T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 04-03-2011, n. 219 Deliberazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 Con atto consegnato per la notifica il 5 gennaio 2006, notificato il successivo 10 – depositato il 7 febbraio 2006 – la ricorrente agisce per l’annullamento, con connessa istanza risarcitoria, della delibera consiliare n. 54 del 15 settembre 2005 di ratifica l’accordo di programma ex articolo 34 D. Lgs. 267/2000, concernente la realizzazione di una strada di collegamento tra il quartiere di San Valentino e la via Appia Nord in variante al PRG, accordo notificato il 17 novembre 2005 a seguito di istanza di accesso agli atti, depositata il 20 ottobre 2005, successiva alla nota comunale prot. n. 32266 del 3 ottobre 2005, recante comunicazione ai sensi degli articoli 17 e 18 del DPR 327/2001. Dopo aver dedotto l’immediata lesività di detta ultima comunicazione e l’insussistenza della qualità di controinteressate relativamente alle amministrazioni che hanno concorso all’accordo di programma, ha argomentato le proposte domande deducendo: violazione, falsa applicazione di norme di legge artt. 11 e 16 DPR 327/2001 e s.m.i. (7 e 8 della legge 241/1990) – eccesso di potere per difetto di istruttoria e per incongruità dei termini procedimentali – violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12, comma 1, DPR 327/2001 e 34 TUEL.

2 Con atto depositato in data 13 aprile 2006, si è costituito il comune di Cisterna di Latina.

3 Con atto consegnato per la notifica il 29 aprile 2006, notificato il 3 maggio 2006 – depositato il successivo 27 – la ricorrente ha impugnato con motivi aggiunti, il decreto di occupazione d’urgenza.

4 Con memoria depositata il 20 gennaio 2011 il comune di Cisterna di Latina ha eccepito l’irricevibilità e l’inammissibilità, nonché opposto l’infondatezza del ricorso.

5 Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2011 il ricorso è stato chiamato ed introdotto per la decisione.
Motivi della decisione

1 Il ricorso deve esser respinto per quanto di seguito esposto.

2 E" innanzitutto fondata l’eccezione di tardività rapportata dal resistente alla nota prot. n. 32266 datata 3 ottobre 2005 (ricevuta il 6 ottobre 2005) di comunicazione ai sensi degli articoli 17 e 18 del DPR 327/2001, alla quale la ricorrente ha fatto seguire l’istanza di accesso depositata il 20 ottobre 2005. Con la stessa il dirigente del settore competente ed il responsabile del procedimento, hanno partecipato l’accordo di programma conclusivo della conferenza dei servizi, la ratifica consiliare quindi i relativi effetti, ex articolo 10 del d.P.R. 327/2001, cioé l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio nonché la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. Va allora richiamato il costante orientamento per il quale, la piena conoscenza si realizza allorquando l’interessato è consapevole dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività. La piena conoscenza che determina la decorrenza del termine di impugnazione, si ricollega all’esistenza dell’atto e dei suoi elementi essenziali (Consiglio di stato, VI, 15 marzo 2004, n. 1332; IV, 15 dicembre 2003, n. 8219) quali l’autorità amministrativa che l’ha adottato, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo (Consiglio di stato IV, 19 luglio 2007, n. 4072; 29 luglio 2008, n. 3750); il che impone l’immediata impugnazione, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano altri profili di illegittimità. Sempre in base a consolidato orientamento poi, l’interessato non può giovarsi di atti di propria iniziativa e nel caso quindi non può rilevare la domanda di accesso avanzata dopo la citata comunicazione (Consiglio di stato IV, 12 giugno 2009, n. 3730; n. 1298 del 5 marzo 2010).

2.1 Nella fattispecie il Collegio ritiene poi di condividere l’orientamento per il quale siffatta comunicazione rileva ai fini processuali, in quanto, per il suo contenuto, la stessa consente di individuare in maniera oggettiva il dies a quo da cui decorre il termine d’impugnazione per i soggetti espropriati (T.a.r Campania, Salerno, I 15 maggio 2009, n. 2279; T.a.r. Liguria Genova, I, 12 dicembre 2008, n. 2101).

2.2 Infine va rimarcato che alla vicenda pertiene l’articolo 23 – bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (richiamato dall’articolo 53, comma 2, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) per il quale, nei giudizi interessanti le procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle opere pubbliche, i termini processuali sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso. Il ricorso è allora tardivo anche per altro profilo in quanto, a fronte del perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario da ricondursi al 10 gennaio 2006, lo stesso è stato depositato il 7 febbraio 2006, quindi dopo la scadenza del termine di quindici giorni.

3 L’atto introduttivo è comunque anche infondato. La ricorrente ha dedotto la violazione delle garanzie partecipative con riferimento e all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e con riguardo alla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. Alla fondatezza delle predette censure va tuttavia opposto che il resistente (documentazione depositata il 20 gennaio 2011) ha prodotto, senza che sia stata dedotta altra contraria indicazione, copia dell’avviso di avvio del procedimento di apposizione del vincolo e di dichiarazione di pubblica utilità connesso all’articolo 11, comma 2, del d.P.R. 327/2001, nonché da copia della gazzetta ufficiale n. 261 del 10 novembre 2003 e del quotidiano locale in pari data.

4 Identico esito deve rassegarsi quanto ai motivi aggiunti che sono infondati in relazione: (a) alla dedotta censura di illegittimità derivata, per quanto su esposto; (b) alla rappresentata violazione dell’articolo 22 – bis del d.P.R. 327/2001 per evidente genericità della censura rispetto alla complessiva articolazione del decreto che riconduce l’urgenza ad una serie di evenienze, per nulla contestate, non ultima la necessità di una tempestiva realizzazione della struttura in connessione alla approvazione dei piani particolareggiati ed alla finalità di cui all’articolo 38 – bis della legge n. 104/1994. Gli stessi sono anche irricevibili per tardività del deposito avvenuto il 27 maggio2006, a fronte del perfezionamento della notifica, da ricondurre al 3 maggio 2006.

5 Le spese seguono la soccombenza per l’ammontare di cui in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi Euro 2.000,00 (duemila,00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-03-2011, n. 2396

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Svolgimento del processo

1. La società ricorrente ha partecipato alla gara informale indetta dalla Banca d’Italia per l’affidamento quadriennale del servizio di conduzione e manutenzione ordinaria degli impianti tecnologici ed idrico – sanitari, nonché degli interventi di manutenzione straordinaria ed impiantistica da espletarsi presso la sede di Roma ("Palazzo Koch").

L’importo posto a base di gara era pari a euro 6.712.000,00.

Il criterio di aggiudicazione previsto era quello del prezzo più basso, previa espressa verifica delle offerte risultate anormalmente basse, ai sensi degli art. 86 e ss. del d.lgs. n. 163/2006.

S. evidenzia che il disciplinare invitava i concorrenti a corredare l’offerta con una relazione illustrativa contenente le giustificazioni del prezzo offerto. Era in particolare richiesta un’analisi economica relativa ai "costi relativi alla manodopera che verrà utilizzata… con l’evidenziazione dei costi associati, sulla base del contratto collettivo nazionale applicato a ciascun livello di figura professionale e con l’indicazione delle ore complessive annue impegnate, tenuto conto delle prestazioni minime richieste dal Capitolato speciale. I costi indicati dovranno essere parametrati a quelli desumibili dalle tabelle di cui all’art. 87, comma 2, lett. g) del d.lgs. n. 163/2006 relative al personale dipendente da imprese dell’industria metalmeccanica privata e della installazione di impianti".

In particolare, per la manutenzione ordinaria degli impianti era previsto l’impiego minimo di 28 lavoratori, le cui qualifiche e livelli di inquadramento professionali venivano specificamente indicati.

Dalla comunicazione di avvenuta aggiudicazione S. ha appreso che la R. s.p.a. ha offerto un ribasso pari al 36,510% sul prezzo a base d’asta.

Dopo aver avuto accesso agli atti di gara, ha poi constatato che l’aggiudicataria ha potuto formulare il proprio prezzo prospettando un costo del personale notevolmente inferiore a quello fissato nelle tabelle allegate al d.m. 20 settembre 2007.

