T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 08-02-2011, n. 1226 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ificato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 2603 del 2009, il giudice di pace dell’Ufficio del Giudice di Pace di Roma, Sede Distaccata di Ostia, accoglieva il ricorso in data 13 maggio 2008, con il quale il ricorrente proponeva opposizione ex art. 22 della legge n. 689/1981 avverso l’ordinanza ingiunzione di pagamento n. 00091070036412 Area III ter, emessa in data 13.02.2008 per il Prefetto della Provincia di Roma, afferente il verbale n. 1306164171 del 26.10.2006, redatto dalla Polizia Municipale di Roma, e, per l’effetto, annullava le sanzioni amministrative di cui alla già citata ordinanza ingiuntiva.

Nel contempo, condannava "l’Ufficio Territoriale del Governo di Roma al pagamento delle spese processuali", liquidate in favore della parte ricorrente in Euro 200,00 per diritti ed onorari, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali come per legge.

2. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente domanda l’esecuzione della suddetta sentenza n. 2603/09, notificata all’Amministrazione in data 21 dicembre 2009 e – in carenza di impugnazione – divenuta irrevocabile.

In particolare, lamenta che – nonostante l’avvenuta notifica di atto di precetto in data 28 maggio 2010 nonché di atto di diffida e messa in mora in data 28 luglio 2010 – l’Amministrazione non ha ancora provveduto al pagamento della somma liquidata dal giudice di pace a titolo di spese processuali e, dunque, chiede a questo Tribunale di assegnare a quest’ultima un termine "per dare integrale e completa esecuzione al decreto ingiuntivo di cui in epigrafe".

La Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Roma si è costituita con atto depositato in data 19 novembre 2010, astenendosi – nel prosieguo – dalla produzione di memorie e/o documenti.

Alla camera di consiglio del 16 dicembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto nei termini di seguito indicati.

Nel caso di specie, è evidente che ricorre una sentenza del giudice di pace che non risulta autoapplicativa in toto, posto che richiede l’attivazione dell’Amministrazione in relazione alla corresponsione delle spese di giudizio liquidate dal predetto giudice.

In altri termini, ricorre una pronuncia che – in quanto comportante l’obbligo per l’Amministrazione di procedere al pagamento delle su citate spese – sicuramente impone che la realtà materiale e giuridica venga mutata alla stregua di quanto deciso sotto tale specifico profilo.

Ciò detto, il Collegio rileva che:

– posta la sussistenza del predetto obbligo, non si ravvisano elementi per ritenere che l’Amministrazione resistente abbia proceduto al pagamento dovuto;

– va, dunque, riconosciuto l’obbligo per l’Amministrazione de qua di ottemperare al giudicato, conformandosi alla sentenza del giudice di pace n. 2603 del 2009 mediante il pagamento delle spese processuali, atteso che non vi ha ancora provveduto, nonostante il decorso del termine di 30 giorni previsto nell’atto di diffida e messa in mora, ai sensi dell’art. 90 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642.

Come già si trae da quanto sopra riportato, il pagamento va limitato alla somma prevista nella sentenza del giudice di pace n. 2603 del 2009 e, più in generale, alla somma relativa a spese di lite che trovano titolo in tale provvedimento giudiziale (ossia, spese di esame, copia e notificazione della sentenza e, ancora, spese relative all’atto di diffida) e per nulla può investire- a differenza di quanto indicato dal ricorrente nell’atto di diffida e messa in mora, ove ricorre la somma di Euro 538,62, già riportata nell’atto di precetto – spese riguardanti il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 e ss. c.p.c., atteso che l’uso di strumenti di esecuzione diversi dall’ottemperanza al giudicato è imputabile soltanto alla libera scelta del creditore (cfr., tra le altre, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 11 maggio 2010, n. 699; TAR Lazio, Latina, Sez. I, 22 dicembre 2009, n. 1348; TAR Sardegna, 14 ottobre 2003, n. 1214).

