Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2011, n. 16396 Somministrazione di energia elettrica

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29 ottobre 2008 il Giudice di Pace di Badolato condannava Enel Distribuzione S.p.A. a risarcire a D. R. il danno da inadempimento del contratto di somministrazione di energia elettrica, quantificato in Euro 1,00. L’inadempienza veniva ravvisata nel mancato rispetto del provvedimento dell’Autorità Garante per l’Energia Elettrica e il Gas che aveva previsto l’obbligo per il fornitore di predisporre una modalità gratuita di pagamento dell’energia, in tal senso integrando – ex art. 1339 c.c. -il contratto di somministrazione.

Con sentenza in data 1 giugno 2009 il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento dell’appello di Enel Distribuzione, respingeva la domanda e condannava il R. al pagamento delle spese di entrambi i gradi. Il Tribunale osservava per quanto interessa: l’art. 1196 c.c. stabilisce che le spese del pagamento sono a carico del debitore; la norma è derogabile contrattualmente o per, effetto di clausole che vengano inserite automaticamente nel contratto ai sensi dell’art. 1339 c.c.; il potere integrativo dell’Autorità Garante riguarda in gran parte il rispetto degli standard qualitativi nell’erogazione del servizio pubblico e l’effetto integrativo del contratto individuale di utenza si limita all’ambito oggettivo della prestazione del servizio da parte del concessionario, ma non si estende – fatta eccezione per la determinazione delle tariffe – alla prestazione di pagamento da parte dell’utente.

Avverso la suddetta sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Enel Servizio Elettrico S.p.A., procuratore speciale di Enel Distribuzione S.p.A., ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1 – Il ricorso è stato sottoscritto da due avvocati, muniti di procura speciale congiunta e disgiunta, di cui uno solo (l’avv. Luigi Maria Maluzzo, ma non l’avv. Francesco Surace) risulta cassazionista;

in tale situazione, la sottoscrizione da parte dell’avvocato cassazionista è sufficiente ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo in esame, del ricorso (confronta Cass. Sez. 3^, 11/06/2008, n. 15478).

2 – Il primo motivo adduce nullità della sentenza e del procedimento; violazione degli artt. 352 e 281 sexies c.p.c. in quanto il Tribunale, quale giudice d’appello, ha deciso la causa ex art. 281 sexies c.p.c., mentre tale procedimento e forma della decisione non è ammissibile per il procedimento di appello;

violazione art. 24 Cost..

La censura, che non indica a quale delle diverse ipotesi disciplinate dall’art. 360 c.p.c. ci si intenda riferire, è manifestamente infondata.

Anche di recente è stato ribadito il principio (già affermato da Cass. 13/06/2009, n. 6205), secondo cui la norma dell’art. 281-sexies c.p.c. – che consente al giudice, al termine della discussione, di redigere immediatamente il dispositivo e la concisa motivazione della sentenza – in assenza di un’espressa previsione che ne limiti l’applicabilità al solo giudizio di primo grado, è norma applicabile anche nel giudizio di appello (Cass. 27/01/2011, n. 2024).

Nella specie parte ricorrente non si era avvalsa della facoltà concessa alle parti nel giudizio di appello dall’art. 352 c.p.c., comma 2 e, in questa sede, non ha spiegato il pregiudizio al proprio diritto di difesa che la scelta processuale del Tribunale le avrebbe arrecato Al riguardo va ribadito il seguente principio: l’art. 360 c.p.c., n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato "error in procedendo". Qualora, pertanto, la parte ricorrente non indichi, come avvenuto nella specie, lo specifico e concreto pregiudizio subito, l’addotto error in procedendo non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata (Cass. Sez. 3^, 20/11/2009, n. 24532).

