 c.p.p. come da dispositivo.
P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Venezia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 23-03-2011, n. 11529 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 30.9.08 il Tribunale di Milano condannava a pene varie A.S., B.T., D.C.N., F. G., M.G., S.A., Su.Ma. e Se.Pa., ciascuno di loro per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e, i soli F. e Se., anche per quello di cui all’art. 74 stesso D.P.R..

Con sentenza 16.10.09 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, ritenuta la continuazione per il F. con i fatti giudicati con sentenza irrevocabile emessa dal Tribunale di Milano il 19.4.07 e per il M. con quelli giudicati con la sentenza irrevocabile della Corte d’Appello di Firenze del 19.4.04, rideterminava la pena a titolo di continuazione a carico del F. in anni 7 di reclusione e nei confronti del M. in anni 1 di reclusione ed Euro 5.000,00 di multa; riduceva la pena a carico del Se. ad anni 21 di reclusione e nei confronti del B. ad anni 8 e mesi 6 di reclusione ed Euro 29.500,00 di multa (previa esclusione della recidiva). Dichiarava il S. e il B. interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante la pena e confermava le restanti statuizioni di primo grado, ivi comprese le condanne emesse nei confronti degli altri appellanti.

I summenzionati imputati ricorrevano contro la sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

L’ A. deduceva:

a) erroneamente il GUP aveva rigettato la richiesta di rinvio dell’udienza del 29.11.06 presentata per legittimo impedimento dal difensore del prevenuto – avv. Baj – nonostante il suo concomitante impegno professionale innanzi al GUP del Tribunale di Bergamo, che suddetto professionista aveva prontamente rappresentato via fax al giudice milanese non appena il suo sostituto all’udienza del 28.11.06 (avv. Mascia Baruffaldi) gli aveva comunicato che l’udienza preliminare era stata rinviata al giorno seguente; a tale riguardo non si era tenuto conto del fatto che mentre l’ A. era a piede libero, l’altro imputato assistito dall’avv. B. innanzi al GUP del Tribunale di Bergamo era detenuto e che il sostituto processuale presente all’udienza del 28.11.06 presso il GUP del Tribunale di Milano (allorquando si era disposto il differimento al giorno seguente) non poteva conoscere gli impegni dell’avv. Baj e rappresentarli tempestivamente; da ultimo, l’istanza di rinvio era stata trasmessa dopo appena due ore dalla chiusura del verbale dell’udienza del 28.11.06, sicchè non poteva certo considerarsi tardiva;

b) assoluta indeterminatezza del capo di imputazione 68 dell’editto accusatorio circa tempi e luoghi del reato di traffico di sostanze stupefacenti ascrittogli con riferimento alle piazze di Genova e Milano e alle date del 20 e del 28.11.01, nonchè all’attività di consegna e trasporto della sostanza stupefacente, non chiarendosi per quale condotta (trasporto, consegna, intermediazione) l’ A. fosse stato condannato e comunque dovendosi escludere che egli avesse svolto qualcuna di tali attività, come risultante dalle intercettazioni telefoniche e dal verbale di interrogatorio di tale Fa. (imputato di reato connesso) su cui l’impugnata sentenza non aveva motivato; nè l’eccepita nullità poteva considerarsi sanata dall’omessa impugnazione nel merito della ritenuta penale responsabilità;

c) insussistenza dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 (già giudicata minusvalente rispetto alle concesse attenuanti generiche) perchè, dovendosi ritenere che all’ A. fosse stata contestata una condotta da intermediario, la necessaria compresenza di tre soggetti (le due parti e l’intermediario, nel caso di specie il F., il Fa. e l’ A. medesimo) escludeva l’aggravante del concorso di tre o più persone, come da giurisprudenza di questa S.C.;

d) mancato riconoscimento dell’attenuante del cit. art. 73, comma 5, visto il ruolo marginale svolto dall’ A.; per l’effetto, il reato risultava estinto per prescrizione e comunque la gravata pronuncia aveva omesso di svolgere qualsivoglia indagine sulla non corretta applicazione dell’art. 133 c.p. da parte del Tribunale.

Il B. si doleva del fatto che:

e) la sua penale responsabilità era stata dichiarata soltanto in base a poche intercettazioni di colloqui telefonici in cui aveva millantato la possibilità – presente o futura – di procacciarsi sostanze stupefacenti;

f) erroneamente gli era stata negata l’attenuante del cit. art. 73, comma 5, sebbene in dibattimento non fosse emerso nulla circa quantità e qualità della sostanza stupefacente che si presumeva essere arrivata dalla Spagna, mai sottoposta ad alcun sequestro;

g) insussistenza dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6, che necessariamente presupponeva che la pluralità di concorrenti fosse riferita ad una delle condotte necessarie all’integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto), mentre nel caso di specie dallo stesso capo di imputazione 62 ascritto al B. emergeva che la vendita della sostanza stupefacente era appannaggio esclusivo di due soli soggetti, il B. medesimo e il S..

Il D.C., premessa l’approssimazione con cui erano state svolte le indagini e rimarcato il proprio corretto comportamento, atteso che si era spontaneamente presentato alle autorità inquirenti non appena aveva saputo di essere indagato, lamentava:

h) premesso che la penale responsabilità era stata ravvisata in base ad intercettazioni telefoniche, agli esiti di due servizi di OCP (osservazione, controllo, pedinamento) e ad un riconoscimento, quanto alle prime non vi era alcuna prova che l’interlocutore delle telefonate fosse il ricorrente, che pur si era dichiarato disponibile a sottoporsi ad una perizia fonica; nè era stato possibile risalire all’utenza telefonica in questione, restando comunque certo che le conversazioni intercettate non avevano coinvolto il numero di telefono intestato al D.C., contrariamente a quanto apoditticamente asserito dall’impugnata sentenza; per di più, il loro tenore era del tutto generico; nei servizi di OCP il ricorrente non era mai stato riconosciuto, a tal fine non potendosi risalire dalla targa di un’autovettura (di cui gli inquirenti non avevano saputo nemmeno indicare il colore preciso) e da una vecchia fototessera all’identità del D.C.; inoltre, non era stati valutati gli elementi a suo discarico, vale a dire non solo il corretto contegno processuale, ma anche il fatto che non era plausibile che proprio il ricorrente, carrozziere, avrebbe ben potuto utilizzare un’auto diversa dalla propria per andare a ritirare sostanze stupefacenti; inoltre egli abitava molto vicino al coimputato Se.Pa., sicchè per lui sarebbe stato più comodo parlargli di persona e non per telefono; ancora, il D. C. era stato l’unico a qualificarsi con il proprio nome e ad utilizzare la propria autovettura, aveva un solo remoto precedente penale per minacce, aveva redditi e tenore di vita incompatibili con le accuse mossegli; non era per nulla plausibile che potesse dare ordini a personaggi di alto spessore criminale come il F. e il Se.; nessuno aveva visto l’eroina in questione nè la relativa quantità, non desumibile dalla mera presenza di un trolley.