In definitiva, si impone l’obbligo per la Prefettura – U.T.G. di Roma di conformarsi alla sentenza n. 2603/2009, divenuta irrevocabile poiché mai impugnata, provvedendo al pagamento delle spese processuali, "liquidate in Euro 200,00, oltre IVA e CPA e rimborso spese generali come per legge", eventualmente maggiorate di ogni ulteriore spesa che – comunque – trovi titolo nello stesso provvedimento giudiziale, nei termini già indicati.

A tale fine assegna il termine di 30 (trenta) giorni, decorrenti dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, decorso il quale provvederà il Commissario ad acta all’uopo nominato da questo Tribunale su apposita istanza del ricorrente, regolarmente notificata alla controparte.

Le spese di lite, che il Collegio liquida in Euro 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) accoglie il ricorso n. 9768/2010 e, per l’effetto, ordina alla Prefettura di Roma – U.T.G. di ottemperare al giudicato di cui alla sentenza del giudice di pace n. 2603/2009, meglio indicata in epigrafe, entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, procedendo al pagamento delle spese processuali aventi titolo nella sentenza de qua, con l’avvertenza che – in caso di protrarsi dell’inottemperanza oltre detto termine – si provvederà alla nomina di un commissario ad acta su istanza del ricorrente, ritualmente notificata alla controparte.

Condanna la Prefettura di Roma – U.T.G. al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del ricorrente in Euro 1.500, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-04-2011, n. 9060 Parti comuni dell’edificio

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Svolgimento del processo

Con atto notificato il 18.1.80 la società Elettronica Industriale s.r.l. citò al giudizio del Tribunale di Milano la società Immobiliare Galdino s.a.s. di Aurelio Quagliotti & C.,al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti all’abbattimento di alberi di altro fusto e danneggiamento di impianti in un cortile-giardino comune, interposto tra gli immobili delle parti.

La domanda, cui aveva resistito la convenuta, sulla scorta delle prove testimoniali e della consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 12:9-4.10.01,venne accolta, nella misura di L. 8.595.000, oltre rivalutazione, interessi e rimborso delle spese di lite. Proposto appello dalla soccombente, resistito dall’appellata, con proposizione di appello incidentale, con sentenza del 26.5- 16.7.04, la Corte di Milano, respinse i reciproci gravami e condannò l’appellante principale alle spese,in misura di 5/6 compensandole per il resto.

Tali, in sintesi, le ragioni della suddetta decisione:

a) era pacifica la circostanza che la convenuta avesse, nel luglio 1988, proceduto all’abbattimento di alberi di alto fusto, arbusti e rampicanti, vegetanti nell’area interposta tra il proprio stabile e quello dell’attrice;

b) dal titolo d’acquisto dell’immobile della convenuta risultava la destinazione a cortile comune dello spazio interposto tra l’immobile ceduto e la restante proprietà del venditore,successivamente acquistata dall’attrice "con tutti gli inerenti diritti e pertinenze";

c) la questione,dibattuta in altri giudizi,dell’appartenenza dell’area in questione,non rilevava nella presente controversia,di natura risarcitoria,tenuto conto dell’accertata destinazione convenzionale a cortile comune, comprovata anche dalla documentata circostanza che alle spese di manutenzione del "giardinetto" avesse contribuito la convenutaci che escludeva anche la prescrizione del vincolo;

d) dalla prova testimoniale era emerso che gli alberi abbattutici pini di alto fusto erano tutti,tranne uno,in buone condizioni e correttamente piantati su "terra di copertura di solette", circostanze che escludevano anche l’addotta esimente di aver agito allo scopo di evitare danni a terzi per paventate cadute;

e) assolvendo detti alberi a funzione di pregio ambientale, igienico, sanitario ed estetico, il pregiudizio sofferto dall’attrice, in base al calcolo analitico esposto dal c.t.u., solo genericamente confutato dal ct. di parte convenuta ed altrettanto immotivatamente,per opposte ragioni,dall’appellante incidentale,andava commisurato al valore complessivo degli alberi, senza la riduzione al 50%, in subordine prospettata dall’appellante principale;

f) sfornita di prova era rimasta invece la residua pretesa risarcitoria,relativa al danneggiamento degli impianti di irrigazione e di illuminazione.

