Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-08-2012, n. 14573

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Svolgimento del processo
1.- Con ricorso al Pretore del lavoro di Napoli, S. A. chiedeva l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo 15.07.86-20.09.90, in cui aveva lavorato presso la xxx s.p.a. quale medico addetto al reparto neurologia, con conseguente condanna del datore di lavoro alle differenze retributive ed al trattamento di fine rapporto.
2.- Accolta la domanda con condanna della società convenuta al pagamento di L. 161.045.574 ed alla regolarizzazione contributiva, detta soccombente proponeva appello, deducendo la nullità del ricorso introduttivo, l’insussistenza dei requisiti del lavoro subordinato e l’omesso esame dell’eccezione di prescrizione.
Costituitosi l’appellato, il Tribunale del Lavoro di Napoli, pronunziando in grado di appello, con sentenza 14.06.06 accoglieva parzialmente l’impugnazione. Il Tribunale, esclusa la dedotta nullità, ravvisava l’esistenza del rapporto di lavoro, essendo emerso che nel reparto cui era addetto, l’attore svolgeva le sue mansioni seguendo esclusivamente le indicazioni del primario.
Riteneva, inoltre, fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale non esaminata dal primo giudice, atteso che il rapporto di lavoro godeva di tutela reale, risultando dai libri paga e matricola che all’epoca l’azienda occupava un numero di dipendenti superiore a quindici. Considerava, pertanto, il credito prescritto per il periodo antecedente al 24.05.89 e riduceva la soccombenza del datore di lavoro ad Euro 10.206,88, oltre interessi e rivalutazione.
3.- Contro questa sentenza ricorre per cassazione S..
Risponde con controricorso e ricorso incidentale xxx s.p.a..
4.- Alla pubblica udienza del 20.10.11 il Collegio disponeva il rinvio a nuovo ruolo per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) che, quantunque non costituito, era stato presente nel giudizio di merito. Espletato l’incombente ad iniziativa della parte ricorrente e depositato l’atto di integrazione, l’INPS non svolgeva attività difensiva.
Motivi della decisione
5.- Preliminarmente le due impugnazioni debbono essere riunite, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
6.- Il ricorrente principale deduce i seguenti motivi di ricorso.
6.1.- Primo motivo: violazione degli artt. 112 e 434 c.p.c., in quanto il giudice avrebbe esaminato la questione della prescrizione nonostante il motivo di appello fosse riferito solamente alla mancanza di motivazione circa la reiezione dell’eccezione, di modo che egli, una volta riscontrato che il primo giudice aveva al riguardo formulato esplicita motivazione, avrebbe dovuto rigettare la censura, senza entrare nuovamente nel merito della questione. Analoga censura viene formulata a proposito del dato dimensionale dell’azienda, su cui l’appellante aveva sottolineato solo l’omessa motivazione.
6.2.- Secondo motivo: omessa motivazione circa l’esame degli estratti dei libri matricola della xxx s.p.a., atteso che il primo giudice aveva ritenuto inidonea la produzione documentale sul dato dimensionale e il giudice di appello non spiega il motivo per cui ha ritenuto, invece, di prenderla in considerazione.
6.3.- Terzo motivo: violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 e art. 415 c.p.c., comma 2, in quanto la documentazione sul dato dimensionale era stata prodotta non in allegato alla comparsa di costituzione del convenuto, ma assieme alle note scritte depositate prima dell’udienza di discussione (quindi tardivamente) ed il giudice non avrebbe dovuto prenderla in considerazione.
6.4.- Quarto e quinto motivo: omessa motivazione in quanto il giudice di appello avrebbe fatto applicazione del termine di prescrizione previsto per il rapporto di lavoro subordinato nonostante lo S. fosse stato inquadrato come lavoratore autonomo. Il giudice avrebbe dovuto, dunque, considerare che era stata posta in essere una prestazione subordinata di fatto, inquadrata come libero- professionale, e non avrebbe dovuto applicare la prescrizione ex art. 2948 c.c., n. 4, e, conseguentemente, i principi in materia di stabilità reale.
7.- La xxx s.p.a. sottopone al Collegio tre punti di discussione: i primi due recanti altrettanti motivi di ricorso incidentale, Il terzo destinato a contrastare il ricorso avversario. I due motivi di ricorso incidentali possono sintetizzarsi come segue.
7.1.- Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 409 c.p.c., art. 414 c.p.c., e segg., sostenendosi che la declaratoria del rapporto subordinato, in relazione alla fattispecie di un medico che esegue meccanicamente le istruzioni ricevute dal primario, sarebbe stata adottata sulla base di un’insufficiente analisi, non essendo precisato se l’attore, oltre a ricevere indicazioni di carattere eminentemente professionale, fosse sottoposto anche al potere direttivo, disciplinare ed organizzatorio del datore, attraverso gli organi a tanto delegati, atteso che le semplici direttive di natura tecnico-sanitaria non implicano il vincolo di subordinazione, ma sono compatibili anche con il rapporto di lavoro autonomo. L’esistenza di tali ulteriori requisiti non sarebbe neppure stata dedotta in giudizio e, pertanto, il giudice, in mancanza dei necessari riscontri, avrebbe dovuto rigettare la domanda o, quantomeno, porsi il dubbio che il rapporto dello S., in mancanza dei requisiti propri della subordinazione, potesse rientrare nella figura giuridica del lavoro parasub ordinato.