Il F., che ricorreva sia personalmente sia pel tramite del proprio difensore, deduceva:

i) l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, essendo invece competente l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, ove il F. era imputato dell’omicidio C., rispetto al quale era ravvisabile il vincolo di continuazione e/o connessione teleologica con il capo 74 del presente processo, relativo ad una violazione della legge sugli stupefacenti realizzata con l’intermediazione del suddetto C.; nè l’eccezione era preclusa dal giudicato formatosi sul rigetto di tale eccezione (in altra pronuncia di questa S.C.) in un analogo processo presso l’autorità giudiziaria milanese, che però non riguardava i rapporti tra il F. e il C. di cui al cit. capo 74 dell’editto accusatorio; per altro, le risultanze processuali smentivano la ritenuta occasionalità dell’omicidio C., che trovava la propria genesi, causa e ragione nella struttura del sodalizio criminale; tale motivo di ricorso veniva altresì fatto valere dall’impugnazione a firma del difensore del F. anche in termini di vizio di motivazione, avendo la Corte territoriale del tutto ignorato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria (allegata ad una memoria difensiva presentata nell’interesse del ricorrente) da cui emergeva che il C. era stato assassinato proprio ed esclusivamente perchè il F. si era convinto che costui, tradendo la fiducia sua e degli altri sodali, lo avesse frodato – d’intesa con dei cittadini colombiani – all’atto dell’acquisto di un ingente quantitativo di cocaina, poi rivelatasi sostanza del tutto diversa; nè in contrario avviso poteva valere la mancata contestazione dell’aggravante teleologica, vista la diversità dei due processi (l’uno innanzi all’autorità giudiziaria milanese, l’altro presso quella reggina);

j) violazione dell’art. 649 c.p.p., poichè la Corte territoriale aveva applicato la continuazione fra i due delitti associativi anzichè dichiarare non doversi procedere in ordine al secondo: a riguardo, erroneamente l’identità dell’associazione era stata esclusa per diversità dei suoi componenti (che, in realtà, erano in parte coincidenti) e dei relativi canali di approvvigionamento, trascurandosi, invece, la fluidità della struttura delle associazioni previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e l’unicità dell’arma presente e rilevante in entrambi i processi;

k) difetto e/o contraddittorietà della motivazione in ordine ai reati fine di cui ai capi 55, 73, 74 e 82, essendo le argomentazioni dei giudici del gravame apodittiche e basate su ipotesi suggestive, petizioni di principio e ragionamenti autoreferenziali, non potendosi dedurre il coinvolgimento del ricorrente dal comportamento di terzi.

Il M. si doleva:

1) della mancata concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p. e della omessa esclusione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, il che aveva comportato una disparità di trattamento rispetto a quanto invece statuito, sempre riguardo al capo 63 della rubrica, nei confronti dei concorrenti L. C. e T.G., separatamente giudicati con sentenza n. 933/07 R.G. Sent. del GUP del Tribunale di Milano, disparità di trattamento su cui la Corte territoriale aveva omesso di motivare.

Il S. deduceva:

m) vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia aveva confermato la penale responsabilità del ricorrente in base alle intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni rese ex art. 210 c.p.p. dall’imputato in procedimento connesso L.C., elementi inidonei a giustificare la condanna, come già esposto nei motivi d’appello;

n) mancata applicazione della continuazione invocata nei motivi di gravame;

o) omessa concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p., vista l’esigenza di adeguare la pena al fatto e considerato lo stato di indigenza che aveva spinto il S. a commettere il reato ascrittogli.

Il Su. protestava:

p) vizio di motivazione in rapporto alla conferma della penale responsabilità per il delitto di cui al capo 34, non potendosi attribuire al ricorrente la disponibilità del box in cui era custodita la sostanza stupefacente; la cessione non era stata monitorata e dalle intercettazioni telefoniche non emergeva nulla che potesse far ravvisare un ruolo del Su. nella vicenda, anche perchè dalle intercettazioni telefoniche risultava soltanto che il ricorrente aveva preso un appuntamento con i coimputati G. e T. (separatamente giudicati); nè vi erano appigli per identificare nel Su. il "(OMISSIS)" di cui all’appuntamento per la cessione della cocaina;

q) errata applicazione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6, che necessariamente presupponeva che i tre o più concorrenti ricoprissero il medesimo ruolo, mentre nel caso di specie il Su. era indicato come unico venditore della sostanza stupefacente;

r) omessa motivazione sulla richiesta di concessione delle attenuanti generiche e di riduzione della pena ai minimi edittali, benefici cui non ostava l’incolpevole latitanza del ricorrente che, non avendo dimora in Italia, non aveva appreso dell’ordine di custodia cautelare spiccato nei suoi confronti.

Il Se. lamentava:

s) l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, essendo invece competente l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, per connessione ex art. 12 c.p.p. con il processo per l’omicidio C. (a nulla rilevando la mancata contestazione dell’aggravante teleologica riguardo ai reati per cui è processo), omicidio commesso non occasionalmente, ma proprio in connessione con il reato associativo di cui all’art. 74 cit., rientrando nel relativo programma criminoso l’eventuale eliminazione di "personaggi scomodi";

t) inutilizzabilità, per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, di numerosi decreti autorizzativi emanati dal PM nelle condizioni di cui all’art. 267 c.p.p., comma 2, mancando agli atti del procedimento il provvedimento motivato giustificativo della deroga alla regola generale di cui all’art. 268 c.p.p., comma 3, attestante l’inidoneità o l’insufficienza degli impianti installati presso la Procura della Repubblica, essendo quella usata nella specie dal PM una vuota formula di stile; inoltre, anche nei decreti di proroga mancava qualsiasi motivazione in relazione all’inidoneità o all’insufficienza degli impianti; del pari illegittimi erano tutti i summenzionati decreti per carenza di motivazione in ordine alle eccezionali ragioni di urgenza previste ai fini di un legittimo spostamento delle operazioni di intercettazione ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3; u) erronea esclusione della denunciata inosservanza dell’art. 649 c.p.p.: la Corte territoriale avrebbe dovuto emettere declaratoria di non doversi procedere stante l’identità tra l’associazione oggi contestata e quella oggetto di precedente sentenza in cui il Se. era stato assolto, non ostando a tale identità la diversità dei componenti (che, in realtà, erano rimasti gli stessi, ancorchè con ruoli differenti) e dei canali di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti, avuto riguardo alla contiguità temporale dei fatti, alla genericità del patto associativo, nonchè all’unicità dell’arma presente e rilevante in entrambi i processi.

1- Il motivo che precede sub a) è manifestamente infondato.

Si muova dal fondamentale arret costituito da Cass. S.U. n. 4708 del 27.3.92, dep. 24.4.92 (seguito da nutrita conforme giurisprudenza, fra cui, ancora da parte delle S.U., v. sentenza n. 29529 del 25.6.09, dep. 17.7.09), alla luce del quale, affinchè l’impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento, è necessario che il difensore medesimo chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, senza limitarsi a comunicare e documentare l’esistenza di un concomitante dovere professionale in altro processo; è inoltre necessario che ne chiarisca la prevalenza, che risulti che in detto procedimento non vi è un altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato, che gli è impossibile avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p. sia nel processo cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio, restando poi riservato al giudice il bilanciare, motivatamente, da un lato le esigenze di difesa dell’imputato e, dall’altro, quelle di rapida celebrazione del processo.

Altra giurisprudenza aggiunge la specificazione, rispetto ai principi già fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che il mero criterio cronologico della conoscenza prioritaria dell’impegno professionale ritenuto prevalente dal difensore è irrilevante (cfr.