3 – Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto: in particolare artt. 1196 e 1339 c.c. con riferimento al provvedimento dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas n. 200 del 1999. hi ricorso è applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata antecedentemente al 4 luglio 2009) l’art. 366-bis c.p.c., a norma del quale i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

E’ orientamento costante della Corte (confronta la recente Cass. 25/03/2009, n. 7197) che il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritte esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Parte ricorrente chiede "se il provvedimento dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas n. 200 del 1999 art. 6, comma 4, nella parte in cui prevede che (Tempi e modalità di pagamento della bolletta) "L’esercente deve offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta" integri ex art. 1139 c.c. i contratti individuali tra società Enel Distribuzione S.p.A. e singoli utenti, di tal che questi ultimi, in caso di inottemperanza da parte della predetta società, possano adire l’autorità giudiziaria per ottenere il risarcimento del danno". Il quesito risulta privo di riferimenti all’art. 1196 c.c., pure indicato nella rubrica della censura, il quale, peraltro, stabilisce che le spese del pagamento sono a carico del debitore e, quindi, pone una regola opposta a quella postulata.

"Inoltre il riferimento all’art. 1139 implica un’attività interpretativa del contenuto e dei limiti dell’indicato provvedimento dell’Autorità.

Infine, il quesito pecca di astrattezza, in quanto prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata, la quale aveva spiegato le ragioni che avevano indotto il Tribunale a negare che detto provvedimento potesse integrare i contratti individuali.

4 – Il terzo motivo lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

avvenuta corresponsione di somme per il pagamento delle bollette ad Enel.

La censura riguarda l’affermazione del Tribunale circa la mancanza di prova del danno subito dalla parte ricorrente.

Essa è inammissibile, sia perchè tratta una questione che implica apprezzamenti di fatto, sia perchè viola l’art. 366-bis c.p.c..

Quando ci si duole per un vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007; Cass. Sez. 3^, 07/04/2008, n. 8897).

Nella specie manca il momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza sia, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria.

5 – Il quarto motivo ipotizza violazione o falsa applicazione di norme di diritto: in particolare artt. 1175 e 137 5 c.c..

La doglianza attiene all’obbligo di informazione all’utenza circa le modalità gratuite di pagamento.

Il quesito finale (se per effetto degli artt. 1175 e 1375 c.c. la società Enel Distribuzione S.p.A. sia obbligata a informare gli utenti delle modalità gratuite di pagamento del corrispettivo della somministrazione di energia) non si presta all’enunciazione di un principio di diritto suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

6 – Pertanto il ricorso va rigettato. Le spese seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 600,00 di cui Euro 400,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-09-2011, n. 18539 Pensione di inabilità

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 4.9.2007, accoglieva l’appello proposto da D.C.G. e, in riforma della sentenza appellata, condannava l’INPS alla erogazione, in favore dell’ assistito, della pensione di inabilità a decorrere dal 1.3.1986, con le maggiorazioni di legge, dalla scadenza di ogni rateo al saldo. Rilevava la Corte territoriale che erroneo doveva ritenersi l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il quadro patologico del D.C. avrebbe legittimato l’attribuzione delle prestazioni previste dalla normativa in vigore per i ciechi civili, totali o parziali, in quanto il complesso morboso evidenziava la sussistenza di diverse infermità incidenti non solo sulla sfera oculare, che anche da sole potevano essere in grado di giustificare l’erogazione della prestazione richiesta. Osservava che non esiste una norma che preclude all’interessato di adire la giustizia per altra prestazione in presenza dei relativi presupposti e che, peraltro, nulla era detto circa l’eventuale cumulabilità delle prestazioni, nella ricorrenza dei presupposti per entrambe. Quanto al requisito reddituale, rilevava che "in tale giudizio" era stata prodotta documentazione a conforto della sua sussistenza, non contestata dall’INPS. Propone ricorso per cassazione l’INPS, affidato ad unico motivo, con il quale deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 414, 416, 420 e 437 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e della L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13 tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume che i documenti attinenti al requisito reddituale devono essere, a pena di decadenza, indicati e prodotti con il ricorso introduttivo e che, nella specie, gli stessi erano stati prodotti solo in appello. Formula, all’esito della parte argomentativa, specifico quesito di diritto.

