Cassazione, Sez. III, 8 marzo 2010, n. 9154 Atti sessuali con minore e attenuante della minore gravità del fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’Appello ha confermato la condanna inflitta all’imputato – odierno ricorrente – per il reato di atti sessuali in danno della minore degli anni omissis M.D.S., consistito nell’abbracciata, darle baci sulla bocca e, comunque, amoreggiare con lei.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso tramite il proprio difensore, deducendo:

1) vizio di motivazione perché illogica, carente e/o contraddittoria. A riprova di ciò, il ricorrente ripercorre le emergenze processuali sottolineando come, nei fatti, non vi fosse per nulla quella connotazione di clandestinità che si cerca di insinuare, che l’imputato nutriva effettivo trasporto sia verso la piccola M. che verso il fratellino tanto da porre in essere i comportamenti censurati alla luce del sole ed anche in presenza della madre dei bambini.

A tale riguardo, si censura il fatto che la Corte non abbia voluto rinnovare il giudizio mediante l’audizione della donna.

Ci si diffonde, poi, nel sottolineare come i fatti svolgessero in un clima di naturalezza e che anche quando i bambini andavano sul letto dell’imputato non era lui a cercarli ma loro a disturbarlo mentre riposava. Anche i baci sulla bocca vengono riferiti sia da S. che da M. come “normali” e, comunque, anche i biglietti affettuosi che l’uomo inviava erano aperti e contenevano attestazioni di affetto verso tutti e non solo M.;

2) mancanza della prova dell’elemento psichico tenuto anche conto del modesto livello intellettivo dell’imputato che è risultato persona molto semplice;

3) violazione di legge per insussistenza della condotta incriminata perché i comportamenti dell’imputato sarebbero stati del tutto privi di una connotazione sessuale per assenza di qualsivoglia attentato alle parti intime della bambina;

4) violazione di legge per non esser stata data applicazione all’ipotesi attenuata vista la modesta compromissione della libertà sessuale della vittima la quale anche in seguito non ha mostrato di vivere l’esperienza in maniera particolarmente traumatica ma, seguita dalle psicologhe, ha semplicemente rivisitato la vicenda in chiave critica senza nutrire sentimenti di rancore verso l’uomo con il quale qualche bacio o carezza non erano stati alcun gioco perverso.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata o, in subordine, il riconoscimento dell’attenuante di cui al 3 comma dell’art. 609 bis c.p..

2. Motivi della decisione – Il ricorso merita parziale accoglimento nei termini che vengono precisati di seguito.

2.1. Certamente inaccoglibile è il primo motivo che punta ad una rivisitazione dell’intera vicenda con l’auspicio che questa S.C. pervenga a conclusioni differenti rispetto a quelle tratte dai giudici di merito.

Siffatto modo di procedere è, però, non accettabile in sede di legittimità ove l’unico controllo consentito sulla motivazione afferisce alla logica della chiave interpretativa ed alla verifica che essa si basi su un esame completo di tutte le emergenze processuali.

È innegabile che molti eventi sono suscettibili di diverse “letture”, a volte anche antitetiche ma ugualmente sostenibili ma, nella misura in cui una delle possibili interpretazioni dei fatti è sviluppata in maniera consequenziale e non manifestamente illogica, il sistema delle impugnazioni preclude la possibilità di optare per una soluzione alternativa, sia pure anch’essa ugualmente logica, se non a rischio di trasformare il giudizio dinanzi a questa S.C. in un terzo grado di merito.

Siffatti concetti sono stati reiteratamente enunciati da questa S.C. (tra le ultime, Sez. II 11.1.07, Messina, Rv. 235716; Sez. VI 17.10.06 Ouardass, n. 37270; Sez. IV, 17.9.04 n. [omissis], Cricchi, Rv. 229690) e valgono più che mai in una vicenda come la presente in qualche modo “diversa” dalle molte altre relative alla stessa imputazione caratterizzate prevalentemente da condotte più univocamente definite e da una prevaricazione della sfera sessuale della vittima decisamente più ampia e, magari, anche violenta.