Cass. Sez. 5^ n. 43062 dell’11.10.2007, dep. 21.11.2007) o, comunque, non esaustivo (cfr. Cass. Sez. 5^ n. 35037 del 9.7.2007, dep. 18.9.2007; Cass. Sez. 5^ n. 10304 del 20.8.98, dep. 30.9.98; Cass. n. 3605/95).

Orbene, come giustamente notato in sede di merito, il sostituto processuale dell’avv. Baj presente all’udienza preliminare del 28.11.06 (avv. Baruffaldi), in quanto tale destinatario dell’art. 102 c.p.p., in forza del quale il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore sostituito, era presente al momento di fissazione dell’ulteriore udienza per il giorno successivo e, dunque, ne avrebbe dovuto fare presente il concomitante e già noto impedimento. In contrario non viene in rilievo la distinzione – ventilata dal ricorrente – tra attività processuale ed extraprocessuale concernente l’organizzazione di studio, perchè il dovere di segnalare subito eventuali impedimenti per la data di rinvio decisa dal giudice, al fine di ottenerne un’altra, ha proprio un carattere processuale. A nulla rileva un eventuale mancato coordinamento fra sostituto e sostituito, che hanno l’onere di provvedervi.

A ciò si aggiunga che la motivazione della prevalenza del processo pendente innanzi al GUP del Tribunale di Milano dimostra un corretto bilanciamento degli interessi in gioco, vista la maggiore urgenza propria del processo con pluralità di imputati rispetto a quello pendente innanzi al GUP del Tribunale di Bergamo.

L’obiezione dell’ A., secondo cui si sarebbe potuta stralciare la sua posizione per poi – eventualmente – riunirla in sede dibattimentale alle altre, costituisce soltanto una differente valutazione del merito della verifica dell’impedimento dedotto, non spendibile innanzi a questa S.C..

2- Del pari manifestamente infondato è il motivo che precede sub b), noto essendo (in virtù di costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, da cui non si ravvisa motivo di discostarsi) che, in presenza di una condotta dell’imputato tale da richiedere un approfondimento dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, è legittima la contestazione alternativa "trasporto", "consegna", "intermediazione" nel traffico di sostanze stupefacenti), intesa sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi: tale metodo risponde a un’esigenza della difesa, posto che l’imputato è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale (cfr., ad es., Cass. Sez. 1^ n. 2112 del 2.11.07, dep. 15.1.08, rv.

238636; Cass. n. 10109/07, rv. 236107; Cass. n. 38245/04, rv.

230373).

Quanto alle coordinate topico-temporali (con riferimento alle piazze di Genova e Milano e alle date del 20 e del 28.11.01), esse sono necessariamente correlate all’ipotizzata attività di trasporto, per sua natura da svolgersi fra località diverse e, potenzialmente, in più giorni.

Le restanti doglianze svolte nel motivo mirano soltanto ad una nuova lettura delle risultanze processuali mediante un diretto approccio ad esse (incompatibile con il giudizio di legittimità) e trascurano che, essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme, le motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr.

Cass. Sez. 2^ n. 5606 del 10.1.2007, dep. 8.2.2007; Cass. Sez. 1^ n. 8868 del 26.6.2000, dep. 8.8.2000; v. altresì, nello stesso senso, le sentenze n. 10163/02, rv. 221116; n. 8868/2000, rv. 216906; n. 2136/99, rv. 213766; n. 5112/94, rv. 198487; n. 4700/94, rv. 197497;

n. 4562/94, rv. 197335 e numerose altre).

Dall’integrazione delle motivazioni emerge che l’articolata ricostruzione dell’attività dell’ A. ritenuta dal primo giudice e confermata in appello (anche e soprattutto in rapporto alle intercettazioni del colloqui telefonici con il Fa. e ai servizi di OCP) da correttamente conto delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici del merito. Nè essi sono tenuti a menzionare e prendere in esame dettagliatamente tutti gli atti processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, spieghino in modo logico e adeguato le ragioni che hanno determinato il loro convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr, ex aliis, Cass. Sez. 4^ n. 1149 del 24.10.2005, dep. 13.1.2006; Cass. Sez. 4^ n. 36757 del 4.6.2004, dep. 17.9.2004).

3- Sono manifestamente infondati anche i motivi che precedono sub c), g), q) – fatti valere, rispettivamente dall’ A., dal B. e dal Su. – da trattarsi congiuntamente perchè analoghi.

Preliminarmente va puntualizzato, riguardo al solo A., che la ritenuta minusvalenza dell’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, cit. D.P.R. rispetto alle attenuanti generiche già concessegli in prime cure non esclude l’interesse ad impugnare, poichè (anche a voler tralasciare l’ipotetico rilievo dell’aggravante ai fini della concessione di determinati benefici futuri) il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti soltanto sulla determinazione della pena, lasciando inalterata la valutazione deteriore del fatto e della personalità dell’imputato rilevanti ex art. 133 c.p.; in tal senso, dunque, reputa questa Corte Suprema di aderire all’orientamento espresso da Cass. Sez. 5^ n. 37095/09 e da Cass. Sez. 6^ n. 2261/2000 (contra, cfr. Cass. Sez. 1^ n. 16398/08 e Cass. Sez. 1^ n. 716/98).

Ciò premesso, è pur vero che per l’aggravante del concorso di tre o più persone di cui all’art. 73 cit., comma 6 in materia di sostanze stupefacenti occorre che ciascuno dei soggetti coinvolti agisca nell’ambito di una delle condotte previste per l’integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione o altre), non potendosi fare richiamo alla pluralità di esse, attribuendone indistintamente la riferibilità a tutti, a prescindere dal ruolo specifico di ognuno. Diversamente, trattandosi di reato a concorso necessario costituito dallo scambio tra almeno due persone che si realizza sovente attraverso l’intermediazione di terzi, l’aggravante sarebbe pressochè implicita nella stessa ipotesi semplice (giurisprudenza costante: cfr., da ultimo, Cass. Sez. 6^ n. 20798 del 10.2.10, dep. 3.6.10).

Nondimeno, esaminando congiuntamente i capi d’accusa e la motivazione delle pronunce di primo e secondo grado, non può dirsi che i giudici del merito non si siano attenuti a tale pacifico principio giurisprudenziale, nel senso che è stata effettivamente ritenuta una pluralità di persone in identici ruoli: nello specifico dell’ A., infine, si noti che egli non è stato ritenuto mero intermediario, ma compartecipe di attività di trasporto di sostanza stupefacente insieme con il Fa. e il C..

Sostenere il contrario in base allo stralcio di alcuni passaggi dell’esame dibattimentale dell’odierno ricorrente o di uno dei coimputati importa una delibazione in punto di fatto preclusa in questa sede.

4 – I motivi che precedono sub d) e sub f) – formulati rispettivamente dall’ A. e dal B. – si collocano al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p. perchè invocano soltanto un differente apprezzamento della gravità delle condotte ascritte agli imputati rispetto a quello eseguito dai giudici del gravame, che con motivazione immune da vizi logico- giuridici hanno escluso l’attenuante in virtù della rilevante o comunque non trascurabile quantità di sostanza stupefacente trattata da entrambi, desumibile – per l’ A. – dal complessivo corrispettivo (pari a L. 20 milioni) e per il B. dal fatto che si trattava di cocaina "solida", da spaccare, negoziata in più tranches.

