Cons. Stato Sez. V, Sent., 27-04-2011, n. 2499 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con provvedimento prot. 4415 del 23 febbraio 1993 il Sindaco del Comune di Orbetello disponeva di non accogliere la domanda di sanatoria edilizia presentata il 1° aprile 1986 dal signor Giampiero Bonci relativamente alle opere edilizie abusivamente realizzate in località Saline Breschi di Orbetello, consistenti in unità residenziale ed opere esterne (unità residenziale, pozzo, doccia esterna, deposito d’acqua, servizi igienici, ripostiglio, fossa biologica a tenuta, recinzione a rete metallica): ciò sulla scorta del parere negativo reso dalla competente Commissione per la tutela dei Beni Ambientali (decisione n. 280 del 14 marzo 1990), fatto proprio dalla Giunta Municipale con la delibera n. 925 del 21 ottobre 1992.

2. Con rituale e tempestivo ricorso giurisdizionale il signor Giampiero Bonci chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana l’annullamento di tutti i sopracitati atti, lamentandone l’illegittimità alla stregua di tre motivi di censura, rubricati rispettivamente "Violazione di legge – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti – Illogicità manifesta", "Difetto di motivazione – Disparità di trattamento e sproporzione tra il fatto e la sanzione" e "Violazione di legge ed eccesso di potere per ingiusto procedimento".

In sintesi, il ricorrente, oltre a dedurre l’erroneità della procedura per la mancata preventiva comunicazione del parere negativo della Commissione per la tutela dei beni ambientali e della consequenziale delibera della giunta municipale, notificati soltanto unitamente al diniego di sanatoria delle opere realizzate, lamentava la genericità e l’illogicità della valutazione negativa delle opere da sanare, anche in relazione ai materiali utilizzati, priva di qualsiasi adeguato supporto istruttorio (quali ispezioni e sopralluoghi), tanto più che, per un verso, si trattava di un intervento di modesta entità inidonea ad esporre a rischio o a pericolo la zona, mentre, per altro verso, non risultava in alcun modo considerato che le predette opere ricadevano in zona interessata da un’ampia e notoria urbanizzazione e antropizzazione; ciò senza contare ancora che in ogni caso si sarebbe potuto loro imporre correttivi e rimedi per rendere sanabili le opere stesse, laddove l’amministrazione comunale si era inopinatamente limitata a recepire il parere negativo senza compiere alcuna ulteriore e doverosa attività istruttoria e senza tener conto della notevole risalenza nel tempo delle opere realizzate, così che era macroscopica la sproporzione tra il fatto e la sanzione.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 1646 dell’anno 1993.

3. Con altro ricorso giurisdizionale notificato l’8 giugno 1996 i signori Giampiero Bonci e Italia Frosini nonchè E. I., V. C. e Marcello Ceccatelli, comproprietari dell’immobile in questione, impugnavano anche la successiva ordinanza n. 150 del 12 aprile 1996, recante l’ordine di demolizione delle opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi, notificata unitamente al diniego di sanatoria ed ai ricordati atti ad esso presupposti.

L’impugnativa, oltre a riprodurre i motivi di censura già sollevati col primo ricorso, deduceva l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione in quanto ai signori Frosini, Irenei e Caselli non erano notificati previamente notificati gli atti presupposti (diniego di condono e parere negativo della Commissione) ed inoltre essa era stata inopinatamente emessa ancor prima della decisione dell’adito tribunale sulla legittimità del diniego di sanatoria.

Il ricorso veniva iscritto al NRG. 2511 dell’anno 1996.

4. L’adito tribunale, sez. III, con la sentenza n. 252 del 24 novembre 1997, riuniti i ricorsi, respingeva il primo, ritenendo infondati i motivi di censura sollevati e, quanto al secondo, in parte lo respingeva ed in parte lo dichiarava inammissibile, nella parte in cui erano stati riproposti i motivi già spiegati con il primo ricorso.

5. Con atto di appello notificato il 7 gennaio 1999 i signori E. I. e V. C. hanno chiesto la riforma della predetta statuizione, formulando un solo articolato motivo di gravame, rubricato "Violazione degli artt. 7 e 15 L. 1437/1939 – Contraddittorietà della motivazione della sentenza – Illogicità manifesta", con cui sono stati sostanzialmente riproposti i motivi di censura sollevati in primo grado, a suo avviso superficialmente apprezzati ed ingiustamente respinti con motivazione lacunosa e contraddittoria.

