Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8166 Società

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione nei confronti di B.G. ed S.E. (soci della s.n.c. Costruzioni Generali Maila, che resistono con controricorso) e avverso la sentenza n. 124/27/00 con la quale, in tema di impugnazione di avvisi di accertamento concernenti una società di persone, i suoi due soci al 50% e i suoi dipendenti (questi ultimi in relazione alla omissione di ritenute su somme versate in nero), la C.T.R. Veneto, riuniti gli appelli, confermava, con riguardo alla società, la decisione di primo grado (che, solo in parziale accoglimento del ricorso, aveva disposto che dai maggiori ricavi accertati dovessero essere detratti i relativi costi) e la riformava, per quel che in questa sede ancora rileva, con riguardo ai soci, annullando i relativi avvisi di accertamento in quanto la notifica dei predetti era avvenuta prima della notifica dell’avviso alla società, così riducendo i tempi di difesa.

2. Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, i ricorrenti rilevano che il diritto di difesa dei soci non è stato compromesso dalla circostanza che la notifica degli avvisi ai soci era avvenuta prima della notifica dell’avviso alla società sia perchè trattasi di diritti che ricevono tutela in via autonoma e non subordinata sia perchè gli importi recati dagli avvisi notificati ai soci erano in logica correlazione con gli importi accertati nei confronti della società, segno evidente di una unica attività di accertamento, sia infine perchè le diverse date di notifica non avevano impedito in concreto ai soci di esercitare in pieno il proprio diritto di difesa, anche considerando che già in primo grado si era provveduto alla riunione dei ricorsi dei soci e della società, consentendo a tutti i ricorrenti il più ampio diritto di difesa.

La censura è fondata nei termini che seguono.

E’ vero che le sezioni unite di questa Corte (con sentenza n. 15815 del 2008) hanno affermato che l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta la configurabilità di una ipotesi di litisconsorzio necessario originario, tuttavia ciò non esclude che sia la società che i soci, ciascuno in relazione alla pretesa vantata nei suoi confronti dal fisco, siano destinatari di avvisi autonomi (ancorchè riferentisi ad un accertamento unitario) e debbano essere posti in condizione di esercitare compiutamente e tempestivamente il proprio diritto di difesa in relazione ad essi.

L’accertamento del rispetto del diritto di difesa anche del socio di una società di persone, come di ogni contribuente, deve pertanto essere effettuato con riguardo ai tempi di notifica, al contenuto ed alla motivazione dell’avviso che egli impugna, innanzitutto rilevando che tale avviso sia ben motivato, ossia contenga tutte le informazioni necessarie a consentirgli di difendersi (quindi riporti anche, ad esempio, i passi rilevanti dell’accertamento nei confronti della società, sulla base del quale è stato calcolato il suo reddito di partecipazione), a prescindere dall’unitarietà dell’accertamento rispetto alla società e dai tempi di notifica dell’avviso riguardante il reddito della predetta.

Tanto premesso, è sufficiente rilevare che nella specie i giudici d’appello hanno annullato gli avvisi riguardanti i redditi di partecipazione dei soci semplicemente perchè gli stessi erano stati notificati prima della notifica dell’avviso riguardante il reddito della società e che dalla sentenza impugnata non risulta accertato che gli avvisi annullati fossero motivati in maniera inadeguata (o, in ipotesi, con rinvio per relationem ad atti non conosciuti dai soci) nè risulta che la questione della adeguatezza della motivazione degli avvisi de quibus sia mai stata posta in primo grado o in appello. E’ peraltro appena il caso di rilevare che la sentenza d’appello non risulta impugnata in questa sede con ricorso incidentale condizionato per omessa pronuncia sul difetto di motivazione degli avvisi opposti (questione ontologicamente e logicamente diversa da quella relativa all’ordine temporale di notifica degli avvisi alla società e ai soci).

Il ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Veneto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-05-2011, n. 10361 diritti pilitici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premesso che il Collegio ha disposto la redazione della sentenza con motivazione semplificata si osserva quanto segue.

