Cass. pen., sez. I 21-11-2008 (13-11-2008), n. 43716 Aggravante del metodo mafioso non contestata nel giudizio di cognizione e ritenuta in sede esecutiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza del 17 marzo 2008 la Corte di Assise di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta da D.S.M. avverso il provvedimento che aveva negato l’applicazione in suo favore dei benefici previsti dalla L. n. 241 del 2006 in materia di condono, con riferimento alla condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione inflitta dalla Corte di Assise di Napoli con sentenza resa il 22 ottobre 1999, perchè giudicato colpevole del reato di cui agli artt. 110 e 81 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 12 in materia di armi.
A sostegno della sua decisione il giudice territoriale ha sostenuto la tesi che la causa ostativa alla concessione del beneficio prevista "per i reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 e successive modificazioni" deve essere interpretata nel senso che la causa ostativa ricorrerebbe anche nella ipotesi in cui tale aggravante non sia stata formalmente contestata, purchè risulti essa comunque desumibile dai fatti giudicati.
Partendo da tale principio di diritto, ha poi la Corte territoriale rilevato che il ricorrente è stato condannato per condotte consumate attraverso le modalità di cui all’art. 7 menzionato, di guisa che, nonostante l’assenza di contestazione della medesima in tale giudizio, ricorrerebbero nel caso di specie le condizioni ostative all’applicazione dell’invocato beneficio.
Ricorre avverso l’esposto rigetto il D.S. chiedendone l’annullamento perchè viziato, a suo avviso, da violazione di legge sul rilievo che i principi di diritto affermati dal giudice a qua sarebbero in palese conflitto con le disposizioni normative invocate e con i principi generali in tema di giudicato e poteri del giudice dell’esecuzione.
Depositata motivata requisitoria scritta il P.G. in sede concludendo per l’accoglimento della doglianza.
Il ricorso è fondato.
Al quesito se ai fini dell’applicazione della norma ostativa alla concessione dell’indulto di cui all’art. 1, comma 2, lett. d) in forza del quale "per i reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1001, n. 152, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni", debba aversi riguardo alla concreta contestazione del reato ed al giudizio su di essa espresso dalla sentenza di condanna che l’abbia ritenuta sussistente ovvero se possa farsi riferimento, da parte dei giudice dell’esecuzione, ad una valutazione dei fatti indipendentemente dalla concreta applicazione dell’aggravante in parola da parte del giudice della cognizione, non può darsi risposta diversa da quella che faccia propria la prima delle opzioni sintetizzate (in ipotesi parzialmente analoga e nello stesso senso Cass., Sez. 1, 29.22.07, n. 46994).
Ed invero depongono a sostegno di tale conclusione più considerazioni giuridiche, tutte di consistente peso interpretativo.
V’è in primo luogo l’argomento letterale per il quale "’reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui…" non può che fare riferimento ai reati concretamente accertati e giudicati nella contestata forma aggravata e questo perchè il dato letterale non può essere considerato, così come viceversa operato dalla Corte territoriale, prescindendo dalle regole sistemiche generali in tema di giudicato e di poteri connessi alla giurisdizione di cognizione ed a quella esecutiva di provvedimenti decisori di contenuto cognitorio.
Orbene integra l’esercizio di un potere abnorme giacchè incidente sul vigente modello processuale penale e sulle regole generali che lo delineano, quello del giudice dell’esecuzione che assuma sussistere una circostanza aggravante non ritenuta dal giudice della cognizione, posto che esso giudice dell’esecuzione ha il solo potere di dare corso a ciò che altra istanza giudiziaria ha conosciuto e giudicato, nè può confondersi il potere di interpretazione del giudicato con tale abnorme potestà, che si esaurisce non già in una operazione interpretativa, bensì in un nuovo ed estemporaneo giudizio circa la sussistenza di fatti penalmente rilevanti, esclusi dalla pronuncia di merito e, nel caso in esame, fin’anche dal titolare dell’azione penale, che mai ha accusato il ricorrente di ciò di cui il giudice dell’esecuzione, sostanzialmente, lo accusa, senza che su tale accusa l’interessato abbia mai avuto la necessità (e la possibilità) di difendersi.
Diversamente opinando si mina il principio fondamentale, di natura costituzionale, di corrispondenza tra contestazione, decisione e giudicato, le regole di competenza e giurisdizione tra giudice della cognizione e giudice dell’esecuzione, le regole sulla titolarità dell’azione penale e sulle funzioni della magistratura inquirente e di quella requirente.
Nel caso di specie, come in premessa chiarito, il ricorrente chiede l’applicazione del condono con riferimento ad un reato non escluso dall’applicazione del beneficio ed in relazione al quale non è stata mai contestata l’aggravante in questione nè con la formulazione del capo di imputazione nè nel corso del processo. L’ordinanza impugnata, conclusivamente, va annullata perchè adottata in violazione di legge con rinvio al giudice a qua per nuovo esame della questione rispettoso dei principi di diritto con la presente affermati.
P.Q.M.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Assise di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, sez. III, 17 febbraio 2011, n. 3848 La procura alle liti sottoscritta dal direttore generale della S.p.A. non è valida! E il ricorso inammissibile!