Il caso in esame, invece, si “colora” peculiarmente, sia per la personalità dell’imputato (oggettivamente di modesto livello intellettivo), che per l’intero contesto di sostanziale emarginazione e povertà (soprattutto culturale) di tutti i protagonisti (come si intuisce dalla complessiva “promiscuità” di coabitazione indotta anche dalla scarsità di ambienti abitabili) in cui una serie di “manifestazioni di affetto” (quelle dell’imputato) vengono esasperate sì da sconfinare rispetto ai parametri della stessa tutela penale.

Ciò viene attentamente esaminato e letto con rigore dai giudici di merito ai quali non possono essere mosse censure motivazionali perché il loro argomentare sul punto è rispettoso dei fatti e dei principi giurisprudenziali.

Come sottolinea anche la Corte, con riferimento alla decisione del Tribunale, vi è stata una “meticolosa ricostruzione dei fatti oggetto di causa ed un’attenta lettura delle prove acquisite” sì che non può a questo punto essere rivista la conclusione secondo cui B. aveva “nutrito una morbosa ed anomala passione verso la piccola D.S.M., all’epoca minore degli anni omissis, coinvolgendola in una singolare relazione che aveva avuto come sfondo la situazione di grave degrado nella quale si trovavano entrambi i nuclei familiari ai quali, protagonisti e comprimari della vicenda, appartenevano”. Nel confermare tale conclusione la Corte richiama, in particolare, le deposizioni e l’insieme delle prove acquisite tra le quali, segnatamente, le parole dei fratellini D.S. durante l’incidente probatorio che, unitamente alle riprese filmate eseguite dallo stesso minore L.S., depongono per comportamenti abituali da parte del B. consistenti in baci, anche sulla bocca, e carezze sul corpo verso la minore.

Questa S.C. ha già avuto modo, in più occasioni, di qualificare “atto sessuale” persino il bacio a labbra chiuse (Sez. III, 4.12.98, De Marco, Rv. 212821; Sez. III, 15.11.05, Beraldo, Rv. 233115) ed è stato puntualizzato che detta connotazione può essere esclusa “solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto” (Sez. III, 13.2.07, Greco, Rv. 236964).

Nessun vizio è dunque ravvisabile nel modo in cui il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, hanno “fotografato” una vicenda sicuramente “al limite” ma non scevra di connotazioni allarmanti e correttamente interpretabili nel senso dell’accusa.

Per altro, se è pur vero che il bacio è gesto che può essere espressione di molteplici sentimenti – e che, giustamente è stata sottolineata a suo tempo (sez. III 27.4.98, Di Francia, Rv. 210975) la necessità di considerare le circostanze di tempo e di luogo in cui il bacio viene dato, le modalità e la zona prescelta nonché le condizioni dei due soggetti, attivo e passivo – a fortiori, l’applicazione di questi principi conduce legittimamente alle conclusioni della Corte d’Appello. Deve, infatti, aversi presente che i baci sulle labbra che il B. dava alla piccola non erano le sole manifestazioni di un “affetto” un po’ “particolare” come testimonia – commenta la Corte – lo “sconcertante contenuto della lettera che il B. ha scritto alla bambina ove sono usate espressioni quali “ti amo”, “mi manchi sempre amore”, “sono pazzo di te” che, come correttamente ha osservato il giudice di primo grado, evidenzia(no) che il legame che lo univa alla piccola fuoriusciva dai canoni della normalità di un rapporto tra un adulto ed una bambina”.

Ed è, appunto, questo, il “dettaglio” da non dimenticare nel qualificare la natura dei baci che venivano dati nel caso in esame, vale a dire il fatto che essi provenivano da un uomo adulto verso una bambina di età inferiore a omissis anni. Conseguentemente, è innegabilmente corretto ed obiettivo il rilievo fatto dai giudici di appello che “oltre ogni sofisma argomentativo”, un tale comportamento da parte dell’imputato denuncia “un atteggiamento relazionale che va al di là di ogni sentimento lecito e di rapporto consentito tra le due persone così diverse di età”.

La qual cosa risulta comprovata dall’ulteriore considerazione che, in base alla disciplina dei reati sessuali introdotta con la legge 15 febbraio 1996 n. 66, l’illiceità dei comportamenti deve essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana e della loro attitudine ad offendere la libertà di determinazione della sfera sessuale.