Contro la suddetta sentenza la società Immobiliare Galdino ha proposto ricorso per cassazione,affidato a quattro motivi.

Ha resistito la società Elettronica Industriale con controricorso, illustro con successiva memoria.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte "violazione e falsa applicazione dell’art. 832 c.c., nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione".

Premesso che il proprietario ha il diritto di godere della propria cosa in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con gli obblighi stabiliti dall’ordinamento,si lamenta che i giudici di merito non abbiano esaminato la prioritaria questione,costituente antecedente logico necessario di quella dibattuta nel presente giudizio, dell’appartenenza della striscia di terreno su cui insistevano gli alberi. A tal riguardo – si soggiunge – sarebbero stati dalla deducente prodotte,senza essere prese in considerazione,copie delle sentenze emesse in altri due processi, passate in giudicato,ad oggetto di pretese di trasferimento ex art. 2932 c.c., del cortile in questione,entrambe definite con esito negativo, la seconda altresì con pronunzia di risoluzione di una scrittura privata prevedente il trasferimento delle striscia alberata.

Il motivo non merita accoglimento,per la palese irrilevanza delle censure,posto che i giudici di merito hanno accolto la domanda non sulla base dell’accertamento della proprietà attrice,esclusiva o comune,sull’area in questione,bensì ritenendo la stessa convenzionalmente destinata a cortile, con la conseguente configurazione, quanto meno, di un diritto reale su cosa altrui,vale dire di una vera e propria servitù, comportante l’assoggettamento ad un vincolo pattizio, costitutivo di un peso sul diritto di proprietà dell’area e, correlativamente, di un vantaggio, a favore del fondo contiguo, destinato a ricevere aria e luce dal cortile.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1346, 1418 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione,per non essere stata dichiarata la nullità della convenzione sopra indicata,per indeterminatezza del relativo oggetto, non essendo possibile individuare, dal contenuto dell’atto, l’estensione ed i confini della striscia di terreno destinata a cortile.

Il motivo è inammissibile: a) perchè da ritenersi nuovo,non precisandosi (in assenza di alcuna menzione nella sentenza impugnata) in quale atto della fase di merito sia stata proposta la corrispondente eccezione che,seppur funzionale ad una nullità rilevabile di ufficio, implicherebbe un’indagine interpretativa,e quindi un accertamento di fatto,che non può essere compiuta in questa sede; b) per difetto,comunque, di autosufficienza, non essendo nel mezzo d’impugnazione riportato il preciso tenore letterale della clausola, così non consentendo a questa corte di valutare, la decisività del punto su cui vi sarebbe stata la dedotta carenza di motivazione.

Con il terzo motivo si deduce,in subordine, "violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366 c.c. nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione", sostenendosi che, anche nell’ipotesi di validità della clausola in questione, il vincolo avrebbe comportato soltanto l’obbligo di mantenere la destinazione dell’area "a cortile", vale a dire ad assicurare aria e luce agli immobili circostanti non anche, non essendo tanto previsto nella convenzione, ad adibire la stessa a giardino.

La censura è fondata.

