Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-06-2011, n. 12816 Contributi

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Ascoli Piceno ha respinto l’opposizione proposta da F.S. avverso l’ordinanza ingiunzione con cui gli era stato intimato il pagamento, in favore dell’INPS, di una sanzione pecuniaria per avere omesso di versare in misura integrale, per il periodo dal 1.1.1990 al 7.11.1993, i contributi dovuti per gli operai a tempo determinato, in violazione della L. n. 389 del 1989, art. 1, comma 1, nella parte in cui dispone che la base imponibile da prendere a riferimento ai fini della contribuzione previdenziale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.

A sostegno dell’opposizione il ricorrente aveva allegato di aver assunto quale base di calcolo dei contributi di previdenza la retribuzione corrisposta ai propri operai, siccome determinata dai cd. contratti di riallineamento per il settore ortofrutticolo nella provincia di Ascoli Piceno, previo recepimento dei suddetti contratti negli accordi aziendali stipulati con le stesse parti che avevano stipulato gli accordi provinciali, come previsto dal D.L. n. 129 del 1990, art. 2 bis.

Con sentenza del 3.2.2009 la Corte di Appello di Ancona ha respinto l’appello proposto dal F. avverso la sentenza di primo grado, ritenendo, in primo luogo, che nessuno sgravio potesse essere concesso in favore delle aziende operanti nella provincia di Ascoli Piceno per periodi successivi al 31.12.1990 e, in secondo luogo, che, per il periodo precedente, il ricorrente non avesse dimostrato la sussistenza delle condizioni stabilite per usufruire della deroga all’applicazione del cd. minimale retributivo ( D.L. n. 129 del 1990, art. 2 bis), nè per l’applicazione della disciplina introdotta dal d.l. n. 510 del 1996, con cui era stata disposta una sanatoria delle pendenze contributive per i periodi pregressi, rilevando che l’appellante aveva sottoscritto accordi aziendali di recepimento dei programmi provinciali di riallineamento difformi dalle prescrizioni di questi ultimi.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione F.S. affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Inps.
Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 1 del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, e art. 6, comma 11 convertito con modificazioni nella L. n. 389 del 1989, del D.L. n. 258 del 1988, art. 2, comma 3, convertito con modificazioni nella L. n. 337 del 1988, sul rilievo che del D.L. n. 338 del 1989, art. 6, comma 11, convertito nella L. n. 338 del 1989, aveva previsto che la sospensione della condizione di cui alla lettera e) del comma 9, consentendo la derogabilità del dettato del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, a favore delle imprese operanti nei territori indicati nel t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con D.P.R. n. 218 del 1978, art. 1. Nè tale conclusione era contraddetta dal dettato del D.L. n. 258 del 1988, art. 2, comma 3, convertito nella L. n. 377 del 1988, con il quale era stato stabilito che nelle province di Ascoli Piceno e Roma fino al 33.12.1990 sono concesse le agevolazioni finanziarie, contributive e fiscali nelle misura previste dall’art. 59 e ss. del cit. t.u. del 1978, in quanto tale previsione non implicava l’esclusione dell’area de qua da ogni ulteriore agevolazione del testo unico e dal novero delle aree contemplate al suo art. 1; anche perchè l’esonero dal minimale di cui al D.L. n. 388 del 1989, art. 1 non rientrava tra gli sgravi di cui al D.P.R. n. 218 del 1978, art. 59. 2.- Con il secondo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sull’assunto che la Corte territoriale, ritenendo non verificata la condizione prevista per la deroga al cd. minimale contributivo di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, consistente nella recezione con accordo aziendale dei programmi di riallineamento fissati dai contratti provinciali, e ritenendo, in particolare, che l’accordo aziendale del 14 settembre 1989 abbia stabilito retribuzioni orarie sensibilmente inferiori rispetto a | quelle previste dal contratto provinciale, non avrebbe spiegato per quale ragione debbano apprezzarsi come diversi gli importi di partenza stabiliti, rispettivamente, dal contratto provinciale e dal contratto aziendale, omettendo anche di renderli omogenei attraverso il calcolo delle maggiorazioni (non comprese nei valori indicati nel contratto aziendale). Analoghe carenze motivazionali si riscontrerebbero nella parte in cui il giudice d’appello ha dichiarato non verificate le condizioni per la sanatoria dei periodi pregressi, stabilite dal D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 3. 3.- Il primo motivo di ricorso è infondato.