Quest’ultima è, pertanto, disancorata dall’indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, “in quanto punto focale è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona, che ne è titolare” (sez. III 27.4.98, Di Francia, Rv. 210975). Il fatto che tali condotte fossero poste in essere nei confronti di una bambina di poco meno di omissis anni, “illumina” in modo decisivo posto che sicuramente, la bambina non aveva parametri propri per percepire la “stranezza” dell’agire di B. sì da poter anche – così come il proprio fratellino – “scambiare” il gesto come espressione di normalità ed accedere allo stesso ricambiando. La qual cosa, tuttavia non può essere interpretata come testimonianza di “normalità” di comportamenti obiettivamente scorretti ed irrispettosi di una libertà asessuale ancora non sufficientemente matura per “distinguere” e difendersi.

A tale stregua, pur potendosene tener conto ad altri fini, il richiamo fatto dal ricorrente alle condizioni oggettive e soggettive del fatto, è inconferente per decidere sulla sussistenza del reato ipotizzato posto che l’anomalia comportamentale dell’imputato era di un tasso tale da incidere indubitabilmente sulla sfera sessuale della minore al punto che – come ricorda la Corte – una volta scoperti i fatti in esame, la bambina “ha formato oggetto nella comunità che l’ospitava, di un progetto mirante a ricondurla ad una base di normalità (v. dichiarazioni. T. M. A., ud. 25.5.2007 fg. 15)”.

Da ultimo, deve soggiungersi che, per giurisprudenza costante (sez. I n. 8511/92, Russo Rv 191507; Sez. VI n. 6873/93, Rizzo, Rv. 195141; Sez. VI 15.3.96, Riberto, Rv. 205673) la rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Non può, quindi, essere censurata la sentenza impugnata nella quale, invece, sono stati indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non è stata reputata necessaria (f. 4).

2.2. Le considerazioni che precedono conducono ad una sicura reiezione anche del secondo e terzo motivo che, oltre ad essere alquanto apodittici nella loro enunciazione, trovano sostanziale smentita in tutto quanto fin qui esposto.

2.3. Resta, invece, da osservare che, in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale del penultimo comma dell’art. 609 quater (quarto motivo), le ragioni della Corte non risultano pienamente soddisfacenti sul piano dialettico né coerenti con le premesse – enunciate dalla stessa Corte d’Appello – secondo cui avrebbe dovuto essere operata una “valutazione globale del fatto”, così come affermato ripetutamente anche da questa S.C. (ex multis, Sez. III, 19.12.06, Sala, Rv. 236024).

Si constata, infatti, che i giudici di merito, pervengono ad una reiezione del terzo motivo di appello (avente ad oggetto l’attenuante in parola) solo evocando una situazione “potenzialmente sconvolgente, capace di turbare in maniera irreversibile il suo (della bimba n.d.r.) equilibrio”. Invero, però, l’affermazione è sfornita di adeguati riscontri non essendovi stato alcun accertamento tecnico né risultando sufficiente il fatto – richiamato in precedenza – che l’istituto ove la bimba era ospitata ritenne opportuno predisporre una sorta di “progetto di recupero”; la cosa, infatti, in sé, può essere meramente indicativa della ragionevole ipotesi dell’esistenza di un danno da riparare ma non ne attesta certo l’entità.

Deve, invece, rammentarsi che l’attenuante in discussione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato.

In realtà, l’argomentare della Corte d’Appello, a riguardo, si risolve solo in una serie di supposizioni come quella prima citata ovvero nel richiamare mere “impressioni” tratte dai consulenti del P.M. nel corso dei colloqui con la bimba.

Posto che, evidentemente, una volta affermata la sussistenza del reato è intuibilmente conseguenziale ipotizzare una lesione del bene protetto, di fatto, nel negare l’attenuante in parola, si è finito tautologicamente per richiamare l’esistenza del danno ma senza nulla dire sulla sua effettiva estensione.

