Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-12-2010) 23-02-2011, n. 7061 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano in data 20.7.2009, con la quale S.C. veniva condannato alla pena di anni due e mesi due di reclusione per il reato continuato di lesioni personali aggravate e porto ingiustificato di un coltello commesso in (OMISSIS) in danno di C.G. A., a seguito di un diverbio per ragioni di circolazione stradale, colpendo il predetto con due coltellate alla coscia sinistra e cagionandogli lacerazione muscolare ed ematoma guaribili in giorni venti.

Il ricorrente lamenta carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Con la sentenza impugnata si richiamavano le considerazioni del giudice di primo grado, il quale aveva determinato la pena inflitta alla luce della gravita dei fatti, con particolare riguardo al danno provocato, dell’intensità del dolo ed alla personalità dell’imputato come desumibile dai precedenti penali e del comportamento successivo al fatto, e segnatamente in base al non aver avuto il fatto conseguenze irreparabili solo per cause fortunate, alla sproporzione della condotta rispetto alla causa scatenante, all’aver l’imputato inseguito e colpito la vittima anche allorchè la stessa si rifugiava nella propria autovettura e tentava di ripartire ed ai precedenti dello S. per reati di rapina, incendio, furto e detenzione e porto di armi, aggiungendosi che l’intensità del dolo era ulteriormente evidenziata dall’essersi l’imputato procurato prelevandola dalla propria autovettura dopo una prima fase della lite.

Il ricorrente rileva che la sentenza non motivava sulla circostanza, ritenuta decisiva, dell’impossibilità di determinare l’esatta entità del danno a prescindere dal contenuto del referto, attesa l’assenza del persona offesa nel processo, e della conseguente incongruità di una pena sostanzialmente corrispondente al massimo edittale.

L’ampia e dettagliata motivazione della sentenza impugnata, che prendeva in esame diversi degli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., non è tuttavia inficiata nella sua completezza e coerenza dall’unico dato evidenziato dal ricorrente, relativo al limitato profilo dell’entità del danno, implicitamente ritenuto dai giudici di merito irrilevante con decisione non censurabile in questa sede.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 04-03-2011, n. 1998 Competenza e giurisdizione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente impugna il provvedimento di diniego di corresponsione dell’assegno alimentare nella maggiore misura conforme alla normativa per il periodo 4 agosto 1993 – 31 gennaio 1999 di cui alla comunicazione prot. n. C/8178 d.d. 19 aprile 2004 a firma del Direttore centrale della Direzione centrale per le risorse umane del Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’Interno.

Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha prospettato i seguenti motivi di diritto:

1). Violazione dell’art. 82 del DPR n. 3/1957 (come peraltro confermato dall’art. 27, comma 6, del CCNL d.d. 6 luglio 1995); Eccesso di potere per sviamento, ingiustizia manifesta, difetto o perlomeno illogicità e contraddittorietà della motivazione, erroneità dei presupposti giuridici e fattuali.

Con memoria depositata il 13.6.2008 controparte eccepisce una serie di profili di inammissibilità del ricorso.

Dagli atti depositati in giudizio la cronologia degli eventi risulta ricostruita come segue:

a). con ricorso depositato in data 3.11.2004 Filacchione Nadia, in qualità di tutore dell’interdetto legale G.A.C., adiva il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, chiedendo la fissazione dell’udienza di discussione nella causa promossa contro il Ministero dell’Interno avente ad oggetto la condanna del convenuto al pagamento in favore del ricorrente a titolo di riliquidazione dell’assegno alimentare, corrisposto in misura inferiore al dovuto per il periodo compreso tra il 4.8.1993 e il 31.1.1999, della somma di Euro 82.761, 20 lordi, oltre interessi e rivalutazione monetaria, con vittoria delle spese di lite.;

b). si costituiva il Ministero dell’Interno a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato eccependo, preliminarmente, la nullità del ricorso per difetto di legittimazione processuale del tutore e il difetto di giurisdizione del giudice del lavoro per la parte di pretesa concernente il periodo anteriore al 30.6.1998;

c). con decisione n. 8844 dell’8.5.2006 il Tribunale di Roma, sez. Lavoro, ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di legittimazione processuale del tutore.