Come più volte affermato da questa Corte, in tema di sgravi contributivi, per effetto del D.L. n. 258 del 1988, art. 2, comma 3, recante modifiche alla L. n. 64 del 1986, le agevolazioni finanziarie, contributive e fiscali nelle misure previste dal D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 59 sono concesse per la provincia di Ascoli Piceno fino al 31 dicembre 1990, non avendo rilevanza che il disposto del D.L. n. 510 del 1996, art. 5 convertito nella L. n. 608 del 1996, abbia dettato una particolare disciplina in materia di contratti di riallineamento retributivo e di regolarizzazione contributiva per le imprese operanti nei territori di cui alle zone contemplate dalla L. n. 1203 del 1957, art. 92, par. 3, lett. a) di ratifica ed esecuzione del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, posto che la decisione della Commissione CEE/88/318, alla quale il citato art. 2 ha dato attuazione, ha rilevato che per talune province nelle quali erano previsti gli aiuti di cui alla L. n. 64 del 1986 e al D.P.R. n. 218 del 1978, ai sensi dell’art. 92 cit., secondo i dati per il 1985, non erano più sussistenti le condizioni per l’applicazione di detto art. 92 e che il legislatore nazionale, per quei territori, ha conseguentemente stabilito, con il citato art. 2, la data finale del 31 dicembre 1990 per la spettanza dei benefici ivi indicati (cfr. Cass. n. 12530/2004, Cass. n. 12787/2004 e, da ultimo, Cass. n. 5719/201).

Correttamente, pertanto, risulta rigettata la domanda con riguardo al periodo successivo al 31.12.1990. 4.- Anche il secondo motivo è infondato. Come già affermato da questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 8211/95 – in tema di sgravi contributivi a favore delle aziende industriali del Mezzogiorno, il soggetto che assume di averne diritto ha l’onere di provare i relativi fatti costitutivi. Giustificatamente, dunque, viene negato il diritto agli sgravi quando il datore di lavoro non dimostri di avere assicurato ai dipendenti trattamenti economici non inferiori a quelli minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo, giusta la condizione posta dal D.L. n. 338 del 1989, art. 6, comma 9, lett. c) convertito con modificazioni in L. n. 389 del 1989. Per quanto riguarda più specificamente l’ipotesi in esame, è stato ribadito (Cass. n. 12946/2004) che l’onere di provare l’applicazione nel tempo dell’accordo provinciale di riallineamento ai fini della sanatoria per i periodi pregressi per le pendenze contributive ed a titolo di fiscalizzazione ovvero di sgravi contributivi – prevista dal D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 3, convertito in L. n. 608 del 1996, – è a carico dell’imprenditore che deduca a suo vantaggio gli effetti della sanatoria stessa. Con riguardo a una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, è stato affermato che, ai fini dell’applicazione dei benefici riguardanti la fiscalizzazione degli oneri sociali, il datore di lavoro che intenda godere del beneficio della sospensione della condizione di corresponsione dell’ammontare retributivo di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 6, comma 9, lett. a) e c) convertito in L. n. 389 del 1989, ovvero usufruire della successiva sanatoria di cui al D.L. n. 510 del 1996, art. 5, comma 2, convertito nella L. n. 608 del 1996, deve dimostrare di avere: 1) recepito l’accordo provinciale di riallineamento retributivo concluso tra le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali locali dei lavoratori aderenti o collegate a quelle nazionali di categoria firmatarie del contratto collettivo; 2) rispettato le forme e i tempi stabiliti dalle indicate disposizioni, programmando il graduale riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori previsti nei corrispondenti contratti collettivi; 3) stipulato, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della L. n. 448 del 1998, gli accordi territoriali e aziendali di recepimento, provvedendone al deposito nei trenta giorni successivi presso i competenti Uffici provinciali del lavoro e della mobilità ordinaria e le sedi provinciali INPS; 4) raggiunto e mantenuto il detto riallineamento (Cass. n. 5719/2011).

Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che la documentazione versata in atti non aveva soddisfatto l’onere probatorio di cui l’opponente era gravato, in quanto il contratto aziendale del 14.9.1989 non aveva recepito il contenuto del contratto aggiuntivo provinciale del 18.7.1989, posto che le retribuzioni orarie concordate in sede aziendale erano sensibilmente inferiori rispetto a quelle pattuite a livello provinciale, e poichè comunque non era documentato il deposito del detto contratto aziendale presso gli uffici e nei termini indicati dal D.L. n. 129 del 1990, art. 2 bis convertito in L. n. 210 del 1990. Quanto alle condizioni per usufruire della sanatoria dei periodi pregressi, come disposta dal D.L. n. 510 del 1996, art. 5 convertito in L. n. 608 del 1996, ha osservato il giudice d’appello che neppure in questo caso il datore di lavoro aveva soddisfatto l’onere probatorio a suo carico, giacchè anche l’accordo aziendale del 21.11.1991 non aveva recepito, quanto ai valori retributivi, il contenuto del contratto provinciale di riallineamento.

Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui nella motivazione della sentenza impugnata non sarebbe stato correttamente valutato che gli elementi posti a fondamento del giudizio di comparazione tra contratto provinciale e contratto aziendale non erano omogenei, non risultano in alcun modo idonee ad infirmare il giudizio di merito espresso dalla Corte territoriale, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come già detto, alla mancata dimostrazione de fatto che l’impresa avesse recepito il contenuto degli accordi provinciali di riallineamento, e così alla insussistenza delle condizioni previste ai fini dell’applicazione dei benefici riguardanti la fiscalizzazione degli oneri sociali, anche perchè, a fronte di una sentenza così motivata, l’opponente non ha indicato (nè documentato) quale sarebbe il valore delle maggiorazioni (non comprese negli importi indicati nel contratto aziendale) che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare ai fini della comparazione tra contratto provinciale e contratto aziendale; e tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione che il ricorrente non ha proposto specifica impugnazione avverso la statuizione, autonoma e distinta, con la quale la Corte territoriale ha affermato che non era stato comunque documentato il deposito del contratto aziendale presso gli uffici e nei termini indicati dal D.L. n. 129 del 1990, art. 2 bis convertito nella L. n. 210 del 1990, così che, almeno per quanto riguarda il beneficio della sospensione della condizione di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 6, comma 9, lett. c) convertito nella L. n. 389 del 1989, il ricorso non potrebbe comunque trovare accoglimento, non avendo formato oggetto di censura una delle ragioni autonomamente idonea a sorreggere la decisione.

5.- In definitiva, la sentenza impugnata, per essere adeguatamente motivata, coerente sul pano logico e rispettosa dei principi in precedenza enunciati, non è assoggettabile alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità. 6. Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 12,00 oltre Euro 1.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-02-2011) 11-04-2011, n. 14462

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – G.R. propone ricorso contro sentenza della Corte di Caltanissetta, che ne ha confermato la condanna del GUP per concorso con S.S. in tentata estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7 commessa in (OMISSIS) (capo B). La Corte ha escluso la recidiva ritenuta dallo stesso GUP, che per parte sua aveva già escluso l’aggravante di mafia circa l’altro delitto (capo C), di estorsione consumata in concorso con il fratello G. nel luglio 2005. E, con generiche prevalenti, gli ha ridotto la pena relativa ad a. 3 e m. 8, determinato quella complessiva in a. 5 e m. 8 di reclusione.