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. La L. M. snc, nonché C. C. e F. quali eredi di A. M. R. (terza datrice di ipoteca), dedotto di essere assoggettati ad esecuzione immobiliare presso il Tribunale di Prato ad istanza della B.N.L. s.a.c.f., hanno proposto opposizione con ricorso dep. il 10.3.98, lamentando tra l’altro – per quel che qui ancora interessa – l’eccedenza dei pagamenti eseguiti rispetto alla giusta entità del credito, che chiedevano di rideterminare.

Il tribunale di Prato, espletate due CC.TT.U. ed all’esito di una rimessione sul ruolo per la produzione di documenti, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere – compensando le spese – per essere stata nel frattempo estinta la procedura esecutiva, ma la Corte di Appello di Firenze riformando sul punto, con sentenza n. 1819/05 pubbl. il 13.12.05, rigetta nel merito l’opposizione ed al contempo condanna l’esecutante a restituire "all’appellante" la somma di Euro 87.239,50, riconosciuta versata in eccedenza, pur condannandolo alle spese di lite.

In particolare, la Corte territoriale, dopo avere rilevato l’inammissibilità della preliminare doglianza dell’eccessività del valore dello staggito, attesa la mancata impugnazione della pure dispiegata istanza ex art. 496 c.p.c.: esclude la cessazione della materia del contendere; esclude integrare una domanda nuova la tesi degli appellanti sull’inapplicabilità degli interessi di mora dopo la risoluzione, essendo la stessa una mera difesa nuova e come tale ammissibile in appello; rileva peraltro la mancanza di prova sulla causale dello scioglimento del contratto e quindi dei presupposti della ‘ contestazione; quanto all’entità dei pagamenti intercorsi e provati con documenti, benchè prodotti dopo il termine ex art. 190 c.p.c., aderisce peraltro alla ricostruzione dei consulenti tecnici; e, qualificata nuova ma non inammissibile la domanda di restituzione di ulteriori pagamenti derivanti da fatti nuovi sopravvenuti, conclude appunto per un’eccedenza di L. 168.819.230, posta a carico della accipiens B.N.L. anche dopo la cessione del credito da parte di questa alla Ares Finance (rappresentata dalla S.G.C. spa) in applicazione dell’art. 111 c.p.c..

2. Avverso tale sentenza propone dapprima ricorso per cassazione – iscritto al n. 7331/06 r.g. – la S.G.C., srl (già spa), quale procuratore speciale della Banca Nazionale del Lavoro, affidandolo a sei motivi; dal canto loro, resistono con unitario controricorso, iscr. al n. … r.g., contestualmente dispiegando ricorso incidentale affidato ad un motivo, F. C. e C. C., quali eredi universali di A. M. R., nonché il L. M. snc nella dichiarata qualità di esecutato nella procedura n. … r.g.e. del Tribunale di Prato; ed a quest’ultimo ricorso incidentale resiste con ulteriore controricorso la S.G.C, nella qualità di procuratore speciale della Banca Nazionale del Lavoro.

Per l’udienza pubblica del 12.1.11 la S.G.C., srl deposita memoria e compare, mentre nessuno compare per i ricorrenti incidentali, nonostante la ritualità dell’avviso in cancelleria seguito al decesso di quello, dei loro procuratori costituiti in questo giudizio, che era anche domiciliatario.

