Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La ricorrente, nel marzo 2002, ha presentato domanda di concessione edilizia in sanatoria avente ad oggetto varie opere abusive (ampliamento e modifica di ovile assentito con concessione edilizia dell’8/7/1992 e con autorizzazione della Comunità Montana del 10/1/1991; ampliamento e modifica di box legittimato da concessione edilizia del 10/7/1978; costruzione di ricovero per bestiame, in legno e lamiera; costruzione di tettoia in legno per ricovero di attrezzi agricoli).
In data 17/3/2003 l’istante, su richiesta del Comune, ha presentato il programma di miglioramento agricolo ambientale, sul quale hanno espresso parere favorevole con prescrizioni la Provincia di Grosseto (20/10/2003) e la Comunità Montana (11/5/2005).
Tuttavia il Comune di Massa Marittima non ha concluso il procedimento, ma in data 26/11/2009 ha adottato l’ingiunzione a demolire alcuni fabbricati abusivi, tra i quali i manufatti oggetto della domanda di sanatoria edilizia.
Avverso tale provvedimento la ricorrente è insorta deducendo:
1) eccesso di potere per contraddittorietà, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta; violazione dell’art. 36, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001;
2) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 in relazione all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001;
3) violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione circa le ragioni di interesse pubblico a sostegno della misura repressiva adottata.
Si è costituito in giudizio il Comune di Massa Marittima.
Con ordinanza n. 154 del 26/2/2010 è stata respinta l’istanza cautelare.
Tale pronuncia è stata riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 3127 del 7/7/2010.
All’udienza del 26 maggio 2011 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la deducente lamenta la contraddittorietà dell’azione amministrativa del Comune, il quale ha ordinato la demolizione senza prima concludere il procedimento di sanatoria edilizia; aggiunge che ai sensi dell’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 la determinazione sulla richiesta di sanatoria deve essere supportata da idonea motivazione.
La censura non può essere accolta.
Occorre innanzitutto considerare che solo una parte delle opere per le quali è stata presentata istanza di attestazione di conformità rientra tra quelle oggetto della contestata sanzione demolitoria.
Come evidenziato nella attestazione del responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Massa Marittima (documento n. 2 depositato in giudizio il 24/2/2010), la prima opera oggetto dell’istanza (ampliamento e modifica di ovile -foglio 205, mappale 50) è descritta nell’atto impugnato con dimensioni maggiori (lettera J della nota della Polizia municipale datata 25/2/2009 -documento n. 3 depositato in giudizio il 24/2/2010; penultimo manufatto elencato nella premessa della gravata ordinanza); il secondo abuso elencato nella richiesta di sanatoria (ampliamento e modifica del box in metallo di cui alla concessione edilizia n. 128 del 10/7/1978) risulta avere, secondo l’atto impugnato (primi due manufatti ivi elencati; lettere A e B della citata nota della Polizia municipale del 25/2/2009), destinazione abitativa (mentre invece la pratica di sanatoria edilizia lo descriveva come "destinato a magazzino, officina, ripostiglio e rifugio per gli addetti all’azienda agraria con servizio igienico"); il terzo abuso per il quale è stata presentata domanda di sanatoria (ricovero per bestiame, costruito in legno e lamiera) non è indicato nell’impugnata misura repressiva (la citata attestazione comunale -documento n. 2- puntualizza che tale manufatto è stato demolito, secondo quanto risulta nella determina della Comunità Montana n. 463 dell’11/5/2010); il quarto abuso edilizio per il quale è stata presentata l’istanza (tettoia in legno per ricovero di attrezzi) è indicato alla lettera E della menzionata nota della Polizia municipale e rientra nella descrizione del quarto abuso edilizio elencato nell’impugnata ingiunzione.
Ciò premesso, in punto di diritto si osserva quanto segue.
L’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 prevede che, decorsi 60 giorni dalla richiesta di permesso di costruire in sanatoria, la stessa si intende rifiutata. Pertanto, trascorso il suddetto termine, si forma un tacito provvedimento di diniego (TAR Toscana, III, 2/3/2011, n. 418).
Non depone in senso contrario l’art. 140 della L.R. n. 1/2005, il quale da un lato non qualifica espressamente il silenzio mantenuto dal Comune sulla richiesta di attestazione di conformità, dall’altro prevede, richiamando l’art. 83, una procedura sostitutiva connotata dall’intervento della Regione. Invero la predetta norma regionale va interpretata in modo costituzionalmente orientato, nel senso della sua neutralità circa la qualificazione del silenzio sulla domanda di sanatoria edilizia, dovendosi tenere conto che la qualificazione, da parte del legislatore nazionale, del silenzio come atto tacito di diniego esprime un principio fondamentale della materia urbanistica, come tale non derogabile dal legislatore regionale (TAR Campania, Napoli, III, 17/9/2010, n. 17440). Alla stessa interpretazione si presta l’analogo, previgente art. 37 della L.R. n. 52/1999.
Occorre infatti considerare che la statuizione di cui all’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 (che ripete quanto già sancito dall’art. 13, comma 2, della legge n. 47/1985) da un lato risponde allo scopo di evitare il protrarsi di situazioni di incertezza suscettibili di incentivare l’abusivismo, dall’altro lato pone una presunzione relativa di difformità urbanisticoedilizia dei lavori realizzati senza titolo, accollando ragionevolmente al soggetto che ha violato la legge e versa in una condizione illecita l’onere di attivarsi prontamente, anche nelle sedi giudiziarie, affinchè sia dimostrata la natura solo formale e non sostanziale dell’illecito (TAR Campania, Napoli, III, 17/9/2010, n. 17440; idem, VI, 15/12/2010, n. 27356; Cons. Stato, IV, 7/7/2008, n. 3373).