Quanto al capo B, ha ritenuto decisive le dichiarazioni rese alla P.G. dall’offeso D.T., titolare di un ditta di lavori di movimento terra, che si sposa con il senso complessivo di conversazioni intercettate e con parziali ammissioni dei responsabili. D.T. era stato prelevato con forza e condotto in autovettura in zona remota e minacciato con metodo di mafia, per essere costretto a versare il pizzo per lavori già acquisiti e dar prevalenza ad interessi di imprese diverse. La teste M. aveva assistito al suo prelievo forzoso, riferendone subito al padre di lui, che chiamava un amico per rintracciare il figlio.

Quanto al reato sub C, ha respinto la richiesta di assumere l’offeso A., che aveva attribuito al ricorrente la minaccia di bruciare lui ed il suo distributore di carburanti, sostanzialmente confermata dal teste Me.. E, pur escludendo aggravante e recidiva, ha disatteso la tesi difensiva che lo stesso A. fosse debitore dei G. ed in effetti suggestionato dalla Polizia giudiziaria, cui avrebbe offerto indicazioni non rispondenti al vero circa le reali ragioni per cui aveva corrisposto mille/00 Euro ai richiedenti.

Il ricorso (Avv. F. Bellino) deduce: 1 – violazione art. 629 c.p. circa il capo B, perchè l’intimazione rivolta a D.T., di astenersi dall’accaparramento di lavori, cioè da determinati comportamenti, deve rapportarsi al paradigma dell’art. 610 c.p., dal momento che non avrebbe influito nella sfera di interesse economico di G., procurandogli profitto ingiusto, nè danno ingiusto all’offeso che, a differenza del profitto, dev’essere patrimoniale;

2 – idem in relazione all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 attribuita ad un solo episodio avvenuto tra conoscenti, perchè il riferimento di G. (a vicende di Cosa Nostra) non si rapportava a specifici assetti organizzativi, ma era un connotato di ambiente locale;

3 – violazione dell’art. 603 c.p.p. circa il capo C, per mancata assunzione della testimonianza decisiva del presunto offeso A. E., dovendosi considerare l’appello che argomentava sia circa il rapporto di dare ed avere tra persone dello stesso ambiente, sia per avere A. fornito solo dopo due anni dai fatti alla P.G. dichiarazioni non rilasciate al momento di prestiti, di cui si attendeva la restituzione e dunque non si tratta di un "pizzo".

Difatti ha affermato che G., prima dell’arresto, doveva ancora saldare l’ultimo debito di Euro 500,00 e nella prassi criminale l’estorto non richiede all’estorsore la restituzione delle somme versate;

4 – vizio di motivazione circa lo stesso reato, perchè Me. riscontra l’offeso solo per quanto concerne la richiesta di G. di "cambiare un assegno" che serviva a ripagare un suo precedente debito, non operazioni proprie di estorsione, che implica movimento unilaterale di somme;

5 -violazione dell’art. 81 c.p. – vizio di motivazione perchè, ferma l’omogeneità dei reati e l’unicità del disegni criminoso, si è adottato il solo criterio temporale per escludere la continuazione, benchè la norma riporti l’inciso "anche in tempi diversi". 2 – Il ricorso è inammissibile.

A fronte di due sentenze sostanzialmente conformi, salvo le puntualizzazioni di quella d’appello a favore dell’imputato, il ricorso ripete le tesi di merito, con argomenti in diritto e fatto manifestamente infondati.

Quanto al reato sub B, travisa del tutto che l’iniziativa privata serve a conseguire profitto lecito e che inibire la libertà di impresa ( art. 41 Costituzione) integra estremo di estorsione, perchè cagiona danno economico all’offeso e profitto per qualsiasi potenziale concorrente che si avvalga del venir meno della sua offerta, sia o non l’autore dell’estorsione.

