Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 11-05-2011, n. 18530 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

GELO Giovanni, che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

Il tribunale di Catanzaro, sezione Riesame, con ordinanza dell’8 giugno 2010 ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro del 2 aprile 2010, con la quale era stata chiesta la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari ed era stata accolta l’istanza subordinata di sostituzione di tale misura con quella dell’obbligo di dimora nel comune di (OMISSIS) e di non allontanamento dall’abitazione nelle ore serali e notturne (dalle 20 alle 9), disposta nei confronti di P.G., indagato per il delitto di violenza sessuale per aver palpeggiato i genitali di D.M.F. il (OMISSIS).

Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 273 c.p.p., per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Le dichiarazioni rese dal minore alla Polfer della stazione ferroviaria di (OMISSIS) non sarebbero attendibili:

l’esposizione dei fatti difetterebbe di logica, mancherebbero testimoni ed inoltre la denuncia sarebbe stata presentata 24 ore dopo i palpeggiamenti subiti (il P., dopo avergli rivolto frasi sconce nell’atrio della biglietteria, lo avrebbe inseguito nel sottopassaggio palpeggiandolo sui genitali la persona offesa gli avrebbe sferrato un pugno, mettendolo in fuga). Inoltre l’indagato ha tenuto un atteggiamento di collaborazione alle indagini, ammettendo le avances senza palpeggiamenti e dichiarando di aver ignorato la minore età della vittima.

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 274 c.p.p., lett. c), per mancanza del periculum in mora. La pericolosità sociale del P. non sussisterebbe, nè può fondarsi sulla sua personalità desunta da atti o fatti concreti, in quanto lo stesso è sottoposto a cura farmacologica che inibisce in modo completo ed assoluto la psicosi schizzo – affettiva dalla quale è affetto. Tale cura ha avuto inizio dopo la condanna del delitto precedente, avvenuto dieci anni fa senza che lo stesso abbia più posto in essere azioni criminose.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti de liberiate, occorre rammentare che la Corte di Cassazione non può sottoporre a revisione gli elementi di fatto delle vicende, compresa la consistenza degli indizi, nè può rivalutare le condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, in quanto si tratta di apprezzamenti di merito che rientrano nell’esclusiva competenza del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità deve quindi essere circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6 n. 2146 del 16/6/1995, Tontoli, Rv. 201840). Anche l’ambito delle esigenze cautelari è rilevabile in cassazione soltanto quando si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Il Tribunale di Catanzaro ha confermato il provvedimento del G.I.P. che aveva rigettato la richiesta di revoca degli arresti domiciliari ed aveva sostituito tale misura con quella dell’obbligo di dimora, offrendo una motivazione ampia e priva di smagliature logiche, circa la sussistenza del grave quadro indiziario a carico dell’indagato per il reato ascritto (attesa la piena attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, peraltro riscontrate dalle immagini registrate delle telecamere della stazione) e circa la sussistenza delle esigenze cautelari (per il rischio concreto di reiterazione, dimostrando i precedenti penali specifici "una pervicace capacità a delinquere"), esigenze peraltro garantite dalla misura cautelare dell’obbligo di dimora e dal divieto di allontanamento da essa nelle ore serali, misura che risulta essere l’unica idonea, oltre che necessaria, a salvaguardarle. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 30-09-2011, n. 20037 Imposta reddito persone fisiche

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Svolgimento del processo

I.F., titolare della omonima ditta individuale, impugnava l’avviso di rettifica emesso nel 2000, a seguito di indagini compiute dalla Guardia di Finanza, concernente recupero di IRPEF relativa all’anno 1995, sull’assunto di omessa fatturazione e contabilizzazione di operazioni imponibili, utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, esposizione di costi indeducibili, sostenendone la nullità e la infondatezza nel merito.

La CTP di Campobasso accoglieva parzialmente il ricorso, confermando l’operato dell’Ufficio limitatamente ai costi indeducibili.

Su appello principale dell’Ufficio ed incidentale della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale del Molise, con sentenza n. 105/3/05, in data 27-9-05, depositata il 22-12-05, respingeva l’appello principale dell’Ufficio e parzialmente l’incidentale, con conseguente annullamento dell’avviso.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con due motivi.

La contribuente resiste con controricorso.

Alla odierna udienza la contribuente produce copia della sentenza della CTR del Molise n. 57/02/2009, passata in giudicato, tra le stesse parti, avente per oggetto l’avviso di rettifica concernente l’IVA dell’anno 1997, favorevole alla contribuente, con richiesta di applicazione di giudicato esterno alla controversia in esame.
Motivi della decisione

Preliminarmente, deve essere dichiarata non rilevante la sentenza oggi prodotta di cui in premessa. Dalla lettura della medesima si evince che i motivi adotti dalla CTR per annullare l’avviso di rettifica dell’IVA del 1997 concernono elementi di fatto relativi ad insufficiente motivazione da parte dell’Ufficio sulla deducibilità di costi posti in detrazione dalla contribuente, valida solo per la annata di riferimento (1997) ed il giudicato è quindi privo di effetto espansivo per diversi periodi della stessa imposta od ai fini di imposte diverse.