Si è costituito il M.E.F. con controricorso, asserendo il proprio difetto di legittimazione passiva ed aderendo alle ragioni dell’INPS. Il D.C. è rimasto intimato.

Il Collegio ha autorizzato la relazione della motivazione in forma semplificata.

L’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro produzione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo) (Cass sez, un. 20 aprile 2005 n. 8202 e, in senso conforme, tra le altre, Cass. 15 645 e 15646 del 2007).

Atteso che tali ipotesi eccezionali non si sono verificate nel caso di specie, in cui il giudice del gravame ha rilevato unicamente che il requisito reddituale era da ritenersi sussistente alla luce della documentazione allegata nello stesso grado del giudizio, senza indicare circostanze giustificative della tardiva produzione ed acquisizione agli atti della stessa, e senza rilevare la preesistenza di un principio di prova del relativo requisito, già tempestivamente introdotto nel processo ed idoneo a costituire una pista probatoria suscettibile di successiva mera integrazione, il ricorso deve essere accolto.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, non necessitando la causa di ulteriori accertamenti di fatto, è consentito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, di decidere la stessa nel senso del rigetto della domanda del D.C..

Non vi è luogo a condanna del soccombente al pagamento delle spese dell’intero processo, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del D.C..

Nulla per le spese dell’intero processo.

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T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 27-05-2011, n. 811

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– il ricorrente è un cittadino extracomunitario che si è visto rigettare l’istanza di emersione ex l. 102/09 in quanto gravato da condanna ostativa alla regolarizzazione per il reato di cui all’art. 14, co. 5ter, d.lgs. 286/98,

– il titolo di reato in questione è da ritenersi implicitamente abrogato a decorrere dal 24. 12. 2010 per incompatibilità con il diritto comunitario, secondo l’interpretazione che ha ritenuto di dare la pronuncia della Corte di Giustizia 28. 4. 2011 – C61/11,

– quando un reato è abrogato ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali ex art. 2, co. 2, secondo periodo, c.p.,

– la ostatività alla emersione ex l. 102/09 è un effetto penale della condanna, che quindi è venuto meno a decorrere dal 24. 12. 2010,

– il Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 10. 5. 2011, nn. 7 e 8 ha ritenuto inoltre di estendere la pronuncia della Corte di Giustizia anche al caso avente ad oggetto provvedimenti emessi prima del 24. 12. 2010,

– ne consegue che il ricorso deve essere accolto,

– spese compensate, stante l’estrema novità ed imprevedibilità per l’amministrazione dei principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia e dall’Adunanza plenaria;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

COMPENSA tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-10-2011, n. 21424 Ripetizione di somme non dovute

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Svolgimento del processo

S.G. ha chiesto che venisse accertata l’irripetibilità della somma pretesa in restituzione dall’Inps per un indebito pensionistico verificatosi in epoca successiva al 31.12.1995, sul rilievo che lo stesso non fosse ormai più recuperabile in base alla disciplina stabilita dalla L. n. 412 del 1991, art. 13. Il Tribunale ha rigettato la domanda con sentenza che è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma, che ha ritenuto che, trattandosi di indebito formatosi nel periodo 1.1.1996- 31.12.2000, dovesse trovare applicazione la disciplina di cui alla L. n. 448 del 2001, con conseguente inapplicabilità di quella posta dalla L. n. 412 del 1991, art. 13. Con la stessa sentenza la Corte territoriale ha ritenuto manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale della nuova normativa, richiamando i principi espressi dalla Corte cost. con la sentenza n. 1 del 9 gennaio 2006, sentenza nella quale era stato affermato che "la sostituzione del regime di tutela dell’affidamento del pensionato con un altro criterio, diverso ma parimenti orientato, seppure sotto certi aspetti meno favorevole, trova, con riferimento alla normativa censurata, sufficiente giustificatezza nel carattere straordinario ed eccezionale dell’intervento legislativo, diretto a porre ordine nella materia dell’indebito previdenziale".