Inoltre, già è significativo per intendere il perchè della manifesta infondatezza anche dell’altro motivo, prestare attenzione alla lettera dell’art. 416 bis c.p., ancorchè l’aggravante sia stata ritenuta in particolare per l’uso del metodo di mafia, volesse l’imputato o non agevolare una specifica consorteria. Sotto questo profilo è del tutto di merito oltre che incongrua la ripetuta tesi che, nella specie, le modalità del comportamento intimidatori si confinerebbero in un connotato ambientale, per escludere valenza significativa ai riferimenti di G. nel senso inteso dai giudici dello stesso merito. Ma soprattutto l’argomento paradossalmente conferma la bontà del loro convincimento, perchè anche e proprio la connotazione culturale del fatto rafforza l’aspetto circostanziale delle modalità.

Quanto al delitto sub C, prescindendo dal rilievo che si è svolto giudizio abbreviato, il ricorso, posto che non smentisce la condotta criminosa e l’evento, non dimostra minimamente l’assoluta necessità del giudice d’appello di assumere quale teste la persona offesa.

Mira a ripetere la giustificazione offerta all’operato di G., travisando che l’imputato non ha offerto alcun elemento a sostegno della tesi che vantasse lui diritto nei confronti di A., invece creditore, onde la minaccia è risultata ai giudici obiettivamente volta a conseguire profitto illecito. Dunque, ancora merito manifesta infondatezza.

L’ultimo motivo è anch’esso affetto da entrambi i vizi nel ripetere la tesi difensiva ripetutamente respinta, dal momento che è bensì vero che la continuazione può concernere fatti delittuosi commessi in tempi diversi, ma solo se vi è unità temporale del disegno che concerne tutti. Pertanto se, tra più delitti anche omologhi è trascorso molto tempo e i fatti abbiano mozioni e modalità diverse, il beneficio risulta obiettivamente irriconoscibile.

E nella specie la mozione relativa all’estorsione ai danni di A., viepiù che la corte di merito ha escluso l’aggravante speciale di mafia, non ha nulla a che fare con quella volta ad impedire la libertà d’impresa a D.T..
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed alla somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 27-04-2011, n. 768 Concessione per nuove costruzioni

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ato nel verbale;
Svolgimento del processo

Con l’atto introduttivo del giudizio, D.C. impugnava il silenzio, mantenuto dal Comune di Minori circa la richiesta di concessione edilizia, specificata in epigrafe.

Segnalava che, nonostante il parere favorevole espresso dalla C. E., in data 8.04.1992, subordinato ad integrazioni documentali, le quali erano state prodotte dalla ricorrente, nessun riscontro era venuto da parte del Comune.

Chiedeva, pertanto, che il Tribunale sancisse l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere, entro un congruo termine, circa la sua istanza di c. e., e nominasse, per il caso della perdurante inerzia da parte della stessa, un commissario "ad acta" con poteri sostitutivi.

Il Comune non si costituiva in giudizio.

In data 17.12.2010 era prodotta, nell’interesse della ricorrente, una memoria difensiva, con documenti.

All’esito della pubblica udienza del 21.12.10 il Tribunale rilevava come, ai fini della decisione del ricorso, occorresse acquisire dal Comune di Minori una documentata relazione di chiarimenti circa i fatti ivi esposti, nella quale l’ente avrebbe avuto cura di precisare i provvedimenti, eventualmente adottati circa la richiesta di concessione edilizia precisata in epigrafe, ovvero le ragioni della mancata adozione di detti provvedimenti.

La relazione richiesta, a firma del responsabile dei Servizi sul Territorio del Comune di Minori, perveniva in Segreteria data 21.03.2011.

All’udienza pubblica del 24.03.2011 il ricorso era trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Rileva il Tribunale che dalla documentazione allegata al ricorso, da quella successivamente prodotta, nell’interesse della ricorrente, nonché dal contenuto della relazione istruttoria prodotta, su ordine del Collegio, dal Comune di Minori, risulta acquisita la prova della mancata evasione della domanda di concessione edilizia, presentata dalla ricorrente.

Il responsabile dei Servizi sul Territorio del Comune, in particolare, pur precisando di non essere in grado, perché non in servizio all’epoca dei fatti, di chiarire le ragioni di un così consistente ritardo, ha comunque attestato che alcun provvedimento definitivo è stato adottato, in merito a detta domanda, da parte del Comune.