Pur nella comprensibile difficoltà di operare la valutazione di cui si discute, non si deve, poi, dimenticare che, di certo, non è neppure sufficiente il richiamo all’età della persona offesa perché, diversamente, si finirebbe per vanificare la operatività della disposizione (prevista anche per gli atti sessuali con minorenni) e va anche considerato che questa S.C. (sez. III, 11.5.06, Aiello, Rv. 236266) ha ammesso che, in taluni casi, l’età del minore possa costituire un motivo per negare l’attenuante ma che deve trattarsi di età particolarmente tenera (lett. “se di gran lunga inferiore al limite dei dieci anni”) e da considerare non disgiunta da altri fattori.

Per altro, questa Corte di legittimità ha avuto occasione di soffermarsi anche sul profilo della ricerca di parametri ai quali ancorarsi per la decisione sull’attenuante speciale del 3 comma dell’art. 609 bis (e del corrispondete 4 comma dell’art. 609 quater) indicando l’opportunità, e la possibilità, di fare riferimento ai criteri della prima parte dell’art. 133 c.p. (sez. IV 4.5.07, Lasco, Rv. 236730) precisando che “ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale del fatto di minore gravità, non possono venire in rilievo gli ulteriori elementi di cui al comma secondo dello stesso articolo 133, in quanto utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena”.

Avendo presenti i dettami della disposizione appena citata, risulta ancora più evidente la insufficienza della motivazione della sentenza impugnata che, oltre a non avere adeguatamente risposto sulla “gravità del danno” (art. 133, prima pt. n. 2) – meramente ipotizzato come “potenzialmente sconvolgente” senza però fondare su rilevazioni scientifiche – nulla dice con riferimento alla natura, al tempo al luogo e a tutte le modalità dell’azione né si esprime sulla intensità del dolo.

Inevitabile è la conclusione che, sia pure limitatamente al giudizio sulla attenuante speciale, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta perché rivaluti la situazione alla luce dei parametri e delle osservazioni fin qui svolte.

P.Q.M.

Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p. annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio sulla attenuante speciale di cui all’art. 609 quater comma 4 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 18-01-2011, n. 23 Bellezze naturali e tutela paesaggistica; Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 Con atto spedito per la notifica il 5 febbraio 2009 – depositato il successivo 12 – la ricorrente espone: (a) di esser proprietaria di parte di un fabbricato quadrifamiliare realizzato nel comune di Castel Gandolfo prima del 1950, inserito in zona agricola di p.r.g., collocato su una scarpata formatasi per effetto dell’esercizio di attività estrattiva, avente accesso alla via pubblica (strada provinciale ad alto scorrimento, posta ad un dislivello di mt. 13 circa dal predetto fabbricato) a mezzo di una scalinata, deteriorata ed alloggiata nella rientranza della parete rocciosa; (b) che ha presentato istanza per il rilascio del permesso a costruire opere preordinate al superamento delle barriere architettoniche quali un ascensore in sostituzione della predetta scalinata e quattro posti macchina nonché domanda tesa ad acquisire il preliminare nulla osta di cui alla L.R. 59/1995; (c) che la commissione edilizia integrata, nel corso della seduta del 12 settembre 2008 ha espresso avviso favorevole ed il comune ha adottato la determina n. 508 del 19 settembre 2008, poi annullata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

1.1 Impugna quindi in sede introduttiva tale ultimo provvedimento, deducendo: violazione e falsa applicazione artt. 146 e 159 D. Lgs. 42/2004 in relazione all’art. 4 L. n. 13/1989 ed agli artt. 3, comma 2, e 32 Cost. – eccesso di potere per carenza di motivazione – violazione e falsa applicazione art. 97 Cost. in tema di buon andamento e correttezza dell’azione amministrativa – eccesso di potere per errore nei presupposti, carenza istruttoria – manifesta ingiustizia – disparità di trattamento -.

2 Con ordinanza n. 93 del 26 febbraio 2009, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare ai fini del riesame.

3 L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita con atto di stile depositato il 14 marzo 2009.

4 Con atto spedito per la notifica il 24 giugno 2009 – depositato il successivo 26 -, la ricorrente ha proposto istanza di esecuzione dell’accordata tutela cautelare, alla quale ha corrisposto la Sezione con ordinanza n. 341 del 23 luglio 2009.

