Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-07-2011, n. 15125 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui non ha resistito l’intimato, avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Napoli il 24.2.09, con il quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze veniva condannato ex Lege n. 89 del 2001 al pagamento di un indennizzo di Euro 5.780, per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi innanzi al Tar Campania.

Al riguardo il Collegio osserva: il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata, avendo accertato una eccessiva durata del processo di cinque anni e dieci mesi circa, sulla base di una durata ritenuta ragionevole di tre anni.

Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu.

Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente si duole della liquidazione dell’indennizzo sul solo periodo di eccedenza di durata (e non dunque di questa nella sua interezza) doglianza infondata alla luce del chiaro disposto della L. n. 01 del 1989, art. 2.

Con il quarto ed il quinto motivo si censura l’avvenuta parziale compensazione delle spese processuali, doglianza priva di pregio essendo rimessa la statuizione sul punto alla valutazione discrezionale del giudice del merito ( art. 92 c.p.c.);

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, mentre nulla va disposto in ordine alle spese processuali poichè l’intimato non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 03-05-2011, n. 3775 Esclusioni dal concorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

detto bando:

– indicava nell’allegato nr.7 i requisiti psico fisici richiesti per l’accesso alla carriera iniziale della Polizia di Stato;

– prevedeva, all’art.13, la verifica del mantenimento dei requisiti psico fisici, morali e di condotta, nell’ultimo semestre della ferma triennale ad opera delle Commissioni appositamente incaricate;

Considerato che parte ricorrente, in sede di verifica del mantenimento dei requisiti predetti, è stato ritenuto, il 24.1.2011, inidoneo all’immissione nel ruolo degli Agenti ed Assistenti della P.S., per "deficit visus……visus corretto a 10/10 con correzione complessiva maggiore di una diottria"; e preso atto che essa parte, col ricorso introduttivo dell’odierno giudizio, contesta tale giudizio di inidoneità in quanto:

1. nel corso di altri accertamenti, finalizzati all’impiego nella Forza di polizia, è stato ritenuto idoneo;

2. in data 30.3.2011 è stato ritenuto, in esito a visita sanitaria effettuata presso l’Azienda Ospedaliera di Tricase (LE), dotato di un visus naturale di 10/10 con mobilità, fondo oculare e senso cromatico definiti "normali";

Considerato che la certificazione medica di cui al precedente punto sub 2) non confligge con quanto riscontrato il 24.1.2011, in sede concorsuale, dall’apposita Commissione sanitaria la quale ultima ha attestato, allo stato attuale, un visus di 10/10 (così come riscontrato dalla citata Azienda Ospedaliera), ulteriormente specificando, però, che detto visus è dovuto ad una "correzione complessiva maggiore di una diottria": circostanza quest’ultima sulla quale la certificazione rilasciata dall’Azienda sanitaria (pur successiva temporalmente al giudizio di inidoneità gravato) non si sofferma e nulla riferisce al riguardo;

Considerato, inoltre:

– che la circostanza che, in precedenti procedure concorsuali, il ricorrente sia stato ritenuto idoneo sotto il profilo psico fisico, non rende invalido un giudizio formulato, in sede concorsuale, in tempi successivi;

– che il profilo di inidoneità riscontrato nel ricorrente il 24.1.2011 è esplicitamente previsto come causa interdittiva all’accesso nei ruoli della Polizia di Stato sia dal bando della selezione sostenuta dal ricorrente (ved. Allegato nr.7 già citato) che dall’art.3 comma 1, lett. c) del d.m. nr. 198 del 2003 esplicitamente richiamato dal bando sopra ricordato;

Considerato che essendo, per le ragioni appena rassegnate, immediatamente definibile il contenzioso con sentenza in forma semplificata, il Collegio ha sentito in ordine a tale eventualità le parti costituite e preso atto che nessuna parte ha dichiarato l’intendimento di voler proporre alcuna delle iniziative racchiuse nell’art.60 del C.p.a.;

Considerato che il ricorso è manifestamente infondato e che le spese di lite possono compensarsi tra le parti in causa attesa la peculiarità del gravame;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) pronunciandosi ai sensi dell’art.60 del c.p.a. respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-01-2011) 18-05-2011, n. 19570 Reati edilizi

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Svolgimento del processo

Il giudice del tribunale di Cava dei Tirreni, con sentenza 9.12.2008, dichiarò prescritte tutte le contravvenzioni edilizie contestate a F.V., mentre lo condannò alla pena ritenuta di giustizia per il reato di violazione dei sigilli apposti il 29.4.2002 di cui al capo G) (non trascritto nell’epigrafe della sentenza) (accertato l'(OMISSIS)).