Il Comune di Orbetello non si è costituito in giudizio.

6. All’udienza dell’8 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

7. L’appello è infondato.

7.1. Occorre premettere che il parere negativo (decisione n. 280 del 14 marzo 1990) reso dalla Commissione per la tutela dei beni ambientali sulla domanda di condono edilizio, è motivato sulla circostanza che "…i manufatti e le opere riguardano un punto di elevatissimo interesse ambientale e paesistico, nei confronti del quale costituiscono una presenza di degrado estetico per la natura e la forma dei manufatti, e costituiscono altresì una presenza preoccupante per i rischi derivanti all’ambiente da un incontrollato aumento del carico antropico".

La puntuale indicazione degli elementi ostativi all’accoglimento della richiesta sanatoria esclude innanzitutto la sussistenza del dedotto vizio di difetto di motivazione, risultando in concreto assicurata la conoscenza delle ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato le scelte dell’amministrazione e garantita quindi la loro sindacabilità attraverso la ricostruzione dell’iter logico – giuridico ad esse sotteso.

Né può condividesi la pur suggestiva tesi, secondo cui l’onere motivazionale incombente sull’amministrazione sarebbe stato rispettato solo formalmente, e non già sostanzialmente, a causa della concreta inidoneità e genericità delle ragioni esposte (anche al fine di consentire l’adeguato sindacato giurisdizionale sulle contestata scelte amministrative): una simile ricostruzione è frutto di un evidente equivoco sulla natura giuridica della valutazione di compatibilità ambientale delle opere abusive e sui limiti del relativo sindacato giurisdizionale.

Invero il diniego di sanatoria delle opere abusive per incompatibilità ambientale è espressione di una valutazione tecnica ampiamente discrezionale, tipica manifestazione del potere autoritativo dell’amministrazione, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità, tranne le ipotesi di manifesta illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero di macroscopico travisamento dei fatti (C.d.S., sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4823), che non si rinvengono nel caso di specie e che peraltro non sono state neppure dedotte e provate dagli appellanti.

Le contestazioni di genericità del parere della Commissione per la tutela dei beni ambientali, fatto proprio dall’amministrazione comunale di Orbetello, in ordine alla forma ed ai materiali delle opere realizzate (degrado estetico), nonché sullo stato di degrado della zona, sull’insanabile contrasto con la bellezza dell’ambiente e sull’incontrollato aumento del carico antropico pertanto, lungi dall’evidenziare eventuali effettivi vizi di formazione del giudizio dell’amministrazione, si atteggiano a mere opinioni dissenzienti, volte a sovrapporre e/o sostituire alle valutazioni dell’amministrazione competente le proprie soggettive considerazioni, cosa che le rende gratuite ed apodittiche, prive di qualsiasi elemento obiettivo di riscontro.

7.2. Quanto al dedotto vizio di istruttoria per la denunciata circostanza che il parere negativo espresso dall’amministrazione preposta al vincolo ed il successivo diniego dell’amministrazione comunale, che non sarebbero stati supportati da un’ispezione dello stato dei luoghi ovvero da un apposito sopralluogo, volto ad appurare l’effettiva consistenza delle opere realizzate e il loro inserimento nell’ambiente specifico della zona interessata, peraltro già antropizzata ed urbanizzata e già segnata dall’insediamento di una struttura ricettivo – turistica, esso è privo di qualsiasi fondamento.

Deve essere infatti rilevato, per un verso, che lo stato di degrado e disordine ambientale (riferito nell’impugnato parere della competente Commissione per la tutela dei beni ambientali e peraltro neppure contestato, anzi sostanzialmente confermato, dagli appellanti) non può costituire motivo di giustificazione della costruzione abusiva (atteso che diversamente opinando non avrebbe senso neppure l’imposizione del relativo vincolo, finalizzato proprio a prevenire l’aggravamento della situazione e di perseguire il possibile recupero, C.d.S., sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761; 27 aprile 2010, n. 2377), mentre per altro verso, è sufficiente ricordare che, in tema di rilascio di nulla – osta paesaggistico, l’attività di verifica della correttezza del giudizio espresso dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e del conseguente provvedimento comunale non implica necessariamente il compimento di un effettivo sopralluogo, ben potendo limitarsi alla valutazione documentale della condotta tenuta dalle amministrazioni interessate (C.d.S., sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377).

