Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-11-2012) 29-01-2013, n. 4345

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. S.C., S.C., S.A., S. I. sono state ritenute responsabili – dal tribunale di Gela – dei reati loro ascritti di cui agli artt. 582, 635 e 660 c.p. e per l’effetto condannate alla pena di mesi quattro di reclusione. La Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza di primo grado.

2. Le imputate hanno proposto ricorso per cassazione per estinzione dei reati per remissione della querela, eccependo in subordine la prescrizione dei reati ed in ulteriore subordine la nullità della sentenza di secondo grado per omessa motivazione, la mancata acquisizione di prove decisive e la mancata specificazione della misura di pena in relazione ad ogni singolo reato.
Motivi della decisione

1. In allegato al ricorso vi è remissione – a mezzo del procuratore speciale avvocato N.F. – delle querele sporte dalle persone offese, con accettazione da parte del procuratore speciale degli imputati, avvocato S. O. M..

2. La remissione della querela comporta la declaratoria di estinzione di tutti i reati contestati, salvo il reato di molestie o disturbo alle persone, che è procedibile di ufficio (Sez. 1, n. 43704 del 30/10/2007 – dep. 23/11/2007, Camposano, Rv. 238134), nonchè il reato di cui all’art. 582, procedibile pure d’ufficio in forza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 1, richiamata attraverso un plurimo rinvio dagli artt. 582, 585 e 577 cod. pen..

3. Tali reati, peraltro, pur tenendo conto delle intervenute sospensioni, sono entrambi prescritti.

4. Ne consegue che deve essere dichiarata l’estinzione per remissione di querela dei reati di cui all’art. 635 cod. pen., mentre i reati di cui agli artt. 582 e 660 devono ritenersi estinti per intervenuta prescrizione.

5. Risultando dagli atti il decesso di G.C., avvenuto il (OMISSIS), nei suoi confronti si deve dichiarare l’estinzione del reato per morte del reo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G. C. per estinzione del reato per morte del reo.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti degli altri imputati relativamente ai reati di cui agli artt. 660 e 582 cod. pen., in quanto estinti per intervenuta prescrizione; annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti degli stessi, relativamente al reato di cui all’art. 635 cod. pen., perchè estinto per intervenuta remissione di querela.

Condanna i querelati al pagamento delle spese processuali limitatamente al reato estinto per remissione di querela.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 31-01-2013) 26-04-2013, n. 18637

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Svolgimento del processo

1. Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese mandava assolto M.A. dal reato di tentato furto aggravato avente ad oggetto un cavallo in proprietà di S. F., ritenendo che la individuazione fotografica e poi la ricognizione fotografica dell’imputato operata da C.G. non fosse attendibile, avendo questi potuto scorgere l’uomo che si stava allontanando dal luogo del furto con l’animale solo in scarse condizioni di visibilità (ora di notte e assenza di illuminazione) e perchè la deposizione resa da A.M., moglie dell’imputato, che sostanzialmente prospettava un alibi, risultava credibile.

2. La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava la descritta pronuncia giudicando il M. colpevole del reato di tentato furto aggravato con violenza sulle cose e, ritenuta la recidiva specifica, esclusa quella infraquinquennale, lo condannava alla pena di mesi dieci di reclusione ed Euro 100,00 di multa, nonchè al pagamento delle spese processuali.

Riteneva il giudice di secondo grado che a fronte delle dichiarazioni del C., il quale aveva riferito di aver avvicinato sino a circa un metro la persona che si allontanava con l’animale e che il volto di essa era illuminato dai fari del proprio autoveicolo, gli atti di identificazione compiuti dal medesimo dovevano ritenersi del tutto attendibili, laddove la deposizione della A. doveva ritenersi certamente inattendibile sia per il rapporto di coniugio sia perchè il C. aveva rilevato modello, colore e targa del veicolo a bordo del quale il ladro si era allontanato ed essi corrispondevano al modello, al colore e alla targa dell’autovettura risultata in proprietà della donna. La quale, concludeva la Corte territoriale, anche a voler ipotizzare che il M. si fosse fatto accompagnare sul luogo del furto da altro soggetto che non fosse la moglie, aveva tutto l’interesse ad allontanare da sè ogni sospetto.

3. Ricorre per cassazione M.A. con atto sottoscritto personalmente.

3.1. Con un primo motivo si duole che il giudice di secondo grado abbia sopravvalutato la deposizione del C. e per converso svalutato quella di A.M., operando così un travisamento dei fatti, nel contesto di una motivazione che non tiene conto delle argomentazioni svolte dal primo giudice.