Nè il reato sarebbe risultato estinto per prescrizione in caso di riconoscimento dell’attenuante in discorso, irrilevante ai sensi del nuovo testo dell’art. 157 c.p., come sostituito ex lege n. 251 del 2005.

Da ultimo, del tutto generica – e quindi in violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c) – risulta la violazione dell’art. 133 c.p. dedotta dall’ A..

5- Ancora esterne all’area dell’art. 606 c.p.p. sono le doglianze che precedono sub e), h), m), p), tutte sostanzialmente intese a sollecitare una differente delibazione in punto di fatto delle risultanze processuali che i giudici del merito hanno valutato con motivazione immune da censure.

Invero, quanto al B. non risponde al vero che ne sia stata dichiarata la penale responsabilità in base a sue mere millanterie telefoniche, essendo stato egli attinto anche dalla chiamata in correità proveniente da L.C. (sentito ex art. 210 c.p.p. in qualità di imputato in procedimento connesso), le cui dichiarazioni sono state riscontrate dalle intercettazioni telefoniche.

Lo stesso dicasi per il S., il cui motivo di ricorso è – altresì – generico e non autosufficiente nella parte in cui rinvia sic et simplicter ai motivi d’appello.

Riguardo al D.C., l’impugnata sentenza, condividendo le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, ha posto in risalto che l’identificazione del ricorrente è avvenuta combinando fra loro molteplici elementi, tratti da intercettazioni telefoniche e servizi di OCP, relativi alla sua utenza telefonica, al suo riconoscimento come la persona che si era incontrata con " G. il (OMISSIS)" (soprannome di tale D.S.), all’auto a lui intestata (una FIAT Bravo tg. (OMISSIS)), elementi tali da ricostruirne i movimenti e l’acquisto di sostanze stupefacenti.

Le obiezioni a riguardo mosse dal D.C. investono solo gli apprezzamenti in punto di fatto operati dalla gravata pronuncia, proponendone alternative valutazioni.

Nè ha alcun rilievo l’asserita disponibilità del D.C. a sottoporsi a perizia fonica, disponibilità che poi non si è tradotta nemmeno in un motivo d’appello inteso ad ottenere ex art. 603 c.p.p. una rinnovazione dibattimentale.

Nè può lamentarsi il mancato espletamento, a monte, di tale perizia: la giurisprudenza è costante nell’escluderne la necessità quando l’attribuzione delle voci non appaia dubbia secondo una valutazione spettante al giudice del merito, insindacabile innanzi a questa S.C..

In relazione al Su., i giudici di primo e secondo grado ne hanno correttamente motivato la penale responsabilità per il delitto rubricato al capo 34 non soltanto in forza del suo appuntamento con il T. e il G. (separatamente giudicati), constatato dalle forze dell’ordine in sede di OCP a seguito di intercettazioni telefoniche, ma anche in virtù dell’arresto in flagranza dei due corrieri della droga ( Co. e N.) trovati in possesso di kg. 1,2 di cocaina, consegna di cui il Su. viene ritenuto colpevole non già per la disponibilità del box (di cui si parla nel motivo di ricorso), ma perchè vi si era consumata la traditio della sostanza stupefacente da parte sua.

Sul tenore delle intercettazioni telefoniche è appena il caso di ricordare che, per costante giurisprudenza (da cui non si ravvisa ragione di discostarsi), l’interpretazione del linguaggio – pur criptico o cifrato, adoperato nel corso di colloqui intercettati – resta questione di mero fatto, sottratta al giudizio di legittimità se la valutazione compiuta dai giudici del merito risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr., ad es., Cass. Sez. 6^ n. 17619 dell’8.1.2008, dep. 30.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 15396 dell’11.12.2007, dep. 11.4.2008; Cass. Sez. 6^ n. 35680 del 10.6.2005, dep. 4.10.2005; Cass. Sez. 4^ n. 117 del 28.10.2005, dep. 5.1.2006; Casse. Sez. 5^ n. 3643 del 14.7.97, dep. 19.9.2007).

A questa Corte Suprema spetta soltanto il sindacato sulle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2, nonchè la verifica sulla correttezza logico- giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l’elemento indiziario come grave, preciso e concordante, senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento, ovvero nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva del giudice del merito (cfr, ad es., Cass. Sez. 6^ n. 20474 del 15.11.02, dep. 8.5.03).

A sua volta il controllo in sede di legittimità delle massime di esperienza non può spingersi fino a sindacarne la scelta, che è compito del giudice di merito, dovendosi limitare questa S.C. a verificare che egli non abbia confuso con massime di esperienza quelle che sono, invece, delle mere congetture.

Le massime di esperienza sono definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono dedotti ed oltre i quali devono valere; tali massime sono adoperabili come crateri di inferenza, vale a dire come premesse maggiori dei sillogismi giudiziali di cui alle regole di valutazione della prova sancite dall’art. 192 c.p.p., comma 2.

Costituisce, invece, una mera congettura, in quanto tale inidonea ai fini del sillogismo giudiziario, tanto l’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica, quanto la pretesa regola generale che risulti priva, però, di qualunque pur minima plausibilità (cfr. Cass. Sez. 6^, n. 15897 del 15 aprile 2009; Cass. Sez. 6^ n. 16532 del 13.2.07, dep. 24.4.07, rv. 237145).

Ciò detto, si noti che nel caso di specie i motivi di ricorso che precedono sub e), h), m), p), non indicano l’uso di inesistenti massime di esperienza o violazioni di regole inferenziali, ma si limitano a segnalare soltanto possibili difformi letture degli elementi raccolti, il che costituisce compito precipuo del giudice del merito, non di quello di legittimità. 6- Ancora non deducibile mediante ricorso per cassazione è l’asserita disparità di trattamento lamentata dal M. con il motivo che precede sub 1), in relazione al diverso regime sanzionatorio applicato – mediante concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p. ed esclusione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 – ai concorrenti L.C. e Tarallo Giuseppe, separatamente giudicati con sentenza n. 933/07 R.G. Sent. del GUP del Tribunale di Milano.

Si tratta di doglianza che non rientra nel novero di quelle valevoli ex art. 606 c.p.p., vuoi perchè non prevista (neppure sotto forma di vizio di motivazione), vuoi perchè essa presupporrebbe un confronto in punto di fatto tra posizioni processuali e condizioni personali non operabile in sede di legittimità e nemmeno in sede di merito, giacchè richiederebbe la disponibilità degli atti completi di un altro procedimento, diverso da quello sottoposto all’attenzione del singolo giudicante.

Inoltre, non possono compararsi tra loro dati eterogenei come i convincimenti (variamente motivati) maturati dai giudici di differenti processi paralleli, nessuno dei quali idoneo a vincolare l’altro.

Ciò significa che la disparità di trattamento dedotta in appello era inammissibile anche in quella sede, il che escludeva l’obbligo di motivare su di essa (come da costante giurisprudenza di questa S.C.).

7 – I motivi che precedono sub o) e sub r), proposti rispettivamente dal S. e dal Su., concernenti il trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p., sono manifestamente infondati, noto essendo in giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena e dell’applicabilità delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che con il rinvio all’abituale attività di corriere della droga svolta dal S. e alla latitanza del Su. i giudici del merito hanno adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1^ n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. 1^ n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

Quanto alla dedotta indigenza del S. e all’asserita non volontarietà della latitanza del Su., esse comportano soltanto nuove valutazioni di merito sull’entità della pena, non consentite in questa sede.