Premesso che per "cortile" deve intendersi un’area scoperta compresa all’interno di un edificio,oppure tra due o più corpi di fabbrica,destinata a dare aria e luce agli ambienti circostanti (v., tra le altre nn. 7889/00, 2255/00, 1039/91), il supposto più ampio vincolo convenzionale di destinazione,connesso alla ritenuta natura di "giardino",vale dire di area adibita "a verde",in funzione estetica ed ambientale,non risulta giustificato dalla clausola contrattuale,riportata nella motivazione,in cui nessuna menzione figura di tale più ampia e specifica funzione, cui sarebbe stato adibito il "cortile comune" menzionato dalle parti. Nè avrebbe potuto il giudice di merito, vertendosi in ipotesi di costituzione di un diritto reale,i cui elementi essenziali avrebbero necessariamente dovuto rinvenirsi nell’atto scritto che ne costituiva la fonte,desumere tale destinazione,ancor più specifica di quella cortilizia nel senso proprio sopra precisato,desumerla dal successivo comportamento delle parti (nella specie dalla contribuzione da parte dell’attrice alle spese di manutenzione anche delle piante),che avrebbe potuto assumere rilevanza,ex art. 1362 c.c., comma 2, soltanto nell’ipotesi in cui il senso letterale delle espressioni adoperate dai contraenti avesse lasciato adito a dubbi,circa l’effettiva intenzione degli stessi. Avrebbero dovuto,invece,i giudici di merito,al fine di giustificare il convincimento che l’asservimento de quo fosse stato comprensivo dell’obbligo di conservare la vegetazione arborea, eventualmente già presente in sito, rinvenire altri elementi testuali nell’ambito del citato atto, idonei a connotare negli specifici termini ritenuti il costituito ius in re aliena;ma. al riguardo la motivazione risulta carente,limitandosi a dare per scontata e confermare quella equivalenza, espressa nell’endiadi "cortile -giardino" di cui alla decisione di primo grado, che avrebbe invece richiesto una specifica indagine sull’effettivo contenuto e sulla relativa portata dell’atto costitutivo.

Il quinto subordinato motivo,relativo al quantum risarcitorio,resta assorbito.

La sentenza impugnata va,conclusivamente,cassata in relazione alle accolte censure, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso,accoglie il terzo, dichiara assorbito il quarto,cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

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Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-05-2011, n. 10999 Fideiussione

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Svolgimento del processo

1. Con atti autonomi di opposizione del settembre ottobre 1992, la Associazione produttori ortofrutticoli della Campania – APOC – ed i signori O.C. e M.F., contestavano la validità dei decreti ingiuntivi emessi dal Presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed in favore del Banco di Napoli, con i quali si ingiungeva a ciascuno di essi il pagamento della somma di L. 6.025.420.000, oltre interessi convenzionali nella misura del 14,80% dal 25 giugno 1992 al saldo e spese del procedimento per scoperto di conto corrente aperto ai sensi della L. n. 433 del 1977, art. 11. In particolare la Associazione Apoc sosteneva di non dovere dette somme nè come capitale e interessi convenzionali, essendo nulla e invalida la fideiussione per la indeterminatezza dello oggetto e per vessatorietà delle clausole, mentre i due fideiussori O. e M. deducevano di non dovere la somma ingiunta per estinzione nei loro riguardi della fideiussione che era stata stipulata a garanzia per il raggiungimento dello scopo sociale della Agritel e non per le ingenti somme richieste dalla stessa senza alcuna nuova manifestazione di volontà dei garanti e senza alcuna nuova comunicazione agli stessi circa la erogazione di tali somme, ed in via gradata deducevano la liberazione della fideiussione per fatto del Creditore ai sensi dello art. 1955 c.c. e segg. per la colpevole negligenza del Banco di Napoli. I predetti opponenti convenivano, con separati atti, dinanzi al Tribunale, il Banco di Napoli e chiedevano lo accoglimento della opposizione, per le ragioni indicate in ciascun atto autonomo, la revoca del decreto e la condanna del Banco alla rifusione delle spese di lite. Instauratosi il contraddittorio il Banco di Napoli chiedeva la riunione dei giudizi ed il rigetto delle opposizioni. Il Tribunale disponeva la riunione ed era emesso lo Interpello del Banco che non rendeva lo interrogatorio ma su ordine del giudice esibiva la documentazione attestante il conferimento delle materie prime da parte della Apoc alla Afritel e la erogazione degli acconti a fronte dei conferimenti. La Banca concludeva per il rigetto della opposizioni e la conferma dei decreti, e ciascuna delle parti insisteva nelle proprie difese.

2. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sezione stralcio,con sentenza del 28 maggio 2003 revocava il decreto opposto nei confronti degli opponenti e dichiarava nulla la convenzione tra gli stessi e il Banco di Napoli filiale di Caserta, accoglieva le opposizioni e dichiarava estinte le fideiussioni prestate e non dovute le somme ingiunte, e condannava la Banca al pagamento delle spese di lite.