P.R. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 15.000,00 per anni nove, mesi otto e giorni quindici di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata della procedura relativa a fallimento anche del ricorrente in proprio svoltasi avanti al Tribunale di Avezzano dal 2 maggio 1987 al 13 luglio 2007.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.
Motivi della decisione

Premesso che il Collegio ha disposto la redazione della sentenza con motivazione semplificata si osserva quanto segue.

L’unico motivo con cui si denuncia genericamente la violazione della L. n. 89 del 2001, in relazione alla ritenuta erroneità delle modalità di quantificazione della ragionevole durata del processo presupposto (procedura fallimentare) è inammissibile per carenza di interesse in quanto l’accoglimento del motivo e la conseguente decisione della causa nel merito che la Corte dovrebbe assumere in assenza della necessità di ulteriori accertamenti in fatto, non comporterebbero alcun vantaggio per il ricorrente. E invero, detraendo dalla durata complessiva della procedura (circa venti anni) quella ritenuta ragionevole per procedimenti non complessi in base alla giurisprudenza della Corte (anni cinque) la liquidazione dell’equo indennizzo, da calcolarsi in Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo e in Euro 1.000,00 per quelli ulteriori (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840) non sarebbe superiore a quella già riconosciuta.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in complessivi Euro 900,00 oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-12-2010) 23-03-2011, n. 11701 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il provvedimento impugnato di cui all’epigrafe, il Tribunale della libertà di Reggio Calabria ha annullato parzialmente l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa da quel Gip nei confronti di P.N. e P.C., indagati di numerose fattispecie di spaccio di sostanze stupefacenti e di partecipazione ad una associazione a delinquere dedita al narcotraffico, limitatamente per il primo ai delitti sub 3 U e 6 Q e per il secondo per i delitti sub 2 SS, 4 U, escludendo l’aggravante della ingente quantità per i capi F e 3 U. Il tribunale ricostruiva la esistenza della compagine associativa, desumendola dagli atti investigativi enunciati nell’ordinanza del Gip, che richiamava; si trattava di una vasta articolazione che rivendeva la droga, acquistata dai fratelli A. e B.D. dal fornitore, certo F., tramite C.N., suocero del D.. sia a Gioia Tauro, luogo di residenza dei due indagati, sia in altre località, mediante una organizzazione articolata in sotto gruppo che diffondeva le sostanze anche in Catanzaro e Crotone, avvalendosi in tali ambiti territoriali di una rete di soggetti, cui lo stupefacente venduto veniva recapitato con corrieri. Le frequentazioni fra gli indagati, attestate dalle indagini, venivano riscontrate dal contenuto di intercettazioni telefoniche e dal linguaggio criptico, non riferibile ad altro se non i suddetti traffici illeciti, e dai sequestri di sostanza. La sistematicità delle condotte dimostravano che nel gruppo vi era una struttura organizzata con divisione di ruoli e mansioni. La riferibiltà delle conversazioni intercettate ai singoli indagati era assicurata o dalla identificazione delle utenze, appunto intestate a costoro o da loro abitualmente utilizzate, dai riferimenti personali rintracciati nelle conversazioni, e dai riscontri effettuati dalla PG mediante servizi di osservazione e controllo.

In relazione alle imputazioni ulteriori, il giudice distrettuale rilevava che nel corso dei colloqui intercettati gli interlocutori facevano uso di un linguaggio incongruo riferendosi alla droga, indicata con termini di uso quali vino auto, camion, da tarare o provare con riferimento a transazioni con scambio di denaro e sussistenza di partite di debito, non giustificate da effettivi commerci aventi ad oggetto i beni menzionati; emergeva dalle conversazioni che gli indagati erano direttamente interessati o erano uno dei soggetti cui gli altri interlocutori facevano riferimento per il reperimento di droga; in particolare i ricorrenti erano persone che collaboravano con i figli B. da cui acquistavano le sostanze da commercializzare nel territorio crotonese. Inoltre il C. era stato adibito per conto dei cognati B. a recuperare i crediti nascenti dal traffico. Tale attività continuativa era sintomo dell’inserimento nella associazione dedita al narcotraffico, in cui rivestivano un ruolo stabile, idoneo al rafforzamento della stessa. Confermava la massima misura custodiale sul presupposto del mancato superamento della presunzione ex art. 274 c.p.p., comma 3.

