Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 27-05-2011, n. 21322 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rente, avv. Pino Ernesto, che si è associato alla richiesta del PG.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 28.04.2010 la Corte d’appello di Catania confermava la condanna alla pena dell’arresto e dell’ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a T.A. quale colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b); artt. 93, 94, 61, 64 e 75 per avere eseguito, in zona sismica, in assenza del permesso di costruire, una struttura in cemento armato di circa 112 metri quadrati costituita da otto pilastri e travi, priva di copertura e con muri parzialmente tamponati in Giarre il (OMISSIS).

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge e mancanza di motivazione:

sulla ritenuta "destinazione funzionale del manufatto" che doveva considerasi ultimato, donde la concedibilità del condono edilizio;

sul diniego delle attenuanti generiche;

sull’omessa declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

L’ultimo motivo è fondato.

E’ stato accertato, in fatto, che l’imputato ha eseguito, in zona sismica e in assenza del permesso di costruire, una struttura in cemento armato di circa 112 metri quadrati costituita da 8 pilastri e travi, priva di copertura e con muri parzialmente tamponati.

L’edificio, perciò, non era completato al rustico in quanto privo di copertura e dell’integrale tompagnatura (cfr. Cassazione Sezione 3^ n. 6548/1999 RV. 213982: "In materia edilizia, al fine dell’applicazione del c.d. condono edilizio, la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 31 stabilisce che si considerano ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.

L’esecuzione del c.d. rustico è riferita al completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno annoverate le tamponature esterne, che determinano l’isolamento dell’immobile dalle intemperie e configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria".

La mancata ultimazione alla data dell’accertamento 7.07.2003 rendeva il manufatto non condonabile ratione temporis.

Pertanto, la sospensione disposta erroneamente dal giudice deve essere considerata come inesistente, con le ovvie conseguenze in tema di computo dei termini prescrizionali (Cassazione Sezione 3^ n. 3350/2004; Lasi; RV. 227217; SU n. 22/1999, RV. 214792: "In tema di reati edilizi, le sospensioni dei procedimenti penali previste dalla L. n. 47 del 1985, artt. 44 e 38, facenti parte del capo 4^ di detta Legge, richiamato dalla L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 1, non si applicano con riferimento ai reati che, dalla contestazione o dagli atti, risultino proseguiti dopo la data del 31 dicembre 1993").

Ne consegue che, nella specie, non può tenersi conto delle sospensioni ai fini del condono disposte dai giudici di merito, sicchè per tutte le contravvenzioni la prescrizione si è maturata dopo la pronuncia della sentenza d’appello, al 15/7/2010.

Va, quindi, emessa la consequenziale declaratoria.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.

Dispone che copia della presente sentenza sia trasmessa all’Ufficio tecnico della Regione siciliana per quanto di competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, Sent., 13-06-2011, n. 968 Trattamento economico

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, il ricorrente, maresciallo capo pilota della Guardia di Finanza, percettore in quanto tale dell’indennità mensile di impiego operativo per attività di aeronavigazione di cui all’art. 5 della L. 23 giugno 1983 n. 78, fa valere in sostanza il diritto a percepire altresì la maggiorazione prevista dall’art. 5 comma 2 del DPR 31 luglio 1995 n. 394 a decorrere dal 1° dicembre 1995 con conseguente adeguamento del trattamento retributivo spettante.

La pretesa è infondata.

Le indennità di impiego operativo di cui si controverte sono contemplate dall’articolo 2 della suaccennata legge n. 78/83, che testualmente recita: "Al personale militare dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, salvo i casi previsti dagli articoli 3, 4, 5, 6, primo, secondo e terzo comma, e 7, spetta l’indennità mensile di impiego operativo di base nelle misure stabilite dall’annessa tabella I per gli ufficiali e i sottufficiali e nella misura di lire 50.000 per gli allievi delle accademie militari e per i graduati e i militari di truppa volontari, a ferma speciale o raffermati."