7.3. Neppure può trovare favorevole considerazione, ad avviso della Sezione, la tesi secondo cui l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e/o l’amministrazione comunale avrebbero dovuto indicare gli eventuali accorgimenti ed interventi volti a rendere compatibile le opere abusivamente realizzate con l’ambiente circostante al fine di consentire la sanabilità delle stesse.

Un simile dovere di soccorso, invero, non solo non trova alcun fondamento positivo specifico, ma neppure può trovare radicamento nei principi costituzionali ( art. 97 Cost.) cui deve improntarsi l’azione amministrativa, ciò in quanto in ogni caso l’amministrazione deve esercitare il potere conferitole dalla legge per il perseguimento dell’interesse pubblico, nel caso di specie quello della tutela della bellezza del paesaggio dell’area interessata, certamente prevalente rispetto a quello privato alla conservazione delle opere, pacificamente realizzate abusivamente senza i necessari permessi richiesti dalla legge.

7.4. Quanto alla legittimità del provvedimento di demolizione, la Sezione osserva che esso, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229).

Ciò esclude qualsiasi rilevanza del vizio di eccesso di potere per asserita sproporzione tra l’abuso commesso e la sanzione, anche in ragione del tempo trascorso tra il primo ed il diniego di sanatoria.

7.5. E’ infine appena il caso di osservare come la denunciata circostanza che il parere della competente Commissione per la tutela dei beni ambientali e della conseguente delibera della giunta municipale siano stati notificati unitamente al diniego di sanatoria non solo costituisce causa di illegittimità degli stessi (e dell’ordine di demolizione), incidendo soltanto sull’esercizio della tutela giurisdizionale, sulla cui effettività non può assolutamente dubitarsi, avendo l’interessato tempestivamente adito l’autorità giudiziaria a tutela della propria posizione giuridica.

Né alcun vizio di legittimità si riscontra nel provvedimento comunale di diniego della sanatoria, fondato sul parere della competente Commissione per la tutela dei beni ambientali, essendo consentita la motivazione per relationem purchè gli atti cui essa si riferisce siano resi effettivamente disponibili, circostanza non contestata nel caso di specie (tanto più che gli stessi sono stati anche impugnati).

Nessuna vizio o contraddizione è dato in definitiva riscontrare nella pronuncia impugnata, atteso che del resto, in sede di valutazione della domanda di sanatoria di opere edilizie abusivamente realizzate, la necessità del parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo è giustificata proprio dal fatto che il vincolo non implica l’inedificabilità assoluta, situazione in presenza della quale alcun parere sarebbe logicamente, ancor prima che giuridicamente, ipotizzabile.

Per completezza è appena il caso di rilevare che sono inammissibili come motivi di gravame gli eventuali ulteriori motivi di censura sollevati in primo grado, meramente richiamati in sede di appello, senza alcuna puntuale contestazione in ordine al loro rigetto da parte dei primi giudici.

8. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione dell’appellata amministrazione comunale.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dai signori E. I. e V. C. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sez. III, n. 252 del 24 novembre 1997, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-02-2011) 11-05-2011, n. 18551

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1 dicembre 2009 il Tribunale di Perugia, confermando la decisione assunta dal locale giudice di pace, ha riconosciuto S.C. responsabile del delitto di lesione personale volontaria in danno di P.O. e P. P.; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili; con la stessa sentenza ha confermato l’assoluzione di O. e P.P. dalle imputazioni di ingiuria e – per la prima soltanto – di lesione in danno del S., tenendo ferma la condanna della seconda per lo stesso titolo.

Secondo la ricostruzione del fatto recepita dal giudice di merito le due sorelle P. avevano avuto una discussione col S., che svolgeva le mansioni di "buttafuori" nella discoteca "Red Zone" di Perugia, per questioni inerenti alla possibilità o meno di accedere al prive del piano superiore; in esito alla valutazione delle emergenze testimoniali, riscontrate dalle refertazioni mediche, ha ritenuto il giudicante che il S. avesse strattonato violentemente per un braccio P.O., facendola accasciare a terra, ed avesse poi colpito con un pugno al volto P.P.;

nel contempo era emerso, dalle deposizioni dei testi presenti al fatto, che quest’ultima aveva colpito il S. al basso ventre.