8 – I motivi che precedono sub k) e sub n), proposti rispettivamente dal F. e dal S., sono inammissibili ai sensi del combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) perchè del tutto generici.

Nè a tale lacuna si può ovviare mediante rinvio a motivi d’appello di cui però non si indica neppure in modo sommario il contenuto, così non consentendo l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte o malamente risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifica di questa Corte Suprema (cfr. ad es. Cass. Sez. 6^ n. 21858 del 19.12.2006, dep. 5.6.2007; Cass. Sez. 2^ n. 27044 del 29.5.2003, dep. 20.6.2003; Cass. Sez. 5^ n. 2896 del 9.12.98, dep. 3.3.99; Cass. S.U. n. 21 dell’11.11.94, dep. 11.2.95).

9- Il motivo che precede sub t) va disatteso perchè manifestamente infondato. Come questa S.C. ha già avuto modo di statuire con sentenza n. 9205 del 3.2.09, dep. il 2.3.09, concernente gli stessi decreti autorizzativi oggetto del motivo di impugnazione in esame, sia pure in relazione ad altro analogo processo, il riferimento all’indisponibilità degli impianti, perchè già impegnati per altre indagini, consente di identificare il fatto che ha determinato la deroga e offre, quindi, al giudice e alle parti uno strumento di controllo della correttezza dell’operato del PM (cfr., altresì, Cass. S.U. n. 919 del 26.11.03, dep. 19.1.04).

Valga lo stesso per le eccezionali ragioni di urgenza, desumibili anche implicitamente dal contesto del processo e dalla natura delle imputazioni (v., fra le numerose in tal senso, Cass. Sez. 2^ n. 5103 del 17.12.09, dep. 9.2.10; Cass. Sez. 6^ n. 15396 dell’11.12.07, dep. 11.4.08), come nel caso in esame, in cui l’emergenza consisteva nella necessità di evitare il protrarsi della condotta criminosa dell’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.

In breve, si tratta di rilievi ed argomenti perfettamente conformi all’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 267 c.p.p., comma 2. 10- Del pari manifestamente infondati sono i motivi che precedono sub i) e sub s), articolati – rispettivamente – dal F. e dal Se. e da trattarsi congiuntamente perchè in sostanza coincidenti.

Non si ravvisa, infatti, connessione alcuna ex art. 12 c.p.p. tra il delitto di partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti addebitato al F. e al Se. al capo 93 e l’omicidio C., per il quale separatamente procede l’autorità giudiziaria di Reggio Calabria.

Invero, a prescindere dalla non configurabilità dell’aggravante teleologica rispetto ai reati associativi, resta l’indubbio rilievo che nemmeno gli odierni ricorrenti sono in grado di evidenziare un’identità di disegno criminoso fra l’associazione de qua e l’omicidio C.; nè emerge che l’un reato sia stato commesso per eseguire od occultare l’altro e ciò per l’ovvia ragione che, se davvero il C. è stato punito per un presunto "sgarro" ai danni del F. e degli altri sodali (come si evince dal tenore del motivo che precede sub i), ciò vuoi dire che tale omicidio non era stato previsto neppure genericamente nelle sue linee essenziali al momento del consolidarsi del vincolo associativo:

diversamente, ove – cioè – qualcuno avesse già immaginato una qualche frode da parte del C., lo stesso sarebbe stato tenuto fuori, ab origine, dall’organizzazione criminale e da qualsiasi rapporto con essa.

Nè giova ai ricorrenti ipotizzare che tale omicidio rientri, sia pure molto genericamente, fra i reati mezzo o i reati fine dell’associazione in quanto l’eventuale eliminazione di "personaggi scomodi" sarebbe inclusa nell’indeterminato programma criminoso (come si legge nel motivo che precede sub s): infatti, costante insegnamento giurisprudenziale di questa S.C. ha fissato il principio di diritto secondo cui la connessione tra il delitto associativo e i reati fine può sussistere soltanto nell’eccezionale ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio delinquenziale o dalla adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti-reato, da lui poi effettivamente commessi (v. Cass. Sez. 1^ n. 17831 del 10.4.08, dep. 5.5.08; Cass. Sez. 1^ n. 46134 del 21.10.09, dep. 1.12.09; Cass. n. 6530 del 18.12.98, dep. 2.2.99).

Tale originaria deliberazione non è nemmeno allegata ed è, per altro, oggettivamente incompatibile, come si è già detto, con i rapporti del C. all’interno del sodalizio criminale, di cui avrebbe tradito la fiducia (secondo quanto si assume proprio nel ricorso del F.).

Dunque, alla stregua delle stesse allegazioni dei ricorrenti, l’omicidio C. è in rapporto di mera occasionala con il traffico di sostanze stupefacenti dell’associazione in discorso.

Ne discende che non sussiste alcuna ipotesi di connessione ex art. 12 c.p.p..

11 – Ancora manifestamente infondati sono i motivi – sempre sostanzialmente coincidenti, proposti dal F. e dal Se. – che precedono sub j) e sub u).

I giudici del merito, con doppia pronuncia conforme, hanno rilevato che l’associazione giudicata con sentenza 19.4.07 del Tribunale di Milano riguardava un periodo anteriore (fino all’aprile 2001, mentre quella di cui al capo 93 del presente processo viene contestata come operativa solo nell’arco di tempo che va dal giugno 2001 allo stesso mese dell’anno seguente), una diversa struttura, membri in gran parte non coincidenti, distinti canali di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti da spacciare, differenti piazze di smercio della droga.

Ciò vuoi dire che i due sodalizi criminali si presentavano – e questo è un accertamento in punto di fatto non reiterabile in sede di legittimità – con marcate peculiarità, che l’asserita presenza di un’unica arma in entrambi i processi (il dato è allegato in maniera, per altro, criptica) non può di per sè inficiare, così come non basta obiettare il carattere tendenzialmente fluido di tali associazioni criminali.

12 – All’odierna udienza è pervenuto certificato di morte del Se., avvenuta il (OMISSIS).

In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di Se.Pa. perchè i reati ascrittigli sono estinti per morte dell’imputato, mentre si deve dichiarare l’inammissibilità di tutti gli altri ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti alle spese processuali e di ciascuno di essi al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nelle impugnazioni, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Se.Pa. perchè i reati sono estinti per morte dell’imputato e dichiara inammissibili i ricorsi degli altri imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 05-04-2011, n. 2981 Aggiudicazione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

muccari, in sostituzione dell’avv. Mazzoncini, per A.;
Svolgimento del processo

Le società ricorrenti hanno partecipato alla procedura aperta (n. 20/2009) indetta da A. s.p.a. da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso avente ad oggetto i lavori di manutenzione straordinaria dei fabbricati e manufatti comunali per il completamento del primo stralcio del cimitero Laurentino.

La gara, bandita nel maggio 2009, è stata aggiudicata in via provvisoria all’ATI costituenda tra le due società ricorrenti, avendo essa presentato l’offerta più conveniente con un ribasso del 56,01% sull’importo posto a base di gara (pari ad euro 4.934.712,20).