Con il ricorso in epigrafe il ricorrente, che nel frattempo ha riacquistato la piena capacità di agire (cfr., ordinanza di revoca dell’interdizione legale d.d. 9 gennaio 2006 della Sez. I penale della Corte d’Appello di Roma), contesta il provvedimento indicato in epigrafe e sostiene quanto segue:

a). la PA gli ha liquidato l’assegno alimentare sulla base non dell’ultima retribuzione effettivamente percepita (che era quella accordata dal SISDE ove ricopriva l’incarico di Direttore di divisione) ma in base ad una retribuzione virtuale identificabile con quella che sarebbe spettata al momento del rientro;

b). la normativa vigente prevede che, essendo l’assegno alimentare l’unico supporto economico per il dipendente sospeso dal servizio finchè dura la sospensione, esso deve essere reale e non virtuale;

c). con decisione n. 1683/1999 la Sezione IV del Consiglio di Stato ha affermato che il G. non aveva diritto alla ricostruzione di carriera trovandosi nella condizione di sospeso cautelativamente dal servizio e quindi non sussistendo la premessa sinallagmatica del rapporto di pubblico impiego;

d). con decreto del 10.5.2001 il Ministero dell’Interno ha disposto l’inquadramento definitivo del ricorrente nella qualifica di funzionario amministrativo contabile, confermando l’inquadramento provvisorio che possedeva al momento del licenziamento.

Tanto premesso, il Collegio ritiene di poter condividere le argomentazioni svolte da controparte relativamente al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto trattasi di materia assistenziale rientrante nella giurisdizione della Corte dei Conti.

In proposito, la giurisprudenza ha più volte chiarito che l’assegno alimentare non ha natura retributiva ma assistenziale (cfr., Cons. Stato, IV, n. 37/1990).

Pertanto, il ricorso è da dichiarare inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito in favore della Corte dei Conti.

In applicazione dell’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, alla declinatoria di giurisdizione da parte di questo Tribunale segue il rinvio della causa al giudice munito di giurisdizione, da riassumersi -ex art. 11 c.p.a.- nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente pronuncia e con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta in questa sede.

Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti sussistendone giusti motivi.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il presente ricorso.

Compensa tra le parti le spese, competenze ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 21-03-2011, n. 2432

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Svolgimento del processo

1. Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 30 gennaio 2010 all’Amministrazione intimata presso l’Avvocatura Generale dello Stato ed ai controinteressati F.M. e S.D. presso le rispettive sedi di servizio, i ricorrenti impugnano il decreto di rettifica della graduatoria di merito n. 333B/1204(08)/6897, relativa al concorso interno, per titoli di servizio ed esame scritto a 108 posti, poi elevati a n. 291, per l’accesso al corso di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vicesovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della P.S. indetto con D.M. 19 settembre 2008.

Ai fini dell’annullamento deducono i seguenti motivi di diritto:

A. VIOLAZIONE DELL’ART. 7 DELLA LEGGE 241/90 E SUCC. MOD. NONCHE’ VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCEDIMENTO. ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DI FATTI E PER SLEALTA" NEL CORSO DEL PROCEDIMENTO,

B. VIOLAZIONE DI LEGGE DELL’ART. 97 DELLA COST. NONCHE’ DEI PRINCIPI DI EFFICIENZA, EFFICACIA, ECONOMICITA" E SPEDITEZZA DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA. VIOLAZIONE DELL’ART. 15 SETTIMO COMMA DEL D.P.R. 487/1994. ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’, IRRAGIONEVOLEZZA ED INGIUSTIZIA MANIFESTA.

