Cons. Stato Sez. V, Sent., 18-01-2011, n. 288 Legittimità o illegittimità dell’atto; Rapporto di pubblico impiego, Rapporto a tempo determinato

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Svolgimento del processo

Con atto notificato i giorni 20, 26 aprile e 4 maggio 2009 e depositato il 14 seguente il signor A.L.B., ripetutamente assunto a tempo determinato dal Comune di Barano d’Ischia in qualità di operaio giardiniere, ha appellato la sentenza 5 febbraio 1999 n. 306 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione quinta, con la quale è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento del provvedimento n. 3158/89 privo di data del Sindaco di Barano, di risoluzione dal 1° luglio 1989 del rapporto col Comune, ed il provvedimento 11 maggio 1989 n. 105606 del Comitato regionale di controllo della Campania, sezione provinciale di Napoli, di approvazione "in via eccezionale e senza ulteriori proroghe fino al 30 giugno 1989, con espressa avvertenza che ulteriori delibere in merito non saranno rese esecutive" della deliberazione 22 aprile 1989 n. 107 della Giunta comunale, recante chiarimenti sulle precedenti deliberazioni 2 marzo 1989 nn. 70, 71, 72 e 73, nonché all’annullamento del detto provvedimento di controllo.

Ricordati i motivi formulati in primo grado, a sostegno dell’appello ha lamentato l’omesso esame da parte del TAR dell’impugnazione del predetto provvedimento di controllo, da ritenersi illegittimo in quanto immotivato, carente di istruttoria e contenente una sorta di condizione non consentita dalla normativa in materia, costituente esercizio di poteri di amministrazione attiva anche con riguardo alla futura azione della p.a.. Inoltre il TAR erroneamente avrebbe ritenuto l’inapplicabilità della legge n. 230 del 1962 al rapporto di pubblico impiego, come pure erroneamente non avrebbe dato atto della sussistenza, nella specie, di tutte le caratteristiche proprie del detto rapporto, quindi dell’esistenza del medesimo senza che rilevi la sua qualificazione formale, col conseguente diritto del ricorrente a percepire le rivendicate differenze retributive ed alla regolarizzazione della propria posizione previdenziale ed assistenziale.

La Regione Campania si è costituita in giudizio in data 10 giugno 1999 e con memoria del 9 aprile 2010 ha svolto controdeduzioni, richiamandosi alle altre difese formulate in primo grado.

Con ordinanza collegiale 25 maggio 2010 n. 163 è stata disposta l’acquisizione del fascicolo di primo grado e, in ogni caso, di documenti a cura del Comune di Barano.

All’odierna udienza pubblica l’appello è stato nuovamente posto in decisione.

Motivi della decisione

Com’è esposto nella narrativa che precede, con ricorso davanti al TAR per la Campania il signor L.B. impugnava il provvedimento del Sindaco di Barano d’Ischia notificatogli il 26 maggio 1989, di risoluzione dal 1° luglio seguente del suo rapporto di lavoro con l’Ente in qualità di giardiniere, dal momento che, in ordine alla deliberazione 22 aprile 1989 n. 107 della Giunta municipale, di chiarimenti alle precedenti deliberazioni nn. 70, 71, 72 e 73 recanti assunzione diretta in ruolo – tra gli altri – dello stesso signor L.B., l’organo di controllo aveva vistato l’atto con la seguente dizione: "nulla da osservare, in via eccezionale e senza ulteriori proroghe fino al 30/6/1989, con espressa avvertenza che ulteriori delibere in merito non saranno rese esecutive", nonché il detto atto di controllo.

Con la sentenza appellata il TAR ha respinto il ricorso ritenendo esclusa la possibilità da parte dell’ente di trasformare il rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, sicché il Co.re.co. bene avrebbe inteso statuire l’inconfigurabilità di successivi e continuativi rinnovi che avrebbero comportato la costituzione di rapporto a tempo indeterminato, con danno erariale ed illegittima pretermissione delle procedure di selezione dei candidati a posto pubblico.

Ciò premesso, la pronunzia merita conferma quanto alla sostanziale affermazione dell’inapplicabilità alla fattispecie della legge 18 aprile 1962 n. 230, con conseguente esclusione dell’esistenza di rapporto di lavoro "a tempo indeterminato", giacché – com’è ormai assodato in giurisprudenza – la trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato in presenza delle circostanze previste dalla stessa legge, in particolare dall’art. 2, è possibile nel settore del pubblico impiego solo quando l’amministrazione ne riceva legittimazione da apposita fonte legislativa che faccia proprio il principio affermato dalla legge stessa; pertanto, non può trovare applicazione in relazione al rapporto a tempo determinato instaurato presso gli enti pubblici locali, il quale trova una sua completa disciplina nell’art. 5 del d.l. 10 novembre 1978 n. 702, convertito dalla legge 8 gennaio 1979 n. 3 che, tra l’altro, esclude la possibilità di assumere a tempo indeterminato il personale non di ruolo (cfr., tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 3 settembre 2009 n. 5170 e 20 agosto 2008 n. 3985).

Non è invece condivisibile la reiezione delle censure più specificamente attinenti al provvedimento dell’organo di controllo ed a quello sindacale, in realtà non esaminate. Più precisamente, il TAR ha omesso di considerare tali doglianze, con le quali si sosteneva, tra l’altro, l’illegittimità del primo atto sia in quanto consistente in un’approvazione condizionata, sia perché, ove da intendersi come di controllo negativo, assolutamente sprovvisto di motivazione, neppure ob relationem ad altri precedenti provvedimenti negativi (resi su delibere di assunzione a tempo determinato), e del secondo atto in via derivata.

Le stesse doglianze colgono nel segno.

Quanto al carattere condizionato, al riguardo la giurisprudenza ha affermato la possibilità che il controllo di legittimità sia esercitato con visto condizionato, di per sé atipico ma non per ciò solo illegittimo, purché l’organo di controllo non invada le competenze dell’amministrazione controllata e la condizione apposta non sia tale da snaturare l’indole, lo scopo e la sostanza dell’atto controllato (cfr. Cons. St., Sez. IV, 30 settembre 2002 n. 4983 e Sez. V, 1° aprile 1999 n. 348).

Nella specie, in effetti il Co.re.co, nel convertire l’atto di assunzione in ruolo a decorrere dalla data di esecutività della delibera – avente espresso scopo di sopperire ad esigenze permanenti in ordine a servizi essenziali, oltre che di "sanatoria" di situazioni di precariato – in uno di assunzione a tempo determinato di per sé diretto a soddisfare necessità contingenti e temporanee, ha indubbiamente sostituito scelte proprie a quelle operate dall’Amministrazione attiva, pervenendo così a snaturare del tutto il rispettivo provvedimento che, in sostanza, ha annullato, senza peraltro indicare il vizio di legittimità riscontrato.

