Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-12-2011, n. 27749 Passaggio ad altra amministrazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR) chiede l’annullamento della sentenza di appello, che ha affermato il diritto della parte intimata, trasferita al Ministero, al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente di provenienza.

La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.

La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in D.M..

La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè 27 settembre 2005, n. 18829).

Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (Finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del D.M.. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva.

Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate non fondate. L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007).

L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

Questo approdo deve ora essere integrato con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C- 108/10), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 costituisca un trasferimento d’impresa ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa ("La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro").

Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione);

-se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo".

Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento retributivo.

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo scopo della direttiva, consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.

1. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2. Quanto alle modalità, si deve trattare di peggioramento retributivo sostanziale (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere globale (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto, ma considerando anche eventuali trattamenti più favorevoli su altri profili, nonchè eventuali effetti negativi sul trattamento di fine rapporto e sulla posizione previdenziale.

3. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria del 2006, art. 1, comma 218, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU e artt. 46, 47 e art. 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate.

La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr., per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

Ciò comporta che il ricorso per cassazione del Ministero che denunzia violazione del complesso normativo costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di merito, il quale, applicando i criteri di comparazione su indicati, dovrà verificare, in concreto e nel caso specifico la sussistenza, o meno di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento ed accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale verifica. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-05-2011) 19-08-2011, n. 32514

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 2.7.2010 la Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Messina che in data 12.11.2007 aveva condannato C.S., alle pene ritenute di giustizia, per tentata truffa. La C. era stata ritenuta responsabile del reato di tentata truffa per avere, parcheggiando in zona comunale a traffico limitato, esposto in due distinti autoveicoli il pass, che consentiva la sosta per una sola autovettura. Su un veicolo era stato esposto l’originale e sull’altro una copia dello stesso.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputata deducendo:

1. violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 640 c.p..

Sostiene il ricorrente l’inidoneità degli atti posti in essere in quanto il comportamento asseritamente artificioso non era in grado di indurre in errore gli agenti, considerato che la donna su una delle due autovetture aveva esposto una fotocopia dell’originale del pass sulla quale vi era scritto a chiare lettere la dizione "copia". 2. violazione dell’art. 606, lett. e), per carenza e/o mancanza di motivazione. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha motivato per relationem con riguardo ai motivi 1-2 e 4 dell’appello e ha omesso qualsiasi motivazione con riguardo al motivo n. 3 3. violazione dell’art. 606, lett. e) per illogicità o contraddittorietà della motivazione. Sostiene che la Corte Territoriale ha reso una motivazione illogica fondando la responsabilità dell’imputata sulla responsabilità per un reato (falsità del pass) ritenuto insussistente.

Il primo motivo proposto è fondato.

E’ stato accertato in sentenza che l’imputata ha esposto sull’altra vettura famigliare, una Fiat 126 tg (OMISSIS), risultata abusivamente parcheggiata, la fotocopia del pass che autorizzava la sosta per una sola vettura famigliare, indicando però a chiare lettere che si trattava di una copia. Tale circostanza, a prescindere dalla idoneità della condotta a trarre in inganno, impedisce sicuramente di ritenere in capo alla ricorrente la volontà di truffare il Comune di Messina.

La sentenza deve pertanto essere annullata senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-02-2012, n. 1615

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Svolgimento del processo

L’avv. T.G. propose istanza di estinzione del processo esecutivo mobiliare intrapreso nei suoi confronti da SPA CARIGE Ass.ni S.p.A. per la mancata osservanza da parte di quest’ultima del disposto dell’art. 497 cod. proc. civ.. Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Roma, con ordinanza depositata il 16 luglio 2008, ha accolto l’istanza, per non avere il creditore procedente depositato l’istanza di vendita nel termine di cui al citato art. 497 cod. proc. civ., ed ha dichiarato l’estinzione del procedura esecutiva n. 37968/07.

Avverso l’ordinanza, l’avv. T. propone ricorso straordinario per cassazione a mezzo di un unico articolato motivo, illustrato da memoria.

L’intimata CARIGE S.p.A. si difende con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso, l’avv. T. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 629 e 306 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4. La ricorrente assume che il giudice di merito, pur avendo accolto l’istanza di estinzione avanzata dall’esecutata, cui si era opposta la società creditrice procedente, abbia omesso "di pronunciarsi sulle spese del giudizio stesso che, a norma dell’art. 629 c.p.c., devono liquidarsi ai sensi e per gli effetti dell’art. 306 c.p.c., quindi, nel caso di specie, in favore del debitore esecutato…omissis…"; assume altresì che la mancanza di pronuncia sulla "liquidazione delle spese del procedimento sottintende chiaramente la volontà del giudice di compensarle a dispetto del disposto degli artt. 306 e 629 c.p.c.".

Il motivo è assistito dal seguente quesito di diritto: "dica la Suprema Corte se nella fattispecie in esame in cui il debitore esecutato – a seguito di omessa istanza di vendita nel termine di cui all’art. 497 c.p.c., da parte del creditore – aveva presentato istanza di estinzione della procedura esecutiva incardinata nei suoi confronti poteva. il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza che ha accolto tale istanza, disporre la compensazione delle spese di lite in presenza di un’esplicita opposizione del preteso creditore procedente alla domanda di estinzione". 2.- Il ricorso è soggetto, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di deposito dell’ordinanza impugnata (16 luglio 2008).