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione S.G. affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Inps.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, art. 38, commi 7 e 8, anche con riferimento alla L. n. 88 del 1989, art. 52 come modificato dalla L. n. 412 del 1991, art. 13 chiedendo a questa Corte di stabilire "se la L. n. 448 del 2001, art. 38, comma 8, debba interpretarsi, anche in conformità al principio di conservazione della norma, come norma di favore applicabile soltanto a quei pensionati Inps con reddito Irpef 2000 superiore a Euro 8.263,31, che, alla data del 1 gennaio 2002, sarebbero stati tenuti a restituire all’ente previdenziale l’intero importo da essi indebitamente percepito, ma non anche nei confronti dei pensionati che, in forza della L. n. 88 del 1989, art. 52, L. n. 412 del 1991, e art. 13 erano esclusi – fin dal momento della percezione dell’indebito – da qualsiasi obbligazione restitutoria". 2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, art. 38, commi 7 e 8, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., chiedendo a questa Corte di sollevare questione di costituzionalità della norma della L. n. 448 del 2001, art. 38, comma 8, nella parte in cui impone ai pensionati Inps l’obbligo di restituire tre quarti di quanto indebitamente percepito, per contrasto con il principio di affidamento, con il principio di parità tra pensionati di enti diversi, con il principio di razionalità, e con le garanzie dell’art. 38 Cost., comma 2. 3.- Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. Il quesito di diritto formulato da parte ricorrente a chiusura del primo motivo deve trovare risposta nei principi affermati dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 4809 del 2005 – e successivamente ribaditi dalla costante giurisprudenza della S.C.: cfr. ex plurimis Cass. n. 3385/2006, Cass. n. 12236/2006, Cass. n. 21824/2006 – secondo cui le prestazioni previdenziali indebitamente erogate dagli enti di previdenza obbligatoria prima del 10 gennaio 2001 sono ripetibili secondo i criteri posti dalla L. n. 448 del 2001, art. 38 (requisito reddituale e mancanza di dolo); tali criteri sostituiscono per intero la precedente disciplina, con la conseguenza che la ripetizione non è subordinata alla sussistenza dei relativi presupposti secondo la normativa anteriore. Più precisamente, "non vi è dubbio che si applichi esclusivamente la nuova disposizione della L. n. 448 agli indebiti formatisi nel periodo dal primo gennaio 1996 (per i quali sicuramente non opera il disposto della Legge del 1996) fino al 31 dicembre 2000, di talchè per verificare la ripetibilità o no dell’indebito, occorrerà fare esclusivo riferimento all’ammontare dei redditi dell’anno 2000"; ed è "altrettanto sicuro che la nuova disposizione della L. n. 448 rende inapplicabile agli indebiti previdenziali anteriori al 1 gennaio 2001 la disciplina a regime posta dalla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 13 giacchè anche la regolamentazione del 2001 – al pari di quella del 1996 – ha efficacia transitoria, non applicandosi in via generalizzata a tutti gli indebiti, ma solo a quelli formatisi entro un certo periodo".

Infatti, la medesima disciplina, al pari di quella del 1996, "è completamente sostitutiva – sia pure in via temporanea – di quelle precedenti, che erano basate su parametri assolutamente diversi dal possesso in capo all’accipiens di un determinato limite reddituale" (cfr. Cass. sez. unite cit.).