In particolare, la controinteressata ha indicato:

– un costo medio orario di euro 17,40 per gli operai inquadrati nel 4° e 5° livello, mentre la tabella ministeriale prevede, rispettivamente, un costo di euro 18,22 e di 19,44;

– un costo di euro 17,00 per l’operatore tecnico inquadrato nel 5° livello, mentre la tabella ministeriale prevede un costo di euro 19,44;

– un costo di euro 17,50 per il responsabile tecnico inquadrato nel 6° livello mentre la tabella ministeriale prevede un costo di euro 21,90.

Alla richiesta di giustificazioni della stazione appaltante circa il basso costo del personale, R. ha replicato invocando sostanzialmente due fattori:

a) l’assunzione di parte dei lavoratori dalle liste di mobilità in modo da beneficiare delle agevolazioni contributive di cui alla l. n. 223 del 1991;

b) un numero di ore annue effettivamente lavorate di 1.752, superiore a quello (fissato in 1.592 ore) previsto dalla tabella di cui al d.m. 20 settembre 2007.

Quest’ultimo dato è stato ottenuto attraverso la riduzione di un’ora dei permessi sindacali, la riduzione di 63 ore per malattie, infortuni e maternità (rispetto alle 103 previste dalle tabelle), l’abbattimento di tutte le ore previste per le festività.

La gara, è stata poi effettivamente e definitivamente aggiudicata alla R..

Avverso l’aggiudicazione, nonché avverso gli atti presupposti, S. ha dedotto, con il ricorso principale, che le giustificazioni relative al costo del lavoro non dovevano essere accolte.

In particolare, in relazione all’assunzione dei lavoratori provenienti dalle liste di mobilità, la società evidenzia che mentre la normativa di favore prevede benefici per 18 mesi, l’appalto di cui si verte ha una durata di quattro anni. Si tratta, comunque, di una giustificazione fondata su un dato eventuale ed incerto, non supportato da alcun elemento probatorio.

Non potevano inoltre essere accettate le giustificazioni fondate su una significativa riduzione delle ore di assenza previste dalle tabelle ministeriali.

Ciò, con particolare riguardo alle festività (il cui godimento è obbligatorio, secondo i contratti collettivi), alle ore relative alla fruizione dei permessi sindacali e dei permessi studio, nonché, infine, alle assenze per malattie ed infortuni (in quanto dato imprevedibile e incerto, soprattutto con riferimento ai nuovi assunti).

Si sono costituite, per resistere, la Banca d’Itala e R. s.r.l..

Quest’ultima, inoltre, ha proposto ricorso incidentale avverso l’ammissione dell’offerta di S..

Con motivi aggiunti depositati il 3 aprile 2009, S. ha esteso l’impugnazione ad ulteriori atti, relativi alla valutazione delle giustificazioni di R., depositati in giudizio dalla Banca d’Italia, avverso i quali ha in particolare dedotto:

– che essendo la società controinteressata, la precedente affidataria del servizio, l’organico era al completo, e che, pertanto, non erano verosimili le nuove assunzioni previste;

– che, illegittimamente, il responsabile del procedimento ha proceduto a ricalcolare il costo del lavoro indicato da R., includendo nel computo anche le ore per festività.

Con ulteriori motivi aggiunti, depositati il 14 maggio 2009, ha poi dedotto (in esito al deposito di ulteriore documentazione da parte della resistente):

– che al momento della presentazione dell’offerta risultavano a carico di R. due violazioni definitivamente accertate in materia di imposte e tasse, concernenti 1) una cartella esattoriale per l’importo di euro 12.272,59, relativa all’anno di imposta 1991; 2) un accertamento relativo all’anno 1993, notificato il 14.6.1999.

Sussiste inoltre, a dire della ricorrente, una ulteriore, autonoma causa di esclusione, consistente nella non corrispondenza tra le dichiarazioni rese e le risultanze documentali degli accertamenti effettuati dalla Banca d’Italia.

Infine, con i motivi aggiunti depositati il 19.6.2009, S. ha esteso l’impugnazione al provvedimento con cui la Banca d’Italia ha concluso il procedimento amministrativo volto alla verifica delle dichiarazioni rese dall’aggiudicataria in sede di partecipazione alla gara, confermando l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva a favore di R..

Con riferimento alla cartella esattoriale relativa all’anno di imposta 1991, la controinteressata sostiene peraltro che, nel momento in cui ha reso la dichiarazione, ex art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 (il 23 maggio 2008), non le era ancora stata notificata la sentenza resa dalla Commissione tributaria provinciale il 22 febbraio 2008. Pertanto, essendo ancora pendenti i termini per l’appello, detta dichiarazione doveva considerarsi veritiera.

S. evidenzia, per contro, che, ai fini della c.d. regolarità in materia tributaria, gli effetti favorevoli derivanti dalla proposizione di un ricorso amministrativo o giurisdizionale avverso un accertamento, sono collegati alla data di presentazione del ricorso, che deve essere antecedente alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara.

La controinteressata, pertanto, avrebbe potuto dichiarare la regolarità fiscale solo ove, al momento della presentazione dell’offerta, avesse già proposto ricorso in appello dinanzi alla Commissione Tributaria regionale, non rilevando la mera pendenza del termine per la proposizione dell’appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria provinciale.

Resistono, anche ai motivi aggiunti, la Banca d’Italia e R. s.r.l..

Con ordinanza n. 2875 del 25.6.2009, è stata respinta l’istanza cautelare.

Le parti hanno depositato articolate memorie e ampia documentazione.

Il ricorso, e i motivi aggiunti, sono stati infine assunti in decisione alla pubblica udienza del 26 gennaio 2011.
Motivi della decisione

1. E’ controversa la legittimità dell’affidamento quadriennale del servizio di conduzione e manutenzione ordinaria degli impianti tecnologici ed idricosanitari, nonché degli interventi di manutenzione straordinaria ed impiantistica del complesso immobiliare di via Nazionale n. 91, in Roma (Palazzo Koch).

1.1. Il ricorso principale e i primi due motivi aggiunti, vertono sul procedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria, R. s.r.l., nella parte relativa alla conduzione e manutenzione ordinaria (per un importo stimato posto a base di gara di euro 4.072.000,00).

Come precisato dalla difesa dell’Istituto resistente, alcun rilievo è stato invece svolto (né dalla stazione appaltante stessa, né con il presente ricorso), circa la congruità dell’offerta nella parte riferita alla "manutenzione straordinaria" a richiesta (per un importo stimato posto a base di gara di euro 2.640.000,00).

I terzi motivi aggiunti vertono invece sulla dichiarazione resa da R. in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 38, comma 1, lett. g) del Codice dei contratti pubblici.

2. Giova premettere, che, secondo un ormai costante e lineare orientamento giurisprudenziale (inaugurato da Cons. St., sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601), il sindacato del giudice amministrativo sui giudizi che si atteggiano alla stregua di espressione di discrezionalità tecnica, può limitarsi al controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito nell’attività amministrativa se ciò appare sufficiente per valutare la legittimità del provvedimento impugnato e non emergano indizi tali da giustificare una ripetizione, secondo la tecnica del sindacato intrinseco, delle indagini specialistiche; tale sindacato può anche consistere, ove ciò sia necessario ai fini della verifica della legittimità della statuizione gravata, nella verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo, fermo restando che esula dal compito del giudice amministrativo il riesame delle autonome valutazioni dell’interesse pubblico compiute dall’amministrazione sulla base delle cognizioni tecniche acquisite.

Con riferimento al sindacato sulle valutazioni amministrative in tema di anomalia, compito primario del giudice è quello di verificare se il potere amministrativo sia stato esercitato con un utilizzo delle regole tecniche conforme a criteri di logicità, congruità, ragionevolezza e corretto apprezzamento dei fatti. Nella verifica dell’anomalia, pertanto, l’esito della gara può essere travolto dalla pronuncia del giudice amministrativo solo allorquando il giudizio negativo sul piano dell’attendibilità riguardi voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, rendano l’intera operazione economica non plausibile e, per l’effetto, non suscettibile di accettazione da parte della stazione appaltante, e ciò "a causa del residuare di dubbi circa l’idoneità dell’offerta minata da spie strutturali di inaffidabilità, a garantire l’efficace perseguimento dell’interesse pubblico" (Cons. St., sez. VI, 3 maggio 2002, n. 2334).

Particolare attenzione è stata poi dedicata alla valutazione di offerte che evidenzino, in relazione al costo del personale, scostamenti dai valori determinati "periodicamente in apposite tabelle dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale e assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali; in mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione" (art. 87, comma 2, lett. g) d.lgs. n. 163/2006).