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione il C., nella duplice qualità di imputato e parte civile, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo il ricorrente lamenta che non sia stata data applicazione all’art. 52 c.p., sebbene il materiale probatorio acquisito desse conto dell’aggressione da lui subita ad opera delle sorelle P., entrambe in stato di alterazione alcoolica, e della conseguente necessità di difendersi.

Col secondo motivo, ancora richiamandosi alle risultanze probatorie assertivamente mal valutate dal Tribunale, deduce vizio di motivazione in ordine alla propria individuazione quale autore materiale delle lesioni riportate dalle controparti.

Col terzo motivo ripropone l’eccezione di nullità della costituzione di parte civile delle P., per omessa sottoscrizione dell’atto da parte delle interessate, non potendo supplirvi a suo avviso la sottoscrizione del difensore munito di delega a margine.

Agli atti vi è una memoria depositata dalla difesa delle parti civili, in opposizione alle censure elevate dal ricorrente.
Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Il primo motivo con esso dedotto, finalizzato a sollecitare l’applicazione della scriminante della legittima difesa, ambisce a fondarsi su una ricostruzione del fatto alternativa a quella fatta propria dal Tribunale: il che non è consentito nel giudizio di cassazione, ogni qualificazione giuridica dovendo in questa sede applicarsi alla situazione di fatto così come motivatamente ricostruita dal giudice di merito.

Orbene, secondo quanto emerso dalla valutazione delle prove dichiarative insindacabilmente effettuata dal Tribunale, nella circostanza in cui si verificò l’episodio sub iudlce il S. ebbe ad innescare una progressione di violenza fisica, strattonando dapprima per un braccio P.O. e colpendo poi con un pugno P.P., nell’intento di esercitare con la forza il proprio compito di controllo sul movimento degli utenti all’interno dell’esercizio nel quale prestava le mansioni di "buttafuori"; e solo dopo l’attivarsi della cennata progressione, e nell’ambito di questa, fu egli stesso raggiunto da un colpo sferratogli da P.P. al basso ventre (per il quale costei ha subito a sua volta condanna).

Su tali premesse fattuali correttamente il Tribunale ha escluso che il S. si fosse trovato nella necessità di ledere l’incolumità altrui a protezione della propria. Ha altresì rilevato quel giudice, con notazione espressa ad abundantiam, che sarebbe comunque carente il requisito della proporzionalità tra il pericolo dell’offesa e l’azione pretesamente difensiva; ma logicamente prioritario nell’approccio al tema trattato, e dunque assorbente, è considerare che il proprium della legittima difesa è la costrizione dell’agente a porre in essere la reazione necessaria a far fronte al pericolo determinato dall’aggressione altrui: sicchè, in mancanza di tale presupposto, la causa di giustificazione non è fondatamente invocabile.

La censura sollevata col secondo motivo si traduce nella richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio al fine di indurre – attraverso la valorizzazione di prospettate contraddittorietà nelle deposizioni delle P. – un giudizio di carenza probatoria in ordine alla individuazione del S. quale responsabile delle lesioni da esse riportate. Al riguardo va qui ribadito che, pur dopo la modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. 15 marzo 2006 n. 10951);

e il riferimento ivi contenuto anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass. 22 marzo 2006 n. 12634). Donde l’inammissibilità del motivo.

Da rigettare, per la sua infondatezza, è l’eccezione di nullità della costituzione di parte civile che informa il terzo motivo. La legittimazione dell’Avv. Diego Florio, difensore delle P., a sottoscrivere in loro rappresentanza l’atto di costituzione di parte civile deriva dalla procura apposta a margine dello stesso atto: in seno alla quale la delega a rappresentare e difendere la parte civile deve intendersi riferita all’attività di rappresentanza giudiziale e difesa tecnica rapportabile e quello stesso atto al quale la delega stessa materialmente aderisce, quale procura speciale legittimamente conferita nella forma prevista dall’art. 100 c.p.p., comma 2.