E proprio in relazione a ciò va ravvisato il difetto più grave dell’atto, tenuto conto che in esso non v’è neppure – come bene deduceva l’appellante in primo grado e qui ribadisce – un mero richiamo alle ragioni che avevano condotto all’annullamento di precedenti deliberazioni di assunzione a termine per "contrasto con la legge n. 3 dell’8179, art. 5, 15° comma" (rectius: art. 5, co. 15, del d.l. n. 702 del 178, conv. in l. n. 3 del 1979). In altri termini, ancorché sia particolarmente evidente che la disposta assunzione in ruolo si poneva in aperta violazione di norme imperative e basilari nel settore del pubblico impiego (quali il co. 12 del cit. art. 5, secondo le assunzioni negli enti locali "dovranno avvenire solo per pubblico concorso o per prova pubblica selettiva che è consentita per il solo personale salariato ed ausiliario"), tali da determinarne addirittura la nullità, dal dato testuale del provvedimento di controllo non è dato rilevare in alcun modo siffatto elemento essenziale, che avrebbe dovuto necessariamente recare e dal quale non è possibile prescindere, giacché ai sensi dell’art. 59 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 l’atto negativo (al quale, come detto, va assimilato il provvedimento condizionato in esame) deve essere adottato con ordinanza "motivata". D’altra parte, l’essenzialità dell’elemento in parola discende dalla natura stessa dello stesso atto negativo, la quale esige che sia esternato, sia pur succintamente mediante semplice richiamo al principio o parametro normativo ritenuto violato, l’iter logico seguito dall’organo di controllo per pervenire a quel giudizio in base ad un operato raffronto tra fatto e detto principio o parametro normativo.

In conclusione, l’appello non può che essere accolto, sia pure nei limiti sopra precisati, con conseguente annullamento del provvedimento del Co.re.co. di cui si è discusso, nonché del pedissequo provvedimento sindacale, impugnati, in accoglimento negli stessi limiti del ricorso di primo grado.

Tuttavia, l’esito complessivo della controversia consiglia la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie per quanto di ragione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti con esso impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 5998 Diritti politici e civili Danno non patrimoniale

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Svolgimento del processo

1. Il Sig. C.A. con ricorso alla Corte d’appello di Napoli ai sensi della L. n. 89 del 2001, la liquidazione dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale derivatogli dall’eccessiva durata di un processo promosso dinanzi al TAR della Campania e avente ad oggetto una domanda di maggiorazioni di compensi per prestazioni lavorative. La Corte d’appello, con decreto depositato il 29 ottobre 2008, per il periodo di eccessiva durata sino alla data della domanda di equa riparazione liquidava la somma complessiva di Euro 4.212,00, con gl’interessi legali dalla domanda, pari, a Euro 750,00 per ogni anno di eccessiva durata del processo. Avverso tale decreto l’attore ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 luglio 2009, formulando dieci motivi. Il Ministero resiste con controricorso notificato il 18 agosto 2009.
Motivi della decisione

1. Va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso prospettata dal Ministero per la mancanza nella copia notificatagli di alcune pagine del ricorso, non influendo tale mancanza sulla, comprensibilità dei motivi di censura.

2. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 6 della CEDU, della L. n. 89 del 2001 e della regola secondo la quale la normativa della CEDU prevale su quella nazionale. Si formula il seguente quesito: "La L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU o di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale e applicare la CEDU"? Il motivo va dichiarato inammissibile per l’inadeguatezza del quesito formulato, in quanto del tutto astratto e privo di riferimento alla decisione ed alla fattispecie concreta.

3. Con il secondo e l’ottavo motivo si censura la mancata concessione del "bonus" di 2.000,00 Euro, che si asserisce dovuto trattandosi di causa di lavoro e l’omessa pronuncia al riguardo. I motivi vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili, in quanto, come già statuito da questa Corte, (ex multis Cass. 6 settembre 2010, n. 190 64; 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869), in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto per il danno non patrimoniale, la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che sì presta a misurare e a riparare un pregiudizio normalmente sempre presente ed uguale, mentre l’attribuzione di una somma ulteriore (cosiddetto "bonus") postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore; conseguentemente, nel caso in cui il giudice di merito abbia negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla circostanza che il "bonus" spetta "ratione materiae", era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che non sono allegate nei motivi e quesiti formulati al riguardo.

4. Con il terzo, il quarto e il quinto motivo si contesta, con i quesiti così come formulati, che l’indennizzo sia stato ragguagliato solo al periodo di eccessiva durata del processo e non a tutta la sua durata. Tali motivi sono infondati, poichè la liquidazione con riferimento al solo periodo di eccessiva durata è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (ex multis Cass. 14 febbraio 2008, n. 3716; 14 febbraio 2008, n. 3716) in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la legge nazionale impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole del processo e non all’intera durata dello stesso; e tale modalità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge citata ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana con la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

5. Con il sesto motivo si formula il seguente quesito: "Una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua si Euro 1.000,00 – 1.500,00"? Con il settimo motivo si formula il seguente quesito: "La Corte ha omesso di motivare le ragioni per le quali andava derogato il principio secondo cui spetta un’equa riparazione nella misura di Euro 1.000,00 – 1.500,00 per anno di ritardo, dovendo viceversa attenersi, in mancanza di prova diversa, ai parametri europei di 1.000,00-1.500,00"? Tali motivi sono inammissibili concludendosi con quesiti del tutto astratti, non collegati con il contenuto della decisione impugnata e la fattispecie concreta e non rapportati alla motivazione del decreto impugnato, che ha specificamente motivato (mancanza dell’istanza di prelievo e non rilevante valore della controversia) sulle ragioni della misura dell’indennizzo liquidato.

6. I successivi motivi riguardano la quantificazione delle spese, che si assume inadeguata in relazione ai parametri tariffari ed alle liquidazioni di esse da parte della CEDU. Esse sono state liquidate nella misura di Euro 300,00 per diritti e Euro 460,00 per onorari (oltre spese generali e accessori).

Le censure sono infondate quanto alla misura degli onorari, liquidati entro i minimi tariffari, tenuto conto che la liquidazione delle spese va fatta in relazione all’indennizzo liquidato e non a quello domandato. Non rispetta, invece, i limiti tariffari la liquidazione dei diritti, non potendo essere inferire ad Euro 378,00. Il decreto va pertanto cassato sul punto e decidendosi nel merito i diritti vengono riliquidati nella misura di Euro 378,00. Si ravvisano giusti motivi, stante la quasi totale reiezione del ricorso, per compensare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione limitatamente al nono e decimo motivo, rigettandolo per il resto. Cassa il decreto impugnato limitatamente alla liquidazione dei diritti e decidendo nel merito sul punto li riliquida nella misura di Euro 378,00, con distrazione in favore dell’avv. A L M. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 22-02-2011, n. 1089 Contratto di appalto

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a dell’Avv. De Pascale.
Svolgimento del processo

Gli appellanti in epigrafe indicati, che hanno partecipato alla selezione per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria in relazione all’integrazione di un intervento di valorizzazione bandita dalla Comunità Montana Matese di Boiano, collocandosi al secondo posto della graduatoria, hanno proposto ricorso al T.A.R. Molise per l’annullamento degli atti di affidamento dell’incarico de quo all’arch. C.D.B., classificatosi al primo posto in graduatoria, nell’assunto che sarebbe stato privo di uno dei requisiti previsti dal bando, non possedendo il titolo per redigere studi geologici, nonché per ottenere il risarcimento del danno; inoltre, con motivi aggiunti, hanno impugnato, tra l’altro, la nota n. 2337 del 2009, con la quale detta Comunità Montana aveva risposto all’Ordine dei geologi affermando che il servizio non prevedeva compiti attinenti alla figura del geologo.