5 Con motivi aggiunti, spediti per la notifica il 18 dicembre 2009 – depositati il 22 successivo -, la ricorrente ha poi impugnato la nota prot. n. 0019848 del 23 novembre 2009 con la quale, a definizione del riesame disposto con ordinanza n. 93/2009, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha nuovamente negato l’approvazione del progetto.

6 Con atto spedito per la notifica il 23 dicembre 2009 – depositato il successivo 24 -, la ricorrente ha proposto istanza cautelare, negativamente definita con ordinanza n. 26 del 29 gennaio 2010.

7 La ricorrente ha quindi prodotto documentazione e memoria conclusiva (24 settembre; 2 e 13 ottobre 2010). L’Avvocatura Generale dello Stato ha versato documentazione (14 ottobre 2010).

8 Alla pubblica udienza del 4 novembre 2010 il ricorso è stato chiamato e, dopo la discussione, è stato introdotto per la decisione.

Motivi della decisione

1 L’esame delle riprodotte censure implica una necessaria evidenziazione degli elementi che connotano la vicenda.

2 In via preliminare occorre porre in risalto che il progetto non è preordinato solo al superamento delle barriere architettoniche ma anche alla realizzazione di quattro posti auto interrati e fuori terra.

2.1 Tanto premesso, dalla relazione paesistica all’uopo predisposta si desume che: (a) l’intervento ricade nel PTP Ambito territoriale n. 9 "Castelli romani" – zone boscate non compromesse", nelle quali "… è ammessa soltanto la ricostruzione degli edifici esistenti con materiali tipici della zona e con il mantenimento dei volumi e delle superfici utili, nonché l’esecuzione di interventi per la sistemazione idrogeologica delle pendici (…) In ogni caso gli interventi da prevedere dovranno essere realizzati in maniera da non creare impatto con l’ambiente circostante, ovvero con materiali idonei per natura, tipo, colore."; (b) quanto all’adottato PTPR lo stesso ricade in zona di "paesaggio naturale di continuità "4. Subordinatamente a valutazioni di inserimento paesistico in tali aree possono essere realizzate infrastrutture e/o servizi strettamente necessari a garantire la fruizione dei beni e delle aree di interesse naturalistico…".

2.2 L’autorizzazione n. 508 del 19 settembre 2008 richiama quindi, ai fini della prescritta compatibilità, il parere reso dall’esperto in sede di commissione edilizia integrata così formulato: "esaminati gli atti, trattasi di sistemazione di area di pertinenza in stato di degrado, si prevede la realizzazione di due posti auto scoperti e di un ascensore a servizio dell’edificio, si esprime parere favorevole con la prescrizione che i rivestimenti in peperino vengano realizzati ad opera incerta con blocchi grezzi.".

3 Con il primo provvedimento il ministero, dopo aver richiamato la caratterizzazione dell’area in base al PTP n. 9 ed al PTPR adottato, ha motivato l’annullamento in quanto: "L’intervento risulta incompatibile con le caratteristiche del sito interessato, nei confronti del quale, invece di ricucire organicamente le sistemazioni esterne al fine di valorizzarne le caratteristiche intrinseche, assolve al mero problema funzionale senza armonizzazione con il contesto, in una soluzione rigida e sostanzialmente peggiorativa dello stato di fatto. L’ascensore, inoltre, per posizionamento e condizioni di visibilità dell’impianto medesimo si pone come elemento difficilmente assorbibile dal paesaggio contermine, costituendo anche, peraltro, un precedente di riferimento per interventi dello stesso tipo.". Con il provvedimento reso poi in esito al riesame disposto in sede cautelare, il ministero ha ribadito il carattere pregiudizievole del progettato intervento rispetto al contesto ambientale, non escludendo ".. di poter ripresentare ulteriore ed idoneo progetto che tenga conto delle prescrizioni normative in materia citate.".