3.2. Con un secondo motivo si deduce l’erroneità del giudizio di esclusione delle attenuanti generiche, che avrebbe valorizzato "elementi discrezionali previsti dall’art. 133 cod. pen., e che non riguardano la posizione del ricorrente, che risponde di un unico episodio delittuoso, il cui disvalore sociale è assolutamente minimo", sicchè la pena è eccessiva e poteva essere ulteriormente ridotta.

3.3. Con un terzo motivo si ravvisa contraddittorietà della motivazione laddove esclude la recidiva infraquinquennale e poi dispone correggersi l’intestazione della sentenza con l’aggiunta del riferimento alla recidiva specifica ed infraquinquennale.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è inammissibile, siccome aspecifici i motivi.

4.1. Tal’è il primo motivo, posto che esso asserisce una presunta sopravvalutazione della deposizione del C., senza che sia enunciata alcuna puntuale critica, in diritto o in fatto, della motivazione resa al riguardo dal giudice di secondo grado. Nè è sufficiente evocare un travisamento dei fatti, ovvero l’errore sul significato attribuibile all’enunciato attraverso il quale si è manifestata la prova. Invero, una simile censura si traduce nella prospettazione di una ricostruzione dei fatti alternativa a quella fatta propria dal giudice del merito, ricostruzione che si vorrebbe veder convalidata dal giudice di legittimità.

Al quale, all’inverso, tale intervento è precluso, dovendo egli limitare il proprio sindacato unicamente alla compiutezza e congruenza logica della motivazione. Altro è il travisamento della prova, ovvero l’errore sull’enunciato in cui consiste la prova dichiarativa, che "cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio" (tra le molte, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011 – dep. 11/05/2011, Carone, Rv. 250168).

Nella specie, il ricorso non evidenza gli elementi di diritto e di fatto che dovrebbero sostenere le censure, come sopra qualificate.

4.2. Alla medesima stregua risulta aspecifico il secondo motivo del ricorso, posto che neppure si indicano in cosa sarebbe consistita la radice del vizio affettante il giudizio di esclusione delle attenuanti generiche.

4.3. Manifestamente infondato, dal canto suo, è il terzo motivo. La disposizione data dalla Corte territoriale avente ad oggetto la correzione dell’intestazione della sentenza, in modo che questa fosse coerente all’imputazione, come definita dal p.m., rappresenta non già elemento fondante della contraddittorietà della motivazione laddove esclude la recidiva infraquinquennale ma, all’inverso, il presupposto perchè possa avere un senso logico e giuridico tal ultima statuizione, diversamente nemmeno comprensibile.

5. Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen., sez. VI 28-11-2008 (13-11-2008), n. 44419 Destinazione allo spaccio – Prova – Sindacato di legittimità – Limiti.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente in persona deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alle norme di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 75.
In particolare lamenta il ricorso che nella specie i giudici di merito non abbiano considerato: la tossicodipendenza di esso imputato; l’assenza nell’abitazione di somme consistenti di denaro;
l’assenza di strumenti per la pesatura e confezione delle dosi; la modestia del quantitativo, l’assenza di precedenti penali specifici;
le condizioni economiche; l’assenza di riscontri dello spaccio dai tabulati telefonici e dalle informative dell’Arma. In tale quadro:
non sarebbe corretto utilizzare la condotta di esso ricorrente, intesa a celare il suo stato di consumatore (tentativo di fuga e di dispersione dello stupefacente), potendo essa essere giustificata dall’interesse ad evitare conseguenze amministrative, e la diversa lettura in suo danno integrerebbe una assoluta illogicità nella motivazione di condanna.
In materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga (se al fine dell’uso personale o della cessione a terzi), ogni qualvolta la condotta non appaia indicare l’immediatezza del consumo, è effettuata dal giudice di merito secondo parametri di apprezzamento sindacabili nel giudizio di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (cfr.Cass. Penale sez. 6, 6282/2000, 216315, D’Incontro. Massime precedenti Conformi Sezioni Unite: N. 4 del 1997 Rv. 208217).
Orbene, nella specie, il tentativo di fuga, alla vista dei Carabinieri, che avevano così bruscamente interrotto la comunicazione in atto del P. con due persone – non identificate – che stavano a bordo di un veicolo in sosta, e la successiva tentata dispersione dello stupefacente, valutate assieme alla circostanza che l’imputato deteneva con sè, fuori di casa, senza giustificazione, un quantitativo di stupefacente più che doppio, rispetto a quello rinvenuto in sede di perquisizione nella sua abitazione, costituiscono elementi che sono stati correttamente apprezzati dai giudici di merito, ai fini della destinazione a terzi della droga, con criteri che appaiono indenni dai vizi di mancanza o manifesta illogicità della motivazione stessa.
All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, Sez. III, 14 dicembre 2010, n. 25264 Danno tanatologico, la morte che avviene solo mezz’ora dopo il sinistro esclude il danno iure ereditario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Premesso in fatto

Il giorno 3 agosto 2010 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“1. – Con sentenza n. 1087/2008, pubblicata il 30.7.2008, la Corte di appello di Torino ha condannato l’X a pagare ad A. M. e a V. C. B. la somma di euro 50.000,00 a testa, in risarcimento del 50% dei danni da esse subiti a seguito di un incidente stradale, nel quale è deceduto il rispettivo marito e padre.