Motivi della decisione

3. La S.G.C., quale procuratrice della B.N.L. spa, notifica il ricorso a L. M. snc in pers. dei ll.rr. p.t., a C. C., a C. F. ed alla S.G.C, quale procuratore speciale di Ares Finance srl e propone sei motivi:

3.1. un primo motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per violazione dell’art. 81 c.p.c. per omessa verifica della regolarità del contraddittorio e difetto di legitimatio ad causava: sostiene che, invero, i debitori esecutati erano il L. M. srl e R. A. M., terza datrice di ipoteca, mentre l’opposizione è stata dispiegata da L. M. snc in pers. Dei ll. rr. G. E. e C. C. e da C. C. e C. F. quali eredi della R.; ne consegue l’insanabile diversità tra opponente e debitore, anche a prescindere dalla carenza di verifica delle qualità spese;

3.2. un secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per violazione dell’art. 100 c.p.c., per difetto di interesse ad agire: adduce che, infatti, l’opponente non era debitore, nè proprietario dei beni pignorati, nè ha mai pagato alcunché all’esecutante BNL;

3.3. un terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per violazione degli artt. 102 e 615 c.p.c: indica che, in effetti, era fin dall’inizio senz’altro litisconsorte necessario la reale debitrice esecutata, nei cui confronti doveva essere integrato il contraddittorio, ma che tanto è ora del tutto impossibile, per l’intervenuta estinzione della procedura esecutiva;

3.4. un quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per violazione degli artt. 183 e 189 c.p.c.: al riguardo, argomenta per l’erroneità della qualificazione di ammissibilità della domanda di restituzione dell’ulteriore somma di L. 400 milioni proposta alla seconda udienza di precisazione delle conclusioni, oltretutto fondata su di un documento proposto tardivamente, perchè relativo a fatto accaduto prima del verificarsi delle preclusioni istruttorie;

3.5. un quinto motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 615 e 629 c.p.c., ritenendo che vada qualificata inammissibile la domanda di restituzione di pretesi indebiti dopo l’estinzione del processo esecutivo;

3.6. un sesto motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per violazione degli artt. 1193 e 2697 c.c., per erroneità dell’imputazione del versamento dell’ulteriore somma di L. 400 milioni, potendo legittimamente procedervi il debitore solo quando egli è convenuto e non quando – come nel caso di specie – sia attore in opposizione e comunque in carenza di prova sui fatti dedotti dal debitore stesso.

4. Con controricorso contenente ricorso incidentale (notificato a S.G.C., quale procuratore speciale di Ares In, Finance srl r a S.G.C. "quale asserita procuratrice speciale di B.N.L. spa" ed alla Banca Nazionale del Lavoro spa, già contumace in appello) C. F. e C. C., quali eredi universali di R. A. M., nonché la L. M. sne quale esecutata nella procedura n. 297/91 r.g.e. Trib. Prato propongono controricorso con ricorso incidentale, con cui:

4.1. eccepiscono il difetto di rappresentanza in capo a SGC srl per invalidità della procura alle liti a questa rilasciata: dovendo rilevarsi la carenza di poteri in capo al conferente e comunque la non operatività della procura a seguito dell’intervenuta cessione del credito ad Ares Finance o della sopravvenuta estinzione di qualunque credito al momento della costituzione di procura e riferendosi la causa alla restituzione di un preteso indebito percepito da BNL; e da tanto derivando l’invalidità della nomina del procuratore e poi di quella, da parte di questi, dell’avvocato;

4.2. sul primo e sul secondo motivo di ricorso adducono l’inammissibilità dei documenti a suo sostegno prodotti, perché mai versati in precedenza e comunque evidenziano non essere mai stata la legitimatio ad causam contestata nei gradi di merito, con conseguente preclusione nel giudizio di legittimità e dinanzi al carattere; pacifico della circostanza che contraddittori fossero gli opponenti;

4.3. sul terzo motivo replicano che comunque gli opponenti sono i R. interessati e che a tutto concedere occorrerebbe rimettere la causa al primo giudice;

4.4. sul quarto motivo sostengono la correttezza della qualificazione di ammissibilità della domanda di restituzione di eccedenze ulteriori e comunque la carenza di contestazione del versamento, in sè considerato, provato col documento che si assume tardivamente versato;

4.5. sul quinto motivo escludono che l’intervenuta estinzione del processo esecutivo precluda la prosecuzione della trattazione della domanda di ripetizione dell’indebito relativamente alle somme versate nel corso di quello;

4.6. sul sesto motivo ribattono che il debitore può sempre imputare il pagamento effettuato, a prescindere dalla formale qualità di convenuto: mentre nel caso di specie nessun altro rapporto esistente era stato provato dall’onerato accipiens;

4.7. si dolgono poi, col dispiegato ricorso.