Ha formulato anche un’ipotesi sui possibili motivi del ritardo, nonché una prognosi di sfavorevole esito della prefata domanda, basata sulla non conformità al P. U. T., ex l. r. Campania n. 35/87, del P. R. G. comunale, la quale prognosi, tuttavia, non può essere considerata – perché contenuta in un atto processuale a contenuto istruttorio – alla stregua di una manifestazione di volontà, da parte dell’ente, circa la sorte della medesima istanza.

Ne risulta confermato che a tutt’oggi, nonostante il decorso di molti anni, alcun provvedimento espresso e motivato è stato adottato, da parte del Comune di Minori, circa l’istanza presentata da D.C. nel 1992.

Ne deriva che va pronunziato l’obbligo dell’ente di adottare, nel termine di giorni trenta dalla notificazione a cura di parte ovvero dalla comunicazione, in via amministrativa, della presente sentenza, un provvedimento conclusivo, circa la più volte citata domanda di concessione edilizia, presentata dalla ricorrente, in cui sia definitivamente esposta la posizione dell’ente, riguardo alla medesima.

Tanto, conformemente al pacifico orientamento giurisprudenziale, per il quale si legga, "ex multis", la seguente massima, tratta da una decisione della Sezione: "L’art. 20, comma 9, d. P. R. n. 380 del 2001, stabilisce, che decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo sulla domanda di permesso di costruire, si intende formato il silenzio rifiuto, giustiziabile in sede amministrativa alla luce, anche delle previsioni contenute negli artt. 2 e 3 della l. n. 241 del 1990 che obbligano l’amministrazione a concludere il procedimento attivato ad istanza di parte, con un provvedimento espresso e motivato" (T. A. R. Campania Salerno, sez. II, 10 dicembre 2008, n. 4080).

Va sin d’ora nominato, per il caso dell’eventuale ulteriore inerzia da parte dell’Amministrazione, un commissario "ad acta" che provveda in sua vece, con oneri a carico della stessa P. A., la quale va anche condannata, in base alla regola della soccombenza, a rifondere alla ricorrente le spese, le competenze e gli onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il silenzio rifiuto impugnato.

Dichiara l’obbligo del Comune di Minori di provvedere sull’istanza presentata dal ricorrente in data 28.01.1992, prot. n. 897, entro e non oltre trenta giorni dalla notificazione, ovvero dalla comunicazione, della presente sentenza.

Nomina, sin d’ora, Commissario "ad acta", per il caso di ulteriore persistente inadempimento da parte del Comune Minori, il Sig. Prefetto di Salerno, affinché provveda, anche a mezzo di funzionario dallo stesso designato, alla definizione dell’istanza dell’interessata, con oneri e spese a carico dell’Amministrazione Comunale.

Condanna il Comune di Minori al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese, delle competenze e degli onorari di lite, che liquida, complessivamente, in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre I. V. A. e C. N. A. P., come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 13-05-2011, n. 4174 Competenza e giurisdizione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Questore di Rieti di allontanamento dal territorio nazionale;

Ritenuto che la controversia esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto l’ordine di allontanamento emesso dal Questore costituisce un atto strumentale all’esecuzione dell’espulsione (cfr. T.A.R. Marche Sez. I 26/5/09 n. 452; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 22 marzo 2007, n. 2714; T.A.R. Veneto, Sez. III, 18 dicembre 2006, n. 4129; T.A.R. Toscana, Sez. I, 10 aprile 2006, n. 1148) e rientra quindi nella giurisdizione del giudice ordinario;

Ritenuto, quindi che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

Rilevato, inoltre, che l’accertato difetto di giurisdizione, ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. 104/10 (codice del processo amministrativo), comporta l’applicazione dell’istituto della "translatio iudicii", in forza del quale, conservati gli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda, il giudizio deve proseguire davanti al giudice ordinario, dove dovrà essere riassunto nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza;

Ritenuto che quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.