4 La domanda di annullamento è stata introduttivamente argomentata con riferimento: (a) alla violazione dell’articolo 4 della legge 13/1989 disciplinante gli interventi atti al superamento delle barriere architettoniche ove ricadenti in immobili vincolati, interventi che possono essere negati solo a fronte di gravi pregiudizi nel caso insussistenti, stante la progettata collocazione dell’ascensore nella rientranza di una scarpata artificiale, generata da attività antropica ed in ambito non soggetto ad inedificabilità assoluta; (b) alla circostanza per la quale l’adottato PTPR, in maniera più aggiornata rispetto al PTP ed al PRG, ammetterebbe interventi infrastrutturali necessari alla fruizione dei beni (articolo 23 e tabella B, punto 2.2); dal che deriverebbe che il parere reso dall’autorità in sub – delega è motivato, immotivato sarebbe invece l’annullamento tutorio; (3) all’eccesso di potere per disparità di trattamento, rilevando che analoghi interventi sono stati autorizzati. Con i motivi aggiunti ha poi dedotto che: (a) vi sarebbe sostituzione e sovrapposizione della valutazione rispetto a quella espressa dal comune in sub – delega; (b) evidente sarebbe il difetto di istruttoria e di motivazione perché nel rideterminarsi, l’amministrazione non avrebbe correttamente valutato gli avvisi favorevoli e la già prospettata violazione dell’articolo 4 della legge 13/1989; (c) la normativa non impedirebbe in assoluto l’iniziativa edificatoria perché, se la destinazione a "zona boscata" di cui al PTP n. 9 consente solo determinati interventi, il PTPR ora adottato per il "paesaggio naturale di continuità" all’articolo 23 ed alla tabella B punto 2.2, abiliterebbe alle trasformazioni interessanti l’accessibilità; (d) troverebbe ancora un volta conferma l’indicata disparità di trattamento.

5 L’esame delle riprodotte censure, implica una sintetica indicazione dei principi interessanti il rapporto tra le valutazioni rimesse all’autorità sub – delegata, titolare del potere di gestione del vincolo e quelle proprie del controllo sull’atto autorizzativo.

5.1 Quanto al primo aspetto, per costante affermazione, l’autorità sub – delegata ad adottare il nulla osta paesaggistico deve motivare l’autorizzazione in modo tale che emerga l’apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta e tanto a mezzo di una motivazione che dia adeguata contezza di tale circostanza e sia logicamente congrua. In relazione al secondo, è stato sottolineato (cfr. anche Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 367) che la normativa non attribuisce "all’amministrazione centrale un potere di annullamento del nulla – osta paesaggistico per motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il titolo autorizzativo, ma riconosce ad essa un controllo di mera legittimità, che peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra cui anche l’eccesso di potere". Da tali acquisizioni si è tratto che i provvedimenti adottati in materia di rilascio del nulla – osta devono ritenersi affetti da violazione di legge per difetto di motivazione, allorquando gli stessi non siano supportati da valutazioni concrete, ma da affermazioni generiche, (tra le altre Consiglio di Stato, VI, 8 agosto 2000, n. 4345 e 26 aprile 2000, n. 2500).

6 L’applicazione di tali principi rapportata alla consistenza delle valutazioni effettuate dal comune, conduce alla reiezione della domanda.

7 Come anticipato la ricorrente lamenta innanzitutto la violazione dell’articolo 4 della legge 9 gennaio 1989 n. 13 che, per il caso di interventi di cui al precedente articolo 2 interessanti immobili soggetti al vincolo di cui all’articolo 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, prevede: (a) "4. L’autorizzazione può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato. 5. Il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l’opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall’interessato.". In relazione a tanto la stessa lamenta la mancanza, in sede tutoria, di indicazioni atte a palesare le specifiche e singolari ragioni di diniego di cui al riprodotto comma 5.

7.1 Il motivo non è fondato. La norma invocata disciplina gli interventi destinati al superamento delle barriere architettoniche da effettuare su immobili vincolati ed esplicita le ragioni, da indicare specificamente, per le quali può esser negata l’autorizzazione paesaggistica; la stessa rileva ai fini del procedimento preordinato al rilascio e/o al diniego del titolo ed interessa quindi la gestione diretta del vincolo di pertinenza dell’autorità sub – delegata. Il che evidentemente non interessa l’attuale vicenda che si colloca sul versante del controllo di legittimità, in via amministrativa, della autorizzazione rilasciata; da tanto deriva allora che occorre stabilire logicamente in via prioritaria se il rassegnato giudizio sia legittimo alla stregua dei riferimenti su indicati da rapportare appunto alla consistenza della valutazione effettuata dal comune e della verifica ministeriale.