A incidentale, di un vizio di motivazione della gravata sentenza in ordine alla causale del versamento di L. 136.746.172, a loro dire erroneamente escluso dalla ripetizione: al riguardo, avendolo malamente la Corte di merito riferito a spese della procedura od ammesso in quanto tale dagli appellanti.

5. La S.G.C., nella qualità di procuratrice speciale di BNL si affida ad un controricorso (notificato a F. C. e C. C., quali eredi universali di A. M. R., al L. M. snc in pers. dei ll. rr. Enrico Ceri e C. C. ed alla S.G.C., quale procuratore speciale di Ares Finance srl) per:

5.1. eccepire l’inammissibilità del controricorso, in quanto proposto da chi si in modo non veritiero si dichiara esecutato nel processo esecutivo n. 297/91 r.g.e. Trib. Prato, mentre l’esecutato è L. M. srl;

5.2. eccepire in subordine, per il caso di inammissibilità del ricorso principale per difetto di (valida) procura, la consequenziale tardività di quello incidentale, essendo iniziato il decorso del relativo termine dalla notifica della sentenza di merito alla parte contumace di persona;

5.3. riproporre le doglianze sul difetto di legitimatio ad causam, di interesse ad agire e di integrità del contraddittorio, rilevando ora che la diversità del debitore è ammessa anche dalla controparte; e replicare per l’ammissibilità anche in cassazione della prova della nullità del procedimento dei precedenti gradi di giudizio, comunque e se non altro al fine di contestare l’ammissibilità del ricorso incidentale;

5.4. ribadire la contestazione che la L. M. snc fosse mutuataria ed esecutata, che la R. fosse ancora proprietaria del bene per averlo venduto prima del decesso, che le controparti avessero pagato le somme di cui chiedono la restituzione: e tanto non essendo mai stata la L. M. srl, effettiva mutuataria ed esecutata, parte del giudizio;

5.5. ribattere che la procura della Banca Nazionale del Lavoro ad essa S.G.C., è valida, perché proveniente da vicedirettore generale e quindi titolare di poteri di rappresentanza sostanziale e processuale, perché i poteri sono stati attestati dal Notaio rogante, perché con essa sono conferiti anche poteri sostanziali (quali quelli di procedere a cancellazioni, restrizioni ipotecarie, transazioni), perché la causa ha ad oggetto la ripetizione di somme in relazione a mutui che rientrano nella previsione della procura perché vi è potere di nominare avvocati;

5.6. insistere, con ulteriori argomenti, sugli ultimi tre motivi di ricorso principale;

5.7. contestare l’ammissibilità dell’unico motivo di ricorso incidentale, non configurandosi un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: e, a tutto concedere, perché del versamento che sarebbe stato malamente escluso dalla Corte territoriale mancava sia un valido riconoscimento, sia qualunque altra prova.

6. I due ricorsi, iscritti ai nn. 7331/06 e 12306/06 r.g., siccome proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti in applicazione dell’art. 335 c.p.c..

7. Quanto alla preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso principale per vizi della procura ci S.G.C., i controricorrenti deducono:

7.1. che la procura autenticata nelle firme a rogito per Notar G. di Roma del 18.5.01 risulta conferita da tale dott. L. A. (o, recte, L.), quale Direttore della Direzione Attivi Creditizi e di cui non risulta la titolarità della rappresentanza sostanziale e processuale della B.N.L. spa; a tanto la ricorrente obietta che si tratta di Vicedirettore Generale della Banca Nazionale del Lavoro spa e che comunque la sussistenza dei poteri è stata certificata dal Notaio rogante;

7.2. che l’atto di conferimento di poteri è invalido perché limitato alla sola sfera processuale senza previsione di una rappresentanza sostanziale; a tanto la ricorrente principale ribatte che dal tenore testuale della procura si evince il conferimento contestuale di ingenti poteri sostanziali, relativi alla autorizzazione di cancellazioni o limitazioni di formalità ed a definire modalità e termini di transazioni;

7.3. che la procura non può comprendere il rapporto per cui è causa, relativo alla restituzione di somme od al risarcimento danni, per essersi già estinto il credito prima del conferimento della procura e comunque essendo quello relativo ad un mutuo non rientrante in quest’ultima; a tanto la ricorrente principale ribatte che l’oggetto della causa si riferisce ad un’opposizione iniziata nel 1998 avverso l’esecuzione fondata su di un mutuo fondiario e superiore a L. 100 milioni, non agevolate.