La corte d’appello di Salerno, con la sentenza in epigrafe, dispose la correzione dell’errore materiale della intestazione della sentenza di primo grado nella parte in cui è omesso il riferimento specifico al capo G) della rubrica del processo 279/05, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., artt. 544, 546, 125 cod. proc. pen.; erronea applicazione dell’art. 130 e dell’art. 547 cod. proc. pen.; violazione dell’art. 24 Cost.. Lamenta che nella sentenza di primo grado non era inserito il capo G) della imputazione e che la motivazione è carente sul reato in questione.

La corte d’appello ha erroneamente ritenuto che si trattasse di un errore materiale senza considerare che nella sentenza sono riportati i capi di imputazione contestati nel processo 195/2003, che riguardano un immobile distinto.

2) violazione dell’art. 546 cod. proc. pen., lett. e), e carenza e contraddittorietà della motivazione. Lamenta mancanza di motivazione sulla sua respofrsabilità per il reato in questione e sulla individuazione dell’opera oggetto della violazione dei sigilli.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

E’ vero che nella sentenza di primo grado non era inserito il capo G) della imputazione relativa al processo RG 279/05. Tale capo però era contenuto nel decreto di citazione a giudizio notificato all’imputato, sicchè la mancata trascrizione dello stesso nella sentenza di primo grado era con tutta evidenza dovuta ad un mero errore materiale, al quale ha difatti posto rimedio la corte d’appello che ha disposto la correzione dell’errore materiale contenuto nella intestazione della sentenza di primo grado, laddove è stato omesso graficamente il capo G) della originaria rubrica.

La sentenza di primo grado riporta invero non solo i capi di imputazione contestati nel processo 195/2003 ma anche i capi da A) ad F) del processo RG 279/2005, riunito al primo, ad esclusione dal capo G), omesso per errore.

La corte d’appello ha anche specificato che le opere abusive di cui al processo 279/2005 riguardavano gli ulteriori interventi illegittimi eseguiti sugli immobili di cui al processo 195/2003. In ogni modo è evidente che il reato di cui al capo G) riguarda l’immobile indicato nel capo A) della rubrica del processo 279/2005, e precisamente la violazione dei sigilli apposti su detto immobile il 29.4.2002, violazione dei sigilli accertata in data 1.1.10.2002.

Non può poi ritenersi sussistente un difetto di motivazione della sentenza impugnata, anche perchè l’atto di appello era del tutto generico, tanto da sfiorare l’inammissibilità. La genericità, del resto, caratterizza anche il secondo motivo di ricorso.

E’ infondata anche la richiesta (anch’essa generica) di declaratoria di estinzione del reato. La prescrizione infatti ha iniziato a decorrere quanto meno dalla data di apposizione dei sigilli del 29.4.2002 (se non da quella dell’accertamento dell’11.10.2002). Al termine prescrizionale di sette anni e mezzo deve aggiungersi il periodo di sospensione di anni 2, mesi uno e giorni 18, dal 7.2.2006 al 25.3.2008. La prescrizione, quindi, non si maturerà prima del 17.12.2011.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-09-2011, n. 20104 Liquidazione, riliquidazione e perequazione della pensione Pensioni indirette o di reversibilità

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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il diritto di Sa.Le. e S.P. alla riliquidazione, per ciascuna di esse, della pensione di reversibilità (a seguito della perdita del diritto da parte del figlio contitolare) con l’applicazione degli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che, secondo la giurisprudenza della S.C., il trattamento pensionistico spettante al residuo superstite va determinato nella sua consistenza quantitativa con gli stessi criteri fissati per l’originaria liquidazione dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, e, pertanto, mediante un’operazione di riliquidazione da compiere con la preventiva detrazione dalla pensione originariamente goduta dal dante causa, o al medesimo spettante, della quota del contitolare escluso, con l’applicazione sulla quota del titolare restante, e con decorrenza dalla morte del dante causa, degli aumenti di legge e degli aumenti perequativi intervenuti nel frattempo, ivi compresi gli aumenti pensionistici di cui all’art. 4 della legge n. 140 del 1985, la cui esclusione, non prevista da alcuna disposizione di legge, si porrebbe in contrasto con la generale applicabilità della L. n. 903 del 1965, citato art. 22.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps affidandosi a un unico motivo di ricorso cui resistono con controricorso Sa.