7.2 Come anticipato l’autorizzazione comunale richiama il parere dell’esperto ambientale per il quale, "esaminati gli atti, trattasi di sistemazione di area di pertinenza in stato di degrado, si prevede la realizzazione di due posti auto scoperti e di un ascensore a servizio dell’edificio, si esprime parere favorevole con la prescrizione che i rivestimenti in peperino vengano realizzati ad opera incerta con blocchi grezzi."; il ministero ha opposto che nella fattispecie il comune ha dato esclusivo rilievo al profilo funzionale dell’intervento in quanto, anche dagli esiti del sopralluogo, sarebbe emerso che la soluzione proposta "… assolve al solo problema funzionale senza armonizzazione con il contesto…". In altri termini in detta sede è stato rilevato che l’autorità subdelegata ha valutato l’intervento solo in relazione al fine al quale lo stesso è destinato senza alcuna valutazione dell’impatto, quindi dell’armonizzazione ambientale dello stesso.

7.3 Da siffatte indicazioni, deve allora indicarsi che l’annullamento tutorio risulta correttamente motivato proprio in ragione della accertata circostanza per la quale in sede subdelegata non è stata concretamente verificata alcuna compatibilità paesaggistica, la quale non può certamente esser ricondotta alla descrizione del complesso dell’intervento o alla parziale indicazione del materiale da utilizzare nei rivestimenti. In realtà, il nulla osta comunale rapportato al parere su riprodotto non contiene né motivazione né, soprattutto, istruttoria in ordine alla valutazione di compatibilità paesaggistica dell’opera; correttamente quindi, l’amministrazione statale, in sede di controllo nel caso privo di valutazioni di merito non consentite, ha stigmatizzato il relativo provvedimento.

7.4 L’assenza di ogni valutazione in sede subdelegata, esclude poi l’attendibilità della tesi incentrata sulla non consentita sostituzione e/o sovrapposizione del giudizio di compatibilità da parte dell’autorità tutoria le cui indicazioni interessanti le ricadute, sui valori tutelati, del progettato intervento hanno l’evidente fine di rappresentare i parametri in base ai quali detta valutazione avrebbe dovuto esser compiuta dal comune.

8 Con altre censure la ricorrente ha lamentato l’illegittimità dei dinieghi opposti prospettando, con propria documentazione, la tesi dell’ammissibilità dell’intervento in relazione alle disposizioni del PTP e dell’adottato PTPR.

8.1 Anche tale motivo è infondato. Ed, infatti, posto che i provvedimenti impugnati sono immuni dalle censure interessanti i contenuti del potere di controllo anche con riferimento alla lamentata sostituzione e/o sovrapposizione delle valutazioni, è evidente che l’apprezzamento di quanto proposto con la documentazione tecnica depositata, non rileva in termini di possibile illegittimità dei provvedimenti ministeriali che appunto attengono alla verifica degli atti di gestione del vincolo.

9 Con un ultimo motivo la ricorrente deduce l’eccesso di potere per disparità di trattamento e per difetto di istruttoria in relazione all’omessa considerazione di tutti gli altri assensi acquisiti. Anche detto duplice profilo di censura è infondato, potendosi sinteticamente opporre: (a) al primo che – a prescindere dal fatto che il tertium comparationis interessa solo l’impianto di un ascensore, mentre nel caso la domanda attiene anche alla costruzione di posti auto interrati e fuori terra -, non è da escludere che nella vicenda richiamata dall’interessata vi sia stata una gestione del vincolo da parte del comune in linea con i paradigmi imposti ed assenti nel caso, quindi un corretto e motivato giudizio di compatibilità; (b) al secondo che gli assensi sono successivi alla prima determina comunale e che non ne è stata comunque dimostrata la produzione degli stessi in sede di riesame.

10 Il ricorso va quindi respinto. le spese di giudizio possono esser compensate in ragione della mancanza di attività difensiva da parte della Avvocatura dello Stato che si è limitata a depositare documentazione.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4776 Istituti di prevenzione e di pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 23 marzo 2010, il Magistrato di Sorveglianza di Verona dichiarava inammissibile il reclamo avanzato nell’interesse di Z.A. avverso il provvedimento 15 gennaio 2010 con cui il Consiglio di Disciplina della Casa Circondariale di (OMISSIS) gli irrogava una sanzione disciplinare per atteggiamento offensivo e intimidatorio.

2. – Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Z.A. chiedendone l’annullamento per errori connessi alla procedura da seguire oltre che per irregolarità relative alla costituzione dell’organo disciplinare e alle condizioni di esercizio del potere disciplinare stesso.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1 – Deve premettersi che l’ambito del controllo demandato al Magistrato di Sorveglianza in sede di decisione sul reclamo avverso l’irrogazione di una sanzione disciplinare è stato oggetto di perimetrazione da parte della giurisprudenza di questa Corte di legittimità che ha avuto modo di precisare che il compito di detto magistrato è circoscritto alla verifica dell’osservanza delle norme riguardanti l’esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell’organo disciplinare oltre che la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa (Cass., Sez. 1, 4 novembre 2004, n. 46051, Gangi, rv. 230206; Sez. 1, 28 aprile 1997, Bucinca, rv.

207679) con esclusione di qualsivoglia questione che attenga al merito della sanzione.

3.2. – Ciò posto, deve osservarsi che il ricorso dello Z. denuncia sì, nella fattispecie, vizi procedurali attinenti alla irrogazione detta, ma li eleva solo in questa sede di presentazione del ricorso di legittimità, e dunque in modo intempestivo e inammissibile; dinanzi al Magistrato di Sorveglianza il reclamo disquisiva invece, quale suo contenuto, su mere questioni di merito, neppure esse ricevibili per quanto sopra evidenziato, tanto da essere per questo dichiarato da quel giudice inammissibile. Inoltre il gravame non avversa neppure, sul punto della declaratoria di inammissibilità, la parte motivazionale del provvedimento impugnato dimostrando così di non essere correlato al contenuto del medesimo.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-04-2011, n. 8375 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– Che con atto notificato il 20 ottobre 1994 F.I. conveniva la SO.FI Coop s.r.l. davanti al Tribunale di Napoli, chiedendo che fosse emessa in suo favore la sentenza ex art. 2932 c.c., in relazione ad un contratto preliminare con il quale la convenuta le aveva promesso in vendita un appartamento realizzato su terreno alla stessa concesso in proprietà dal Comune di Somma Vesuviana a seguito di convenzione stipulata ai sensi della L. 22 ottobre 1971 n. 865, art. 35;

– che la convenuta, costituitasi, deduceva le la mancata stipula del contratto definitivo era da imputare all’inadempimento dell’attrice, per cui chiedeva la risoluzione del contratto preliminare. che con sentenza in data 26 ottobre 2007 il Tribunale di Napoli rigettava sia la domanda ex art. 2932 c.c. che la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto preliminare;

che la SO.FI Coop s.r.l. proponeva appello principale. che F.I. proponeva appello incidentale;

– che con sentenza in data 13 novembre 2007 la Corte di appello di Napoli dichiarava la nullità del giudizio di primo grado ex art. 354 cod. proc. civ., rimettendo la causa al Tribunale di Napoli, sul presupposto che il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato nei confronti dei proprietari delle aree sulle quali era stato realizzato il complesso immobiliare di cui faceva parte l’appartamento all’origine della controversia e l’ente espropriante;

– che contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione, con due motivi, la SO.FI Coop. s.r.l. e la Città del Mare s.r.l., alla quale la prima ha venduto l’appartamento oggetto del giudizio con atto in data 13 febbraio 2006. che F.I. resiste con controricorso;

Rilevato:

– che non è stata depositata copia integrale della sentenza impugnata;

– che, in particolare, mancano le pagine relative alla motivazione;

che secondo la giurisprudenza di questa S.C. all’omessa produzione della copia autentica deve essere equiparata la produzione di copia non integrale della sentenza impugnata che non consente di esaminare le ragioni poste dal giudice di appello a base della pronuncia impugnata (cfr. sente. 3 agosto 2006 n. 17587; 14 luglio 2003 n. 1105);

Ritenute:

– che il ricorso va dichiarato improcedibile, con condanna delle società ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.