Orbene, nel caso di specie la contestata ordinanza è sopraggiunta allorquando erano ampiamente decorsi oltre 60 giorni non solo dalla presentazione dell’istanza, ma anche dall’acquisizione dei pareri della provincia di Grosseto e della Comunità Montana, e quindi assume a presupposto il diniego di sanatoria edilizia formatosi per effetto dell’infruttuoso decorso del tempo.
Né può sostenersi che il provvedimento formatosi secondo il meccanismo del silenzio rigetto è illegittimo per difetto di motivazione, in quanto non ha senso prospettare l’obbligo di motivazione per un diniego tacito (Cons. Stato, IV, 3/3/2006, n. 1037; idem, 13/1/2010, n. 100): configurare la motivazione del provvedimento tacito significherebbe infatti incorrere in una contraddizione in termini.
E’ vero che il citato art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che il Comune "si pronunci con adeguata motivazione", ma siffatta statuizione si riferisce alla pronuncia espressa, la quale deve essere motivata anche in caso di accoglimento dell’istanza, così da dimostrare, anche nell’interesse della collettività e degli eventuali proprietari confinanti (interessati al regolare assetto del territorio), la correttezza del provvedimento adottato.
Al contrario, il difetto di motivazione non inficia la validità della implicita, negativa determinazione dell’Ente, a fronte della quale è invece necessario che l’interessato operi una puntuale confutazione, tesa a dimostrare la compatibilità edilizia e urbanistica del manufatto abusivo, in sede di impugnazione del silenzio significativo entro il termine di decadenza, termine che peraltro nel caso di specie è ampiamente scaduto (TAR Piemonte, I, 27/11/2007, n. 3508; TAR Campania, Napoli, VI, 19/6/2007, n. 6206; Cons. Stato, V, 11/2/2003, n. 706).
In definitiva è il privato interessato, il quale ha costruito in assenza di previo titolo, che, in sede di impugnazione del silenziorigetto, deve dimostrare la conformità edilizia allegando le disposizioni che consentono la intervenuta realizzazione, con indicazione della zona in cui urbanisticamente l’intervento ricade e l’assenza di vincoli ostativi (TAR Campania, Napoli, VI, 19/6/2007, n. 6206).
La seconda doglianza è incentrata sull’omessa comunicazione di avvio del procedimento.
Il rilievo è infondato.
L’ordine di demolizione non presuppone necessariamente la comunicazione di avvio del procedimento, stante il suo carattere di atto dovuto e vincolato, basato su meri accertamenti tecnici e privo di apprezzamenti discrezionali. Invero la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente precisato che gli atti repressivi di abusi edilizi hanno natura urgente e strettamente vincolata, con la conseguenza che, ai fini della loro adozione, non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario e quindi non devono necessariamente essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento (ex multis: Cons.Stato, VI, 24/9/2010, n. 7129; TAR Puglia, Lecce, III, 9/2/2011, n. 240; TAR Campania, Napoli, IV, 13/1/2011, n. 84).
Con la terza censura la ricorrente deduce che il Comune era a conoscenza degli abusi edilizi in questione almeno dal marzo 2002 (allorquando è stata presentata istanza di sanatoria edilizia), con la conseguenza che, stante il lungo tempo trascorso, l’impugnata ingiunzione avrebbe dovuto essere motivata in ordine all’interesse pubblico a ripristinare l’originario stato dei luoghi.
L’assunto non ha alcun pregio.
Da un lato occorre considerare che non vi è coincidenza piena tra opere oggetto dell’istanza di sanatoria e opere oggetto della contestata ingiunzione, la quale riguarda manufatti in gran parte diversi dalle prime o risultanti da trasformazione delle stesse, dall’altro lato non può annettersi alcun legittimo affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può di per sé legittimare (Cons.Stato, V, 11/1/2011, n.79; TAR Puglia, Lecce, III, 9/2/2011, n. 240).
Sotto altro profilo, in alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto sussistente l’obbligo di esternare ragioni di pubblico interesse concreto e attuale a sostegno dell’ordine di demolizione, ma solo a fronte di opere realizzate da lunghissimo tempo, come ad esempio 30 anni (TAR Abruzzo, L’Aquila, 17/9/2003, n.799) o 40 anni (TAR Lazio, Roma, II, 4/12/2009, n.12554), mentre va escluso che 7 anni intercorsi fra la conoscenza, da parte del Comune, degli abusi edilizi e la data di adozione della misura repressiva possano di per sé integrare un enorme lasso di tempo, tale da rendere necessaria una specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico giustificante l’ordine di demolire.
Alla stregua del predetto orientamento giurisprudenziale, nemmeno prendendo in considerazione il periodo di realizzazione degli abusi edilizi (risalenti all’arco temporale tra il 1993 e il 2000, come risulta dalla comunicazione ex art. 4 della legge n. 47/1985 della Polizia municipale datata 25/2/2009, costituente il documento n. 3 depositato in giudizio dal Comune) risultano sussistere le condizioni che rendono necessaria la motivazione dell’interesse pubblico alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese di giudizio, inclusi gli onorari difensivi, sono determinate in euro 3.500 (tremilacinquecento) oltre IVA e CPA, che la ricorrente dovrà corrispondere al Comune di Massa Marittima. Nulla per le spese nei confronti della Provincia di Grosseto, non essendosi la stessa costituita in giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Condanna la ricorrente a corrispondere al Comune di Massa Marittima la somma di euro 3.500 (tremilacinquecento) più IVA e CPA, a titolo di spese di giudizio comprendenti gli onorari difensivi.
Nulla per le spese nei confronti della Provincia di Grosseto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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