La maggiorazione del trattamento economico in questione è stata, poi, prevista dall’ugualmente accennato articolo 5 del DPR 31 luglio 1995 n. 394 che, al primo comma, ha modificato gli importi della indennità di impiego operativo di base (di cui alla tabella I allegata alla legge n. 78 del 1983) e, al secondo comma, ha previsto che "per il personale che anche anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto abbia prestato servizio nelle condizioni di cui agli articoli 3, 4, 5 e 6, primo, secondo e terzo comma e 7 della legge 23 marzo 1983 n. 78, le misure di cui alla tabella riportata al comma 1 del presente articolo sono maggiorate, per ogni anno di servizio effettivo prestato con percezione delle relative indennità e per un periodo massimo complessivo di 20 anni, secondo le percentuali indicate nella tabella VI annessa alla legge 23 marzo 1983 n. 78".

La tesi dell’Amministrazione è che la maggiorazione di cui all’art. 5, II comma del DPR n. 394/95 si applica esclusivamente al personale che percepisce gli importi di cui alla tabella I – riportata al primo comma dell’articolo indicato (indennità di impiego operativo di base) -, situazione non rinvenibile nei confronti del ricorrente il quale dichiaratamente percepisce il ben più consistente importo di cui alla tabella II allegata alla suddetta L. n. 78/83 (relativa appunto alla indennità mensile di aeronavigazione).

Tale tesi – confortata, peraltro, dall’orientamento giurisprudenziale ormai consolidatosi, dal quale non sussistono motivi per discostarsi (cfr., da ultimo, CdS, IV, 15.7.2008 n. 3548; TAR Roma, I, 9.2.2009 n. 1317; II, 17.12.2008 n. 11645; TAR Firenze, I, 3.4.2008 n. 484; TAR Napoli, VI, 4.8.2007 n. 9727; TAR Milano, III, 31.1.2007 n. 162, e infine, di questa Sezione, n. 3662/09) – appare condivisibile perché la ratio della norma è quella di garantire una maggiorazione dell’indennità operativa di base al personale non più impegnato in particolari impieghi retribuiti con altre indennità, allo scopo di consentire il godimento di una quota proporzionata al numero di anni di servizio prestati nelle condizioni di impiego operativo (non a caso la norma si riferisce non già al personale "che presti servizio", cioè ora, bensì al personale "che abbia prestato servizio", vale a dire nel passato, ma ora non più, nelle condizioni di cui agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, e cioè che abbia a suo tempo percepito alcuna delle indennità specialistiche in detta L. n. 78/83 previste, trovandosi ora viceversa destinatario della sola indennità di base, di importo cioè sensibilmente minore).

Il che significa che l’indennità operativa di base maggiorata assolve ad una funzione meramente perequativa in favore di coloro che, avendo prestato in passato servizi che comportano l’attribuzione di una indennità speciale, superiore a quella operativa di base (i servizi di cui agli articoli 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 78/83), ritornando a percepire solo quella di base perdono parte dei loro emolumenti. Peraltro, la maggiorazione di cui al secondo comma, essendo attribuita in relazione agli anni di servizio prestati in impieghi particolari (fino a 20 anni), potrebbe essere complessivamente maggiore della nuova indennità speciale spettante: in tal caso supplisce l’ulteriore meccanismo perequativo consistente nella possibilità di optare per il suo mantenimento, così come prevede l’art. 4, comma 2, del DPR 16 marzo 1999 n. 255, in base al quale il personale militare che cambi condizione di impiego può optare tra l’indennità speciale spettante nella nuova posizione e "qualora più favorevole" l’indennità operativa di base maggiorata ex art. 5, comma 2, del DPR 394/95. Il tutto a conferma delle conclusioni sin qui raggiunte, dato che la possibilità di opzione in tale ultima norma prevista presuppone necessariamente che la maggiorazione de qua si applichi soltanto all’indennità di base (cfr., sul punto la sopra ricordata pronuncia milanese n. 162/07).