Detto T.A.R., con sentenza n. 669 del 2009, ha respinto il ricorso e la richiesta di risarcimento del danno, dichiarando inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso incidentale proposto dall’architetto C.D.B..

Con il ricorso in appello in epigrafe indicato i professionisti soccombenti in primo grado hanno chiesto l’annullamento e la riforma di detta sentenza, deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione e falsa applicazione della lex specialis (bando prot. n. 2215 del 30.9.2008), nonché dell’art. 91, III c., del D. Lgs. n. 163 del 2006. Eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta, contraddittorietà tra atti, difetto di istruttoria, erronea presupposizione dei fatti e sviamento dalla causa tipica.

Non sarebbe condivisibile la tesi del Giudice di primo grado, secondo il quale nella interpretazione della lex specialis il criterio letterale prevale su quello sostanzialististico e, poiché il bando non prevedeva espressamente il possesso del requisito della qualifica di geologo, non poteva esso requisito essere dedotto in via indiretta ed implicita.

Il T.A.R. avrebbe indicato in sentenza una nota della comunità Montana indicandone erroneamente gli estremi.

Non sarebbe chiaro e non sarebbe stato spiegato dal primo Giudice per quali motivi il divieto di subappalto previsto dal bando della gara de qua confortava la decisione di respingere il ricorso, né perché, se non era richiesto il possesso di competenze geologiche, il bando prevedeva che in sede di valutazione delle offerte si sarebbe tenuto conto ai fini dell’attribuzione del punteggio anche dell’analisi geologica.

Non sarebbe stata presa in considerazione dal Giudice di prime cure la censura relativa alla circostanza che la commissione aveva attribuito il massimo del punteggio per esperienza maturata sia al R.T.P. ricorrente, che comprendeva anche un esperto geologo, sia all’arch. Del Busso, privo di competenze geologiche.

Erroneamente sarebbe stata negata la tutela risarcitoria sul presupposto dell’assenza di responsabilità in capo alla stazione appaltante.

2) La sentenza non conterrebbe alcun accenno alla impugnativa subordinata della nota n. 2337 del 2009 e dell’avviso di selezione, formulata con motivi aggiunti (e sulla consequenziale istanza risarcitoria).

Con atto depositato il 23.2.2010 si sono costituiti in giudizio la Regione Molise, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nonché la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico del Molise.

Con atto di costituzione e ricorso incidentale depositato il 22.6.2010 l’arch. C.D.B. ha innanzi tutto eccepito la carenza di interesse al ricorso dei ricorrenti principali, che avrebbero dovuto essere esclusi dalla gara, ed ha riproposto i motivi del ricorso incidentale di primo grado, non esaminati con la sentenza impugnata:

1.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della lex specialis, che ammetteva la partecipazione ai soli ingegneri ed architetti, escludendo la possibilità di partecipazione dei geologi.

2.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 90 e 37 del D. Lgs. n. 163 del 2006. Violazione e falsa applicazione della lex specialis.

I professionisti facenti parte del Raggruppamento appellante non avevano dichiarato e specificato in sede di offerta economica le parti del servizio che sarebbero state eseguite dai singoli operatori economici riuniti, né avevano presentato in sede di offerta economica una dichiarazione unica sottoscritta da tutti circa la suddivisione delle parti del servizio.

3.- Violazione e falsa applicazione degli artt. 90 e 37 del D. Lgs. n. 163 del 2006. Violazione e falsa applicazione della lex specialis, sotto altro profilo.

L’offerta economica non conteneva l’impegno dei professionisti, in caso di aggiudicazione, a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato in sede di offerta come mandatario.

4.- Violazione e falsa applicazione della lex specialis e dell’art. 91, III c., del D. Lgs. n. 163 del 2006. Eccesso di potere, illogicità, ingiustizia manifesta e contraddittorietà tra atti, difetto di istruttoria, erronea presupposizione dei fatti e sviamento dalla causa tipica.

Non era stato specificato dal raggruppamento ricorrente quale dei professionisti avrebbe redatto la relazione geologica.

5.- In via subordinata: Violazione e falsa applicazione della lex specialis di gara; violazione dei principi generali di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 163 del 2006 e in particolare dei principi di par condicio, correttezza, trasparenza e pubblicità. Violazione di principi di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione. Sviamento dall’interesse pubblico, illogicità e contraddittorietà manifesta.

6.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 1, 3 e ss. della L. n. 241 del 1990, nonché degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Con detto atto di costituzione, quanto al ricorso principale, è stata eccepita la tardività della impugnazione dell’avviso pubblico di indizione della procedura di selezione e della nota n. 2337 del 14.10.2008, mentre, quanto ai motivi aggiunti, è stato eccepito che era stata inammissibilmente ampliata la portata soggettiva del giudizio ad Amministrazioni (Regione e Ministero) originariamente non coinvolte, in violazione dell’art. 21 della L. n. 1034 del 1971. Nel merito è stata dedotta la infondatezza dell’appello ed è stata chiesta la reiezione di esso, anche in accoglimento del ricorso incidentale.

Con atto depositato il 22.6.2010 si è costituita in giudizio la Comunità Montana Matese, V Zona Omogenea, di Bojano, che ha in primo luogo eccepito la irricevibilità del ricorso principale di primo grado per tardiva impugnazione dell’avviso pubblico e della nota prot. n. 2337 del 14.10.2008 con la quale l’Ente aveva chiarito che l’intervento in oggetto non necessitava di un geologo; in secondo luogo ha eccepito la inammissibilità dei motivi aggiunti formulati nel corso del giudizio di primo grado per essere stata con gli stessi ampliata la portata soggettiva del giudizio ad Amministrazioni (Regione e Ministero per i Beni e le Attività culturali) non intimate con il ricorso principale. Nel merito ha dedotto la infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 25.6.2010 le parti appellanti hanno dedotto la infondatezza della eccezione di tardività del ricorso introduttivo del giudizio (nell’assunto che non sussisteva la necessità di impugnare l’avviso di selezione e la nota n. 237 del 2008 non era conosciuta), nonché della eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti, anche per carenza di interesse (potendo l’accoglimento dell’eccezione comportarne la inammissibilità nei confronti delle sole Amministrazioni in precedenza non evocate in giudizio), nonché hanno contestato le avverse difese e ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 2.7.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.
Motivi della decisione

1.- Con il ricorso in appello in esame, i partecipanti al Raggruppamento Temporaneo tra i Professionisti in epigrafe indicati, che avevano partecipato alla selezione per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, in relazione all’integrazione di un intervento di valorizzazione, bandita dalla Comunità Montana Matese di Boiano, collocandosi al secondo posto della graduatoria, hanno impugnato la sentenza del T.A.R. Molise n. 669 del 2009, di reiezione del ricorso da essi proposto per l’annullamento della determinazione n. 172 del 5.11.2008 del Responsabile del Settore V della Comunità Montana suddetta, di affidamento all’arch. Carmine del Busso dei servizi suddetti, nonché di reiezione della richiesta di risarcimento del danno e di declaratoria di inammissibilità, per carenza di interesse, del ricorso incidentale proposto da detto architetto.