Ferma restando l’inammissibilità di giustificazioni "in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge" (disp., ult. cit., comma 3), lo scostamento dagli importi relativi al costo del personale rilevati dai citati decreti ministeriali, non determina di per sé l’automatica esclusione dalla gara.

In base al principio oggi codificato dall’art. 55 della direttiva 2004/18/CE, i concorrenti devono avere la possibilità di dimostrare in concreto qualunque circostanza (di fatto e di diritto), che permetta la riduzione dei costi.

Così, anche nel caso di specie, il d.m. 20.9.2007 (recante "Aggiornamento del costo medio orario del lavoro per il personale dipendente da imprese esercenti le attività di installazione, manutenzione e gestione di impianti, a valere dal mese di marzo 2007"), richiamato dalla disciplina di gara, chiarisce, all’art. 2, che il costo del lavoro rilevato nella tabelle allegate al decreto stesso è suscettibile di oscillazioni, tra l’altro, in dipendenza di "a) benefici (contributivi, fiscali od altro) previsti da norme di legge di cui l’impresa può usufruire (…)";

2.1. In concreto, in esito ad una articolata e approfondita verifica in contraddittorio, l’amministrazione oggi resistente ha constatato (cfr. doc. 8 allegato alla memoria per la camera di consiglio dell’11 marzo 2009):

– che l’abbattimento del costo del personale derivava, oltre che dal maggior numero medio di ore annue lavorate, anche dai benefici contributivi e fiscali rivenienti dall’impiego di mano d’opera assunta dalle liste di mobilità, che rappresentava, rispettivamente, il 55% e il 30% delle squadre di operai di IV e V livello utilizzate per l’espletamento del servizio;

– dal raffronto tra il costo di una squadra di operai standard del tipo di quella prospettata dall’aggiudicataria nella propria offerta e quello calcolato applicando le tabelle ministeriali, risultava un minor costo pari al 15%;

– dal dettaglio dei costi della mano d’opera emergeva che la R. aveva comunque applicato tutte le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva per le prestazioni notturne, festive e prefestive.

L’amministrazione ha quindi concluso che il numero delle ore di lavoro indicate nell’offerta della R. risultava complessivamente adeguato e comunque in linea con quanto dalla stessa stimato.

2.2. Con un primo ordine di rilievi, S. sostiene che l’assunzione dei lavoratori dalle liste di mobilità costituisce un evento futuro ed incerto e che, al riguardo, R. non avrebbe allegato alle proprie giustificazioni alcuna idonea documentazione probatoria.

Evidenzia, inoltre, che la durata degli incentivi previsti dalla l. n. 223 del 1991 è pari a solo 18 mesi, mentre il servizio di cui si controverte ha durata quadriennale.

2.2.1. Relativamente all’impegno di R. volto all’assunzione di parte della forza lavoro da assegnare all’esecuzione della commessa di cui trattasi, attingendo dalle liste di mobilità, opina il Collegio che la valutazione della stazione appaltante, circa la verosimiglianza del risparmio di spesa in tal modo conseguibile, sia esente da rilievi.

Va premesso che non avrebbe avuto senso richiedere che R. comprovasse l’effettiva assunzione prima dell’aggiudicazione della commessa, né, a ben vedere, parte ricorrente si spinge ad affermare tanto.

In secondo luogo, l’assunzione di lavoratori provenienti dalle liste di mobilità – per di più aventi, come nel caso di specie, non elevata specializzazione – appare evenienza del tutto normale in quanto (anzi) normativamente prevista ed agevolata di talché è parere del Collegio che fosse onere di parte ricorrente dimostrare che la stessa, pur oggetto di un impegno giuridicamente assunto dalla controinteressata, non era realmente possibile (ad esempio, per incapienza delle liste relative alla qualifica richiesta).

In concreto, è peraltro rilevabile che – come documentato dall’Istituto resistente, e non contestato da S. – la programmata assunzione di lavoratori provenienti dalle liste di mobilità da parte di R., è poi effettivamente avvenuta (cfr., in particolare, il doc. n. 17 della produzione della Banca d’Italia da cui risulta che R., ha comunicato all’amministrazione di avere avviato l’assunzione dei lavoratori in questione, nonché – doc. n. 31 della medesima produzione – di avere effettivamente proceduto all’assunzione di otto lavoratori i cui nominativi corrispondono a quelli inseriti negli elenchi tenuti dalla Direzione provinciale del lavoro competente).

2.2.2. Relativamente alla durata delle agevolazioni contributive e fiscali, rileva il Collegio che l’amministrazione resistente (cfr., in particolare i doc. n. 14 e n. 15) ha provveduto a verificare la remuneratività dell’offerta di R. anche nel caso in cui la durata di siffatti benefici risulti effettivamente limitata ai primi 18 mesi.

Essa ha, pertanto, ragionevolmente concluso che l’offerta non presenti, neanche sotto il rilevato profilo, particolari criticità.

Va, inoltre, considerata anche la possibilità che, facendo leva sulla propria autonomia organizzativa, attraverso gli opportuni avvicendamenti, R. riesca effettivamente ad adibire alla commessa, per tutta la vigenza del contratto di appalto, operai assunti dalle liste di mobilità.

Ad ogni buon conto, i calcoli effettuati, al riguardo, dall’Istituto resistente, non sono stati puntualmente confutati dalla ricorrente.

2.3. S. sostiene ancora che, essendo R. la precedente affidataria del servizio di cui si controverte, non avrebbe potuto procedere ad alcuna nuova assunzione, in quanto dotata di un organico al completo.

Al riguardo, è tuttavia facile rilevare che non vi è alcun principio di prova circa il fatto che quella in esame sia l’unica commessa attualmente in esecuzione da parte della controinteressata.

Pertanto, in assenza di dati circa lo stato delle commesse in cui R. è attualmente impegnata (dati facilmente reperibili anche da parte ricorrente, in quanto operante nel medesimo settore), non è possibile arguire alcunché in ordine alla razionalità dell’organizzazione di impresa della controinteressata nonché circa la redistribuzione del personale assunto.

2.4. Con ulteriore ordine di rilievi, S. ha poi stigmatizzato le giustificazioni di R. (nonché l’accettazione delle stesse da parte della stazione appaltante) nella parte in cui evidenziano un numero di ore lavorate (in media) sensibilmente superiore alle previsioni contenute nelle tabelle ministeriali di cui al cit. d.m. 20.9.2007.

2.4.1. Va premesso che, nell’effettuare il procedimento di verifica, la Banca d’Italia ha provveduto a ricalcolare il numero di "ore annue mediamente lavorate" indicato da R., sottraendo ad esse le 96 ore corrispondenti alle festività il cui godimento è obbligatorio (per legge ovvero in base alle previsioni dei contratti collettivi).

Tale operazione non costituisce però, a parere del Collegio, una manipolazione dell’offerta (in termini qualitativi e/o quantitativi).

Parte resistente si è infatti limitata ad effettuare una sorta di "prova di resistenza" in relazione alla composizione delle voci di costo, mediante la correzione di quelle contrastanti con norme imperative, o, comunque, inderogabili, rilevando che, anche in tale ipotesi, l’offerta rimane remunerativa (cfr., in particolare, l’allegato 2 al doc. n. 9).

2.4.2. La Banca d’Italia ha ritenuto attendibili, in relazione al minor tasso di assenteismo (rispetto alle tabelle ministeriali) ipotizzato da R., le statistiche prodotte dall’impresa, derivanti, peraltro, dall’osservazione delle serie storiche rilevate nel corso dell’esecuzione della precedente, analoga commessa resa in favore della stazione appaltante.

Quest’ultima ha, pertanto, potuto confrontare la proiezione statistica effettuata da R. con i tabulati di presenza del personale adibito nell’ultimo biennio al medesimo servizio (cfr. doc. n. 18 della produzione di parte resistente)

La rilevanza delle valutazioni statistiche ed analisi aziendali svolte dall’offerente è costantemente affermata dalla giurisprudenza amministrativa, con la precisazione che esse debbono essere accuratamente vagliate dalla stazione appaltante ai fini del giudizio di congruità e dell’affidabilità dell’offerta (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 12 novembre 2010, n. 7246, e la giurisprudenza ivi richiamata).

D’altro canto, è bene ricordare che anche le tabelle ministeriali si fondano su rilevazioni statistiche, rispetto alle quali può essere logicamente considerata prevalente (come avvenuto nel caso di specie) l’esperienza maturata dall’amministrazione stessa nei rapporti con l’aggiudicataria.