Come precisato poi nella ricordata pronuncia di questa Sezione n. 3662/09, l’attribuzione della maggiorazione a coloro che già percepiscono una speciale indennità maggiorata, superiore a quella operativa di base, si porrebbe fra l’altro in contrasto col divieto di cumulo delle indennità di cui all’articolo 17, I comma della legge n. 78/83, che espressamente dispone che "Le indennità previste dai precedenti articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7, salvo il diritto di opzione per il trattamento più favorevole e le eccezioni stabilite dalla presente legge non sono cumulabili fra loro".

Dopo quanto si è detto in ordine alla interpretazione che si deve fornire, sia sul piano letterale (il personale…che abbia prestato servizio.. in passato… ma ora non più), che logico -sistematico (si è visto l’intento perequativo della norma) è poi da precisare infine che, contrariamente a quanto si ipotizza, nessun rilievo vincolante può attribuirsi, ai fini della presente decisione, alla disposizione di cui all’art. 3, comma 72, della legge 24.12.2003 n. 350 – legge finanziaria per il 2004 – la quale, evidentemente spinta dall’intento di porre fine a talune "costose" (errate) interpretazioni del ricordato art. 5 DPR n. 394/95 favorevoli alla tesi del ricorrente (e da questi ovviamente richiamate) ha ritenuto di dover recare una interpretazione autentica dell’articolo 5 del DPR n. 394/95 chiarendo espressamente che le maggiorazioni di cui al secondo comma spettano esclusivamente ai percettori della sola indennità operativa di base.

Ne segue in via consequenziale, come ammette del resto lo stesso ricorrente, nel caso in cui, come di fatto avviene, alla soluzione negativa si pervenga a prescindere dalla sopravvenuta disposizione "interpretativa", l’irrilevanza altresì delle sollevate questioni di incostituzionalità della disposizione in questione, con riguardo, in via generale, ai principi di ragionevolezza, adeguatezza retributiva ed efficienza dell’attività amministrativa da un lato ( artt. 3, 36 e 97 Cost.), e, in particolare, al principio di autonomia della contrattazione sindacale di cui è frutto il DPR n. 394/95, autonomia che neppure una legge dello stato potrebbe incidere.

Senza aggiungere che, come si è constatato, era stata proprio la stessa autonomia sindacale, con il DPR n. 255/99, a conferma di quanto si sostiene, ad "interpretare" nel senso che si è visto il ricordato art. 5 DPR 394/95.

Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso si rivela, pertanto, infondato, dal che ne segue la sua reiezione.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 30-06-2011, n. 1734 Contratto di appalto

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Svolgimento del processo

1. Al fine di perseguire il risparmio energetico, il Ministero dello Sviluppo Economico, con decreti ministeriali 20/7/2004 e 21/12/2007, ha indicato i criteri per la determinazioni di obiettivi per tutte le aziende che distribuiscono gas sul territorio nazionale. L’obiettivo di riduzione del consumo di gas naturale viene determinato attraverso il rapporto tra la quantità di gas naturale distribuito ai clienti finali e quella complessivamente distribuita sull’intero territorio nazionale (utilizzando come unità di misura i GJ).

1.1. I progetti di risparmio, che trovano copertura nelle componenti delle tariffe, si articolano nel seguente modo: – in base alla riduzione di consumi certificata, il gestore del mercato emette "Titoli di Efficienza Energetica (TEE)" a favore delle imprese di distribuzione; – l’AEEG, in base ai dati forniti dalle singole aziende, verifica la corrispondenza fra TEE ed obiettivi annui perseguiti, e, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di risparmio, irroga sanzioni proporzionali all’entità degli investimenti necessari a compensare le inadempienze; – le aziende distributrici del gas (ai sensi della delibera AEEG n. 344/07) devono trasmettere ogni anno all’Autorità la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante il numero di clienti finali connessi alla propria rete di distribuzione alla data del 31 dicembre dell’anno precedente, nonché devono indicare la quantità di energia di gas naturale distribuita nell’anno precedente.