2.- Il Collegio ritiene di dover esaminare preliminarmente l’appello principale, perché la sua eventuale reiezione comporterebbe il venir meno dell’interesse all’esame del ricorso incidentale condizionato riproposto in appello dal controinteressato vittorioso in primo grado, essendo esso ammesso esclusivamente per contestare l’iniziativa processuale avversaria e, pertanto, non avendo più ragion d’essere quando la pretesa dell’altra parte risulta definitivamente respinta.

3.- Con il primo motivo di appello è stata dedotta violazione e falsa applicazione della lex specialis, nonché dell’art. 91, III c., del D. Lgs. n. 163 del 2006; inoltre è stato prospettato il vizio di eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta, e contraddittorietà tra atti, difetto di istruttoria, erronea presupposizione dei fatti e sviamento dalla causa tipica.

3.1.- Non sarebbe condivisibile la tesi del Giudice di primo grado, secondo il quale nella interpretazione della lex specialis il criterio letterale prevale su quello sostanzialistico e, non prevedendo espressamente il bando della gara de qua il possesso del requisito della qualifica di geologo, non poteva esso requisito essere dedotto in via indiretta ed implicita.

La necessità della presenza del geologo per i lavori oggetto di gara si evincerebbe infatti dalla richiesta contenuta nella lex specialis (punto 2, lettera d), del bando con riferimento all’art. 91, III c., del D. Lgs. n. 163 del 2006) di una relazione geologica non subappaltabile ed oggetto di remunerazione; diversamente opinando illogicamente il bando avrebbe posto a carico dell’aggiudicatario, privo di competenze geologiche, la redazione della relazione geologica, nonché avrebbe considerato la stessa remunerata nell’importo omnicomprensivo e avrebbe previsto per la valutazione delle offerte anche le analisi geologiche.

Tanto comporterebbe che sussisteva l’obbligo per i partecipanti di possedere le competenze specifiche per la redazione della relazione geologica, peraltro oggetto di valutazione, insieme ad altri elementi, per l’attribuzione del punteggio massimo di 30 punti.

Del resto la relazione suddetta sarebbe stata necessaria sia perché l’intervento era compreso in zona PTPAAV n. 3 – Massiccio del Matese e sia perché le norme che disciplinano gli interventi in quella zona comportano la verifica della pericolosità geologica.

L’assunto del T.A.R., secondo cui il bando prevedeva solo la partecipazione di architetti ed ingegneri, sarebbe smentito dalla circostanza che tale previsione doveva ritenersi quale requisito minimo ma non sufficiente, visto che era richiesta la redazione della relazione geologica e che l’affidatario non poteva avvalersi del subappalto, sicché si poteva partecipare alla gara come soggetto individuale in possesso del titolo idoneo anche per la redazione della relazione geologica o, per poter garantire la prestazione, con un Raggruppamento Tecnico tra Professionisti, comprendente un geologo.

Anche se fosse applicabile il criterio di interpretazione letterale e non sostanzialistico delle norme di gara il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che il bando, oltre ad indicare i requisiti soggettivi di partecipazione, conteneva altri enunciati che consentivano di individuare l’oggetto della prestazione richiesta e la necessità del requisito soggettivo di adeguata professionalità.

3.1.1.- Osserva il Collegio che l’avviso di selezione n. 2215 del 30.9.2008 per l’affidamento dei servizi di cui trattasi prevedeva, tra i servizi e le attività da affidare, la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, la direzione dei lavori, la contabilità dei lavori, il coordinamento per la sicurezza e lo svolgimento di ogni attività tecnico amministrativa connessa alla progettazione e realizzazione dei lavori per la valorizzazione del centro storico Civita Superiore del Comune di Boiano.

Prevedeva inoltre, al punto 2), la possibilità di partecipazione alla procedura di interessati in possesso della laurea in ingegneria o della laurea in architettura, con abilitazione all’esercizio della professione, nonché, alla lettera d) di detto punto 2), che, ai sensi dell’art. 91, III c., del D. Lgs. n. 163 del 2006, il soggetto affidatario non avrebbe potuto avvalersi del subappalto.

Detto avviso poneva altresì a carico del soggetto affidatario le pratiche per la acquisizione dei pareri ed autorizzazioni, ai sensi del D. Lgs. n. 42 del 2004, presso Enti ed Amministrazioni interessate all’intervento, la relazione geologica, il deposito sismico, il collaudo in corso d’opera, la contabilità finale e la certificazione inerente la regolare esecuzione. Ancora, l’avviso prevedeva, oltre alla specificazione che il contributo omnicomprensivo inerente le spese tecniche era da intendersi relativo al pagamento di tutti i livelli di progettazione (incluse le competenze geologiche e quant’altro ai fini dell’approvazione della progettazione esecutiva), al punto 8, nella descrizione dei parametri di valutazione dei punteggi, la valutazione delle prestazioni in base alla completezza delle fasi progettuali svolte, al coordinamento della sicurezza, all’analisi geologica, alla direzione dei lavori effettuata ed alla complessità tecnica.

L’Amministrazione, successivamente, con nota prot. n. 2337 del 14.10.2008, pubblicizzata presso gli Ordini degli Ingegneri e degli Architetti, ha precisato che la tipologia dell’intervento non prevedeva, al momento, compiti attinenti alla figura professionale del Geologo.

Osserva il Collegio che il citato avviso non conteneva, come invece asserito nel motivo di appello in esame, una vera e propria richiesta di relazione geologica, da retribuire mediante contributo omnicomprensivo, ma, dopo aver ristretto esplicitamente la possibilità di partecipazione alla procedura ai professionisti in possesso della laurea in ingegneria o della laurea in architettura, prevedeva genericamente che, a cura del soggetto affidatario, avrebbero dovuto essere eseguite le pratiche per la acquisizione dei pareri ed autorizzazioni, la relazione geologica, il deposito sismico, il collaudo in corso d’opera, la contabilità finale e la certificazione inerente la regolare esecuzione.

Posto che la relazione geologica non era prevista dall’avviso de quo e che a questo potevano partecipare professionisti non in possesso della laurea in geologia, deve condividersi con il primo Giudice il rilievo che la previsione secondo cui l’affidatario avrebbe dovuto farsi carico della relazione geologica costituiva chiaramente una clausola di stile, indicante tutte le attività da svolgere a cura dell’affidatario, ma solo se richieste specificamente dall’avviso in questione.