8. L’eccezione appena esaminata, se non altro per l’assorbente profilo di cui sub 7.1., deve ritenersi fondata:

8.1. la S.G.C. srl dispiega il ricorso per cassazione in forza di una procura generale in data 18.5.01, con la quale la Banca Nazionale del Lavoro ad essa conferiva il potere di provvedere, in suo nome e per suo conto, ad una serie di attività di "gestione" delle procedure esecutive e concorsuali relative al coacervo delle posizioni creditorie prima cedute a tale Ares Finance srl (in forza di pregresso contratto in data 21.12.00 di cessione D.Lgs. 1 settembre 93, n. 385, ex art. 58, ed L. 30 aprile 1999, n. 130) e da qualificarsi come ancora in essere a quel tempo, riguardo alle quali la cedente si era impegnata a restare parte delle eventuali procedure tuttora pendenti, ma affidandone la gestione alla cessionaria o a soggetti da questa indicati;

8.2. a tale scopo in detta procura, contenuta in una scrittura privata autenticata, la mandante conferisce alla S.G.C, spa (poi trasformatasi in S.G.C., srl) il potere di: compiere tutte le attività, gli atti e le formalità inerenti e connesse ai procedimenti esecutivi e/o concorsuali come pure i giudizi di opposizione e gli altri giudizi di cognizione collegati con le linee di credito oggetto della cessione; di promuovere azioni conservative e di rinunciare agli atti delle procedure e dei procedimenti; di consentire agli atti consequenziali quali le cancellazioni o le restrizioni di formalità; di "raggiungere atti di transazione e/o conciliativi", di "definire modalità e tempi di eventuali accordi transattivi", "differimento nei pagamenti, proroghe o ristrutturazioni delle linee di credito"; di rilasciare quietanzai; di conferire gli incarichi agli avvocati cui affidare la rappresentanza e la difesa della B.N.L. in giudizio;

8.3. tale procura viene conferita dal dott. A. L., che spende nell’atto da lui formato la qualità di Direttore della Direzione Attivi Creditizi e solo la cui sottoscrizione è autenticata per Notar F. G., n. 37814 rep. e n. 2896 racc. con attestazione, da parte di quest’ultimo in sede di autentica (ove il mandante è però identificato come "Vice Direttore Generale della B.N.L.") della conoscenza dei poteri del sottoscrittore;

8.4. non è però provata la sussistenza dei poteri, in capo al mandante, di conferire la procura generale che qui viene in esame quale presupposto poi del conferimento ad litem a colui che ha proposto il ricorso per cassazione oggi esaminato; ed infatti:

8.4.1. non può bastare, al riguardo, la semplice qualifica di Vice Direttore Generale, oltretutto nemmeno spesa nell’atto di conferimento di procura (nel corpo del quale il L. si qualifica Direttore della Direzione Attivi Creditizi), in difetto di qualunque documentazione sull’assetto organizzativo interno del conferente e dell’ambito e della consistenza delle facoltà attribuite al sottoscrittore;

8.4.2. al riguardo neppure puo’ rilevare la menzione del Notaio in sede di autentica della conoscenza dei poteri del sottoscrittore e cioè, della dichiarata qualifica di Direttore della Direzione Attivi Creditizi o dell’altra, pure attestata, di Vice Direttore Generale: visto che un conto è conoscere i poteri in astratto spettanti ed altro conto è accertare l’ulteriore circostanza, che esprime un apprezzamento o una vera e propria sussunzione, della corrispondenza di quelli spettanti a quelli necessari per conferire il potere rappresentativo oggetto dell’atto;

8.4.3. pur potendolo, in quanto si sarebbe trattato di documenti a sostegno dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, la ricorrente principale neppure versare i necessari documenti: così omette di reagire adeguatamente a tale significativa contestazione della sua legittimazione a ricorrere, deliberando di limitarsi ad insistere sugli argomenti – infondati – appena richiamati;

8.5. del resto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di società per azioni – secondo la disciplina del capo 5^ del titolo 5^ del libro 5^ c.c. prima della riforma del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e successive modifiche, il potere del direttore generale di rappresentare verso l’esterno la società (inclusa la possibilità di rilasciare valida procura ad litem) può ritenersi sussistente soltanto se vi sia stata, in tal senso, una specifica attribuzione, statutaria o dell’organo amministrativo, o anche se tale potere inerisca, intrinsecamente, alla natura stessa dei compiti affidatigli; e puo’ altresi’ presumersi quando il direttore generale alleghi, oltre a tale qualità, quella di legale rappresentante della società, spettando in tale ipotesi alla parte che ne contesti la sussistenza fornire la prova contraria; ma in tutti gli altri casi tale potere rappresentativo deve ritenersi insussistente, esplicando il direttore generale attività meramente interna od esecutiva (Cass. 27 aprile 2007 n. 10096);