1.2. Con riferimento alla dichiarazione dell’anno 2008 (riferita a clienti e volumi dell’anno 2007), trasmessa con nota del 2/10/2008, l’AZIENDA MUNICIPALIZZATA PER IL GAS DI BARI SPA (di seguito "AMGAS" o l’"Impresa"), incorrendo in un errore, ha dichiarato GJ 4.106.806.528 anziché GJ 4.106.806,528. A questo punto, l’Autorità (con nota del 17/11/2008) ha segnalato all’Impresa che l’unità di misura del gas distribuito per il 2007 era stata erroneamente indicata in GJ anziché in MJ (infatti GJ 4.106.806,528 equivalgono a MJ 4.106.806.528) e che mancava nell’autocertificazione l’indicazione del numero dei clienti, chiedendo la correzione dell’errore. Sennonché l’AMGAS, nel replicare alla richiesta di chiarimento del 20/11/2008, è incorsa ancora una volta in errore: in particolare, questa volta, ha sì effettuato la conversione da MJ a GJ, ma ha indicato la quantità di 39.156.551 anziché di 3.915.655 (in sostanza, la prima cifra decimale viene spostata prima della virgola e quindi i milioni da 3 diventano 39).

1.3. L’AEEG, con delibera n. 35 del 17/12/2008, presupponendo 39 milioni GJ di gas distribuito ai clienti, ha determinato gli obiettivi specifici dell’Impresa per il 2009 per TEE 50.213 (a fronte di TEE 3711 dell’anno 2008).

1.4. L’Impresa, resasi conto dell’errore compiuto, ha provveduto a trasmettere (con nota del 12/3/2009) i dati corretti relativi agli anni 2006 e 2007 (autocertificazioni 2007 e 2008). L’AEEG, tuttavia, con la impugnata nota dell’8/10/2009, ha replicato: "si prende atto della vostra comunicazione del 12/03/2009 prot. 10900/tec, che riteniamo ininfluente su provvedimenti già consolidati alla data della medesima e segnatamente sulla deliberazione 26/02/2008 n. EEN 1/08 come successivamente modificata e integrata dalla deliberazione 07/07/08, EEN 8/08 e sulla deliberazione 15/12/2008 come successivamente modificata e integrata dalla deliberazione EEN 02/09". Pure a seguito della nuova istanza dell’Impresa di modificare la delibera AEEG n. 2/2009 ovvero di concordare forme di dilazione nell’annullamento dei TEE, l’Autorità ha confermato le proprie decisioni con nota del 30/11/2009, precisando inoltre che la richiesta dilazione esula dal potere dell’Autorità medesima.

1.5. Con ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato il 10 febbraio 2010, l’Impresa ha impugnato i provvedimenti in epigrafe. A seguito di istanza di trasposizione dell’AEEG, notificata in data 411 marzo 2010, AMGAS ha trasposto (con atto notificato il 19 marzo 2010) il ricorso straordinario in sede giurisdizionale, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, in quanto viziati da violazione di legge ed eccesso di potere.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso.

Sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza del 12 maggio 2011.

Motivi della decisione

I. L’Impresa lamenta che l’Autorità avrebbe illegittimamente rigettato la richiesta di modifica del provvedimento che assegnava i TEE per l’anno 2009. Difatti, nell’ambito del procedimento amministrativo, in caso di commissione di errore di una delle parti nella produzione di un documento ovvero nella certificazione di una determinata situazione, l’amministrazione avrebbe l’onere di consentire la regolarizzazione degli errori materiali e delle irregolarità formali. Nella specie, constatato il numero dei clienti finali indicati nella stessa autocertificazione errata, l’AEEG avrebbe dovuto rendersi conto immediatamente che la quantità del gas distribuito era stata indicata in maniera palesemente errata.