Vero è che, nel caso in esame, una quota parte dei lavoratori da adibire alla commessa (intorno al 40%) è di nuova assunzione, e che, in relazione ad essi, non è agevolmente prevedibile il tasso di assenteismo.

Tuttavia, non appare illogico il criterio di valutazione seguito dall’amministrazione, la quale ha considerato che, in rapporto ad una realtà aziendale particolarmente efficiente, fosse ragionevole assumere, anche per le nuove leve, l’opzione statistica più prossima a tale realtà.

E’ bene osservare che parte ricorrente non ha, in contrario, offerto alcun dato o studio scientifico, idoneo a contrastare la regola di esperienza applicata dall’amministrazione.

2.5. Per completezza, si osserva che, nella memoria depositata per l’udienza del 7 luglio 2010, S. ha svolto ulteriori censure, relative al costo della c.d. "squadra operai" nonché degli altri operatori.

Si tratta di censure non solo inammissibili (in quanto contenute in una semplice memoria, non notificata), ma anche palesemente tardive posto che (in disparte la piena e incontestata accessibilità che parte ricorrente ha avuto, ab origine, agli atti del procedimento), l’amministrazione resistente ha versato in giudizio la documentazione relativa alla valutazione delle giustificazioni sin dal 9 marzo 2009.

3. Un distinto ordine di rilievi ha riguardato la dichiarazione sostituiva resa da R. in sede di partecipazione alla gara circa l’inesistenza di "violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse (…)" (art. 38, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 163/2006).

A seguito dei riscontri effettuati dalla stazione appaltante, l’Agenzia delle Entrate ha trasmesso una certificazione dalla quale risultano due distinte violazioni, relative, rispettivamente, agli anni d’imposta 1991 e 1993.

La controinteressata, in risposta alla richiesta di chiarimenti della Banca d’Italia, ha trasmesso da un lato, copia del provvedimento di annullamento dell’avviso di accertamento emesso ai propri danni per l’anno d’imposta 1993, dall’altro copia del certificato di pendenza del giudizio di appello proposto in data 22.10.2008 innanzi alla Commissione Tributaria regionale per il Lazio, avente ad oggetto la cartella esattoriale relativa all’anno 1991.

In punto di fatto, con riferimento a tale elemento, risulta che l’Istituto odierno resistente ha chiesto alla R. di fornire "elementi atti a comprovare che l’impugnativa innanzi alla Commissione tributaria per il Lazio sia stata proposta nei termini di legge".

In data 8.5.2009 R. ha trasmesso una copia del biglietto di cancelleria dal quale risulta che in data 22.2.2008 la Commissione Tributaria provinciale di Roma ha depositato la sentenza, successivamente appellata, precisando che, a tale data, i termini per l’impugnativa dovevano considerarsi ancora pendenti, in assenza di notifica della sentenza stessa (doc. 25 della produzione della Banca d’Italia).

L’Istituto resistente ritiene che, sulla base della documentazione trasmessa, e dei documenti ricevuti da R., non vi fosse alcuna discrepanza tra la dichiarazione da questa resa in sede di partecipazione alla gara e la reale situazione di fatto in cui versava l’impresa ricorrente.

Tanto alla luce del quadro, normativo e giurisprudenziale, vigente in materia.

Giova, al riguardo, riportare i più significativi passaggi con cui, per quanto qui interessa (cfr., in particolare, il par. 9), nella determinazione n. 1 del 12 gennaio 2010), l’Autorità per la vigilanza sui Contratti Pubblici ha compendiato lo "stato dell’arte" circa i requisiti di ordine generale per l’affidamento dei contratti pubblici.

Si è già ricordato che, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 163/2006, sono esclusi dalla partecipazione alle gare "coloro che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti".

La definitività dell’accertamento consegue ad una decisione giurisdizionale o ad un atto amministrativo di accertamento tributario non impugnato e divenuto incontestabile.

L’Autorità ricorda anche che, come chiarito dalla Corte di Giustizia (cfr. sez. I, 9 febbraio 2006, C226/04 e C228/04) e sancito dai giudici amministrativi nazionali, "laddove l’impresa si sia avvalsa di ricorsi giurisdizionali o amministrativi avverso atti di accertamento del debito o abbia usufruito di condono fiscale o previdenziale o, infine, abbia ottenuto una rateizzazione o riduzione del debito, la stessa deve essere considerata in regola, a condizione che provi di aver presentato ricorso o di aver beneficiato di tali misure, entro il termine di scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara ovvero di presentazione dell’offerta.

L’operatore economico deve dimostrare di avere beneficiato di tali misure o di avere proposto i predetti ricorsi entro la scadenza del termine di presentazione delle offerte o delle domande di partecipazione in caso di procedure ristrette. Tale condizione è essenziale, in quanto il requisito della regolarità tributaria, costituendo presupposto per la partecipazione alla procedura di affidamento, deve sussistere al momento della scadenza del termine di partecipazione ed essere mantenuto per tutto lo svolgimento della gara fino all’aggiudicazione (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 12 giugno 2008, n. 1479; T.A.R. Lazio, sez. III, 5 marzo 2009, n. 2279). Pertanto, così come sarebbe irrilevante un adempimento tardivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 288) per converso, ai fini dell’esclusione, la definitività dell’accertamento deve parimenti sussistere al momento della presentazione dell’offerta o della domanda di partecipazione (…)".

L’assunto è ribadito anche nelle più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale "non può escludersi la situazione di inoppugnabilità di una cartella esattoriale per il semplice fatto che sia stato proposto ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento, senza attribuire alcuna rilevanza alla preclusione derivante dall’inosservanza, emergente dagli atti, dei termini perentori di decadenza. In caso contrario, l’esperimento dell’azione si risolverebbe in un comodo espediente per eludere l’applicazione della legge." (Cons. St., sez. V, 23 marzo 2009, n. 1755).

Nel caso di specie, risulta che l’odierna resistente, nel verificare la regolarità della posizione contributiva della R., nonché la veridicità della dichiarazione dalla stessa resa in sede di partecipazione alla gara, si sia pienamente attenuta ai principi testé evidenziati.

Si è già ricordato, infatti, che alla data del 23 maggio 2008, R. non aveva ancora avuto conoscenza legale del rigetto del ricorso proposto innanzi alla Commissione Tributaria provinciale avverso l’accertamento d’imposta relativo all’anno 1991.

Il contenzioso in precedenza attivato era, pertanto, ancora pendente e non sussisteva alcuna "violazione definitivamente accertata".

Parte ricorrente insiste tuttavia sulla circostanza che la dichiarazione resa da R. fosse "mendace" per non avere dato conto della pendenza di siffatto contenzioso.

Al riguardo, rileva il Collegio che la dichiarazione sostitutiva prevista dalla lex specialis (cfr. l’allegato A del disciplinare annesso alla lettera di invito), si limita, con formulazione generica, a richiamare l’insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, del più volte richiamato d.lgs. n. 163/2006.

In materia, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che "laddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38 (…) esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché il concorrente non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate. La dichiarazione del concorrente, in tale caso, non può essere ritenuta "falsa" (…) Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso, e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali, o tutte le violazioni contributive: in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dall’art. 38 codice, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine dell’esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando" (così Cons. St., sez. VI, 04 agosto 2009, n. 4905).

L’assunto è ormai consolidato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, il quale ha ulteriormente osservato che "il comma 1 dell’art. 38 d.lg. n. 163 del 2006 ricollega l’esclusione dalla gara al dato sostanziale del mancato possesso dei requisiti indicati, mentre il comma 2 non prevede analoga sanzione per l’ipotesi della mancata o non perspicua dichiarazione. Da ciò discende che solo l’insussistenza, in concreto, delle cause di esclusione previste dall’art. 38 comporta, "ope legis", l’effetto espulsivo. Quando, al contrario, il partecipante sia in possesso di tutti i requisiti richiesti e la "lex specialis" non preveda espressamente la pena dell’esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e sull’oggetto delle dichiarazioni da fornire, facendo generico richiamo all’assenza delle cause impeditive di cui all’art. 38, l’omissione non produce alcun pregiudizio agli interessi presidiati dalla norma, ricorrendo un’ipotesi di "falso innocuo", come tale insuscettibile, in carenza di una espressa previsione legislativa o – si ripete – della legge di gara, a fondare l’esclusione, le cui ipotesi sono tassative." (Cons. St., sez. V, 9 novembre 2010, n. 7967).