Con il ricorso, il difensore degli indagati denuncia difetto di motivazione e violazione di legge, poichè il tribunale aveva ritenuto sussistente un grave quadro indiziario riportando pedissequamente quanto esposto nell’ordinanza genetica senza alcuna revisione critica; sottolinea che in relazione ai capi di imputazione non è stato svolto alcun approfondimento ma sono state semplicemente riportate le emergenze investigative senza alcuna riflessione.
Motivi della decisione

Le censure di merito, peraltro non specificate in relazione alle estese motivazioni offerte dal procedimento impugnato, sono inammissibili.

In realtà, i due P. sotto la veste del difetto di motivazione, definita ora mancante ora illogica, introducono censure tendenti ad una rivalutazione del materiale indiziario raccolto, in chiave a sè favorevole.

Va precisato al riguardo che, contrariamente a quanto sostenuto in linea generale nel ricorso, il giudice distrettuale non si è affatto limitato ad un rimando alla ordinanza genetica della misura, ma richiamate per relationem le principali acquisizioni indiziarie relative a ciascuno dei singoli episodi di spaccio contestati ai P., ha indicato, in risposta ai motivi di riesame, le ragioni di merito che rendevano sicura la attribuzione della condotta ai ricorrenti, intercettati nelle conversazioni, sia gli elementi significativi del loro rispettivo coinvolgimento. In particolare, ha precisato che ciascuno dei capi provvisori della imputazione si individua una capacità operativa dei P. e la loro intromissione nei passaggi di stupefacente ed i suoi frequenti contatti con gli altri soggetti interessati alla trattativa ed al rifornimento, di cui erano destinatari finali. Così motivando, con argomentazioni che non presentano manifeste aporie, salti logici o incompletezze, il Tribunale ha esplicato adeguatamente le ragioni della decisione, che in tanto sono soggette al controllo in questa sede di legittimità in quanto attinenti a vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione (Sez. 1, 14-3-1998, n. 1083, riv. 210019).

Il controllo della Corte di legittimità non concerne cioè nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o la concludenza dei dati probatori (essendo inammissibile in sede di legittimità la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito), ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, 1.2.1999, n. 3529, riv.

212565; Sez. 6, 24.10.1996, n. 2050, riv. 206104).

In particolare, il vizio di mancanza o contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato da questa Corte, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 1, 4.5.1998, n. 1700, riv. 210566).

Per come già detto, detto difetto assoluto di motivazione non è affatto ravvisabile; nè il ricorrente difensore ha apportato censure specifiche sull’invocato vizio, poichè si è limitato a contestare non la mancanza o illogicità del ragionamento, ma invece una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.

Non ha poi alcun rilievo, quanto al reato associativo, che per altri coindagati non sia stata ritenuta soddisfacente la motivazione in punto di partecipazione, con conseguente annullamento con rinvio, poichè in relazione alle posizioni dei due odierni indagati gli elementi rassegnati dal giudice distrettuale mettono in evidenza la loro adesione al contesto sociale, con attività specifiche dirette al consolidamento dello stesso, quale per il C. la condotta di recupero dei crediti e per il N., l’avere assunto un ruolo stabile negli acquisti, avvalendosi continuativamente delle risorse dell’organizzazione, con la coscienza e volontà di farne parte e di contribuire al suo mantenimento.