Il comportamento dell’amministrazione, inoltre, sarebbe contraddittorio rispetto a quello tenuto in passato, con riferimento alla medesima svista, nei confronti dello stesso odierno ricorrente: in primo luogo, nella autocertificazione dell’anno 2007 (relativa ai dati dell’anno 2006 e finalizzata alla determinazione degli obiettivi di risparmio per l’anno 2008), l’AEEG autonomamente aveva colto l’irregolarità e aveva assegnato gli obiettivi considerando la cifra autocertificata in relazione al gas distribuito come espressa in MJ anziché in GJ; in secondo luogo, proprio con riferimento agli obiettivi di risparmio per l’anno 2009, assegnati con le delibere n. 35/2008 e 2/2009, l’AEEG ha consentito all’azienda ASCOPIAVE di correggere l’errore in cui era incorsa (omessa comunicazione per errato calcolo del numero dei clienti finali).

II. Tanto premesso, il ricorso non può essere accolto per il concorrere delle seguenti ragioni.

II.1. L’impresa ha impugnato il diniego di correzione di una autocertificazione da lei prodotta nel corso del procedimento di regolazione. Tuttavia, non ha impugnato il provvedimento finale (ovvero la delibera EEN 35/2008, modificata da quella EEN 2/2009) nel quale sono state riversate le risultanze degli accertamenti strumentali che si assumono erronei ed in cui sono stati fissati gli obiettivi energetici di tutte le imprese interessate (il ricorso straordinario trasposto è stato notificato solo in data 4 febbraio 2010).

Orbene, in primo luogo, è noto il principio giurisprudenziale secondo cui, quando la p.a. abbia già provveduto con precedenti atti senza che l’interessato abbia impugnato i provvedimenti lesivi nei termini prescritti, non sussiste alcun obbligo di provvedere in autotutela sulla successiva istanza di modifica dell’interessato; principio che trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare, attraverso di essa, il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza.

Inoltre, se anche il carattere consolidato di un provvedimento non esclude che sia esercitato il potere di riesame, occorre ricordare che tale possibilità non è libera ma è pur sempre orientata dai principi che governano la discrezionalità. Discrezionalità di cui l’AEEG non pare aver fatto uso irragionevole, dal momento che la rideterminazione degli obiettivi del 2009, nel senso voluto dall’Impresa, sarebbe andata senza dubbio a vantaggio della stessa (determinandosi una riduzione della quota degli obiettivi a suo carico), ma avrebbe contestualmente determinato anche un proporzionale aumento degli obiettivi già fissati a carico degli altri distributori obbligati che, sulla consolidazione del quadro regolamentare, ben potevano fare legittimo affidamento (per contro, il citato intervento nel caso di ASCOPIAVE aveva determinato una riduzione degli obiettivi di tutti gli altri distributori).

II.2. Neppure può dirsi violato alcun "dovere di soccorso" da parte dell’Autorità.

La Sezione ha più volte affermato il dovere del regolatore di operare in modo chiaro e lineare, di rispettare l’aspettativa di coerenza dell’amministrazione con il proprio precedente comportamento, di comportarsi secondo buona fede tenendo in adeguata considerazione l’interesse dell’amministrato. Sennonché il cosiddetto "dovere di soccorso" (previsto all’art. 6, lett. b, l. n. 241 del 1990 e sovente affermato in giurisprudenza al fine di richiamare le stazioni appaltanti ad una applicazione non meramente formalistica degli oneri e degli obblighi che sono imposti ai soggetti partecipanti ai procedimenti a evidenza pubblica), che impone alle amministrazioni di provvedere lealmente a richiedere al soggetto privato le integrazioni documentali utili alla più completa istruttoria procedimentale, deve essere correttamente inteso e interpretato coerentemente con i principi di imparzialità e di buon andamento, predicati dall’art. 97 cost.