Nel caso di specie, reputa il Collegio che, come già evidenziato in sede cautelare, non vi fosse alcun onere, da parte di R., di informarsi circa lo stato del contenzioso tributario in precedenza attivato, né, comunque, vi fosse la necessità di indicare anche gli estremi di quest’ultimo, non essendo rinvenibile, in tal senso, alcuna specifica prescrizione di gara.

4. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso principale, e i motivi aggiunti, debbono essere respinti.

Il ricorso incidentale va invece dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando, così provvede;

1) respinge il ricorso principale e i motivi aggiunti;

2) dichiara improcedibile il ricorso incidentale;

3) condanna S. s.p.a. alla rifusione delle spese di giudizio, che si liquidano in euro 1.200,00 (milleduecento/00) oltre agli accessori, come per legge, in favore della Banca d’Italia, ed in euro 1.200,00 (milleduecento/00) oltre agli accessori, come per legge, in favore di R. s.r.l..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-06-2011, n. 14429 Insegnanti elementari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La parte qui ricorrente, insegnante di ruolo di scuola elementare presso un istituto del secondo circolo didattico di Trani, ha convenuto in giudizio il Ministero della Pubblica istruzione chiedendone la condanna al pagamento in proprio favore di una determinata somma a titolo risarcitorio.

Ha esposto che il circolo didattico di appartenenza, individuato come scuola situata in zona a rischio, era stato coinvolto dal Provveditorato agli studi di Bari nella relativa attività progettuale; che essa, pertanto, a richiesta del Ministero aveva assunto il formale impegno di rimanere in servizio presso il circolo anzidetto per tutta la durata del progetto e comunque per non meno di tre anni; che nel corso dell’anno scolastico 2001-2002 il Ministero aveva tuttavia comunicato che il progetto, come originariamente presentato e successivamente integrato secondo le indicazioni dello stesso Ministero, doveva ritenersi non confermato.

Su tali premesse, deducendo di aver subito un grave danno professionale ed economico dalla mancata approvazione al progetto, essendole stati negati il diritto alla mobilità, visto l’impegno a permanere nella medesima sede, ed il compenso accessorio annuo spettante sulla base dell’art. 4 del contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del 31 agosto 1999 ha chiesto che la somma corrispondente al compenso perduto le fosse riconosciuta a titolo di risarcimento del danno.

La domanda, accolta in primo grado è stata rigettata dalla Corte d’appello di Bari sulla base di considerazioni così riassumibili.

Il comportamento del Ministero, essendo riconducibile alle determinazioni assunte dagli organi preposti alla gestione del rapporto di lavoro con le capacità e i poteri del datore di lavoro, deve essere valutato secondo le norme civilistiche.

In base all’art. 4, comma 13, del contratto collettivo nazionale di lavoro il collegio dei docenti entro il mese di giugno di ogni anno valuta lo stato di attuazione del progetto e il raggiungimento, ancorchè parziale, degli obiettivi fissati. La valutazione viene inviata al Ministero della pubblica istruzione per la certificazione da effettuarsi ogni anno, anche per mezzo della consulenza CEDE, al fine della conferma o meno del progetto.

L’art. 14 del contratto (recte: l’art. 13, comma 14 del contratto) prevede che i progetti possano essere confermati ovvero integrati e modificati in relazione alle risultanze emerse nel corso della loro applicazione, alla disponibilità complessiva di risorse, alla certificazione CEDE ed al numero delle scuole sulle quali intervenire.

Secondo il contratto collettivo, quindi, dopo il primo anno, il Ministero ha il potere di confermare o no il progetto in relazione alle risorse disponibili e a seconda dello stato di realizzazione del medesimo.

Perciò, il diritto all’indennità, mentre per il primo anno sorge senz’altro in favore dell’insegnante, per gli anni successivi matura solo se il progetto, confermato dal Ministero, viene ulteriormente realizzato.

D’altra parte, nel confermare o no il progetto il Ministero non esercita un potere assoluto ma deve tenere conto delle condizioni dettate dall’articolo sopra richiamato.

Occorre quindi verificare la conformità dell’operato del Ministero alle norme contrattuali ed al dovere di buona fede e correttezza, invocati dalla parte appellante.

In proposito, la nota 21 settembre 2001 n. 279 del Ministero contiene doglianze circa il livello di informazione in alcune sezioni della cosiddetta "griglia strutturata".

Esse riguardano le informazioni sulla scuola e gli elementi indicativi del grado di dispersione scolastica da contenere, la situazione di disagio sociale del territorio nel quale si trova la scuola, la rete di collaborazione con l’ente locale, le istituzioni e le associazioni; l’assenza di indicazioni sui profili di apprendimento e sul comportamento degli alunni; l’assenza di flessibilità didattica e organizzativa per il biennio trascorso e/o di indicazioni previsionali di diversa articolazione didattica per l’ultimo anno del progetto; l’assenza di riscontro di un qualsivoglia intervento sulle modalità di verifica e valutazione dei processi di insegnamento-apprendimento e di monitoraggio dell’intero processo a fronte del dato costante di assenza di abbandoni; il carattere meramente formale del rapporto con le famiglie.

Con la successiva nota del 4 dicembre 2001 n. 793 il Ministero ha poi comunicato che, nonostante l’integrazione del progetto, predisposta dal collegio dei docenti, a seguito dell’esame del gruppo tecnico istituito con decreto del direttore generale 19 luglio 2001, sulla prosecuzione dell’attività nell’anno scolastico 2001/2002 è stato espresso parere sfavorevole.

Il Ministero evidenzia in tale nota le ragioni di detto parere, pur dopo le modifiche e le integrazioni al progetto, e si esprime in senso negativo sul permanere delle condizioni che negli anni scolastici precedenti avevano fatto indicare nel secondo circolo didattico di Trani la struttura idonea all’attivazione del progetto medesimo.

Non vi sono ragioni per ritenere che tale parere sia illogico, erroneo o incongruo, nè d’altra parte sono state allegate le specifiche inadempienze dell’amministrazione o il modo con cui in concreto sarebbe stato violato il dovere di correttezza, non essendo sufficiente a tal fine la circostanza che le verifiche effettuate nell’aprile 2001 dagli ispettori circa l’esecuzione del progetto si fossero concluse positivamente. Del resto, secondo il contratto collettivo la valutazione dei progetti deve esser fatta entro il mese di giugno da parte del collegio dei docenti e per mezzo di una griglia strutturata predisposta dal Ministero, sicchè il parere reso dagli ispettori, anteriormente alla anzidetta scadenza e con modalità diverse da quelle fissate dalla contrattazione collettiva, non assume rilievo come elemento indicativo di violazione del dovere di correttezza.

Il docente propone ricorso sulla base di due motivi. Il Ministero non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro.

La parte ricorrente si duole dell’interpretazione data dalla sentenza impugnata all’art. 4 del contratto collettivo nazionale integrativo comparto scuola del 31 agosto 1999, sostenendo che nel ritenere che, in base a tale disposizione, l’insegnante abbia diritto solo all’indennità stabilita per il primo anno, mentre per gli anni successivi il compenso dipenderebbe dalla conferma del progetto da parte del Ministero e dalla esecuzione dello stesso, il giudice di merito avrebbe trascurato la formulazione testuale della norma che conferisce al Ministero il potere di confermare il progetto dopo il primo anno senza nulla disporre per gli anni successivi, assegnando in ogni caso all’amministrazione solo il potere di certificare la correttezza della valutazione espressa dal collegio dei docenti, unico organo legittimato a valutare lo stato di attuazione del progetto pluriennale ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e contraddirtela motivazione circa un fatto controverso il decisivo per il giudizio.

La parte ricorrente critica la sentenza per aver omesso di motivare adeguatamente sulla dedotta correttezza dell’operato del Ministero, trascurando di considerare i profili risarcitori collegati alla circostanza che i docenti avevano mantenuto l’impegno assunto per il triennio ed avevano saputo solo nel corso del terzo ed ultimo anno che l’attività svolta non sarebbe stata riconosciuta.