3. Contro la decisione proponeva appello il Sanpaolo Imi spa, incorporante del Banco di Napoli, chiedendo la riforma della decisione per errori sostanziali in punto di diritto in ordine alle fideiussioni prestate, da ritenersi valide ed efficaci, mentre la condotta della Banca non aveva determinato la estinzione delle fideiussioni o la lesione dei diritti dei garanti. Resistevano le controparti con autonomi atti ed il M. proponeva appello incidentale condizionato sostenendo che il credito agrario della Banca era garantito dallo Stato sulla base della L. n. 2137 del 1933, art. 1, comma 1 bis.

4. La Corte di appello di Napoli con la sentenza del 16 febbraio 2006 accoglieva lo appello Principale della Banca rigettando le opposizioni proposte avverso il decreto ingiuntivo n. 1955 del 1992 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, rigettava altresì lo appello incidentale condizionato; condannava gli opposti al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio.

5. Contro la decisione hanno proposto:

a. ricorso principale -20801 del 2006, notificato il 15 settembre 2006 alle controparti, M.F., deducendo tre motivi di censura, cui resiste la Banca con controricorso;

b. ricorso incidentale adesivo O.F., peraltro privo della indicazione dei fatto e dei motivi, ricorso notificato il 15 settembre:

c. controricorso e ricorso incidentale la APOC notificato il 23 e 26 settembre alle controparti, con numero di registro 26048 del 2006.

Memorie difensive sono state proposte dalla Banca e da M..

Peraltro la Banca nelle memorie eccepisce la tardività dei ricorsi APOC ed O., in quanto soccombenti in giudizio relativamente ad un rapporto obbligatorio scindibile, quale è quello derivante dalla solidarietà, che non incide sulla autonomia e indipendenza dei rapporti sostanziali tra ciascun creditore ed il soggetto obbligato, determinando il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del ricorrente tardivo ancorchè la sentenza sia stata tempestivamente impugnata da altro condebitore solidale e cita Cass. 14 luglio 2009 n. 16390.

I RICORSI, principale e incidentali sono stati previamente riuniti.
Motivi della decisione

6.1 ricorsi non meritano accoglimento in ordine ai dedotti motivi, che per chiarezza espositiva vengono dapprima in sintesi descrittiva, ed a seguire in confutazione in punto diritto, considerando preliminare la questione in rito sulla tardività, come proposta dalla Banca controricorrente.

SINTESI DEI MOTIVI. 6.A. RICORSO 20801-06 DEL M.: notificato il 29 giugno 2006.

NEL PRIMO MOTIVO si deduce carenza di motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dello art. 360 c.p.c., n. 5, sul rilievo che la Corte di appello , nel riesame del merito, non ha tenuto in conto la nota inviata il 9 marzo 1989 dalla Regione Campania che invitava gli istituti di credito di accertare la veridicità delle dichiarazioni di notorietà ed accertare il controllo diretto dei conferimenti. Si afferma che non avendo la Corte motivato sul punto, con riguardo alla negligenza della Banca, si sarebbe formato un giudicato interno.

NEL SECONDO MOTIVO si deduce error in iudicando per la violazione dello art. 342 c.p.c. in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3 sul rilievo che nel rispetto del principio del tantum devolutum quantum appellatum la Corte di appello avrebbe dovuto delimitare lo ambito della sua cognizione ai motivi di impugnazione specificatamente indicati e cioè a quelli esposti nelle lettere a ed e dello atto di appello che tuttavia non viene riprodotto in esteso. Si assume ancora che si è formato giudicato formale sul punto non oggetto di gravame.

Nel TERZO MOTIVO si deduce error in iudicando e per violazione degli artt. 1440 e 2697 c.p.c. e dell’art. 645 c.c. ed il vizio della motivazione su punto decisivo. La tesi è che il M., debitore convenuto nel giudizio per inadempimento, essendosi avvalso della eccezione di inadempimento per la negligenza della Banca che non aveva effettuato i controlli richiesti, doveva limitarsi alla proposizione della eccezione senza assumere alcun obbligo probatorio sul punto – vedi a ff 15 del ricorso.