Questi ha perso il controllo dell’autovettura di cui era alla guida, slittando sul fondo stradale reso scivoloso dalla pioggia e dal ristagno d’acqua, finendo nella scarpata a lato della strada, a causa dell’inidoneità del guardrail di contenimento.

Il Tribunale di Asti – adito in primo grado – ha ripartito la responsabilità del sinistro fra l’automobilista e l’ANAS nella misura del 50% a testa, liquidando alle attrici la somma di euro 225.000,00, per la percentuale di responsabilità a carico dell’X.

Su impugnazione di quest’ultima la Corte di appello di Torino ha confermato il giudizio sulla responsabilità, ma ha ridotto la somma spettante in risarcimento dei danni, con la motivazione che – essendo la morte sopraggiunta solo mezz’ora dopo il sinistro, senza che l’infortunato riprendesse conoscenza – nulla poteva essere attribuito alle danneggiate a titolo di risarcimento dei danni biologici e morali subiti dal defunto e richiesti a titolo ereditario.

Le danneggiate propongono quattro motivi di ricorso per cassazione.

Resiste l’X con controricorso.

2. – Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione degli art. 457, 2043 e 2059 cod. civ., in relazione all’art. 2 Cost., sul rilievo che esse hanno diritto al risarcimento di tutti i danni alla persona derivanti dall’illecito, quali componenti dell’unitaria categoria dei danni non patrimoniali, come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare da Cass. n. 26972/2008); che arbitrariamente ed illegittimamente la Corte di appello ha loro negato il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali iure haereditario, dovendo il risarcimento essere integrale, nella parte in cui attiene alla lesione di diritti costituzionalmente protetti, quali sono i diritti della persona.

3. – Con il secondo motivo lamentano la violazione del giudicato, nella parte in cui la Corte di appello ha loro negato il risarcimento dei danni esistenziali che il Tribunale aveva riconosciuto, senza che l’appellante ANAS avesse proposto specifica impugnazione sul punto.

4. – Con il terzo ed il quarto motivo lamentano omessa o insufficiente motivazione in ordine alla mancata liquidazione del danno esistenziale e violazione dell’art. 1226 cod. civ., nella quantificazione delle somme spettanti a titolo di danni non patrimoniali, poiché la Corte non ha indicato a quali parametri abbia fatto riferimento per raggiungere la sua decisione.

5. – Le censure di cui al secondo motivo, il cui esame è pregiudiziale, sono inammissibili per difetto di autosufficienza e per violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.

Si assume che la sentenza di primo grado ha attribuito alle ricorrenti il risarcimento del danno esistenziale iure proprio, con statuizione passata in giudicato, perché non impugnata dall’ANAS, ma non viene riportata nel ricorso la motivazione della sentenza medesima, nella parte in cui avrebbe così statuito; né viene specificato se la sentenza sia stata prodotta unitamente al ricorso e come sia reperibile fra gli atti di causa (cfr. Cass. civ. Sez. 3, 12 dicembre 2008 n. 29279, 3 luglio 2009 n. 15628; 13 novembre 2009 n. 24178).

La Corte di appello osserva, per contro, che il Tribunale ha valutato in euro 450.000,00 i danni non patrimoniali, senza effettuare alcuna distinzione fra somme attribuite iure haereditatis e somme attribuite iure proprio (cfr. p. 10 della sentenza), ed è indubbio che l’appellante X abbia impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha liquidato alle danneggiate somme a titolo ereditario (cfr. le conclusioni dell’appellante, riportate nella sentenza di appello).

Rimane incerto, pertanto, l’oggetto del giudizio di primo grado ed in particolare se il Tribunale abbia effettivamente attribuito alle ricorrenti somme o voci di danno iure proprio, ed in particolare il risarcimento del danno esistenziale, relativamente alle quali l’Anas non avrebbe proposto impugnazione.

Trattasi di circostanza che le ricorrenti avrebbero dovuto chiarire, per consentire alla Corte di valutare la fondatezza delle loro censure, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso (su cui cfr. Cass. civ. 14 aprile 2003 n. 5886; Cass. Civ. 17 luglio 2007 n. 15952; Cass. Civ. Sez. III, 25 maggio 2007 n. 12239).