La parte ricorrente critica, inoltre, come illogica l’affermazione della sentenza secondo cui non erano stati addotti dalle parti attrici elementi tali da far ritenere che il parere negativo espresso dall’amministrazione fosse affetto da errore o travisamento dei fatti o inesatta applicazione dei criteri tecnici di valutazione, non considerando che non era compito del singolo insegnante denunziare tali vizi, essendo sufficiente considerare che ai docenti non era stata contestata alcuna inadempienza e che essi , ove l’amministrazione avesse ritenuto di non proseguire nel progetto, avevano comunque diritto di essere compensati per il lavoro espletato ed indennizzati per il vincolo triennale assunto, con perdita di diverse alternative.

La parte ricorrente critica, infine, la sentenza come contraddittoria nella parte in cui, dato atto del carattere privatistico delle reciproche obbligazioni delle parti, addebita al docente "una (inesistente) responsabilità processuale come se la singola insegnante avesse avuto la possibilità formale e materiale di conoscere le effettive ragioni della decisione del MIUR", in palese contrasto con la situazione reale e considerando comunque le scelte strategiche del Ministero come condizione essenziale per il diniego di diritti già riconosciuti.

I due motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. La Corte li giudica infondati.

Preliminarmente occorre mettere in evidenza che il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo Comparto scuola per gli anni 1998- 2001, firmato il 31 agosto 1999 ( e pubblicato nel Supplemento ordinario alla GU 9 settembre 1999, n. 212) è contratto collettivo nazionale integrativo del contratto di comparto e non è quindi contratto decentrato, sicchè esso rientra fra quelli la cui violazione e falsa applicazione può esser direttamente denunziata a questa Corte (v. art. 63, comma 5, in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40).

L’art. 4 del citato contratto collettivo, sotto la rubrica "Scuole situate nelle zone a rischio" dispone testualmente quanto segue:

"1. Le norme contenute nel presente articolo intendono incentivare, sostenere e retribuire lo specifico impegno del personale disponibile ad operare nelle scuole collocate in aree a rischio di devianza sociale e criminalità minorile, caratterizzate da dispersione scolastica sensibilmente superiore alla media nazionale, e a permanervi per la durata prevista dal progetto e, comunque, per non meno di tre anni, al fine di sperimentare, attraverso specifici progetti da ampliare successivamente in relazione a ulteriori risorse, interventi mirati al contenimento e alla prevenzione dei fenomeni descritti. Le aree a rischio sono individuate nell’Intesa allegata al presente contratto integrativo intervenuta tra il Ministero della pubblica istruzione e le OO.SS. firmatarie del C.C.N.L..

2. Il Ministero della Pubblica Istruzione sulla base delle risorse disponibili invita, per il tramite dei competenti Provveditori agli studi, che a tal fine sottoscrivono intese con i rappresentanti provinciali delle OO.SS. firmatarie del C.C.N.L., un numero limitato di scuole appartenenti ai vari ordini e gradi situate nelle predette zone a rischio a presentare uno specifico progetto di durata pluriennale, finalizzato a sostenere e ad ampliare nelle situazioni individuate la scolarizzazione, la socializzazione, la formazione personale degli alunni e conseguentemente il successo scolastico.

3. Le risorse ammontano, in ragione d’anno, a 93 miliardi disponibili sulla base del C.C.N.L., a partire dall’anno scolastico 1999-2000 più eventuali ulteriori finanziamenti e risorse messi a disposizione dei progetti da parte degli Enti Locali, dalle autorità sanitarie, dagli uffici dei giudici dei minori, dalle associazioni di assistenza sociale , dagli altri soggetti interistituzionali interessati e dall’Unione Europea.

4.1 progetti delle scuole invitate devono essere presentati entro il 30 settembre 1999 per l’a.s. 1999-2000 ed entro il 31 dicembre per l’anno scolastico successivo.

5. Il progetto da presentare entro il 31 dicembre 1999 per l’anno scolastico 2000-2001, può confermare, con eventuali modifiche ed integrazioni, il progetto elaborato nel precedente mese di settembre.

6. Il numero delle scuole invitate a presentare il progetto di cui al comma precedente, ad eccezione delle situazioni disciplinate dall’art. 3 della citata Intesa allegata al presente accordo, può essere superiore del 30% rispetto al numero massimo delle scuole tra le quali è possibile ripartire, secondo le modalità fissate nell’art. 2 dell’Intesa allegata, le risorse previste dal presente contratto, al fine di indirizzare le scelte verso progetti ritenuti particolarmente idonei. Ciò consentirà di predisporre una mappa delle istituzioni scolastiche nelle aree individuate, in modo tale da poter coinvolgere ulteriormente nel programma di interventi contro la dispersione scolastica gli Enti locali e gli altri soggetti menzionati nel precedente comma 3. In relazione alla disponibilità manifestata dagli altri Enti e soggetti interessati saranno posti in essere accordi di programma per l’assegnazione e la migliore utilizzazione di ulteriori risorse professionali, finanziarie, strumentali e logistiche.

7. I progetti devono indicare gli obiettivi che sì intendono perseguire e contenere la previsione di attività d’insegnamento da svolgere in modo flessibile con arricchimento delle modalità e dei tempi di funzionamento delle scuole interessate sia sulla base dell’orario antimeridiano sia su orario prolungato pomeridiano e in collegamento con specifiche iniziative poste in essere parallelamente e congiuntamente dagli enti locali e dagli altri soggetti citati nel comma 3, che nel loro insieme concretizzino un sostanziale arricchimento dell’offerta formativa e l’individuazione di specifiche strategie. L’orario prolungato pomeridiano deve essere utilizzato per l’arricchimento delle attività destinate agli alunni, evitando l’appesantimento dei loro impegni e cercando di favorire il coinvolgimento delle famiglie nelle finalità del progetto. Nei progetti devono essere indicate, inoltre, le unità di personale docente ed a.t.a. chiamate a svolgere – ai vari livelli di responsabilità e funzione – le attività previste e le connesse prestazioni esigibili. Tutto il personale in servizio nell’istituzione può essere coinvolto nel progetto.

8. I progetti devono contenere proposte di specifiche attività formative modulari, da finanziare con le risorse iscritte nel bilancio di previsione del Ministero della pubblica istruzione e da far svolgere con le modalità previste dall’art. 18 del presente accordo, rivolte a tutto il personale coinvolto nel progetto e con precedenza a quello di nuova nomina o al primo anno di trasferimento.

9. Entro 30 giorni dalla loro presentazione, il Ministero sceglie i progetti da finanziare nel limite delle disponibilità finanziare previste dal comma 3 e sulla base dei criteri generali stabiliti nel precedente comma 7 e comunica alle scuole che li hanno predisposti le risorse assegnate. Una parte delle risorse disponibili fino al 10 percento è destinata a finanziare i progetti eventualmente presentati dalle scuole di cui all’art. 3 dell’Intesa.

10. In relazione alle finalità del contenimento della dispersione scolastica e alla necessità di una azione volta soprattutto alla prevenzione dei fenomeni descritti, saranno prioritariamente finanziati con le specifiche risorse contrattuali progetti redatti da scuole dell’infanzia e da scuole della fascia dell’obbligo in continuità e, in genere, progetti che prevedano il coinvolgimento dell’intera istituzione scolastica e di tutto il personale in servizio.

11. Il personale impegnato nelle attività di progetto deve dichiararsi disponibile a permanere in servizio nella scuola, anche a seguito di assunzione a tempo indeterminato o di provvedimento di mobilità territoriale e professionale, per la durata del progetto medesimo e, comunque, per non meno di tre anni. In caso di esubero, con la contrattazione decentrata e nell’ambito della diffusione dell’organico funzionale, saranno disciplinate forme di permanenza del personale in servizio impegnato nel progetto e per la durata del progetto medesimo.

12. Entro il mese di giugno, in sede di verifica delle attività del Piano Offerta Formativa (P.O.F), il collegio dei docenti valuta sulla base di una relazione redatta dal Capo d’istituto con la collaborazione degli insegnanti titolari delle funzioni obiettivo di cui all’art. 37 del presente contratto, lo stato di attuazione del progetto e il raggiungimento, anche se parziale, degli obiettivi fissati. Le valutazioni sono espresse per mezzo di una griglia strutturata, predisposta dal Ministero della pubblica istruzione entro il 30 gennaio del 2000, nella quale sono illustrati gli elementi posti alla base della valutazione medesima ed altri indicatori quali il numero degli alunni iscritti nelle varie classi, le attività svolte anche nel settore degli interventi didattici educativi integrativi, le unità di personale coinvolto nel progetto, le ore di servizio anche in eccedenza al normale orario prestato da ciascuna di esse, la percentuale di riduzione degli abbandoni rispetto alla media degli anni scolastici precedenti.