Con atto depositato in data 9 marzo 2010 si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale – nel prosieguo e precisamente in data 16 marzo 2010 – ha depositato documenti.

Alla camera di consiglio del 25 marzo 2010 i ricorrenti – stante l’intervenuta sospensione in via di autotutela del provvedimento impugnato – hanno rinunciato all’istanza cautelare.

2. In data 25 giugno 2010 i ricorrenti hanno prodotto "ricorso per motivi aggiunti", notificato in data 11 giugno 2010 all’Amministrazione resistente presso l’Avvocatura Generale dello Stato ed ai controinteressati F.M., S.D. e C.G. presso le rispettive sedi di servizio, proposto per l’annullamento del decreto n. 333B/12.0.4(08)/4483, con il quale in data 7 maggio 2010 il Direttore della Direzione Centrale per le Risorse Umane – Ufficio III "Attività Concorsuali per il personale che espleta funzioni di Polizia" ha approvato la graduatoria di merito del concorso di interesse in questa sede, "integralmente" sostitutiva di quella di cui al precedente decreto n. 333B/1204(08)/6897 dell’1 dicembre 2009.

A tale fine deducono i seguenti motivi di diritto:

VIOLAZIONE DI LEGGE DELL’ART. 97 DELLA COST. ECCESSO DI POTERE PER DISPARITA" DI TRATTAMENTO, PER ILLOGICITA’, PER IRRAGIONEVOLEZZA E PER INGIUSTIZIA MANIFESTA.

Con ordinanza n. 3101 del 2010 il Tribunale ha respinto la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente.

3. In data 19 novembre 2010 il ricorrente Bencresciuto ha depositato un ulteriore "ricorso per motivi aggiunti", notificato in data 26 ottobre 2010 all’Amministrazione resistente presso l’Avvocatura Generale dello Stato ed ai controinteressati F.M., Domenico Saracini e Basilio Sicali presso le rispettive sedi si servizio, proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 333/12.04(08)7057 del 10 agosto 2010 con il quale il Dirigente dell’Ufficio III – Attività concorsuali per il personale che espleta funzioni di polizia ha rigettato la richiesta di riesame dei titoli dal predetto presentata in data 13 febbraio 2010.

A tale fine formula le seguenti censure:

A. VIOLAZIONE DI LEGGE DELL’ART. 71 DPR 247/99 – VIOLAZIONE DI LEGGE DELL’ART. 97 DELLA COST. NONCHE’ DEI PRINCIPI DI TRASPARENZA, DI IMPARZIALITA’, DI CORRETTEZZA, DI EFFICIENZA, DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA. ECCESSO DI POTERE TRAVISAMENTO DEI FATTI, PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE, PER ILLOGICITA’, IRRAGIONEVOLEZZA ED INGIUSTIZIA MANIFESTA.

A seguito del deposito di documenti in data 13 gennaio 2011, il Ministero dell’Interno ha prodotto in data 19 gennaio 2011 ed il successivo 21 gennaio 2011 memorie con le quali ha sostenuto la correttezza del proprio operato.

In data 10 febbraio 2011 ha, altresì, depositato copia del parere del Consiglio di Stato n. 4507/10, emesso su ricorso straordinario proposto avverso la "rettifica della graduatoria di merito a seguito della reiterazione prova scritta – concorso interno a n. 108 posti per l’accesso a corso nomina vice sovrintendente".

4. All’udienza pubblica del 24 febbraio 2011 il ricorso introduttivo del presente giudizio ed i motivi aggiunti in seguito proposti sono stati trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

1. Come esposto nella narrativa che precede, i ricorrenti hanno proposto diverse impugnative, al fine di contestare la legittimità dell’operato espletato dall’Amministrazione in ordine al concorso a 108 posti, poi elevati a n. 291, per l’accesso al corso di formazione professionale per la nomina alla qualifica di vicesovrintendente del ruolo dei sovrintendenti della P.S., indetto con D.M. 19 settembre 2008.