La società A., dopo aver richiesto alle ricorrenti in data 1° agosto e 23 ottobre 2009 elementi di giustificazione in ordine alla offerta presentata in sede di gara (fornite dall’ATI costituenda, rispettivamente, in data 6 agosto e 4 novembre 2009), ha poi deciso di revocare l’intera procedura selettiva con determinazione n. 216 del 1° luglio 2010.

Avverso tale atto, ed ogni altro a questo connesso, hanno proposto impugnativa le società interessate (d’ora in poi, anche ATI C.), chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, e la condanna al risarcimento dei danni per i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990 e del principio di partecipazione al procedimento.

Il provvedimento di revoca della gara è illegittimo in quanto è stato adottato senza la previa comunicazione di avvio del procedimento, peraltro di natura discrezionale;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; travisamento dei fatti, contraddittorietà e illogicità manifesta; sviamento di potere.

La revoca è stata adottata senza rispettare i presupposti previsti dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, non sussistendo i requisiti ivi previsti ovvero "i sopravvenuti motivi di pubblico interesse", "il mutamento della situazione di fatto" o "la nuova valutazione dell’interesse originario".

Né valgono ragioni di ordine economico posto che le ricorrenti hanno proposto un consistente ribasso sull’importo posto a base d’asta;

3) eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, violazione del principio del legittimo affidamento.

La revoca è stata adottata dopo circa un anno dall’aggiudicazione provvisoria, ledendo altresì l’ingenerato affidamento nella realizzazione delle opere da parte delle ricorrenti;

4) incompetenza; violazione e falsa applicazione dell’art. 79 del D.lgs n. 163 del 2006; violazione del principio del contrarius actus.

In violazione del principio del contrarius actus, l’atto di revoca non è stato adottato dallo stesso soggetto che ha emanato il bando né sono state rispettate le medesime forme di pubblicità;

5) in subordine, violazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, sotto altro profilo.

La società A. non ha neanche previsto l’indennizzo contemplato nell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, a riprova dell’assoluta arbitrarietà della sua azione.

Successivamente, con motivi aggiunti del novembre 2010, l’ATI C. ha impugnato la nota dell’A. del 28 ottobre 2010 (di risposta alla informativa inviata ex art. 243 bis del D.lgs n. 163 del 2006) e la Direttiva n. 11/2009 (recante alcune previsioni di A. in tema di gare pubbliche), chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, e la condanna al risarcimento dei danni per le seguenti ulteriori doglianze:

1) violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990 e del D.lgs n. 163 del 2006; violazione del principio del legittimo affidamento.

La società A. ritiene che, trattandosi di revoca dell’aggiudicazione provvisoria, non era necessario l’invio di alcuna comunicazione di avvio del procedimento.

Ciò non corrisponde al vero in quanto lo stesso art. 79, comma 5, del D.lgs n. 163 del 2006 prevede che la stazione appaltante debba comunicare la decisione di non aggiudicare un appalto.

Illegittimo è poi il comportamento della società resistente che, oltre a non consentire alle ricorrenti la partecipazione al riesame del procedimento, ha indotto le stesse a fare affidamento sul positivo esito della gara in quanto la procedura si è conclusa nel luglio 2009 mentre la revoca è intervenuta nel luglio 2010;

2) violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta; difetto di motivazione e di istruttoria; violazione del principio di legittimo affidamento e di leale collaborazione; sviamento di potere.

Non sussistono i presupposti per procedere alla revoca della gara. Il primo motivo che emerge dalla determinazione n. 216 del 1° luglio 2010 consiste nel fatto che molte offerte hanno presentato consistenti ribassi rispetto alla base d’asta.

A fronte di ciò, la società resistente ha omesso lo svolgimento di accertamenti di congruità delle offerte né, con riferimento alle ricorrenti, ha svolto la verifica di anomalia, pur avendo richiesto, in due occasioni, elementi di valutazione, puntualmente riscontrati dall’ATI C..

Del resto, le giustificazioni delle ricorrenti sono ampiamente congrue e supportate da idonea documentazione.

Né convincente risulta l’ulteriore riferimento alla Direttiva A. n. 11/2009 (successiva all’indizione della gara in argomento) secondo cui le gare di importo superiore ad euro 100.000,00 avrebbero dovuto essere aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

In disparte il fatto che la Direttiva è stata adottata dopo la pubblicazione del bando di gara n. 20/2009, ciò che rileva è che l’oggetto dei lavori consente l’utilizzo dell’altro criterio (prezzo più basso) in quanto non particolarmente complesso.

In ogni caso, non sussistono i presupposti previsti dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 per l’applicazione dell’istituto della revoca ("i sopravvenuti motivi di pubblico interesse", "il mutamento della situazione di fatto" ovvero "la nuova valutazione dell’interesse originario").

Si è costituita in giudizio la società A. chiedendo il rigetto del ricorso e dei motivi aggiunti perché infondati nel merito.

Con ordinanza n. 5240/2010, è stata respinta la domanda di sospensiva (confermata in appello dal Cons. St., sez. V, ord. n. 991/2011).

Con motivi aggiunti del 5 gennaio 2011, le ricorrenti, in replica alle difese avversarie, hanno ribadito che le ragioni per le quali è stata revocata la gara n. 20/2009 non rispettano i requisiti per l’applicazione dell’istituto previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

In prossimità della trattazione del merito, le parti hanno depositato memorie (anche di replica), insistendo nelle loro rispettive posizioni.

In particolare, la società A. ha rappresentato di aver indetto, al riguardo, una nuova procedura di gara (pubblicata sulla GURI del 18 febbraio 2011).

Alla pubblica udienza del 16 marzo 2011, la causa, dopo la discussione delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

1. È, anzitutto, necessario precisare quanto segue:

– la gara n. 20/09 avente ad oggetto l’affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria dei fabbricati e manufatti comunali per il completamento del primo stralcio del cimitero Laurentino (con sistemazione di loculi e tombe private) è stata indetta nel mese di maggio 2009. L’importo a base di gara è stato fissato in euro 4.934.712,20 ed il criterio di aggiudicazione è stato individuato nel prezzo più basso;

– come precisato dalla stessa società A., alla gara hanno partecipato n. 50 imprese: l’ATI C. (aggiudicataria provvisoria nella seduta del 14 luglio 2009) ha offerto un ribasso del 56,01% sull’importo a base d’asta, 18 ditte hanno presentato offerte sospettate di anomalia ed oltre 30 hanno offerto un ribasso superiore al 30%;

– l’ATI ricorrente è stata sottoposta alla procedura di verifica dell’anomalia dell’offerta, ai sensi degli artt. 87 e 88 del D.lgs n. 163 del 2006, tanto che la società A. ha chiesto, con note del 1° agosto e del 23 ottobre 2009, la presentazione di giustificazioni al ribasso offerto in sede di gara, che l’ATI C. ha fornito con note – rispettivamente – del 6 agosto e del 4 novembre 2009;

– nel frattempo, la società resistente, con Direttiva n. 11 del 18 dicembre 2009, ha disposto che le gare indette da A. di importo superiore a euro 100.000,00 (centomila/00) avrebbero dovuto essere aggiudicate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;