In tale ottica di una previsione generica (e non specifica e riferita ad una prestazione concreta da effettuare) andava interpretata anche la previsione nell’avviso di selezione de quo del computo della remunerazione della relazione geologica nel contributo omnicomprensivo relativo alle spese tecniche (da effettuare quindi solo se la prestazione fosse stata effettivamente richiesta) e la inclusione, tra i criteri di valutazione delle offerte, dell’apprezzamento delle analisi geologiche (anche esso da effettuare solo se detta relazione fosse stata richiesta).

Tanto esclude la condivisibilità della tesi della parte appellante che la previsione contenuta nel bando della partecipazione solo di architetti ed ingegneri dovesse ritenersi quale requisito minimo ma non sufficiente, non potendo condividersi la tesi che fosse stata effettivamente richiesta dall’avviso di selezione la redazione della relazione geologica, invece non necessaria, come successivamente precisato esplicitamente dall’Amministrazione con la sopra citata nota n. 2337 del 2008, nel doveroso esercizio del proprio potere amministrativo, trattandosi unicamente di eliminare mere incertezze nell’interpretazione degli atti (Consiglio Stato, sez. V, 11 gennaio 2006, n. 36), non incidenti sull’assetto sostanziale degli interessi coinvolti nella procedura di gara né alteranti le regole riguardanti la "par condicio" tra i concorrenti.

Proprio perché nelle gare d’appalto pubblico, le prescrizioni riguardanti specifici adempimenti da parte delle imprese partecipanti, quando diano adito a dubbi in ordine all’oggetto o ai soggetti effettivamente destinatari, oppure possano essere intese in più di un senso, devono essere interpretate con riguardo al contenuto sostanziale dell’adempimento e in modo da garantire la più ampia partecipazione dei concorrenti, nel caso che occupa, in cui sia il contenuto formale dell’avviso di selezione che il contenuto sostanziale degli adempimenti da effettuare non prevedevano la predisposizione della relazione geologica, il T.A.R. ha condivisibilmente interpretato l’avviso stesso nel senso che non richiedeva per la partecipazione anche la presenza di professionisti con la qualifica di geologo.

Ciò a nulla valendo la censura che potesse essere errata la mancata previsione della relazione stessa nella particolare zona de qua, non essendo stata poi la dedotta carenza fatta tempestivamente valere con apposito motivo di ricorso.

3.2.- Aggiunge la parte appellante che il T.A.R. erroneamente avrebbe fatto riferimento alla nota n. 2775 del 2008 della comunità Montana, invece che alla nota n. 2337 del 14.10.2008, che comunque avrebbe rappresentato un tentativo di rimediare ad un errore dell’Ente mediante formulazione di una rettifica o integrazione del bando, contenente un mero errore di trascrizione.

3.2.1.- Osserva al riguardo il Collegio che la erronea citazione nella sentenza appellata del numero di protocollo della nota dell’Amministrazione, della quale è stato comunque riportato l’esatto tenore letterale, non può essere di certo idoneo a comportare la riforma della sentenza stessa, perché il contenuto sostanziale dell’atto cui è stato fatto riferimento è stato sostanzialmente individuato esattamente in quello con il quale è stato, non integrato il bando, ma solo eliminata una incertezza nell’interpretazione dell’avviso di gara.

Peraltro deve ritenersi che detta nota non incidesse sull’assetto sostanziale degli interessi coinvolti nella procedura né potesse alterare la "par condicio" tra i concorrenti, proprio perché facilmente individuabile come mera imprecisione nella redazione dell’avviso di gara, che nella sostanza e nella forma era chiarissimo nell’escludere la necessità della redazione della relazione geologica.

3.3.- Secondo la parte appellante non sarebbe chiaro e non sarebbe stato spiegato dal primo Giudice per quale motivo il divieto di subappalto finiva per far propendere per la reiezione del ricorso.

3.3.1.- La censura non è, secondo la Sezione, suscettibile di positiva valutazione, atteso che il primo Giudice ha affermato che, posto che non era prevista la partecipazione di geologi, ma solo di architetti ed ingegneri, nessun falso affidamento poteva essere ingenerato nei partecipanti in ordine alla necessità del possesso della laurea in geologia o, comunque, di una preferenza attribuita alla offerta contenente relazioni geologiche redatte da appartenenti a tale categoria professionale (proprio in ragione del divieto di sub appalto, che, pertanto, si risolve in argomento militante contro la pretesa di parte ricorrente).

L’argomentazione è, invero, facilmente interpretabile nel senso che la chiara esclusione della partecipazione di Geologi dalla selezione comportava, proprio per il divieto di subappalto, la impossibilità che fosse richiesta la redazione di una relazione geologica, essendone impossibile una legittima acquisizione.

3.4.- Il T.A.R., deduce la parte appellante, non avrebbe spiegato perché, pur non essendo richieste competenze geologiche, il bando prevedeva che in sede di valutazione delle offerte si sarebbe tenuto conto ai fini del punteggio anche dell’analisi geologica.

3.4.1.- La censura non può essere condivisa dal Collegio, essendo chiaro che, come in precedenza evidenziato, la generica formula contenuta nel bando era interpretabile nel senso che la analisi geologica sarebbe stata oggetto di valutazione ai fini del punteggio solo se richiesta.

3.5.- Soggiunge il motivo di appello in esame che erroneamente non sarebbe stata presa in considerazione dal Giudice di prime cure la censura relativa alla circostanza che la commissione aveva attribuito il massimo del punteggio per esperienza maturata sia al R.T.P. ricorrente, che comprendeva un esperto geologo, sia all’arch. Del Busso, che non aveva alcuna esperienza da poter valutare sotto il profilo dell’analisi geologica.

3.5.1.- La censura non può essere condivisa dal Collegio, essendo evidente che è stato attribuito il medesimo punteggio ai due soggetti partecipanti alla selezione anche se uno solo aveva previsto la presenza di un esperto geologo e l’altro no, proprio perché non era richiesta dall’avviso di selezione la redazione di alcuna relazione geologica.

3.6.- Le considerazioni in precedenza svolte sulla condivisibilità della sentenza di reiezione del ricorso contro il provvedimento di aggiudicazione della selezione in questione escludono anche la possibilità di apprezzare in senso positivo la censura contenuta nel motivo in esame secondo cui erroneamente sarebbe stata negata la tutela risarcitoria sul presupposto dell’assenza di responsabilità in capo alla stazione appaltante.

4.- Con il secondo motivo di appello è stata censurata la sentenza de qua perché non conterrebbe alcun accenno alla impugnativa subordinata della nota n. 2337 del 2009 e dell’avviso di selezione, formulata con motivi aggiunti (e sulla consequenziale istanza risarcitoria).

Era stato infatti impugnato con motivi aggiunti, in subordine, l’avviso di selezione perché, anche nella ipotesi che non fossero state necessarie competenze geologiche, sussisteva comunque contraddittorietà tra quanto richiesto effettivamente e letteralmente con il bando e la volontà successivamente esternata dall’Amministrazione con la nota sopra indicata, impugnata anche per inadeguatezza a rettificare o integrare il bando, che avrebbe dovuto essere oggetto di provvedimenti in autotutela.