8.6. nel caso in esame, colui che conferisce il mandato alla S.G.C, non solo non si qualifica legale rappresentante della B.N.L., ma spende la mera qualifica di Direttore della Direzione Attivi Creditizi, riguardo alla quale nessun elemento validamente addotto può fondare la conoscenza della pertinenza dei relativi poteri rappresentativi della s.p.a.: ai fini che qui rilevano, pertanto, deve concludersi che è la prodotta procura di B.N.L. è inidonea a fondare poteri rappresentativi in capo alla S.G.C, spa o srl;

8.7. tale carenza priva pertanto di riferibilità alla B.N.L. spa, parte in senso sostanziale, gli atti i compiuti in suo nome e per suo conto dall’apparente procuratrice speciale S.G.C., prima fra tutti la procura ad litem per la proposizione del ricorso per cassazione: dal che deriva la declaratoria di inammissibilità del medesimo.

9. Tanto comporta, peraltro, l’inammissibilità del ricorso incidentale, siccome proposto con atto notificato soltanto il 14.4.06, quando cioè era elasso il termine di sessanta giorni di cui all’art. 325 cpv. c.p.c., dovendo questo decorrere dalla data di notificazione, proprio da parte dei tre odierni ricorrenti incidentali (nei confronti della B.N.L. spa, restata contumace in secondo grado), della sentenza gravata, avutasi, con la spedizione del relativo atto, in data 3.1.06: pertanto, in applicazione dell’art. 334 c.p.c., qualora il ricorso principale in cassazione sia dichiarato inammissibile, il ricorso incidentale perde efficacia ove sia stato tardivamente proposto (giurisprudenza assolutamente consolidata; tra le molte, v.: Cass., ord. 22 marzo 2007 n. 6937; Cass. 4 maggio 2004 n. 8446);

10. La reciproca soccombenza su questioni preliminari di ammissibilità integra, ad avviso di questa Corte, un giusto motivo di compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-02-2011, n. 3329 Imposta locale sui redditi – ILOR

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Venezia la società A.T.E.C, snc. di Nadal e Scolaro impugnava l’avviso di accertamento per il recupero a tassazione della deduzione operata per l’ilor ed accessori per l’anno d’imposta 1995, relativamente all’attività di lavoro autonomo svolto dai tre soci come amministratori, assumendo di non essere tenuta al pagamento della maggiorazione d’imposta; chiedeva perciò l’annullamento di quell’atto, difettando i presupposti della pretesa tributaria.

Instauratosi il contraddittorio, l’agenzia delle entrate eccepiva l’infondatezza dell’opposizione, posto che si trattava di attività non prevalente dei soci, non in quanto tali ma amministratori, e quindi di pretesi costi e non degli utili distribuiti su cui operare la deduzione; perciò chiedeva il rigetto del ricorso.

Il giudice adito rigettava il ricorso introduttivo.

Avverso tale decisione la società Atec proponeva appello, cui l’agenzia delle entrate resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Veneto, la quale rigettava il gravame, osservando che la deduzione riguardava somme erogate per l’attività di amministratori dei soci, e non piuttosto svolta in tale qualità e per di più in misura prevalente, senza che la contribuente peraltro avesse provato il suo assunto.

Contro questa decisione la società Atec ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’economia e delle finanze, che tuttavia non era stato parte nel giudizio di appello, nè è stato evocato in giudizio, e l’agenzia delle entrate hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione de D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, oltre che omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto il giudice dell’impugnazione non considerava che l’accertamento parziale non poteva essere compiuto soltanto in virtù della segnalazione del Settore strategie di controllo, senza che l’ufficio avesse avuto altri elementi di supporto per il suo assunto, come peraltro addotto con l’appello.

Il motivo, oltre ad essere piuttosto generico, perchè non vi si specificano compiutamente le doglianze che sarebbero state prospettate, comunque è infondato. Infatti ai fini dell’accertamento parziale di tributi diretti, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis tra gli elementi indiziari che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare l’imponibile, rientrano non solo le dichiarazioni rilasciate da terzi alla polizia tributaria, ma anche le notizie che comunque pervengono all’ufficio in particolare dall’anagrafe tributaria, a prescindere dal fatto che tale maggior reddito non risulti dalle scritture contabili, facendo le stesse prova contro l’imprenditore, ma non a suo favore (art. 2709 cod. civ., con l’eccezione stabilita dal successivo art. 2710), ed essendo, quindi, contestabili con qualunque mezzo di prova, non necessariamente documentale (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3573 del 16/02/2010 16845, n. del 2008).

2) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 120, comma 1, giacchè il giudice di appello non considerava che l’attività prevalente dei soci veniva svolta nei lavori inerenti all’impresa edile da loro gestita in forma societaria, senza che quella di amministratori comportasse un maggiore impiego di tempo e di energia, ancorchè figurava come retribuita in misura leggermente maggiore.

La censura non ha pregio. Il legislatore ha voluto privilegiare il lavoro effettivamente svolto dai soci in una società di persone ai fini del beneficio fiscale invocato mediante la deduzione della relativa spesa, e ciò a maggior ragione allorquando si tratti di compagine sociale avente le caratteristiche di impresa artigiana, come la contribuente assume. Nel caso in specie invece, peraltro come osservato dalla CTR, i soci avevano indicato un reddito autonomo come amministratori nella dichiarazione dei redditi, e questo era addirittura superiore rispetto a quello preteso come reddito da partecipazione per l’attività di soci svolta, il che ovviamente non poteva costituire valido presupposto per la deduzione invocata. Del resto in tema di ILOR e con riguardo alle società di persone, la spettanza della deduzione dal reddito d’impresa prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 120 è condizionata alla circostanza che il socio presti la sua opera, nell’impresa e che tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente. Possono, pertanto, essere dedotte le quote di reddito derivanti dalla partecipazione agli utili del socio, in quanto al medesimo imputate ai fini IRPEF come reddito proprio del contribuente e non della società, in quanto la deduzione persegue l’intento di eliminare dall’imponibile la parto che si può considerare formata dal lavoro del soggetto. Tuttavia, l’onere di provare, in presenza di contestazione, che i soci prestano la loro opera nella società e che tale opera costituisce la loro "occupazione prevalente" era – come in genere l’onere di dimostrare le componenti negative del reddito, tanto riguardo alla loro esistenza che all’inerenza – a carico della contribuente società Atec, atteso che dette circostanze, in quanto legittimanti la deduzione, rappresentano gli elementi costitutivi del diritto della società stessa alla deduzione, onere però che l’interessata non aveva assolto (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3173 del 11/02/2010, n. 5786 del 2008, n. 25626 del 2006). Inoltre va rilevato che la deduzione non trova applicazione nel caso in cui l’attività svolta in qualità di amministratore risulti prevalente rispetto a quella svolta in qualità di socio. Tale prevalenza deve essere intesa in senso sia qualitativo che quantitativo, e quindi rapportata all’impegno di tempo e di energie fisiche e mentali che l’attività richiede in concreto per essere espletata, rispetto ai quali il corrispettivo economico rappresenta soltanto uno degli elementi di valutazione. Pertanto, pur potendosi presumere, secondo l’"id quod plerumque accidit", che ad una maggiore remunerazione corrisponda un maggior impegno lavorativo, deve ritenersi sempre ammessa da parte del contribuente la prova contraria che alla prevalenza del corrispettivo riconosciutogli per l’attività di amministratore non corrisponde una sostanziale prevalenza d’impegno, in quanto ai fini della spettanza della deduzione assume rilievo decisivo l’effettiva prevalenza dell’attività di socio e non già la valutazione economica che ad esso viene attribuita (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 5786 del 04/03/2008).

Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

3) Col terzo motivo la ricorrente lamenta insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto deciso della controversia, poichè il giudice "a quo" non delibava la questione relativa alla prova fornita della prevalenza del lavoro dei soci in tale qualità nell’impresa e non come amministratori, giusta la documentazione in atti.