Il ricorso è inammissibile perchè il quesito di diritto non corrisponde al tenore dell’ordinanza impugnata: esso è formulato in termini tali da presupporre che il giudice dell’esecuzione abbia disposto la compensazione delle spese del procedimento, laddove nulla risulta in punto di spese nè nella motivazione nè nel dispositivo del provvedimento impugnato. Pertanto, questo ha omesso ogni pronuncia sulle spese.

E’ evidente come il quesito di diritto non investa in alcun modo tale omessa pronuncia (cfr., per la necessaria pertinenza del quesito, tra le altre, Cass. n. 4044/09). Esso peraltro neanche corrisponde al contenuto del motivo (cfr., per la necessità di tale corrispondenza, Cass. n. 28280/08), dal momento che nell’illustrazione del motivo viene criticata proprio la mancata statuizione sulle spese, nei termini sopra testualmente riportati. Nè si può condividere l’assunto della ricorrente secondo cui siffatta omissione sarebbe corrispondente ad una pronuncia di compensazione delle spese, poichè l’equiparazione degli effetti dal punto di vista economico non comporta l’equiparazione delle relative pronunce dal punto di vista giuridico: ed, in ogni caso, di tale argomento, esposto come sopra nell’illustrazione del motivo, non vi è traccia nel quesito di diritto.

3.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore della resistente nell’importo complessivo di Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-05-2011) 06-10-2011, n. 36280

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Svolgimento del processo

Il gip presso il tribunale di La Spezia ha disposto in data 12 ottobre 2010 il sequestro preventivo della unità navale M/Y Blue Eyes modello CRN 60 per il reato di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c) sul presupposto che la società proprietaria ha usufruito, nonostante l’assenza del requisito della commercialità nell’attività svolta, dei rifornimenti di carburante agevolato nella misura di litri 438.477 con ciò evadendo l’accisa nella misura di Euro 242.390 dal 2005 al 2009.

Il tribunale di La Spezia, accogliendo le istanze di riesame, disponeva la restituzione di quanto il sequestro agli eventi diritto sul rilievo che, come affermato dalle sezioni unite di questa corte, non sono sequestrabili nè confiscabili gli autoveicoli degli altri mezzi meccanici, compresi natanti, alimentati con gasolio indebitamente agevolato. Aggiunge inoltre il tribunale del riesame che, come emerge dalle dichiarazioni rese dal comandante della nave e difensori ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., la destinazione del carburante ad uso agevolato avvenne in realtà in epoca antecedente all’inserimento del carburante stesso nei serbatoi delle imbarcazioni e solo in un momento cronologicamente successivo a tale destinazione avvenne l’effettiva consegna del carburante, peraltro mediante autobotti e non direttamente dal distributore come affermato dal gip. Propone in questa sede ricorso il pubblico ministero del tribunale della Spezia eccependo l’inosservanza o l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 40, comma 1, lett. c) e art. 44 in relazione al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301. Osserva il procuratore della Repubblica ricorrente che il tribunale del riesame non ha tenuto conto della formulazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 44 che prevede testualmente che il prodotto e i mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni all’art. 40 del medesimo decreto siano soggetti a confisca secondo le disposizioni legislative vigenti in materia doganale, ovvero secondo la disposizione, del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301 che, appunto, prevede la confisca obbligatoria. Aggiunge che il reato citato si perfeziona nel momento in cui il prodotto fiscalmente agevolato viene usato per uno scopo diverso da quello consentito, con la conseguenza che i natanti fruitori, costituendo mezzi per commettere reato, devono ritenersi soggette a confisca obbligatoria.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Il procuratore della Repubblica,ricorrente non tiene nella sostanza dei principi affermati dalle sezioni unite di questa corte nella sentenza il 14287 dell’11/04/2006 Rv. 233249.

In tale occasione è stato affermato, infatti, il principio secondo cui in tema di destinazione di prodotti petroliferi agevolati ad uso diverso da quello consentito, con riguardo al reato di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 40, il sequestro preventivo è ammesso soltanto con riferimento alle cose (mezzi di trasporto appositamente predisposti, cisterne, pompe, erogatori, tubi di raccordo e simili) occorse per attuare il mutamento di destinazione del prodotto in tutto o in parte esente dall’accisa, mentre esso non è consentito per gli autoveicoli o altri mezzi meccanici alimentati con il prodotto agevolato, perchè questi non hanno un rapporto qualificato con il reato di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, citato art. 40, che si integra e si consuma al momento in cui avviene la diversa destinazione.

Nell’occasione la Corte, all’esito della disamina semantica del termine "destinare" ed in considerazione che sarebbe stato sostanzialmente irrazionale punire l’abuso puro e semplice del gasolio agevolato, foss’anche sporadico e, persino se, isolato, tanto severamente da comminare la pena detentiva in misura tutt’altro che lieve e da giungere al punto di equiparare il reato tentato a quello consumato, perveniva alla conclusione che solo in relazione alle cose occorrenti per attuare il mutamento di destinazione del gasolio in tutto o in parte esente dall’accisa (mezzi di trasporto appositamente predisposti, cisterne, pompe, erogatori, tubi di raccordo e simili) possono considerarsi verificate le condizioni che legittimano l’applicazione dell’art. 321 c.p.p., commi 1 e 2 restandone invece escluse le cose (autoveicoli o altri mezzi meccanici alimentabili anche con gasolio agevolato) in quanto non hanno un rapporto qualificato con il reato, già completo di tutte le sue componenti e, quindi, rappresentano, per gli interessati unicamente degli strumenti per fruire degli effetti positivi dell’illecito.

E, dunque, il ricorso va rigettato apparendo del tutto condivisibili in punto di diritto le considerazioni del tribunale.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione Rigetta il ricorso del pubblico ministero.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.