13. La valutazione del progetto è comunicata dal capo di istituto al Provveditore agli studi entro il 30 giugno di ogni anno e da questo inviata al Ministero della pubblica istruzione per la certificazione che sarà ogni anno effettuata anche per mezzo della consulenza del CEDE, al fine della conferma o meno del progetto medesimo.

14. li capo d’istituto dispone entro il 30 giugno di ogni anno e, comunque, non oltre il 31 agosto il pagamento in unica soluzione del compenso accessorio annuo al personale coinvolto nel progetto, purchè esso sia stato effettivamente in servizio a scuola per almeno 180 giorni nel corso dell’anno scolastico di riferimento. Il compenso è pari a:

L. 5.000.000 per i capi d’istituto;

L. 4.500.000 per i docenti impegnati nel progetto per l’intero orario settimanale di insegnamento;

L. 2.500.000 per il responsabile amministrativo L. 1.200.000 per il restante personale.

Lo svolgimento delle attività aggiuntive da parte del personale impegnato nella realizzazione del progetto è retribuito con le risorse del fondo di istituto, in aggiunta ai predetti compensi accessori specifici, purchè in relazione al particolare impegno orario aggiuntivo ciò sia previsto dal P.O.F. e dal progetto medesimo.

In relazione alla disponibilità complessiva di risorse, della certificazione del CEDE di cui al comma 13 e del numero delle scuole sulle quali intervenire, i progetti possono essere confermati. Essi possono anche essere integrati e modificati in relazione alle risultante emerse nel corso della sua applicazione." Il carattere non automatico della prosecuzione dei progetti per le aree a rischio dopo il primo anno risulta palese dalla considerazione dei commi 13 e 14, ultima parte, del testo sopra riportato. La prima disposizione è esplicita nel prevedere che la valutazione del progetto sia comunicata al fine della sua " conferma o meno", l’art. 15 prevede la possibilità di conferma indicando in proposito i parametri da tenere in considerazione.

D’altra parte, che l’unità temporale di riferimento del progetto sia l’anno emerge altrettanto chiaramente dall’art. 4, comma 3 letto in relazione al comma 9, nonchè dal riferimento del comma 15 alla misura annuale del compenso accessorio.

Secondo le parti qui ricorrenti tuttavia la norma contrattuale da un lato conferirebbe al Ministero il potere di confermare il progetto dopo il primo anno senza nulla disporre per gli anni successivi, e dall’altro, assegnerebbe in ogni caso all’amministrazione solo il potere di certificare la correttezza della valutazione espressa dal collegio dei docenti, unico organo legittimato a valutare lo stato di attuazione del progetto pluriennale ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Tali affermazioni non sono condivisibili.

Quanto alla prima, essa trascura il testo dell’art. 4, comma 13 del contratto, laddove esso prevede che il Provveditore deve inviare al Ministero "entro il 30 giugno di ogni anno" la valutazione del progetto da parte del collegio dei docenti, al fine della conferma o meno, il che mostra che il potere di conferma riguarda tutto il triennio e non il solo primo anno.

Quanto alla seconda, essa priva di contenuto l’attribuzione al Ministero del suddetto potere di conferma, attribuitogli per contro esplicitamente dal contratto, riducendolo ad una insignificante "presa d’atto" di quanto deciso dall’anzidetto collegio, in palese contrasto con l’evidenza testuale del comma 14 che indicando la "disponibilità complessiva di risorse", la "certificazione del CEDE di cui al comma 13" ed il "numero delle scuole sulle quali intervenire" ancora la decisione di conferma del progetto a parametri che vanno complessivamente valutati ad un livello più elevato di quello del ripetuto collegio.

Così stando le cose, non è dato comprendere quale fondamento normativo possa avere la pretesa di vedersi assicurato anche per gli anni successivi al primo, in assenza di progetto da eseguire, il compenso previsto per l’anno in cui il progetto ha avuto esecuzione.

Poichè a tale pretesa le parti qui ricorrenti hanno dato un fondamento risarcitorio, la Corte di merito indagando su tale tema ha correttamente messo in luce che la previsione contrattuale non poteva risolversi in una sorta di clausola meramente potestativa in favore dell’Amministrazione ma ha anche verificato che la correttezza dell’operato di quest’ultima in sostanza non era messa in discussione dalle parti attrici.

Questa affermazione però non riceve adeguata censura nel ricorso in esame, visto che, come emerge dai due motivi sinteticamente riferiti, le parti qui ricorrenti ritengono che il loro diritto al compenso, e quindi il diritto al risarcimento del danno per non averlo conseguito, prescinda dalla verifica della condotta dell’Amministrazione, che in sostanza costituirebbe un fatto meramente interno alla medesima, irrilevante rispetto alla sua relazione contrattuale con i docenti.

Poichè, per contro, questa relazione deve esser valutata in riferimento alle previsioni del contratto collettivo e poichè queste ultime da un lato non consentono di configurare un diritto soggettivo al rinnovo del progetto e dall’altro prevedono per tale rinnovo un procedimento articolato, è del tutto condivisibile, anche sotto il profilo metodologico, l’approccio della Corte territoriale che ha verificato la correttezza del modo di agire dell’amministrazione, ed ha conseguentemente rigettato la domanda.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, senza provvedimenti sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 27-04-2011, n. 2515 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con provvedimento prot. 4554 del 23 febbraio 1993 il Sindaco del Comune di Orbetello disponeva di non accogliere la domanda di sanatoria edilizia presentata il 1° aprile 1986 dalla signora M. P. relativamente alle opere edilizie abusivamente realizzate in località Saline Breschi di Orbetello, consistenti in unità residenziale ed opere esterne (abitazione, pozzo, cucinotto, doccia esterna, deposito acqua, ripostiglio, fossa biologica a tenuta, recinzione e cancello): ciò sulla scorta del parere negativo reso dalla competente Commissione per la tutela dei Beni Ambientali (decisione n. 754 del 20 giugno 1990), fatta propria dalla Giunta Municipale con la delibera n. 932 del 21 ottobre 1992.

2. Con rituale e tempestivo ricorso giurisdizionale la signora M. P. chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana l’annullamento di tutti i sopracitati atti, lamentandone l’illegittimità alla stregua di tre motivi di censura, rubricati rispettivamente "Violazione di legge – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti – Illogicità manifesta", "Difetto di motivazione – Disparità di trattamento e sproporzione tra il fatto e la sanzione" e "Violazione di legge ed eccesso di potere per ingiusto procedimento".

In sintesi, la ricorrente, oltre a dedurre l’erroneità della procedura per la mancata preventiva comunicazione del parere negativo della Commissione per la tutela dei beni ambientali e della consequenziale delibera della giunta municipale, notificati soltanto unitamente al diniego di sanatoria delle opere realizzate, lamentava la genericità e l’illogicità della valutazione negativa delle opere da sanare, anche in relazione ai materiali utilizzati, priva di qualsiasi adeguato supporto istruttorio (quali ispezioni e sopralluoghi), tanto più che, per un verso, si trattava di un immobile di modesta entità inidonea ad esporre a rischio o a pericolo la zona, mentre, per altro verso, non risultava in alcun modo considerato che le predette opere ricadevano in zona interessata da un’ampia e notoria urbanizzazione e antropizzazione; ciò senza contare ancora che in ogni caso si sarebbe potuto loro imporre correttivi e rimedi per rendere sanabili le opere stesse; laddove l’amministrazione comunale si era inopinatamente limitata a recepire il parere negativo senza compiere alcuna ulteriore e doverosa attività istruttoria e senza tener conto della notevole risalenza nel tempo delle opere realizzate (oltre sedici anni), così che era macroscopica la sproporzione tra il fatto e la sanzione.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 1657 dell’anno 1993.

3. Con altro ricorso giurisdizionale notificato il 27 giugno 1996 la signora M. P. impugnava anche la successiva ordinanza n. 187 del 10/20 aprile 1996, recante l’ordine di demolizione delle opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi, notificata unitamente al diniego di sanatoria ed ai ricordati atti ad esso presupposti.

L’impugnativa, oltre a riprodurre i motivi di censura già sollevati col primo ricorso, deduceva l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione in quanto non notificata anche al marito comproprietario (sig. O. M.) ed inopinatamente emessa ancor prima della decisione dell’adito tribunale sulla legittimità del diniego di sanatoria.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 2701 dell’anno 1996.