Dette contraddittorietà e negligenze che contraddistinguevano il comportamento dell’Amministrazione avrebbero dovuto essere considerate anche nella valutazione della colpa dell’Amministrazione a fini risarcitori

4.1.- Considera il Collegio che il motivo in esame non può essere condiviso perché basato sulla circostanza, già valutata non fondata, che il bando richiedesse effettivamente la sussistenza di competenze geologiche in capo ai partecipanti alla selezione di cui trattasi, sicché non sussisteva alcuna contraddittorietà tra le statuizioni contenute nell’avviso di selezione e quanto asserito, a mero scopo di specificazione e non ad integrazione o rettifica dell’avviso stesso, con la citata nota prot. n. 2337 del 2009.

Tanto esclude anche la necessità del ritiro in autotutela dell’avviso in questione le cui statuizioni collimavano con quanto espresso in detta nota.

5.- La infondatezza dell’appello principale consente di prescindere dalla disamina della fondatezza delle eccezioni reiterate dalle parti resistenti, quanto al ricorso principale per tardività della impugnazione dell’avviso pubblico di indizione della procedura di selezione e della nota n. 2337 del 14.10.2008, nonché, quanto ai motivi aggiunti, per inammissibilità dell’ampliamento della portata soggettiva del giudizio ad Amministrazioni (Regione e Ministero per i Beni e le Attività culturali) originariamente non coinvolte, in violazione dell’art. 21 della L. n. 1034 del 1971.

6.- La parte appellante, sul presupposto della sussistenza della responsabilità della stazione appaltante ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente con riferimento al mancato utile (nelle percentuali del 75% dell’offerta o, in subordine del 10%), alla perdita di chance, alle spese di partecipazione alla gara e al danno curriculare (nella misura del 5% dell’importo totale dell’appalto).

Considera al riguardo la Sezione che alla ritenuta infondatezza dei motivi di ricorso non può che conseguire il rigetto della domanda di risarcimento del danno da provvedimento, difettando l’elemento stesso della illegittimità del provvedimento.

7.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione, con conseguente improcedibilità per carenza di interesse del ricorso incidentale, riproposto in appello.

8.- La complessità delle questioni trattate, nonché la peculiarità e la novità del caso, denotano la sussistenza delle circostanze di cui all’art. 92, II c., del c.p.c., come modificato dall’art. 45, XI c., della L. n. 69 del 2009, che costituiscono ragione sufficiente per compensare fra la parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede Giurisdizionale, Sezione V, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 07-03-2011, n. 196 Ricorsi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso di cui in epigrafe, i ricorrenti chiedono l’ottemperanza al Decreto n. 379/06 con il quale il Presidente della Regione Siciliana, su conforme parere di questo Consiglio di Giustizia Amministrativa a sezioni riunite, n. 315/04, ha accolto il ricorso straordinario proposto dagli stessi ed ordinato al Dipartimento regionale del personale, dei servizi generali, di quiescenza, previdenza ed assistenza del personale della Presidenza della Regione Siciliana di darvi esecuzione.

Considerato che l’Amministrazione Regionale non ha provveduto – nonostante la diffida e messa in mora effettuata dai ricorrenti con atto notificato i di 10-11-12/5/2010 – e, peraltro, ha disposto, con circolare del 9/2/2006 (prot. n. 25858), di applicare la prescrizione quinquennale e di ritenere prescritti i ratei maturati anteriormente al quinquennio antecedente la proposizione della domanda, i ricorrenti hanno chiesto che, previa ammissibilità del ricorso, questo Consiglio di Giustizia Amministrativa:

– ordini alle Amministrazioni intimate di dare integrale esecuzione, ognuna nell’ambito della propria competenza, al menzionato D.P.Reg. n. 379/06, provvedendo a corrispondere agli istanti il maggior importo, per differenze retributive a decorrere dall’1/7/1988, per straordinario, indennità di produttività ed indennità di buonuscita, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione delle singole pretese al soddisfo;

– dichiari nulla la circolare prot. n. 25858/06 e tutti i provvedimenti presupposti, connessi e conseguenziali;

– nomini, in caso di ulteriore inerzia, un Commissario ad acta.

La Presidenza della Regione Siciliana, con memoria depositata il 21 ottobre 2010, si è costituita per resistere al ricorso suddetto, eccependo che la natura esclusivamente amministrativa e non giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana farebbe ritenere inammissibile il ricorso in epigrafe per difetto assoluto di giurisdizione del G.A..

In subordine, ha chiesto di rimettere l’avverso ricorso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, affinché dirimi il contrasto giurisprudenziale determinatosi sul punto di diritto controverso.

La citata Amministrazione ha poi rilevato, in via di ulteriore subordine, l’infondatezza nel merito del gravame, stante il noto principio della irrinunciabilità della prescrizione da parte della P.A. imposto dall’art. 3 del R.D.. n. 295/1939 e, quindi, la legittima pretesa della stessa a procedere alla liquidazione degli emolumenti spettanti ai ricorrenti nei limiti del termine quinquennale di prescrizione (con esclusione, cioè, dei ratei maturati anteriormente al quinquennio antecedente alla proposizione della domanda).

Ha, infine, precisato che l’eccezione di prescrizione sarebbe stata sollevata dall’Amministrazione regionale già durante l’istruttoria del ricorso straordinario con nota prot. 516 del 22/3/05 ed allegata nota n. 2432 dell’1/12/04 dell’Assessorato del Lavoro.

Alla camera di consiglio del 3 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso di cui in epigrafe, sollevata dall’Amministrazione appellata, alla luce delle considerazioni formulate, in analoga controversia, da questo Consiglio di Giustizia Amministrativa con la decisione n. 972/08, dalla quale non si ha motivo di discostarsi.

Giova, sul punto, richiamare lo stato della giurisprudenza.

La questione, concernente l’ammissibilità del ricorso in ottemperanza, ai sensi dell’art. 27, n. 4, del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, e dell’art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, su una decisione su ricorso straordinario, è stata definita in senso negativo dalla Cassazione SS.UU. (15978/2001) sul rilievo che il ricorso straordinario al Capo dello Stato è espressamente compreso dal legislatore tra i rimedi di carattere amministrativo e non può ritenersi di natura giurisdizionale per difetto dell’elemento indefettibile dei procedimenti giurisdizionali e, cioè, che "il procedimento si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale" ( art. 111 cost. riformulato dall’art. 1 L. cost. 23 novembre 1999 n. 2) e che avverso la decisione sul ricorso straordinario non è ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. sez. un., 17 gennaio 2005, n. 734).