Da ultimo corre l’obbligo di prendere in considerazione l’eccezione di prescrizione del reato, sollevata dal difensore nel corso della discussione in udienza.

La questione sollevata non ha fondamento. La natura del reato e l’epoca della sua consumazione collocano la scadenza naturale del termine prescrizionale di sette anni e sei mesi (in considerazione degli atti interruttivi) alla data del 5 luglio 2010, indipendentemente dal regime normativo applicabile ratione temporis.

Occorre tuttavia tener conto, altresì, delle cause di sospensione succedutesi nel corso dell’iter processuale, e precisamente: del rinvio dall’udienza del 27 settembre 2005 al 6 dicembre 2002, computabile fino a un massimo di 60 giorni ex art. 159 c.p. (nella formulazione attuale, più favorevole all’imputato); del rinvio dall’udienza del 7 marzo 2006 al 14 giugno 2006, per 99 giorni computabili per intero; del rinvio dall’udienza del 4 novembre 2008 al 2 dicembre 2008, per 28 giorni. Le sospensioni di cui sopra assommano a un totale di 319 giorni i quali, aggiunti alla scadenza naturale dinanzi individuata, portano a collocare la maturazione del termine di prescrizione alla data del 20 maggio 2011, tuttora appartenente al futuro.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-09-2011, n. 19995

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Paola il giorno 11 dicembre 2001 accoglieva la domanda proposta da G.F. nei confronti del Lloyd Adriatico s.p.a. e I.N., volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di un tamponamento tra l’autovettura condotta dal G. e altra di proprietà dell’ I. e condotta da S.D., verificatosi il (OMISSIS).

Il Tribunale condannava i convenuti in solido al pagamento di L. 27.049.060, con interessi legali e spese di lite.

Su gravame del G. la Corte di appello di Catanzaro il 29 maggio 2008 confermava la sentenza di prime cure.

Avverso siffatta decisione propone ricorso il G., affidandosi ad un unico articolato motivo.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che il presente ricorso sia da dichiarare inammissibile.

Per il vero, dalla lettura dello stesso, così come formulato, non si è in grado di comprendere quali siano e sotto quali profili si concretino le formulate censure. Mancano ogni rifermento alle norme asseritamente violate dal giudice del merito e i quesiti di diritto o il necessario momento di sintesi.

Infatti, nel ricorso ci si limita a riportare brani della CTU di primo grado per dimostrare la sussistenza di disturbi psichici in capo al ricorrente; si critica il fatto che i giudici del merito abbiano confermato la CTU circa la valutazione dei postumi; si assume che il giudice dell’appello non abbia risposto agli interrogativi a lui rivolti in base agli accertamenti specialistici da lui effettuati; ci si duole che il giudice dell’appello abbia risolto ogni questione, riportando il contenuto della sentenza di primo grado, che, a sua volta, riporterebbe il contenuto della CTU, la quale non avrebbe specificata la entità delle varie lesioni e la percentuale del danno biologico anche in relazione alle patologie evidenziate ed, infine, che il danno morale sarebbe stato liquidato con un criterio a forfait.

Tutto ciò posto, in virtù della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la indecifrabilità della esattezza di quale sia la volontà del ricorrente e a cosa miri il ricorso, atteso che non solo non sono indicate le violazioni di legge, ma che si allegano generiche questioni fattuali su cui erroneamente il giudice dell’appello avrebbe fermato la sua valutazione, e che non si rinvengono quesiti di diritto idonei e conferenti sono tutti elementi che inducono il Collegio a dichiarare il ricorso inammissibile.

Nulla, però, va disposto per le spese.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 10-06-2011, n. 23448 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 13.7.2009 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. di Gragnano, con la quale I.A., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di mesi 2 di arresto ed Euro 22.000,00 di ammenda per aver, senza permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica ed in violazione della normativa antisismica e sul cemento armato, realizzato In zona sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale un manufatto di mq. 96; pena sospesa subordinatamente alla demolizione dell’opera abusiva.