4. L’adito tribunale, sez. III, con la sentenza n. 259 del 24 novembre 1997, riuniti i ricorsi, respingeva il primo, ritenendo infondati i motivi di censura sollevati e, quanto al secondo, in parte lo respingeva ed in parte lo dichiarava inammissibile, nella parte in cui erano stati riproposti i motivi già spiegati con il primo ricorso.

5. Con atto di appello notificato il 7 gennaio 1999 la signora M. P. ha chiesto la riforma della predetta statuizione, formulando un solo articolato motivo di gravame, rubricato "Violazione degli artt. 7 e 15 L. 1437/1939 – Contraddittorietà della motivazione della sentenza – Illogicità manifesta", con cui sono stati sostanzialmente riproposti i motivi di censura sollevati in primo grado, a suo avviso superficialmente apprezzati ed ingiustamente respinti con motivazione lacunosa e contraddittoria.

Il Comune di Orbetello non si è costituito in giudizio.

A seguito dell’invio dell’avviso di pendenza ultraquinquennale del ricorso ai fini della eventuale dichiarazione di perenzione, con atto depositato il 19 luglio 2010 il signor Daniele Pistoia ha presentato domanda di fissazione d’udienza, depositando l’atto di acquisizione dell’immobile.

6. All’udienza dell’8 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

7. L’appello è infondato.

7.1. Occorre premettere che il parere negativo (decisione n. 754 del 20 giugno 1990) reso dalla Commissione per la tutela dei beni ambientali sulla domanda di condono edilizio, è motivato sulla circostanza che "…i manufatti e le opere riguardano un punto di elevatissimo interesse ambientale e paesistico, nei confronti del quale costituiscono una presenza di degrado estetico per la natura e la forma dei manufatti, e costituiscono altresì una presenza preoccupante per i rischi derivanti all’ambiente da un incontrollato aumento del carico antropico".

La puntuale indicazione degli elementi ostativi all’accoglimento della richiesta sanatoria esclude innanzitutto la sussistenza del dedotto vizio di difetto di motivazione, risultando in concreto assicurata la conoscenza delle ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato le scelte dell’amministrazione e garantita quindi la loro sindacabilità attraverso la ricostruzione dell’iter logico – giuridico ad esse sotteso.

Né può condividesi la pur suggestiva tesi, secondo cui l’onere motivazionale incombente sull’amministrazione sarebbe stato rispettato solo formalmente, e non già sostanzialmente, a causa della concreta inidoneità e genericità delle ragioni esposte (anche al fine di consentire l’adeguato sindacato giurisdizionale sulle contestata scelte amministrative): una simile ricostruzione è frutto di un evidente equivoco sulla natura giuridica della valutazione di compatibilità ambientale delle opere abusive e sui limiti del relativo sindacato giurisdizionale.

Invero il diniego di sanatoria delle opere abusive per incompatibilità ambientale è espressione di una valutazione tecnica ampiamente discrezionale, tipica manifestazione del potere autoritativo dell’amministrazione, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità, tranne le ipotesi di manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero di macroscopico travisamento dei fatti (C.d.S., sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4823), che non si rinvengono nel caso di specie e che peraltro non sono state neppure dedotte e provate dall’appellante.

Le contestazioni di genericità del parere della Commissione per la tutela dei beni ambientali, fatto proprio dall’amministrazione comunale di Orbetello, in ordine alla forma ed ai materiali delle opere realizzate (degrado estetico), nonché sullo stato di degrado della zona, sull’insanabile contrasto con la bellezza dell’ambiente e sull’incontrollato aumento del carico antropico pertanto, lungi dall’evidenziare eventuali effettivi vizi di formazione del giudizio dell’amministrazione, si atteggiano a mere opinioni dissenzienti, volte a sovrapporre e/o sostituire alle valutazioni dell’amministrazione competente le proprie soggettive considerazioni, cosa che le rende gratuite ed apodittiche, prive di qualsiasi elemento obiettivo di riscontro.

7.2. Quanto al dedotto vizio di istruttoria per la denunciata circostanza che il parere negativo espresso dall’amministrazione preposta al vincolo ed il successivo diniego dell’amministrazione comunale, che non sarebbero stati supportati da un’ispezione dello stato dei luoghi ovvero da un apposito sopralluogo, volto ad appurare l’effettiva consistenza delle opere realizzate e il loro inserimento nell’ambiente specifico della zona interessata, peraltro già antropizzata ed urbanizzata e già segnata dall’insediamento di una struttura ricettivo – turistica, esso è privo di qualsiasi fondamento.

Deve essere infatti rilevato, per un verso, che lo stato di degrado e disordine ambientale (riferito nell’impugnato parere della competente Commissione per la tutela dei beni ambientali e peraltro neppure contestato, anzi sostanzialmente confermato, dall’appellante) non può costituire motivo di giustificazione della costruzione abusiva (atteso che diversamente opinando non avrebbe senso neppure l’imposizione del relativo vincolo, finalizzato proprio a prevenire l’aggravamento della situazione e di perseguire il possibile recupero, C.d.S., sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761; 27 aprile 2010, n. 2377), mentre per altro verso, è sufficiente ricordare che, in tema di rilascio di nulla – osta paesaggistico, l’attività di verifica della correttezza del giudizio espresso dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e del conseguente provvedimento comunale non implica necessariamente il compimento di un effettivo sopralluogo, ben potendo limitarsi alla valutazione documentale della condotta tenuta dalle amministrazioni interessate (C.d.S., sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377).

7.3. Neppure può trovare favorevole considerazione, ad avviso della Sezione, la tesi secondo cui l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e/o l’amministrazione comunale avrebbero dovuto indicare gli eventuali accorgimenti ed interventi volti a rendere compatibile le opere abusivamente realizzate con l’ambiente circostante al fine di consentire la sanabilità delle stesse.

Un simile dovere di soccorso, invero, non solo non trova alcun fondamento positivo specifico, ma neppure può trovare radicamento nei principi costituzionali ( art. 97 Cost.) cui deve improntarsi l’azione amministrativa, ciò in quanto in ogni caso l’amministrazione deve esercitare il potere conferitole dalla legge per il perseguimento dell’interesse pubblico, nel caso di specie quello della tutela della bellezza del paesaggio dell’area interessata, certamente prevalente rispetto a quello privato alla conservazione delle opere, pacificamente realizzate abusivamente senza i necessari permessi richiesti dalla legge.

7.4. Quanto alla legittimità del provvedimento di demolizione, la Sezione osserva che esso, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229).

Ciò esclude qualsiasi rilevanza del vizio di eccesso di potere per asserita sproporzione tra l’abuso commesso e la sanzione, anche in ragione del tempo trascorso tra il primo ed il diniego di sanatoria.

7.5. E’ infine appena il caso di osservare come la denunciata circostanza che il parere della competente Commissione per la tutela dei beni ambientali e della conseguente delibera della giunta municipale siano stati notificati unitamente al diniego di sanatoria non solo costituisce causa di illegittimità degli stessi (e dell’ordine di demolizione), incidendo soltanto sull’esercizio della tutela giurisdizionale, sulla cui effettività non può assolutamente dubitarsi, avendo l’interessato tempestivamente adito l’autorità giudiziaria a tutela della propria posizione giuridica.

Né alcun vizio di legittimità si riscontra nel provvedimento comunale di diniego della sanatoria, fondato sul parere della competente Commissione per la tutela dei beni ambientali, essendo consentita la motivazione per relationem purchè gli atti cui essa si riferisce siano resi effettivamente disponibili, circostanza non contestata nel caso di specie (tanto più che gli stessi sono stati anche impugnati).

Nessuna vizio o contraddizione è dato in definitiva riscontrare nella pronuncia impugnata, atteso che del resto, in sede di valutazione della domanda di sanatoria di opere edilizie abusivamente realizzate, la necessità del parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo è giustificata proprio dal fatto che il vincolo non implica l’inedificabilità assoluta, situazione in presenza della quale alcun parere sarebbe logicamente, ancor prima che giuridicamente, ipotizzabile.

Per completezza è appena il caso di rilevare che sono inammissibili come motivi di gravame gli eventuali ulteriori motivi di censura sollevati in primo grado, meramente richiamati in sede di appello, senza alcuna puntuale contestazione in ordine al loro rigetto da parte dei primi giudici.

8. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione dell’appellata amministrazione comunale.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla signora M. P. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. III, n. 259 del 24 novembre 1997, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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