Tali impugnative sono inammissibili per le ragioni di seguito esposte.

2. Come già rilevato nel corso dell’udienza pubblica, dandone atto a verbale, ai sensi dell’art. 73 del cod.proc.amm., le impugnative di cui sopra risultano notificate ai controinteressati – non costituitisi in giudizio – presso l’ufficio di appartenenza e non a mani proprie.

Orbene, tale circostanza rende le impugnative in questione inammissibili.

Per costante giurisprudenza, il ricorso notificato al controinteressato – in modo diretto o a mezzo del servizio postale – presso l’ufficio pubblico dove egli presta servizio va, infatti, dichiarato "inammissibile" in tutti i casi in cui la consegna dell’atto o del plico non avvenga a mani del controinteressato stesso, bensì ad altra persona, pur se addetta a quell’ufficio, atteso che la possibilità prevista dall’art. 139, comma 2, c.p.c. di procedere alla notifica a mani di "persona addetta all’ufficio" va riferita esclusivamente agli uffici dove l’interessato tratta i propri affari- per cui può affermarsi un’immedesimazione di principio tra ufficio e destinatario – e non anche all’ufficio presso il quale il dipendente pubblico controinteressato presta lavoro subordinato (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2561; C.d.S., Sez. V, 3 febbraio 2006, n. 463; C.d.S., Sez. IV, 9 novembre 2005, n. 6255; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 3 novembre 2010, n. 33125; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 10 aprile 2009, n. 699; TAR Lazio, Latina, 4 settembre 2006, n. 597).

Per completezza, va comunque ricordato che il difensore dei ricorrenti – nel corso dell’udienza pubblica in cui è stato trattenuto in decisione il ricorso – ha rappresentato che fu richiesto all’Amministrazione l’indirizzo dei luoghi di residenza dei controinteressati ma che la predetta Amministrazione si limitò a comunicare le sedi ove quest’ultimi prestavano servizio, in modo da invocare – seppure implicitamente – l’art. 44, u.c., del cod. proc. amm., il quale disciplina la rinnovazione della notificazione nei casi in cui "l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante".

A parte il rilievo che – a sostegno di quanto asserito – non risulta fornito il benché minimo elemento di prova, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, l’istituto in esame non possa trovare applicazione, atteso che:

– il possesso esclusivamente di informazioni per procedere alla notificazione presso la sede in cui il dipendente presta servizio non implica – di per sé – che la notificazione non possa avvenire correttamente (ossia "a mani proprie");

– dalle modalità di notificazione, desumibili dagli atti consegnati all’ufficiale giudiziario, non risulta che i ricorrenti abbiano fornito precise istruzioni affinché il plico venisse consegnato a mani proprie dei destinatari e, dunque, la nullità della notifica non è imputabile al su menzionato ufficiale giudiziario. In altre parole, trova applicazione il principio – ripetutamente ribadito in giurisprudenza – secondo il quale le modalità della notifica sono scelte ed indicate all’organo della notificazione dagli stessi ricorrenti, i quali, per non aver fornito precise istruzioni o per non aver scelto un diverso mezzo di notificazione, non possono non assumersi il rischio dell’eventuale mancato buon fine e corretto compimento dell’operazione chiesta (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3876; TAR Emilia Romagna, Parma, Sez, I, 21 dicembre 2010, n. 545).

Tutto ciò detto, è doveroso concludere che – in spregio della disposizione di cui all’art. 21, comma 1, della legge n. 1034 del 1971, ora art. 41 cod. proc. amm. – non è stato evocato in giudizio "almeno uno dei controinteressati" e, dunque, non è stato correttamente instaurato il contraddittorio.

3. Per le ragioni illustrate, il ricorso va dichiarato inammissibile, per difetto di contraddittorio.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) dichiara inammissibile il ricorso n. 1707/2010.

Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-06-2011, n. 14413 Previdenza integrativa

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 maggio 2006, la Corte d’Appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame svolto da R.O. contro la sentenza di primo grado che aveva denegato il diritto alla riliquidazione e al ricalcolo del trattamento integrativo pensionistico in godimento in qualità di dirigente superiore a riposo dell’ENASARCO, con inclusione della voce stipendiale "retribuzione di posizione". 2. La Corte territoriale riteneva:

– oggetto di gravame l’inclusione della "retribuzione di posizione" nel trattamento pensionistico integrativo erogato dalla Fondazione ENASARCO;

– la retribuzione di posizione destinata a differenziare il trattamento economico dei dirigenti in considerazione delle rilevanti funzioni e responsabilità insite nella posizione dirigenziale;

– il miglioramento contrattuale in questione attribuito ai dirigenti ENASARCO con Delib. 23 marzo 1998, n. 23 con effetti retributivi per tutto il 1997, con conseguente adeguamento delle pensioni per effetto dell’art. 30 del regolamento ENASARCO;

– fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale, trattandosi di prestazione da pagarsi periodicamente, onde tenuto conto dell’atto interruttivo del 22 aprile 2002, ricevuto dall’ente il 26 aprile 2002, e in considerazione dell’incontestata misura della riliquidazione da parte dell’ENASARCO, andava affermato il diritto alla riliquidazione e prescritto ogni rateo antecedente al 26 aprile 1997. 3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Fondazione ENASARCO, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso, e proposto ricorso incidentale fondato su un unico motivo. L’intimata ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

4. Preliminarmente, il Collegio dispone la riunione dei ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

5. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, in relazione alla Delib. Consiglio amministrazione ENASARCO 30 marzo 1998, n. 23 ( art. 360 c.p.c., n. 3). Si censura la sentenza impugnata per violazione dell’indicata disposizione della L. n. 449 cit. per aver ritenuto valida, dopo il 1 gennaio 1998, data dalla quale opera il blocco previsto dalla L. n. 449, le norme regolamentari che prevedevano adeguamenti pensionistici legati alle dinamiche retributive del personale in servizio (clausola oro), con riferimento a delibera del Consiglio di amministrazione dell’ENASARCO, di riconoscimento, in favore dei dirigenti in servizio, della retribuzione di posizione, adottata il 30 marzo 1998 e successiva al disposto blocco. Nè rileva, in senso contrario, per parte ricorrente, l’applicazione retroattiva dei miglioramenti, in base al rilievo che per i lavoratori già pensionati il divieto di adeguamento dei trattamenti pensionistici era già operante al momento in cui i miglioramenti retributivi e la loro applicazione retroattiva sono stati decisi. Si denuncia, inoltre, la contrarietà della sentenza impugnata ai principi generali di gerarchia delle fonti di diritto, per aver riconosciuto alla delibera di una fondazione di diritto privato la forza di disapplicare disposizioni inderogabili di legge, attribuendo retroattivamente benefici che il legislatore aveva inteso eliminare definitivamente. L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis.

6. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 30 del regolamento ENASARCO per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale, all’art. 38 e ss. del CCNL 11 ottobre 1996 per il personale con qualifica dirigenziale, dipendente dalle amministrazioni pubbliche ricomprese nel comparto del personale degli enti pubblici non economici, alla delibera della Fondazione ENASARCO n. 23 cit. ( art. 360 c.p.c., n. 3) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5). Si censura la sentenza impugnata per violazione dei criteri ermeneutici dell’interpretazione letterale e dell’interpretazione complessiva delle clausole degli atti negoziali. L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

7. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione ai presupposti di fatto per l’applicabilità dell’art. 30 del regolamento ENASARCO per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale ( art. 360 c.p.c., n. 3) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5). Si censura la sentenza impugnata sul rilievo che, nella denegata ipotesi della ritenuta rilevanza della retribuzione di posizione ai fini dell’applicazione dell’art. 30 del regolamento cit. il ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare che egli, all’atto della cessazione del rapporto, rivestiva una delle specifiche qualifiche e posizioni alle quali il contratto collettivo ha riconosciuto la retribuzione di risultato. L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto 8. Con P unico motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2948 c.c. per non aver la corte di merito fatto decorrere il termine prescrizionale dal 1 gennaio 1997, essendo stata la domanda di riliquidazione validamente presentata entro il quinquennio (il 26 aprile 2002) dalla data del riconoscimento (con Delib. 30 marzo 1998) del diritto alla variazione della retribuzione pensionabile decorrente dal 1 gennaio 1997. 9. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

10. Questa Corte (ex multis, Cass. 5415/2010) ha affermato che la disposizione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, che comporta la soppressione, a decorrere dal 1 gennaio 1998, di meccanismi di adeguamento pensionistici diversi da quello previsto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11 anche se collegati all’evoluzione delle retribuzioni del personale in servizio, impedisce, a partire dalla suddetta data, la riliquidazione automatica della pensione dei dipendenti degli enti del parastato ai sensi dell’art. 30 delle disposizioni regolamentari dei predetti enti (v. Cass. 5415/2010 con riferimento al Regolamento I.N.A.M.).

11. Con altre decisioni, v., ex multis, Cass., sez. lav., 28 ottobre 2003, n. 16221, e Cass., sez., lav., 11 maggio 2002, n. 6804, questa Corte ha parimenti ritenuto che la citata disposizione di cui alla L. n. 449 cit., art. 59, comma 4, comporta la soppressione di diversi meccanismi di adeguamento e trova applicazione anche nei confronti dei regimi aziendali integrativi, atteso che la disposizione si riferisce alle prestazioni pensionistiche previste dallo stesso art. 59, comma 3 che espressamente ricomprende le prestazioni pensionistiche complementari di cui ai D.Lgs. n. 563 del 1996, D.Lgs. n. 124 del 1993 e D.Lgs. n. 357 del 1990; nè tale estensione autorizza dubbi di legittimità costituzionale, atteso che essa si inquadra nella scelta del legislatore di armonizzare i regimi previdenziali complementari preesistenti al citato decreto legislativo n. 124 del 1993 con quelli di nuova costituzione.

12. Nella specie, la retribuzione di posizione, quale componente della retribuzione è stata prevista per i dirigenti dalla contrattazione collettiva del comparto del personale degli enti pubblici non economici, sottoscritto il 11 ottobre 1996 (artt. 38 e 42) che; introducendo l’emolumento ) ne ha subordinato l’operatività alle successive determinazioni dei singoli enti, sia quanto alla costituzione e finanziamento del relativo fondo, sia quanto ai criteri di distribuzione, correlando strettamente l’erogazione alle caratteristiche organizzative e alle scelte strategiche di ciascun ente.

13. L’emolumento è stato, pertanto, riconosciuto, in favore dei dirigenti in servizio, con delibera del Consiglio di Amministrazione ENASARCO del 30 marzo 1998, con riferimento all’anno 1997.

L’estensione ai dirigenti in pensione, come statuito dalla Corte territoriale, per i quali, dal 1 gennaio 1998, opera il divieto di perequazione secondo la cd. clausola oro, comporterebbe un’inammissibile disapplicazione, per atto unilaterale di natura privatistica, di disposizione inderogabile di legge e la surrettizia reintroduzione di benefici che il legislatore aveva inteso eliminare.

14. Gli altri motivi di impugnazione del ricorso principale e i motivi del ricorso incidentale sono assorbiti.

15. Ne consegue la cassazione della decisione impugnata limitatamente al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.O.. Il difforme esito dei giudizi di merito induce a compensare per l’intero, per giusti motivi, le spese dei giudizi di merito e di cassazione.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti gli altri motivi, nonchè il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.; spese compensate per l’intero processo.

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