Anche un certo orientamento della giurisprudenza amministrativa ha condiviso la citata impostazione evidenziando, in particolare, la natura amministrativa del ricorso straordinario e l’inidoneità della relativa decisione a concretare il presupposto del giudicato formale (ex plurimis: Cons. St., sez. IV, 5.7.2002 n. 3699; CGA 7 dicembre 2002, n. 604; Cons. St., sez. VI, 26 settembre 2003, n. 5501; Cons. St., sez. IV, 22 settembre 2003, n. 5393). Si è, altresì, affermato che il giudizio di ottemperanza è un rimedio giuridico che presuppone un giudicato, cioè un connotato del decisum non attribuibile al decreto che definisce il ricorso straordinario al Capo dello Stato, atteso che esso, pur svolgendo una funzione paragiurisdizionale, resta pur sempre un provvedimento amministrativo, non avendo tale decisione l’attitudine ad acquisire efficacia formale e sostanziale di giudicato. E di fronte all’ineludibile richiesta di giustizia si suggerisce che "al fine di far valere il titolo alla puntuale esecuzione della decisione sul ricorso straordinario, in base al principio di effettività che deve assistere le decisioni emesse in esito a procedimenti contenziosi volti alla tutela di situazioni soggettive del privato, la pretesa al pieno e corretto adempimento all’atto decisorio non resta sfornita di tutela, quest’ultima si rinviene nella possibilità di rendere significativo con rituale diffida il comportamento omissivo dell’amministrazione per poi avvalersi dello strumento apprestato dall’art. 21 bis della L. n. 241 del 1990 ai fini della declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto, con comminatoria dell’ordine di esecuzione" (Consiglio Stato, sez. VI, 4 aprile 2008, n. 1440).

Tale conclusione appare avvalorata anche dalla considerazione che la decisione è emanata da una autorità amministrativa o comunque non giurisdizionale (il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro), che non è neppure vincolata in modo assoluto dal parere espresso dal Consiglio di Stato e può, quindi, risolvere la controversia secondo criteri diversi da quelli risultanti "dalla pura e semplice applicazione delle norme di diritto", caratterizzante le decisioni adottate in sede giudiziaria (art. 14 del D.P.R. n. 1199/1971 che, al primo comma, dispone che la decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro competente. Questi, ove intenda proporre una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, deve sottoporre l’affare alla deliberazione del Consiglio dei Ministri).

2. Tuttavia, la più recente giurisprudenza ed anche questo Consiglio è andato in contrario avviso ed ha osservato che nello Statuto siciliano (cfr. D.Lgs. 15 maggio 1946 n. 455 e legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) il ricorso straordinario al Presidente della Regione è espressamente previsto al titolo III (Organi giurisdizionali) e più precisamente all’art. 23, nel quale per quel che qui rileva si fissano i seguenti principi:

– Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione (comma primo);

– Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno, altresì, le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile (comma secondo);

– I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato (comma quarto).

In relazione al suddetto art. 23, sono stati adottati decreti legislativi attuativi e da ultimo il decreto legislativo 24 dicembre 2003 n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato).

In particolare, in detto decreto viene previsto, all’art. 9, che:

4. Sui ricorsi straordinari di cui all’articolo 23 dello Statuto il parere è obbligatorio ed è reso dalla adunanza delle Sezioni riunite del Consiglio di Giustizia Amministrativa;

5. Qualora il Presidente della Regione non intenda decidere il ricorso in maniera conforme al parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa, con motivata richiesta deve sottoporre l’affare alla deliberazione della Giunta regionale.

Va, altresì, considerato l’art. 12 del medesimo decreto legislativo, laddove si stabilisce:

1. Per l’organizzazione e il funzionamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa in sede consultiva e in sede giurisdizionale si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti per il Consiglio di Stato.

In base a quest’ultima disposizione risulta quindi applicabile il D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che disciplina il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, nell’ambito dei ricorsi amministrativi, ma, ad avviso del Collegio, con forme e garanzie proprie della giurisdizione.

Osserva, in particolare, il Collegio come dalla predetta disciplina emerga un istituto di natura atipica, con spiccate caratteristiche giurisdizionali, che gli interessati possono attivare ex art. 8 del D.P.R. n. 1199/1971, in alternativa al ricorso giurisdizionale con modica spesa, senza il bisogno dell’assistenza tecnico-legale (tuttavia, non esclusa) e con il beneficio di termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi (artt. 8 e 9).

Viene, infatti, rilevato (Cass. SS.UU. n. 15978/2001 citata) che la disciplina del ricorso straordinario si differenzia per aspetti non irrilevanti da quella dettata per gli altri ricorsi amministrativi.

La garanzia del contraddittorio è, infatti, assicurata in modo più puntuale, essendo previsto, a carico del ricorrente, l’obbligo di notificare il ricorso "nei modi e nelle forme prescritti per i ricorsi giurisdizionali" ad almeno uno dei controinteressati, ed essendo a questi ultimi assegnato un termine "per presentare … deduzioni e documenti ed eventualmente per proporre ricorso incidentale" (art. 9, D.P.R. n. 1199/71). Né minor rilievo riveste la circostanza che la decisione del ricorso sia preceduta da un "parere" del Consiglio di Stato, che costituisce espressione di un’attività "di pura e semplice applicazione del diritto oggettivo" (come è confermato dalla previsione che la sezione o la commissione speciale investita del parere può rimettere la questione all’Adunanza generale, onde evitare l’insorgere di "contrasti giurisprudenziali": art. 12, secondo comma, D.P.R. cit.) e dal quale l’autorità decidente può discostarsi (solo) sulla base di una delibera del Consiglio dei Ministri (art. 14, primo comma), quando "sia prospettata una decisione del caso concreto che possa arrecare pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione o all’indirizzo politico" (C. Cost. 31 dicembre 1986, n. 298).

Non meno peculiare è, infine, la disciplina dei rapporti con la tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo, regolata secondo il principio di alternatività; principio che comporta l’inammissibilità del ricorso al giudice amministrativo proposto contro il medesimo atto impugnato in via straordinaria, sia per il ricorrente che per i controinteressati che non si siano avvalsi della facoltà di chiedere la decisione del ricorso in sede giurisdizionale (art. 10, primo comma, D.P.R. cit.), ed ha significativi riflessi sull’impugnazione in sede giurisdizionale della decisione del ricorso straordinario, ammessa solo "per vizi di forma o di procedimento" (art. 10, terzo comma, D.P.R. cit.), salvo che per i controinteressati che non siano stati posti nelle condizioni di chiedere la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale.

3. Interpretando il richiamato quadro normativo di riferimento, si potrebbe pervenire alla conclusione che il provvedimento in questione abbia i presupposti per l’instaurazione del giudizio di ottemperanza e che, conseguentemente, l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi all’eventuale accoglimento del ricorso avrebbe il carattere "assoluto e vincolante", proprio delle sentenze passate in giudicato. Ed infatti il provvedimento finale rappresenterebbe solo "l’atto conclusivo di esternazione di un momento decisionale" contenuto nel parere del C.G.A., il quale si collocherebbe "al di fuori della fase amministrativa della procedura, di cui costituirebbe un presupposto necessario e imprescindibile" che ne vincolerebbe l’esito.