Riteneva la Corte che non fosse maturata la prescrizione, essendo le opere ancora in corso alla data del sopralluogo del 23.1.2004; quanto alla possibilità di ottenere il condono rilevava la Corte che, non essendo stata l’opera ultimata, entro il 31.3.2003, non era condonabile. Infine la domanda, volta ad ottenere il cd. condono ambientale, non sospendeva il processo e, comunque, non risultava neppure che essa fosse stata presentata nei termini di legge.

2) Ricorre per cassazione I.A., denunciando la violazione e/o errata applicazione della L. n. 326 del 2003, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 64, 71, 83 e 95. La Corte territoriale ha omesso di prendere in considerazione la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica. L’istanza in questione avrebbe dovuto determinare la sospensione del processo in attesa della definizione amministrativa. In ogni caso andava dichiarata la prescrizione.

3) Il primo motivo è aspecifico, in quanto prescinde completamente dal testo del provvedimento impugnato, e per di più manifestamente infondato. Contrariamente a quanto sostenuta dal ricorrente, la Corte territoriale ha preso in considerazione la domanda di accertamento di compatibilita paesaggistica, ma ha correttamente rilevato che la pendenza della stessa non determinasse la sospensione del processo.

La L. n. 308 del 2004, art. unico, comma 37 introduce una ipotesi di sanatoria per lavori abusivi compiuti, in zone sottoposte a vincolo, entro il 30 settembre 2004, sempre che intervenga ex post l’accertamento di compatibilità paesaggistica. La norma non prevede alcuna esclusione in relazione all’entità dell’abuso ("lavori compiuti su beni paesaggistici"), – cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 15946 del 5.4.2006 -, ma subordina la sanatoria alla condizione che: a) le tipologie edilizie realizzate ed i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino tra quelli previsti ed assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico; b) i trasgressori abbiano previamente pagato la sanzione pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167 maggiorata da un terzo aita metà ed una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata dall’autorità amministrativa competente. L’accertamento di compatibilità paesaggistica comporta l’estinzione del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e di ogni altro reato in materia paesaggistica e quindi, non si estende ai reati edilizi: al contrario della legge 326/03 (art. 42, comma 43, n. 1) che estendeva la sanatoria anche al reato per la violazione del vincolo, analoga previsione non è contenuta nel comma 37 sopra richiamato.

Come già affermato da questa Corte più volte "in mancanza di una esplicita norma di coordinamento non è possibile estendere la sanatoria anche al reato edilizio, specialmente se commesso dopo il 31 marzo 2003 e prima del 30 settembre 2004, giacche il condono edilizio e quello paesaggistico si fondano su presupposti diversi quanto ai parametri di valutazione della compatibilità dell’opera" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 15946 del 5.4.2006).

A parte il fatto che, neppure in questa sede, è stata fornita alcuna prova dell’avvenuto accertamento detta compatibilità paesaggistica o, quantomeno, della attuale pendenza del relativo procedimento, la norma non prevede espressamente la sospensione, analoga a quella di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 38, richiamato dalla L. n. 326 del 2003.

Non è consentito, pertanto, al giudice disporre la sospensione del processo anche perchè decorrerebbero i termini di prescrizione (Cass. sez. 3 n. 13459 del 12.1.2007; Cass. Pen. sez. 3, 13.9.2005 n. 33297; Cass. sez. 3 n. 12.4.2006 n. 12923).

3.1) Fondata è invece la doglianza relativa alla intervenuta prescrizione con riferimento al reato di cui al capo c).

Non c’è dubbio che,con il sequestro effettuato in data 23.10.2004;

sia cessata la permanenza, per cui da tale data decorre il termine massimo di prescrizione di anni 3 (secondo il disposto dell’art. 157 c.p. previgente). Pur aggiungendo i periodi di sospensione dal 23.3.2007 al 27.11.2007 e dal 27.11.2007 al 26.2.2008, la prescrizione era maturata fin dal 26.9.2008 e, quindi, prima della sentenza impugnata,emessa il 13.7.2009.

La fondatezza sul punto del ricorso comporta la declaratoria di estinzione per prescrizione anche dei residui reati, anche se maturata in data in data 26.3.2010 (secondo i medesimi calcoli sopra riportati) e, perciò, in epoca successiva alla sentenza impugnata.

A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 100 gli atti vanno trasmessi all’Ufficio tecnico della Regione Campania.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione. Atti Ufficio tecnico Regione Campania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.