Nè può fondatamente prospettarsi un dubbio di costituzionalità della citata normativa ove interpretata nel senso che la stessa si sostituisce del tutto e esaustivamente alle precedenti norme disciplinanti gli indebiti previdenziali. In particolare, Cass. 29 settembre 2004, n. 19587 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 260 e 261, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., con riguardo alla previsione di limitata ripetibilità delle somme indebitamente corrisposte dall’ente previdenziale. Ha affermato, in particolare, la suddetta decisione che le citate disposizioni introducono una disciplina complessivamente favorevole ai pensionati tutelando la posizione dei cittadini più deboli perchè percettori dei redditi più bassi e attenuando il debito di restituzione nei confronti dei percettori di un reddito superiore, attraverso l’abbattimento del 25% e mediante la gradualità del recupero, e salvaguardando l’esigenza collettiva rivolta all’eliminazione in tempi solleciti di controversie tra pensionati ed enti previdenziali, risultando perciò garantita la ratio sottostante alle norme sull’indebito previdenziale, e cioè la salvaguardia delle esigenze vitali dell’assicurato e della sua famiglia attraverso la soluti retentio. Sostanzialmente nello stesso senso si è pronunciata altresì Cass. 26 luglio 2001 n. 10270. Come è stato più volte rimarcato da questa Corte, gli stessi principi si applicano anche alla L. n. 448 del 2001, art. 38, atteso che essa prevede – salvo poche differenze – una disciplina della ripetibilità sostanzialmente analoga (cfr. ex plurimis Cass. n. 21824/2006, Cass. n. 17975/2006, Cass. n. 17972/2006). Va ricordato, infine, che la Corte Costituzionale, intervenendo sulle questioni di legittimità costituzionale della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 e 261, e della L. n. 448 del 2001, art. 38, commi 7 e 8, sollevate anche in quella sede in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., ha già affermato (cfr. sentenza n. 1 del 2006) che "l’affidamento dei cittadini nella stabilità della normativa vigente è tutelato come inderogabile precetto di rango costituzionale solo in materia penale (art. 25 Cost., comma 2). Per il resto norme retroattive sono ammissibili purchè comportino una regolamentazione non manifestamente irragionevole … onde la retroattività può risultare giustificata proprio dalla sistematicità dell’intervento innovatore e dall’esigenza di uniformare il trattamento delle situazioni giuridiche pendenti e quello delle situazioni che si determineranno in futuro". Ed in questo senso è significativo, secondo la citata sentenza, che la normativa censurata garantisca, attraverso il criterio reddituale, l’irripetibilità dell’indebito ai pensionati economicamente più deboli e comunque, ne escluda la ripetibilità totale; dovendo, peraltro, rimarcarsi che la necessità costituzionale di proteggere l’affidamento del pensionato non implica di per sè una disciplina unica dell’indebito previdenziale; onde al legislatore che si sia allontanato dal principio civilistico della totale ripetibilità dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) deve riconoscersi un ambito di discrezionalità nell’individuazione degli strumenti più idonei a garantire ai pensionati a basso reddito un congruo livello di tutela, in un generale quadro di compatibilità, e "fra essi può ben essere annoverata la scelta di collegare la ripetibilità ad un criterio meramente reddituale". Inoltre, "la sostituzione del regime di tutela dell’affidamento del pensionato con un altro criterio, diverso ma parimenti orientato, seppur sotto certi aspetti meno favorevole, trova, con riferimento alla normativa censurata, sufficiente giustificatezza nel carattere straordinario ed eccezionale dell’intervento legislativo, diretto a porre ordine nella materia dell’indebito previdenziale". 4.- La soluzione adottata dalla Corte territoriale deve essere pertanto confermata in quanto pienamente conforme ai principi sopra enunciati. In base alle argomentazioni espresse, deve escludersi che abbiano fondamento i dubbi di costituzionalità prospettati da parte ricorrente, ed in particolare quelli secondo cui la disciplina in esame presenterebbe aspetti di irrazionalità, avendo introdotto una obbligazione restitutoria che non esisteva al momento in cui era sorto l’indebito, e così una ingiustificata disparità di trattamento tra pensionati di enti diversi.

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

5.- Non deve provvedersi sulla spese del presente giudizio di cassazione, trattandosi di fattispecie alla quale è applicabile l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alla modifica introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

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