La doglianza è generica, e quindi inammissibile, posto che la ricorrente non ha specificato in quale parte dell’appello avrebbe indicato la relativa censura col riportarla; quali sarebbero i documenti di prova asseritamente non vagliati, sicchè sotto questo profilo il ricorso su tale punto non e autosufficiente.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in Euro 1500,00 per onorario, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-11-2010) 08-02-2011, n. 4591 Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con decreto del 20 maggio 2009, il PM presso il Tribunale di Cassino convalidava il sequestro effettuato dai Carabinieri di Ausonia, nel corso di una perquisizione domiciliare presso l’abitazione di S.A.M.L. e M.L., di una pistola a salve marca Klimax Mad 85. La perquisizione era stata effettuata, ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41, a seguito dell’esplosione di colpi di arma da fuoco proveniente dall’abitazione anzidetta nel corso di un litigio per ragioni di carattere familiare. L’arma, pacificamente a salve e di libera vendita, era stata rinvenuta in un cassetto del comò della stanza da letto, ove era custodita assieme a trenta colpi, pur essi a salve e pur essi sequestrati. Il PM procedente ipotizzava a carico delle imputate i reati di ingiuria e minacce e riteneva che, rispetto a tali reati, gli oggetti in sequestro fossero in rapporto di pertinenza e, come tali, fosse indispensabile la loro apprensione al fine di pervenire ad un corretto e concreto accertamento dei fatti.

Pronunciando sul gravame proposto con distinti atti dalle indagate avverso il decreto anzidetto, il Tribunale di Frosinone, in funzione di giudice del riesame, con l’ordinanza indicata in epigrafe, rigettava i ricorsi e confermava l’impugnato provvedimento.

Avverso la decisione anzidetta, la S. e la M. hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.

2. – Il ricorso della S. deduce violazione degli artt. 125, 253, 262 e 354 c.p.p. e del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41;

eccepisce nullità del verbale di perquisizione e sequestro nonchè il difetto di motivazione sul punto. Sostiene che, nel caso di specie, non esistevano gli estremi per l’applicazione del menzionato art. 41, posto che la pistola rivenuta non era da considerare arma, tant’è che sin dall’atto di sequestro i verbalizzanti avevano dato atto che si trattava di arma a salve, di libera vendita e di legittimo possesso, il ricorso della M. deduce inesistenza di verbale di perquisizione e sequestro nei propri confronti, abnormità del decreto di convalida e del provvedimento del riesame. Rileva che la perquisizione era avvenuta presso l’abitazione della S. e solo nei confronti della stessa, la quale aveva spontaneamente consegnato la pistola. Di talchè, essa ricorrente era del tutto estranea ai fatti.

Il secondo motivo deduce violazione degli artt. 125, 253, 262 e 354 c.p.p. e del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41; eccepisce nullità del verbale di perquisizione e di sequestro; nonchè il difetto di motivazione sul punto. Prospetta, in proposito, censure identiche a quelle dedotte dalla S. in ordine all’insussistenza delle condizioni di legge prescritte dall’art. 41 ai fini della perquisizione e sequestro, posto che la pistola sequestrata non aveva le caratteristiche previste dalla stessa norma.

3. – Il ricorso della M. è vistosamente inammissibile. Ed infatti, per sua stessa asserzione, la stessa ricorrente sarebbe estranea al possesso dell’arma in sequestro, donde la mancanza di interesse e, dunque, di legittimazione al ricorso. Non diversa è la sorte del ricorso della S.. Inutilmente, parte ricorrente pone in dubbio la sussistenza dei presupposti giustificativi della perquisizione domiciliare ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41, che avrebbe potuto essere legittimata dalla presenza in casa di armi, ove quella sottoposta a sequestro era null’altro che un giocattolo. Ed invero, i presupposti applicativi della norma di pubblica sicurezza richiamata sono l’esistenza di elementi, anche di mero sospetto, che inducano di agenti di p.g. a ritenere che in un determinato locale pubblico o privato siano custoditi armi e munizioni. Nel caso di specie, tali elementi esistevano certamente dopo l’esplosione di colpi di arma da fuoco avvenuta all’interno dell’abitazione della S., essendo ovviamente irrilevante che, in esito ad accesso in quella casa, la pistola rinvenuta fosse a salve ed oggetto di libera vendita. Senza dire, poi, che l’eventuale illegittimità della perquisizione non potrebbe comunque riverberarsi sulla ritualità del sequestro della pistola, ancorchè priva delle caratteristiche di arma comune da sparo. Ed invero, la disposta misura cautelare è stata giustificata in rapporto non già alla natura ed alle caratteristiche dell’oggetto, ma al reato di minaccia aggravata da uso di armi, per la cui configurabilità, come correttamente rilevato dal giudice a quo, è sufficiente anche l’uso di arma apparente ovvero giocattolo (cfr. Cass. sez. 5, 11.3.2003, n. 16647, rv 224796), di talchè in rapporto a tale fattispecie delittuosa sussisteva chiaramente il nesso di pertinenzialità del disposto sequestro, a parte la rilevata necessità di verificare le reali caratteristiche dell’arma.

4. – Per quanto precede, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 300,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.