– con determinazione n. 216 del 1° luglio 2010, la società A. ha revocato l’intera gara n. 20/2009 bandita il 13 maggio 2009 e, di conseguenza, l’aggiudicazione provvisoria in favore dell’ATI C. disposta nella seduta del 14 luglio 2009;

– la predetta revoca del luglio 2010 è stata adottata per due ragioni: la prima individuata negli eccessivi ribassi offerti dai partecipanti alla gara che avrebbero imposto "alla stazione appaltante un prolungato e dettagliato esame…almeno delle prime cinque offerte presentate…" (si ricorda che l’aggiudicataria provvisoria aveva offerto un ribasso del 56,01% sull’importo a base d’asta, 18 ditte avevano presentato offerte sospettate di anomalia ed oltre 30 avevano offerto un ribasso superiore al 30%), mentre la seconda ragione è stata ravvisata nella volontà di indire una nuova procedura di gara coerente con le indicazioni contenute nella predetta Direttiva n. 11 del 18 dicembre 2009 (ovvero l’utilizzo, nelle gare pubbliche, del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e non del prezzo più basso);

– in data 18 febbraio 2011, la società resistente ha bandito la nuova gara con oggetto analogo a quella indetta nel maggio 2009 (prezzo a base d’asta di euro 4.794.712,28 ovvero circa 140mila euro in meno della precedente selezione), prevedendo, come criterio di aggiudicazione, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (70 punti all’offerta tecnica e 30 a quella economica).

2. Ciò premesso, il Collegio, ad un esame più approfondito di quanto consentito in sede cautelare, ritiene che le doglianze rivolte dalle ricorrente nei confronti del provvedimento di revoca della gara n. 20/09 siano fondate.

2.1 Al riguardo, le censure contenute nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti (riguardanti l’assenza, nel caso di specie, dei presupposti previsti dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990) possono essere trattate congiuntamente in quanto connesse e, in ragione della loro fondatezza, hanno carattere assorbente rispetto alle altre doglianze dedotte.

2.2 Sempre, in via preliminare, è poi opportuno chiarire che i motivi aggiunti del gennaio 2011 costituiscono una specificazione delle censure dedotte con le precedenti impugnative (in particolare, con riferimento all’assenza dei presupposti per disporre la revoca della gara n. 20/2009). Pur tuttavia, sebbene nell’epigrafe le ricorrenti dichiarino di impugnare "l’eventuale atto di indizione di una nuova gara", nessuna specifica censura risulta proposta avverso tale provvedimento posto, peraltro, che il relativo bando è stato pubblicato il successivo 18 febbraio 2011.

3. Ciò posto e passando all’esame del merito della controversia, il Collegio è consapevole che la giurisprudenza ha più volte affermato che l’aggiudicazione provvisoria è un atto ad effetti instabili, del tutto interinali, a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario e che, in attesa dell’aggiudicazione definitiva, non vi è alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente, tanto che l’Amministrazione ha il potere di ritirare l’aggiudicazione provvisoria senza obbligo di particolare motivazione (cfr TAR Lazio, sez. II Ter, n. 10991/2009 e TAR Campania, sez. VIII, n. 10735/2008).

Pur tuttavia, il Collegio, continuando a condividere la predetta posizione della giurisprudenza, è dell’avviso che i predetti principi non siano utili alla soluzione del caso in esame.

Al riguardo, va osservato che, nella fattispecie in esame, la stazione appaltante non ha proceduto alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria bensì ha ritirato, in via di autotutela (invocando cioè l’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990), gli atti di indizione e di svolgimento dell’intera procedura selettiva con conseguente (automatica) caducazione della predetta aggiudicazione in favore dell’ATI C..

Ciò significa che i motivi di interesse pubblico (ovvero la verifica della sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990) per i quali è stato adottato il provvedimento di revoca vanno valutati con riferimento all’assetto di interessi derivanti non dall’aggiudicazione provvisoria bensì dall’intera procedura selettiva, che presuppone quindi un giudizio di non rispondenza dell’oggetto della gara ai bisogni pregressi ovvero (anche) futuri della stazione appaltante.

Ciò posto, la società A., per giustificare la decisione di revocare l’intera gara, si è affidata a due motivi ovvero alle difficoltà ed alle lungaggini causate dal dover sottoporre a verifica di anomalia alcune offerte presentate in sede di gara ed alla necessità di dover seguire la Direttiva n. 11 del dicembre 2009 che impone, ormai, l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di importo superiore a euro 100.000,00.

Con riferimento al primo motivo, non è revocabile in dubbio che lo stesso costituisca una giustificazione riferibile, in particolare, alla fase finale della selezione e non all’intera procedura.

Ciò che si vuole dire è che la stazione appaltante, invocando le difficoltà e le lungaggini causate dal dover sottoporre a verifica di anomalia alcune offerte presentate in sede di gara, ha revocato il bando di gara dando implicitamente per scontato che la procedura di selezione non avesse raggiunto lo scopo (di convenienza e di efficienza, quale sintesi tra le esigenze di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa) per la quale era stata indetta.

Ora, posto che la ragione esplicitata nel primo motivo (ovvero evitare lungaggini nella verifica di anomalia delle offerte) non può essere condivisa in quanto, in questo modo, si ammetterebbe la possibilità di abdicare all’esercizio di funzioni riconosciute dalla normativa ai gestori pubblici per supposte ragioni di carattere temporale, ciò che non può essere altresì ammesso è che tale giudizio è stato dato sulla base di presupposti impliciti e mai verificati nel senso che, nei confronti delle offerte sospettate di anomalia, non è stata svolta alcuna verifica che ne rivelasse, in concreto, la loro insostenibilità e/o inaffidabilità dal punto di vista economico.

Risulta, invero, che la stazione appaltante ha avviato il procedimento di verifica di anomalia nei confronti della prima classificata (l’ATI ricorrente) ma, a fronte di due richieste di chiarimenti puntualmente riscontrate dall’ATI C., non lo ha concluso né ha, quindi, formalmente ritenuto che l’offerta presentata in sede di gara (contenente il ribasso del 56,01%) fosse inaffidabile e quindi incongrua.

Anche la scansione temporale degli eventi non convince della bontà della ragione in esame, manifestata nel provvedimento di revoca della gara n. 20/2009.

Come precisato nel precedente punto 1., la stazione appaltante ha chiesto all’ATI C. le giustificazioni sull’anomalia dell’offerta in data 1° agosto e 23 ottobre 2009, riscontrate dalla parte ricorrente il 6 agosto ed il 4 novembre 2009 (ovvero a distanza di pochi giorni dalle richieste).

A fronte degli elementi forniti dall’ATI C., la società A., con atto interno del 5 marzo 2010, ha avviato la procedura di revoca della gara, poi sancita con determinazione del 1° luglio 2010, ovvero circa 7 mesi dopo l’invio delle ultime giustificazioni da parte dell’ATI C..

In questo arco temporale piuttosto esteso, non risulta che la stazione appaltante abbia preso in considerazione le predette giustificazioni al fine di verificarne l’attendibilità ovvero per ritenerle, ancora una volta, incomplete, assumendo le determinazioni di conseguenza.

Nulla di tutto ciò emerge dagli atti di gara né tantomeno risulta che la procedura di verifica dell’anomalia sia stata avviata nei confronti di altre imprese partecipanti alla selezione.