Ad avviso della Sezione, in particolare, il dovere di soccorso trova precipuo limite nel principio di autoresponsabilità degli amministrati che non possono reputare di poter ritardare obiettivi ed effetti della regolazione, obbligando l’Autorità ad "inseguire" plurimi e ripetuti errori in cui gli stessi siano incorsi nell’attività di autocertificazione. Nella specie, l’AEEG, aveva segnalato all’AMGAS che l’unità di misura del gas distribuito per il 2007 era stata erroneamente indicata in GJ anziché in MJ; sennonché, invitata alla correzione, l’Impresa ha effettuato la conversione da MJ a GJ ma è incorsa in altro inaspettato errore, indicando la quantità sbagliata di 39.156.551 anziché di 3.915.655.

In definitiva, il dovere di soccorso istruttorio è stato rispettato con la prima richiesta di chiarimenti; dopodichè, non poteva imporsi all’Autorità di andare a verificare nuovamente "d’ufficio" la correttezza del dato quantitativo indicatole, non potendo ritenersi certo efficiente ed informato al buon andamento un assetto in cui le opportunità di chiarimento ed integrazione documentale si traducano in continue occasioni di aggiustamento.

La particolarità della vicenda procedimentale appena descritta esclude, con tutta evidenza, la confrontabilità con i casi citati in ricorso per farne derivare un vizio di disparità di trattamento.

III. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso nei termini di cui in motivazione;

CONDANNA la società ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che si liquida in Euro 1.200,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-11-2011, n. 25408 Passaggio ad altra amministrazione

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Svolgimento del processo

L’odierno ricorrente, già dipendente di ente locale nell’ambito del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) dislocato presso istituto e scuole statali e transitato, a decorrere dal 1 gennaio 2000, nei ruoli del personale dello Stato, si rivolgeva al Tribunale, giudice del lavoro, per ottenere, nei confronti del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dell’istituto scolastico di destinazione, il riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza. Il Tribunale accoglieva la domanda e la decisione veniva riformata dalla Corte d’appello dell’Aquila che, con la sentenza qui impugnata, faceva applicazione di una disposizione contenuta nella Legge Finanziaria del 2006 ( L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218), emanata nel corso del processo.

Di questa decisione il ricorrente domanda la cassazione con tre motivi, sostenendo, in particolare, l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., la violazione della L. n. 124 del 1999, art. 8 e, in subordine, l’incostituzionalità della previsione della predetta norma sopravvenuta. Il Ministero resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso viene accolto in base alla seguente motivazione, redatta in forma semplificata come disposto dal Collegio in esito alla odierna udienza di discussione.

La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980 e Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.

La richiamata norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che "recepì" l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in decreto ministeriale. La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè 27 settembre 2005, n. 18829).

Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del decreto ministeriale. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva. Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate non fondate.

L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007). L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle Leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009).

Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

Questo approdo deve ora essere integrato con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) nella sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 costituisca un "trasferimento d’impresa" ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa ("La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro").

Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: – se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione); – se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo".

Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un "peggioramento retributivo".

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo "scopo della direttiva", consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.

1. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2. Quanto alle modalità, si deve trattare di "peggioramento retributivo sostanziale" (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere "globale" (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto.

3. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto "all’atto del trasferimento" (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente dell’art. 1, comma 218 della finanziaria 2006, all’art. 6, n. 2, TUE in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU e artt. 46 e 47 e art. 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate.

La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

Il caso in esame deve quindi essere deciso in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò comporta che il ricorso deve essere accolto perchè la violazione del complesso normativo, costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, denunziata, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di giustizia europea. La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, la quale, applicando i criteri di comparazione su indicati, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento e dovrà accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale accertamento. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese.

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