Con il primo motivo di ricorso la Agenzia deduce violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7.

Rileva che la CTR aveva ritenuto che la mancata allegazione del PVC della Guardia di Finanza all’avviso di accertamento fosse causa di nullità dell’avviso medesimo per carenza di motivazione, sul rilievo che nel PVC si faceva accenno anche ad accertamenti svolti nei confronti di terzi, non citati nell’avviso, per cui, anche in relazione alla complessità delle contestazioni sollevate, l’avviso non consentiva alla contribuente una adeguata difesa.

Sostiene l’Ufficio che la vicenda si colloca anteriormente alla entrata in vigore della L. 27 luglio 2000, n. 212, e del D.Lgs. n. 32 del 2001, essendo stato notificato l’avviso di rettifica in data 3-7- 2000, e che pertanto la disposizione applicabile è la L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3 che consente la motivazione "per relationem" ove gli atti indicati siano conosciuti o conoscibili dal contribuente. Fa presente che è incontestato in causa che il PVC della Guardia di Finanza era stato notificato alla contribuente all’esito della ispezione, la quale era pertanto a conoscenza di tutti gli elementi necessari per una compiuta difesa. Con il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 e vizio di motivazione in relazione ad un aspetto decisivo della controversia.

Espone che l’Ufficio aveva dimostrato con plurimi elementi tratti dal citato PVC ed analiticamente illustrati che varie ditte nominativamente indicate avevano emesso a favore della contribuente fatture per operazioni inesistenti, e pertanto si era verificata la inversione dell’onere della prova a carico della contribuente stessa, avendo tali elementi valore di presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ed inoltre la contribuente aveva omesso di rispondere all’invito dell’Ufficio alla produzione della documentazione richiesta con apposito modello.

Assume pertanto errata ed insufficiente la motivazione della CTR, che aveva ritenuto gli elementi esposti dall’Ufficio limitati, contraddittori ed insufficienti ai fini probatori. Il primo motivo è infondato.

Premesso che alla fattispecie non è applicabile, "ratione temporis" la L. n. 212 del 2000, art. 7 nè il conseguente D.Lgs. n. 32 del 2001, occorre richiamare il previgente principio, rispettoso dei diritti di difesa del contribuente di cui all’art. 24 Cost., secondo cui la motivazione dell’avviso di accertamento può essere effettuata "per relationem" purchè gli atti richiamati siano conosciuti o conoscibili dal contribuente. Nella specie, l’Ufficio ha affermato, con dichiarazione che non ha trovato smentita in controricorso, e che quindi deve essere ritenuta incontestata, che era pacifico in atti che il P.V.C, era stato notificato alla contribuente. In sostanza, non vi era, " ratione temporis" obbligo di allegazione testuale degli atti, ma era sufficiente che il contenuto degli stessi (anche relativi a dichiarazioni di terzi) fosse esposto negli atti richiamati e noti al contribuente in forma sufficientemente chiara da consentirgli una idonea difesa. (v, Cass. n. 2749 del 2009). Nella specie, la piena conoscenza delle risultanze del PVC richiamato nell’avviso di accertamento comporta la sufficienza della motivazione dell’avviso ai fini di una congrua ed informata difesa del contribuente. Anche il secondo motivo deve essere condiviso.

La CTR si è limitata ad affermare che gli elementi probatori portati dall’Ufficio erano insufficienti e costituivano mere presunzioni, senza indicare quali fossero e perchè dovessero ritenersi insufficienti, e senza alcun riferimento alla natura di detti costi, dando per scontato che l’onere della prova gravasse sull’Ufficio. In realtà, vertendosi in materia di costi portati in deduzione, l’onere della prova spetta in via generale al contribuente, e solo nel caso che la contabilità sia formalmente regolare detto onere viene riferito all’Ufficio, superando così la presunzione posta dalla formale esistenza della fattura (v, Cass. n. 15395/2008) In assenza di qualsiasi motivazione sul punto della sentenza impugnata, non può prescindersi dalla regola generale, e quindi la motivazione della CTR, che sommariamente attribuisce l’onere della prova all’Ufficio è errata in diritto, oltre ad essere in sè apodittica e generica, realizzando entrambi i profili di illegittimità contestati.

Il ricorso è quindi fondato e deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio per nuovo esame ed anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Molise.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Molise.

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Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-02-2011) 09-06-2011, n. 23247

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PG, inammissibilità.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Y.J. ha presentato ricorso avverso la sentenza emessa, a norma dell’art. 444 c.p.p., in data 14.10.2009, dal gup del Tribunale di Prato, con la quale era stata applicata la pena di 8 mesi di reclusione e Euro 200 di multa, in ordine al reato ex artt. 56 e 624 bis c.p., per violazione di legge in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, e art. 614 c.p..