6.B. ESAME DEL RICORSO INCIDENTALE ADESIVO DI O.C., NOTIFICATO IL 15 SETTEMBRE 2006.

Il ricorso, privo della esposizione del fatto e dei motivi in diritto, aderisce alle ragioni espresse dal ricorrente M..

6.C. SINTESI DEL RICORSO INCIDENTALE DI APOC, NOTIFICATO IL 23 E 26 GIUGNO 2006.

Il ricorso, che aderisce ai motivi del ricorso principale, si articola in cinque motivi, così sintetizzati:

Nel PRIMO MOTIVO SI DEDUCE IL VIZIO DELLA MOTIVAZIONE circa un fatto controverso e decisivo, costituito dalla mancata verifica da parte della Banca della veridicità della misura dei conferimenti in base ai quali era poi erogato il finanziamento, punto considerato decisivo dai primi giudici.

Nel SECONDO MOTIVO si deduce il vizio della motivazione su fatto controverso e decisivo, sul rilievo che erra la Corte nel ritenere che l’ordine alla Banca di depositare la documentazione attestante i conferimenti di materie prime era riferibile alla Agritel e non alla Apoc che, si assume, sin dal 1988 non riforniva la Agritel delle materie prime prodotte dai propri associati.

NEL TERZO MOTIVO SI DEDUCE LA VIOLAZIONE DELLO ART. 342 c.p.c., per avere la Corte di appello considerato la posizione della Apoc nei confronti della Agritel, al di là dello effetto devolutivo dello appello della Banca.

NEL QUARTO MOTIVO SI DEDUCE ERROR IN IUDICANDO PER LA VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1406 2967 E 645 C.P.C. Ma si omette alcuna illustrazione della censura.

NEL QUINTO MOTIVO SI DEDUCE IL VIZIO DELLA MOTIVAZIONE IN ADESIONE AL TERZO MOTIVO DEL RICORSO M..

7. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. 7. A. SULLA ECCEZIONE DI TARDIVITA’ DEI RICORSI APOC ED O. SI OSSERVA che questa Corte a sezione semplice è vincolata, ai sensi dello art. 374 c.p.c., comma 3 al dictum delle SU sentenza n. 24627 del 27 novembre 2007, compositiva di un conflitto di orientamenti, che considera ammissibile la impugnazione incidentale tardiva, anche nelle cause scindibili, nel caso in cui la impugnazione principale metta di discussione lo assetto degli interessi derivante dalla sentenza di appello che ha respinto le singole ragioni dedotte dalle parti già vittoriose dinanzi al tribunale. Prevale, ai fini del giusto processo il principio della unitarietà dei fatti che si riconducono alla lesione del credito garantito azionato dalla banca .

VEDI ANCHE la successiva Cass. SU 4 agosto 2010 n. 18049, che si conforma al principio estensivo.

7.B. SULLA INFODATEZZA DEL RICORSO M..

Il primo motivo è manifestamente infondato e appare erroneamente formulato come vizio della motivazione, mentre deduce come fatto controverso e decisivo, un obbligo di vigilanza e controllo che si desume da una nota della Regione Campania del 9 marzo 1989, che tuttavia non si riproduce in violazione del principio di autosufficienza. La Corte di appello a ff 11 e 12 della motivazione, ha considerato decisiva la circostanza secondo cui il fideiussore M. era amministratore delegato della Agritel e che la Apoc aveva concesso in locazione alla Agritel lo stabilimento di (OMISSIS), con la conseguenza che ciascuno degli opponenti fideiussori erano perfettamente a conoscenza della situazione economica della Agritel, mentre la Banca beneficiaria delle fideiussioni, non risultava compromessa dalla violazione di principi di correttezza e buona fede. NON sussiste dunque alcun vizio di motivazione in relazione al devolutum in appello, e nessun giudicato interno risulta verificato sul punto che attiene eventualmente alla violazione di una regula iuris che non risulta indicata e provata.