5.2. – Il primo motivo è manifestamente infondato. Correttamente la Corte di appello ha negato il risarcimento a titolo ereditario dei danni biologici e morali subiti dal defunto, per essere sopraggiunta la morte dell’infortunato solo mezz’ora dopo l’incidente, senza che lo stesso riprendesse conoscenza.

La più recente giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, nei casi sopra indicati, il danno per morte va preso in considerazione quale peculiare voce o aspetto dei danni non patrimoniali subiti direttamente dai parenti, fra i quali danni rientrano anche quelli conseguenti alla perdita del rapporto parentale; al dolore da essi risentito in proprio, di riflesso, per la consapevolezza del male che il proprio congiunto ebbe a subire, e così via.

Ma trattasi, per l’appunto, di danni che i congiunti possono far valere iure proprio, quale parte dei danni non patrimoniali da essi personalmente subiti (cfr. Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972). Non si tratta invece di danni spettanti iure haereditario e ingiustamente negati, come prospettato dalle ricorrenti nelle loro censure.

5.3. – Il terzo e il quarto motivo sono fondati.

La motivazione della Corte di appello risulta effettivamente insufficiente al fine di giustificare la quantificazione delle somme attribuite in risarcimento dei danni non patrimoniali. Essa si esaurisce nella seguente frase “…la Corte ritiene di dover liquidare in via equitativa, secondo le tabelle in uso presso la Corte, la somma di euro 100.000,00 in favore di ognuna delle appellanti [rectius, appellate] ….”, (somma ridotta alla metà in ragione della percentuale di colpa a carico del defunto).

Non vi è alcun preciso riferimento alla natura e alla fonte delle richiamate tabelle; alla loro data ed ai criteri di liquidazione ivi contenuti, in relazione a fattispecie analoghe a quella in discussione; non vi è alcuna personalizzazione della somma spettante in risarcimento dei danni ad ognuna delle danneggiate, in considerazione delle peculiarità del caso, ivi inclusa la valutazione dei danni inerenti alla perdita del rapporto parentale che – pur se non risarcibili a titolo ereditario – debbono essere presi in considerazione nella quantificazione dei danni non patrimoniali subiti iure proprio, come si è detto in precedenza; non vi è alcun raffronto con le somme liquidate in primo grado, né alcuna critica alla relativa liquidazione, né alcuna esplicazione delle ragioni per cui la Corte di appello se ne è così vistosamente discostata.

La quantificazione dei danni risulta arbitraria, anziché equitativa, perché effettuata in termini tali da risultare non controllabile sotto il profilo giuridico e razionale. Donde anche la violazione dell’art. 1226 cod. civ.

4. – Ritengo che il terzo e quarto motivo di ricorso possano essere accolti, ed i primi due motivi debbano essere rigettati, con procedimento in Camera di consiglio”.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.

La resistente ha depositato memoria.

Ritenuto in diritto

1. – Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso e della memoria difensiva, rileva quanto segue.

La Corte di appello – premesso che la sentenza di primo grado aveva liquidato alle danneggiate la somma complessiva di euro 450.000,00 in risarcimento dei danni morali, somma da ridursi ad euro 225.000,00, in relazione al concorso di colpa della vittima – ha rilevato che detta liquidazione includeva tutte le voci di danno non patrimoniale, sia quelle richieste iure proprio, sia quelle richieste iure haereditario; ha poi ritenuto non doversi corrispondere alcunché a titolo ereditario, per essere la morte dell’infortunato sopraggiunta a troppo breve distanza di tempo dal ferimento, con la conseguenza che la somma liquidata dal Tribunale deve essere conseguentemente ridotta.

La quantificazione dei danni non patrimoniali in euro 100.000,00 per ciascuna delle danneggiate (ridotti ad euro 50.000,00 per effetto del concorso di colpa) risulta quindi in parte giustificata dalla suddetta riduzione.

Debbono essere tuttavia condivise le argomentazioni e la soluzione del relatore, poiché la Corte di appello ha omesso ogni motivazione circa la misura in cui l’irrisarcibilità dei danni richiesti iure haereditario è venuta ad incidere sulla somma già liquidata dal Tribunale, e non ha specificato le ragioni per cui l’importo dei danni non patrimoniali è stato in definitiva liquidato nella somma indicata, inferiore di oltre la metà a quella determinata dal Tribunale, senza attenersi ai principi enunciati in materia da questa Corte, anche a sezioni unite (cfr. in particolare Cass. Civ. S.U. 11 novembre 2009 n. 26972).

3. – In accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, affinché decida la controversia con adeguata motivazione in ordine all’entità della somma spettante in risarcimento dei danni non patrimoniali.

4. – Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, la quale deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.