Ciò troverebbe conferma nella decisione della Corte di Giustizia C.E., secondo cui il Consiglio di Stato ha natura di organo giurisdizionale ai sensi dell’art. 177, ora art. 234, del Trattato anche quando esprime il proprio parere sul ricorso straordinario al Capo dello Stato (Corte di Giustizia, 16 ottobre 1997, C 69-96-79-96), e nella giurisprudenza, secondo cui il Consiglio di Stato può sollevare questioni incidentali di legittimità costituzionale anche nell’ambito della procedura prescritta per l’espressione di detto parere (Cons. Stato, sez. I, parere 19 maggio 1999, n. 650-96).

L’alternatività del ricorso straordinario al Capo dello Stato con quello proponibile innanzi alla giurisdizione amministrativa generale (artt. 8 e 10, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199) e l’esplicita previsione, contenuta nell’art. 15 dello stesso decreto, dell’impugnabilità del decreto conclusivo della procedura "per revocazione nei casi previsti dall’art. 395 c.p.c.", e quindi anche per contrasto con altra sentenza avente tra le parti autorità di cosa giudicata, legittimerebbero la soluzione positiva.

Ne consegue che per il potere giurisdizionale attribuito, in tema di esecuzione della sentenza, al giudice amministrativo, la sua cognizione è estesa al merito (art. 27, primo comma, n. 4, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054; art. 7, primo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034) e implica la possibilità di esercitare, se del caso mediante un commissario appositamente nominato, tutti i poteri di valutazione e di scelta spettanti all’amministrazione inadempiente (Cass. sez. un., 30 giugno 1999, n. 376; Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 1988, n. 125), non trattandosi di un provvedimento amministrativo e, quindi, in un’ipotesi in cui la cognizione del giudice amministrativo è limitata ai profili di sola legittimità, senza alcuna possibilità di esercizio di poteri di amministrazione attiva, sia pure al limitato fine di assicurare l’osservanza del comando giuridico inevaso.

Infine, l’art. 3, comma 4, della legge n. 205/2000 ha previsto che nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può essere concessa, a richiesta del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto, la sospensione dell’atto medesimo.

La sospensione è disposta con atto motivato del Ministero competente ai sensi dell’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, su conforme parere del Consiglio di Stato.

Pertanto, alla stregua delle considerazioni di cui sopra e di quanto è già stato affermato da questo stesso Consiglio con le decisioni 19 ottobre 2005, n. 695, e 28 aprile 2008, n. 379, il ricorso in esame va dichiarato ammissibile.

Per i motivi suddetti, il Collegio non ritiene di dover rimettere gli atti all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, così come richiesto dalle Amministrazioni appellate.

4. Nel merito, osserva il Collegio che le parti hanno versato note esplicative di opposto contenuto.

In particolare, parte ricorrente, rilevando che la P.A. ha disatteso la decisione straordinaria di cui al citato D.P. n. 379/06, chiede di darvi integrale esecuzione ovvero di nominare, in caso di ulteriore inerzia, un Commissario ad acta.

L’Amministrazione ritiene legittima l’applicazione della prescrizione quinquennale ai crediti vantati dai ricorrenti, prescrizione che avrebbe già sollevato durante l’istruttoria del ricorso straordinario con nota prot. 516 del 22/3/05 e allegata nota n. 2432 dell’1/12/04 dell’Assessorato del lavoro.

Le pretese dei ricorrenti sono fondate.

Preliminarmente, il Collegio rileva che la prescrizione non può essere eccepita in sede di esecuzione.

Tale eccezione, invero, non formulata nel giudizio di merito, non può essere proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza, atteso che il giudicato amministrativo copre il dedotto e il deducibile, determinando le conseguenti preclusioni processuali (Consiglio Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3385).

Infatti, nonostante l’affermazione delle Amministrazioni appellate, secondo cui le stesse avrebbero sollevato tale eccezione in sede di istruttoria, va rilevato, tuttavia, che nella relazione n. 2471/688.01.8 del 13 febbraio 2004, con la quale l’Ufficio legislativo e legale della Presidenza della Regione Siciliana ha chiesto il parere a questo C.G.A., in sede consultiva, non vi è specifico riferimento al riguardo.

D’altra parte – considerato l’esito favorevole, per i ricorrenti, cui è pervenuto al riguardo questo C.G.A. con il parere n. 315/04, poi recepito dal D.P. n. 379/06 – le Amministrazioni resistenti, se avessero sollevato l’eccezione in argomento nella relazione sopra richiamata, avrebbero dovuto – al fine di vedersi riconosciuto il diritto di applicare legittimamente l’invocata prescrizione quinquennale ai crediti vantati dai ricorrenti – proporre istanza di revocazione avverso il suddetto Decreto Presidenziale, di cui oggi questi ultimi chiedono l’ottemperanza.

5. Conclusivamente, il Collegio accoglie il ricorso e dichiara l’obbligo delle Amministrazioni intimate di dare integrale esecuzione al menzionato D.P.Reg. n. 379/06 entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, riconoscendo ai ricorrenti i crediti agli stessi spettanti come da parere n. 315/04 di questo C.G.A., nei termini in esso indicati ed integralmente richiamati nel citato D.P. 379/06.

Condanna, per l’effetto, parte appellata a versare ai ricorrenti le somme dovute, da calcolarsi con le modalità e nei termini disposti con il suddetto parere n. 315/04.

Per il caso di ulteriore inerzia, va disposta, fin d’ora, la nomina di un Commissario ad acta, per l’effettuazione dei pagamenti che risultino ancora dovuti, nella persona dell’Assessore delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione siciliana, o funzionario dallo stesso delegato, con l’incarico anche di relazionare a questo Consiglio sugli esiti dell’attività svolta.

Viene, altresì, disposta l’erogazione di Euro 1.000,00 (mille/00), a carico di parte soccombente ed in favore del Commissario ad acta, a titolo di anticipo sul compenso complessivamente dovuto, qualora questi sia chiamato a svolgere effettivamente l’incombente demandato.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Il Collegio, considerate le circostanze in cui è maturata la presente controversia, ritiene che sia equo disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, ordina alle Amministrazioni intimate di dare integrale esecuzione al D.P.R.S. n. 379/06 nei termini indicati nella superiore parte motiva, entro 30 (trenta) giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Nomina, fin d’ora, in caso di ulteriore inerzia, per lo svolgimento degli incombenti di cui in motivazione, l’Assessore delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica della Regione Siciliana, o funzionario dallo stesso delegato, con l’incarico anche di relazionare a questo Consiglio sugli esiti dell’attività svolta.

Dispone l’erogazione di Euro 1.000,00 (mille/00), a carico di parte soccombente ed in favore del Commissario ad acta, a titolo di anticipo sul compenso complessivamente dovuto, qualora questi sia chiamato a svolgere effettivamente l’incombente demandato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 3 novembre 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Filoreto D’Agostino, Gabriele Carlotti, Pietro Ciani, estensore, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 7 marzo 2011.

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