Nel secondo motivo si deduce come vizio della motivazione un errore revocatorio in ordine ad un ordine di esibizione, che non risulta riprodotto, impedendo di verificare lo stesso errore di percezione o la decisività dello stesso. Il motivo nella sua formulazione impropria è inammissibile.

Manifestamente infondato è il terzo motivo dove si deduce un error in iudicando e contestualmente un vizio della motivazione nel punto in cui si afferma, come principio di diritto, che il fideiussore che eccepisca lo inadempimento del garantito, determina ipso iure un onere probatorio a carico del Banca Garantita.

La Corte di appello ai ff 11 e 12 della motivazione ha invero escluso lo inadempimento della Banca e implicitamente la violazione delle norme sostanziali indicate nel motivo, è invece inammissibile come vizio della motivazione non censurando la chiara ratio decisionis esposta in sede decisionale.

7.C. SULLA INAMMISSIBILITA’ DEL RICORSO O.C..

Il ricorso pur ammissibile in quanto tardivo è inammissibile ai sensi dello art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 nel testo vigente al tempo del ricorso, mancando la esposizione dei fatti di causa e dei motivi di censura, non essendo sufficiente la adesione formale alle ragioni del M..

7.D. SULLA INAMMISSIBILITA’ E INFONDATEZZA DEL RICORSO APOC. Sono inammissibili il terzo, il quarto ed il quinto motivo, per le seguenti considerazioni: il terzo motivo censura lo appello per extrapetizione, ma non deduce nè la violazione dello art. 366 c.p.c., n. 4 nè un preciso riferimento agli atti di appello da cui desumere il limite devolutivo; il quarto è privo di ogni argomentazione; il quinto è per mera relationem.

Infondati sono il primo ed il secondo motivo per le seguenti considerazioni: il primo riproduce sostanzialmente il primo motivo del ricorso M. ed è malformulato in quanto intende dedurre la esistenza di una regula iuris non specificata a carico della Banca.

Per il principio di specificità e della tipicità delle censure in cassazione, non può questa Corte integrare di ufficio un motivo carente ed improprio.

Il secondo motivo è privo di decisività in relazione alla chiara ratio decidendi espressa dalla Corte di appello a ff 11 e 12 che evidenzia e la condotta della APOC e la piena operatività della garanzia fideiussoria non risultando provata la condotta in mala fede della Banca nella esecuzione del contratto.

7.D. IL REGOLAMENTO DELLE SPESE SEGUE IL PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA e le stesse vengono poste a carico di ciascun ricorrente e liquidate in favore della Banca resistente, come in dispositivo.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta e condanna ciascun ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di cassazione in favore di SANPAOLO IMI SPA che liquida per ciascun ricorrente in Euro 12.500,00 di cui 500,00 per spese, oltre accessori e spese generali come per legge.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 24-03-2011, n. 2657

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

la parte ricorrente, con il ricorso in esame, ha impugnato, per l’annullamento, la nota del giugno 1999 con cui l’AIMA ha comunicato l’esito della compensazione nazionale ed intimato il pagamento del prelievo supplementare per lo sforamento delle c.d. "quote latte" per le annate 1995/96 e 1996/97;

che la predetta nota, sebbene ne sia stata sospesa l’esecuzione in via cautelare dal Tribunale, è stata integralmente sostituita con una nuova comunicazione dell’AIMA, pervenuta agli interessati nel mese di ottobre 1999;

che, in ragione di quanto sopra, come peraltro ribadito dai difensori all’odierna udienza pubblica del 16 febbraio 2011, il ricorso è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse posto che la nota impugnata con l’impugnativa in esame non costituisce più la fonte della richiesta di pagamento del prelievo supplementare richiesto all’interessato, ora rinvenibile nella nota AIMA dell’ottobre 1999;

che, pertanto, non resta al Collegio che pronunciare l’improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse mentre le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, risultando evidenti i giusti motivi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez Seconda Ter, dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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