Da ciò non è dato comprendere come la stazione appaltante abbia tratto la conclusione, seppure in via implicita (nel senso che non è chiaramente esplicitata nel provvedimento di revoca), che la gara non abbia raggiunto il fine per il quale era stata a suo tempo bandita ovvero che le offerte presentate non fossero in grado di garantire serietà ed affidabilità nell’esecuzione dei lavori.

A ciò deve aggiungersi che, sebbene trattasi di una procedura di gara non ancora conclusa (essendo stata adottata la sola aggiudicazione provvisoria), non può non assumere importanza, nella valutazione della legittimità dell’atto di autotutela, il dato temporale nell’adozione delle scelte della stazione appaltante in modo da verificare se ciò abbia inciso sul legittimo affidamento della parte interessata.

Ora, sebbene – come detto – l’aggiudicazione provvisoria sia un atto ad effetti instabili a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario (cit. TAR Lazio, sez. II Ter, n. 10991/2009), con riferimento al caso di specie, non può non avere rilievo il fatto che il provvedimento di revoca della gara sia intervenuto dopo circa un anno dalla seduta in cui l’ATI C. è stata individuata dalla Commissione come prima classificata della procedura di che trattasi e dopo circa 7 (sette) dall’invio delle ulteriori giustificazioni rese nel subprocedimento (non concluso) di verifica di anomalia avviato il 1° agosto dalla società A..

È chiaro che l’assenza di notizie al riguardo da parte della stazione appaltante, a fronte delle giustificazione rese dall’ATI ricorrente e mai confutate, possa aver ingenerato un affidamento nella positiva conclusione della procedura di verifica della congruità dell’offerta e, quindi, nell’approvazione dell’atto di aggiudicazione definitiva in suo favore.

Concludendo sulla prima ragione che ha portato all’adozione dell’atto di revoca della gara n. 20/2009 (ovvero evitare "un prolungato e dettagliato esame…almeno delle prime cinque offerte presentate…"), riesce difficile ritenere aderente all’interesse pubblico (nel senso richiesto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990) la predetta esigenza rappresentata nel provvedimento di revoca del luglio 2010 anche perché non può non avere rilievo il fatto che l’esigenza di evitare lungaggini nell’espletamento del procedimento di verifica dell’anomalia (oltre a non poter essere escluso a priori che si renda necessario l’avvio anche con riferimento agli esiti della nuova gara bandita nel febbraio 2011) non è stata soddisfatta.

Ed invero, a fronte della gara originaria indetta nel maggio 2009, la situazione che ora si registra è un ritorno al punto di partenza con l’indizione nel febbraio 2011 di una nuova procedura selettiva avente ad oggetto lavori del tutto analoghi (se non identici), prova peraltro del persistente interesse di A. alla realizzazione delle opere di che trattasi.

Se a ciò si aggiunge che, di recente, il Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza n. 351/2011 (di rimessione all’Adunanza Plenaria), pur con riferimento al rapporto tra ricorso principale ed incidentale nel rito dei contratti pubblici, ha svolto una approfondita riflessione sul reale interesse (pubblico) sotteso allo svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica che, per la stazione appaltante, coincide con l’esecuzione dell’opera, tanto da ritenerlo prevalente a quello strumentale di rinnovazione totale della gara (nel caso di gare con due concorrenti che hanno proposto, l’uno, ricorso principale avverso l’aggiudicazione e l’altro, incidentale di natura paralizzante), può affermarsi – se tale posizione si consoliderà – che, nel caso di specie, la scelta della società A. si pone in contrasto con l’esigenza (ribadita con l’indizione della nuova gara) di perseguire l’interesse pubblico alla realizzazione dei lavori oggetto della selezione n. 20/09 (ora revocata).

Anche la seconda giustificazione (l’utilizzo, cioè, del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare con importo superiore ad euro 100.000,00) non risulta rispettare i requisiti previsti dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

Ora, in disparte il fatto che la Direttiva n. 11 del dicembre 2009 alla quale A. intende conformarsi è stata adottata quando il bando n. 20/09 era già stato pubblicato (maggio 2009) e la gara era già stata aggiudicata in via provvisoria (luglio 2009), ciò che conta è che, anche alla luce di quanto affermato in precedenza, la scelta del criterio di aggiudicazione negli appalti pubblici è ormai rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante (cfr art. 81 del D.lgs n. 163 del 2006).

Lo stesso art. 81, comma 2, del decreto citato prevede, altresì, che le stazioni appaltanti scelgono, tra i due criteri, quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto nel senso che la discrezionalità, sebbene ampia, non è libera ma deve essere esercitata nei limiti della continenza ovvero con riferimento all’oggetto posto in gara.

Nel caso di specie, pur non entrando nella valutazione dell’oggetto del contratto (ovvero la complessità dei lavori e la completezza delle prestazioni richieste nel capitolato speciale), va osservato, con riferimento alla verifica del rispetto dei presupposti previsti per l’applicazione dell’istituto previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, che la stazione appaltante non ha spiegato le ragioni per cui, con riferimento all’oggetto del contratto ed al contenuto della documentazione di gara (in particolare, capitolato speciale ed obblighi contrattuali), il nuovo criterio di aggiudicazione avrebbe garantito un miglior perseguimento degli obiettivi che si era prefissata e, comunque, i motivi per i quali il criterio del prezzo più basso non consente l’efficace (o efficiente) raggiungimento degli scopi predetti.

L’unica ragione che è stata esplicitata è quella di volersi conformare alla nuova Direttiva n. 11 del dicembre 2009, ma null’altro di concreto (ovvero riferito all’oggetto specifico della gara n. 20/2009) viene fornito dalla stazione appaltante che sia compatibile con i requisiti previsti dalla legge per l’applicazione, nel caso di specie, dell’istituto della revoca in autotutela.

4. In conclusione, previo assorbimento delle ulteriori censure dedotte dalle ricorrenti (avente ad oggetto, in particolare, la mancata comunicazione di avvio del procedimento di revoca della gara di che trattasi), il ricorso introduttivo del giudizio ed i motivi aggiunti vanno accolti con conseguente annullamento degli atti impugnati e, specificatamente, individuati nei predetti atti (nel senso chiarito al precedente punto 2.).

La richiesta risarcitoria, pure avanzata dall’ATI C., va invece dichiarata inammissibile in quanto le ricorrenti non hanno dato prova del danno subito (cfr, per tutte, Cons. St., sez. VI, n. 7124/2010).

Va d’altra parte rilevato, in considerazione delle esposte peculiarità del caso concreto, che residuano in capo alla stazione appaltante spazi di discrezionalità che non escludono che, una volta riesercitato il proprio potere in aderenza all’effetto conformativo della presente pronuncia, possa essere riconosciuto alle ricorrenti il bene della vita tanto da ristorare, in forma specifica (come richiesto in via principale dall’ATI C.), il danno lamentato con l’impugnativa in esame (ovvero la mancata aggiudicazione della gara, il cui danno per equivalente è stato genericamente stimato nel 10% del prezzo offerto).

5. Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, in ragione della complessità delle questione affrontate e dell’esito della fase cautelare, tranne per il contributo unificato che va invece posto a carico della parte soccombente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione.

Dichiara inammissibile la domanda risarcitoria proposta dalle ricorrenti.

Spese compensate.

Contributo unificato carico della società A., ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, del DPR n. 115 del 2002.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.