In conseguenza della ritenuta inammissibilità, i ricorrenti sono da condannare al pagamento delle spese processuali ed alla somma equitativamente determinata in Euro mille da versare alla Cassa delle ammende.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1/ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 06-04-2011, n. 1967 Decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza di questa Sezione n. 10427 del 28 luglio 2005 è stato annullato il silenzio serbato dal Comune di Sant’Antimo sulla diffida con cui gli odierni ricorrenti avevano chiesto di riqualificare sotto il profilo urbanistico i fondi di loro proprietà distinti in catasto al fol. 6, p.lle 830 e 174, ed è stato ordinato al Comune di provvedere in merito, nel termine di giorni sessanta.

Per l’esecuzione di tale sentenza, passata in giudicato a seguito della reiezione dell’appello proposto nei suoi confronti, i ricorrenti hanno agito con ricorso n. 679/07, il quale è stato accolto con sentenza di questa Sezione n. 14962 del 23 novembre 2007, con cui è stato ordinato al Comune di Sant’Antimo di provvedere alla esecuzione nel termine di giorni novanta, con riserva di nomina di commissario ad acta nel caso di persistente inottemperanza.

Decorso inutilmente tale termine, i ricorrenti hanno depositato in data 6 marzo 2008 istanza di nomina di commissario ad acta, nonché hanno proposto un ulteriore ricorso per ottemperanza, iscritto a ruolo col n. 1739/08, con cui hanno parimenti chiesto la nomina di un commissario ad acta per l’esecuzione del predetto giudicato, previa dichiarazione di nullità (ovvero annullamento, con conversione del rito) delle note prot. n. 7182 del 3.3.2008 e n. 6449 del 26.2.2008 dell’amministrazione comunale, asseritamente elusive del giudicato.

Con ordinanza n. 428 dell’8 maggio 2008 i giudizi RG n. 679/07 e RG n. 1739/08 sono stati riuniti ed è stato nominato commissario ad acta, con facoltà di delega ad un funzionario del medesimo ufficio, il dirigente preposto alla Direzione Urbanistica – Pianificazione Comunale della Provincia di Napoli, perché provvedesse in luogo del Comune di Sant’Antimo alla esecuzione della predetta sentenza.

Con ordinanza n. 891 del 18 dicembre 2008, su istanza del funzionario delegato allo svolgimento delle funzioni di commissario ad acta giusta determinazione n. 6067 del 27 maggio 2008 del dirigente della Direzione urbanistica della Provincia di Napoli, sono stati forniti chiarimenti per l’adempimento dell’incarico.

Successivamente i ricorrenti hanno depositato due identici ricorsi, non espressamente intitolati quali motivi aggiunti ma, comunque, rispettivamente intestati RG 679/07 l’uno e RG 1739/08 l’altro, per impugnare, con istanza di sospensione cautelare, la nota prot. 7111 del 13 marzo 2009 del dirigente dell’U.T.C. Edilizia pubblica del Comune di Sant’Antimo avente ad oggetto "Avviso di sopralluogo per l’esecuzione delle operazioni geologiche preparatorie ( D.P.R. 327/2001 modificato ed integrato dal D.Lgs 302/2002 – art. 15 comma 3"), relativo ai fondi riportati in catasto al fg. 7, p.lle 561, 727, 829, 830, 832, 1137.

La domanda cautelare è stata respinta con ordinanza n. 1160 del 14 maggio 2009.

Con deliberazione n. 1 del 21 gennaio 2010, il commissario ad acta ha predisposto una proposta di variante urbanistica, con annessi elaborati e norme tecniche di attuazione, per la riqualificazione dei suoli siti in Sant’Antimo, individuati in catasto al foglio n. 6, p.lla n. 174, e al foglio n. 7, p.lla 830, con la classificazione "aree destinate ad attrezzature collettive di uso pubblico".

Con sentenza n. 2224 del 29 aprile 2010 il Collegio ha dichiarato i ricorsi improcedibili, sulla base della circostanza che all’udienza del 24 marzo 2010 il difensore dei ricorrenti aveva dichiarato essere venuto meno l’interesse alla decisione dei ricorsi.