Il ricorrente rileva che il giudice ha erroneamente qualificato il fatto a norma degli artt. 56 e 624 bis c.p., mentre la corretta qualificazione della condotta riferibile all’imputato è quella ex art. 614 c.p..

L’imputazione è errata e il giudice avrebbe dovuto rigettare la richiesta di patteggiamento e il mancato rispetto di questo dovere si traduce nella nullità della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, in tema di patteggiamento, una volta esclusa, con adeguato apparato argomentativi, la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., tutte le statuizioni non illegittime, concordate tra le parti e recepite dal giudice, precludono alle parti stesse la proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione in sede di legittimità, di censure o eccezioni attinenti al merito delle valutazioni sottese al prestato consenso (sez. 1, n. 6898 del 18.12.1996, Milanese; sez. 5, n. 102 del 18.1.1995, Pepe).

Posto che, nel caso in esame, sussiste adeguata motivazione in riferimento all’esclusione dei presupposti ex art. 129 c.p.p. e non è ravvisabile alcuna statuizione illegittima; tenuto co9nto che l’accordo si è perfezionato secondo la previsione di legge, l’impugnazione è da considerare inammissibile. Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

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Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-04-2011) 24-06-2011, n. 25479

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Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Sanremo in data 13.7.2007 con la quale R.M. veniva condannato alla pena di mesi otto di reclusione per il reato continuato di cui agli artt. 485 e 646 c.p., commesso in (OMISSIS) fra i mesi di giugno ed agosto del 2004 quale socio accomandatario della s.a.s. Automat, procacciatrice di affari per conto della s.r.l. Fun Seven, appropriandosi della somma di Euro 41.105 ricevuta da clienti della Fun Seven e destinata a quest’ultima, e formando e trasmettendo per telefax alla Fun Seven un falso ordine di bonifico in favore di quest’ultima tramite la Banca Sella per l’importo di Euro 17.406,70 in risposta ai solleciti di versamento della somma di cui sopra.

2. Il ricorrente deduce:

2.1. violazione di legge in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di appropriazione indebita, osservando che il contratto in essere fra la società dell’imputato e la Fun Seven regolava i rapporti fra le parti su basi esclusivamente obbligatorie e non dava luogo ad un titolo di custodia in capo alla Automat, la quale possedeva il denaro jure proprio;

2.2. violazione di legge in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di falso, per il quale non veniva presentata querela dalla reale parte offesa, da individuarsi nella Banca Sella;

2.3. violazione di legge in ordine alla ravvisabilità della contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, essendo il rapporto fra l’imputato e la parte offesa di natura esclusivamente commerciale e non di prestazione d’opera;

2.4. mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, lamentando che a tal fine non si sia tenuto conto dell’affermazione della Fun Seven in sede di giudizio civile di vantare un credito per soli Euro 10.000.

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di appropriazione indebita è infondato.

La motivazione della sentenza impugnata sul punto, fondata sull’irrilevanza della mancata previsione contrattuale di incarichi di custodia o deposito delle somme per essere gli stessi impliciti nel rapporto con un procacciatore di affari, trova invero sostegno nei principi giurisprudenziali sulla ravvisabilità del reato di appropriazione indebita nella condotta del procacciatore che si impossessi della somma affidatagli dal cliente (Sez. 2, n. 3325 del 5.4.1991, imp. Davolio, Rv.190758).

2. Il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di falso è anch’esso infondato.

Nei delitti contro la fede pubblica, la qualità di persona offesa deve essere riconosciuta nei confronti di chi abbia ricevuto danno dall’uso dell’atto falso, in quanto tale titolare di un interesse incluso nell’oggettività giuridica dei reati (Sez. U, n.46982 del 25.10.2007, imp. Pasquini, Rv. 237855), con conseguente riconoscimento allo stesso della legittimazione a proporre querela (Sez. 5, n. 22690 del 26.3.2010, imp. Nardini, Rv.247961). E la sentenza impugnata motivava in piena coerenza con questi principi, osservando che il falso bonifico era utilizzato dall’imputato per occultare il reato di appropriazione indebita commesso in danno della Fun Seven, la quale assumeva pertanto la posizione di soggetto danneggiato dal reato.

3. Infondato è altresì il motivo di ricorso relativo alla ravvisabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11.

Il riconoscimento dell’abuso di relazione di prestazione d’opera nella condotta del procacciatore d’affari che si appropri di somme ricevute da clienti è in effetti conforme anche in questo caso agli indirizzi giurisprudenziali (Sez. 2, n.38498 dell’1.10.2008, imp. Ferro, Rv. 241463) per i quali detta aggravante, applicandosi a tutti i rapporti giuridici che comportino obblighi di tacere in un contesto fiduciario che agevoli la commissione del reato, è configurabile anche nel caso in esame.

4. Infondato è da ultimo il motivo di ricorso relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, adeguatamente motivata dalla Corte territoriale con riferimento ai precedenti penali dell’imputato, alla gravità del fatto ed all’assenza di condotte risarcitorie.

Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.