L. e S.P., che hanno depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, come risultante dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, D.L. n. 463 del 1983, art. 6, conv. in L. n. 638 del 1983, L. n. 140 del 1985, artt. 4 e 5, chiedendo a questa Corte di stabilire "se, in caso di perdita del diritto alla pensione di reversibilità da parte di uno dei contitolari in epoca successiva al 30 settembre 1983, sul trattamento spettante ai rimanenti contitolari, decorrente quindi da epoca successiva alla data considerata dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, conv. in L. 11 novembre 1983, n. 638, non si applicano gli aumenti previsti dalla L. 15 aprile 1985, n. 140, art. 4, poichè detti aumenti spettano solo sulle pensioni anteriori al 1 gennaio 1984 e integrate al minimo". 2.- Il ricorso non è fondato. Il quesito formulato dall’Istituto deve trovare risposta nel principio costantemente ribadito da questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 15644/2005 – secondo cui alla cessazione del regime di contitolarità tra beneficiari del trattamento di reversibilità, la pensione del titolare residuo deve essere determinata tenendo conto non già di quanto di fatto percepito durante il periodo di contitolarità, ma operando un conteggio virtuale, fin dalla morte del dante causa, al fine di ricostruire la prestazione come se vi fosse stato sempre un unico titolare; ne consegue che la quota di pensione spettante al contitolare superstite deve essere ricalcolata applicando ad essa tutti gli aumenti e le perequazioni fissati dalle leggi succedutesi nel tempo, tra i quali vanno compresi anche gli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4, a prescindere dal fatto che la pensione medesima non godesse della integrazione al minimo durante il regime di contitolarità, essendo necessario accertare se, al momento in cui maturavano i detti aumenti, la pensione stessa, ricalcolata appunto con riguardo alla sua spettanza teorica, fosse o meno passibile di integrazione al minimo.

Secondo il principio sopra espresso, era quindi necessario accertare se, al momento in cui maturavano gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, la pensione spettante al contitolare superstite, calcolata con riguardo alla sua spettanza teorica, avrebbe dovuto essere integrata al minimo, ed i giudici di merito hanno espresso sul punto, sia pure sinteticamente, una risposta affermativa che l’Istituto ricorrente non ha censurato (il ricorso non investe, infatti, il problema dell’accertamento della sussistenza di tale requisito, e cioè delle condizioni richieste ai fini della integrazione al minimo con riguardo alla spettanza teorica della pensione spettante al contitolare superstite).

3.- Erroneamente l’Istituto richiama la sentenza di questa Corte n. 4512 del 1999, ed altre successive, laddove si è affermato che il titolare di pensione diretta e di pensione di reversibilità in regime di contitolarità, il quale, in forza della norma speciale di cui alla L. n. 639 del 1983, art. 6, comma 11 bis, gode dell’integrazione al minimo su entrambe le prestazioni anche successivamente al 30 settembre 1983 (in deroga alla regola generale secondo cui, dalla stessa data, l’integrazione al minimo spetta una sola volta), allorchè cessi la situazione di contitolarità e perda il diritto alla integrazione sulla pensione di reversibilità, non ha diritto alla cristallizzazione di quest’ultima pensione.

Ed invero la regolamentazione della pensione del titolare residuo pone problematiche completamente diverse a seconda che si tratti del diritto agli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, oppure del diritto alla c.d. cristallizzazione, di talchè i criteri applicabile al secondo non sono applicabili sic et simpliciter al primo. Si è infatti affermato nella pronunzia n. 4512/99 che il meccanismo di conservazione previsto per la cristallizzazione è inconciliabile con il meccanismo del ricalcolo che nella specie va applicato, sul rilievo che l’unico titolare rimasto non può, al momento della cessazione della integrazione per il venir meno della contitolarità, "conservare" l’importo della pensione raggiunto in precedenza, proprio perchè la misura del trattamento spettante da quel momento in poi deve essere ricalcolato; ossia, per le pensioni in esame, il momento in cui si perde l’integrazione coincide con il momento in cui si modifica la struttura stessa della prestazione variandone la misura, il che non consente la "conservazione" del trattamento raggiunto in precedenza. Nulla osta invece all’applicazione degli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, dal momento che nel ricalcolo, cui devesi necessariamente procedere, si può ben tenere conto degli stessi aumenti, a cui il beneficiario avrà diritto ove la sua quota teorica, e non già quella concretamente erogata in regime di contitolarità, fosse stata integrabile al minimo all’epoca di operatività della medesima L. n. 140 del 1985. 4.- Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata.

5.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno distratte a favore del procuratore antistatario.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00, oltre Euro 2.500,00 per onorarì, oltre IVA, CPA e spese generali, da distrarsi a favore dell’avv. G. Sante Assennato, antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.