Ed invero, in punto di fatto, il verbale di udienza del 24 marzo 2010 testualmente recita: "l’avv. Lemmo dichiara a verbale la sopravvenuta carenza di interesse, poiché il commissario ad acta ha emanato un provvedimento satisfattivo degli interessi del ricorrente".

Con ricorso notificato il 21/26 maggio 2010 i ricorrenti chiedono la revocazione della suddetta decisione.

Con memoria depositata il 19 marzo 2011 chiedono altresì l’esatta esecuzione dei giudicati formatisi sulla vicenda in atto mediante l’adozione dei provvedimenti ritenuti più idonei allo scopo, mentre sull’istanza di accesso del 15 marzo 2011 dichiarano la cessazione della materia del contendere.
Motivi della decisione

Va innanzitutto esaminata la richiesta di revocazione tendente ad eliminare la pronuncia che aveva definito i ricorsi in esame ed a riaprire quindi la controversia con la richiesta di esatta esecuzione dei giudicati formatisi sulla complessiva vicenda sottoposta all’esame del Collegio

Al riguardo, occorre preliminarmente vagliare l’eccezione sollevata dal Comune resistente relativa all’inammissibilità del ricorso per revocazione poiché il medesimo è stato proposto in pendenza del termine per appellare.

L’eccezione è fondata.

In relazione all’art. 28 della legge n. 1034/71, applicabile ratione temporis alla controversia in esame, sono state date divergenti interpretazioni sull’impugnabilità per revocazione delle sentenze di primo grado ancora assoggettabili ad appello.

Sebbene, infatti, l’art.395 c.p.c., cui la norma rinvia, restringa l’ambito della revocazione ordinaria alle sole sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, si è, tuttavia, talora inferito dal comma 2 dello stesso art. 28 cit. (secondo cui avverso le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali è "altresì" ammesso ricorso al Consiglio di Stato) l’alternatività dei rimedi della revocazione e dell’appello.

Vale precisare che la sentenza di cui si chiede la revocazione, seppur emessa in fase di ottemperanza, ha ad oggetto questioni esecutive e cognitorie, onde non può dubitarsi in ordine all’appellabilità della stessa.

Ritiene il Collegio che dei contrapposti orientamenti vada senz’altro preferito quello più rigoroso, che in ossequio ad una corretta quanto necessaria interpretazione coordinata delle disposizioni che regolavano la materia (art. 28 l. 1034/71; art. 395 c.p.c.), sulla scorta del senso letterale e sistematico delle disposizioni ed in particolare per il rinvio operato al primo comma dell’art. 395 c.p.c., ritiene che la possibilità di esperire il rimedio giurisdizionale della revocazione è configurabile per le sole sentenze pronunciate in appello o in unico grado, cioè quelle non (più) appellabili, rimanendo la revocazione, per le sentenze ancora soggette a gravame, assorbita dall’appello (in tal senso, C.d.S., sez. IV, 31 marzo 2010, n. 1843).

Tale soluzione, può incidentalmente notarsi, è ora definitivamente riconosciuta nell’art. 106 del nuovo codice del processo amministrativo.

Nel caso in esame, pertanto, il ricorso per revocazione, notificato il 21/26 maggio 2010, in un arco di tempo inferiore a trenta giorni dal deposito della sentenza (avvenuto il 29 aprile 2010), è stato, per l’appunto, inammissibilmente proposto in pendenza del termine per l’appello.

In definitiva, per i rilievi svolti, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.

Tutte le altre domande processuali, ivi compresa l’istanza di accesso endoprocedimentale, devono ritenersi inammissibili perché precluse della emanazione della sentenza definitiva di questa Sezione n. 2224 del 2010, la quale evidentemente esaurisce i poteri cognitori e decisori del Giudice di primo grado riguardo i presenti giudizi riuniti.

Le spese di lite devono essere compensate, in considerazione della peculiarità della questione trattata.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, dichiara l’istanza di revocazione inammissibile. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.