7.2.- Secondo motivo: carenza di motivazione e violazione degli artt. 414 e 420 c.p.c., a proposito della reiezione dell’istanza di escussione dei testi di parte convenuta, non sentiti in primo grado.
Sono, in particolare, contestate le affermazioni che la loro mancata escussione deriverebbe da una implicita ordinanza di decadenza emessa dal primo giudice, come tale non impugnata, e che comunque sarebbe superflua la loro audizione essendo, sulla base delle dichiarazioni degli altri testi, acquisita agli atti certezza circa i punti della durata del rapporto e delle mansioni espletate. Ad avviso della ricorrente, invece, sarebbe stato onere del giudice di appello, una volta rilevato che era stata ammessa la prova e preso atto della denunzia di mancata escussione, rilevare l’omissione del primo giudice e procedere direttamente all’espletamento.
8.- Procedendo, per ragioni di priorità logica, dall’esame del ricorso incidentale, deve rilevarsi, quanto al primo motivo, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro con continuità regolare, anche negli orari, la qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, deve essere effettuata secondo il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro. L’esistenza di tale parametro deve essere accertata o esclusa mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto – con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato – dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il nomen juris utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente (tra le tante v. le sentenze 15.06.09 n. 13858, 25.05.04 n. 10043 e 28.03.03 n. 4770).
Con particolare riferimento a coloro che esercitano la professione medica, la stessa giurisprudenza, proprio per la necessità di considerare le emergenze fattuali dei casi concreti, in alcuni casi ha fatto riferimento agli ordinari parametri della sottoposizione al potere difettivo, organizzativo e disciplinare del datore, ritenendo correttamente motivate le pronunzie di merito che hanno ritenuto subordinato il rapporto dei medici svolto all’interno di una clinica privata sulla base di indici quali il loro inserimento in turni lavorativi predisposti dalla clinica, la sottoposizione a direttive circa lo svolgimento dell’attività, l’obbligo di rimettersi alla pianificazione dell’amministrazione della clinica in ordine alla fruizione delle ferie (sentenza n. 10043 del 2004), oppure l’adempimento esclusivo delle direttive sanitarie emanate dal responsabile sanitario della casa di cura (sentenza n. 13858 del 2009).
In altri casi, per la peculiarità della professione medica, la stessa giurisprudenza ha ritenuto insufficiente il ricorso esclusivo ai parametri dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere gerarchico (concretizzantesi in ordini e direttive) e del potere disciplinare, o ad elementi come la fissazione di un orario per le visite, o eventuali controlli nell’adempimento della prestazione, ove gli stessi non si siano tradotti nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione proprio del datore di lavoro. In tali ipotesi , la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del medico con quella dell’impresa, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dell’impresa, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui (Cass. 7.03.03 n. 3471).
Il giudice di merito si è attenuto a questi criteri ed ha rilevato che le mansioni assegnate allo S. all’interno della casa di cura non avevano autonomo contenuto professionale, in quanto si riducevano all’esecuzione di operazioni che erano si riconducibili alla professione medica per il loro intrinseco contenuto (assistenza nell’espletamento delle pratiche di accettazione dei pazienti del reparto neurologia per i quali il medico di guardia riteneva necessario il ricovero e loro visita secondo le direttive formulate dal primario del reparto e dal suo aiuto, aggiornamento della cartella clinica dei pazienti con la trascrizione delle terapie prescritte e dell’esito delle analisi di laboratorio, nonchè delle periodiche misurazioni della pressione), ma erano interamente predeterminate dagli altri sanitari sopraordinati, i quali avevano la responsabilità esclusiva del servizio. Tale accertamento, coerente con i parametri indicati dalla richiamata giurisprudenza e correttamente argomentato, da luogo ad una figura professionale caratterizzata dall’esercizio di attività proprie della professione medica, ma giuridicamente articolata secondo la figura della subordinazione prevista dall’art. 2094 c.c..
Il primo motivo del ricorso incidentale è, dunque, infondato.
9.- Quanto al secondo motivo dell’impugnazione incidentale, deve rilevarsi che la Corte d’appello, per rigettare la censura inerente il mancato espletamento della prova testimoniale richiesta dal datore di lavoro in primo grado, ha adottato una motivazione formale (la dichiarazione implicita di decadenza dalla prova adottata dal primo giudice) ed una di merito (la superfluità della prova per testi oggetto dell’istanza probatoria, in quanto i testi escussi avevano fornito i chiarimenti necessari circa modalità e tempi della prestazione).
Il giudizio di superfluità espresso dal giudice di appello è formulato all’esito dell’esame della testimonianza del primario del reparto cui lo S. era addetto, il quale ha precisato i termini esatti della prestazione da questi offerta. La Corte d’appello ha considerato questa testimonianza risolutiva al punto da affermare che ogni "ulteriore escussione testimoniale si presenta la superflua".
Questo giudizio, nella logica della motivazione, è congruamente articolato, atteso che appare evidente che una volta acquisita la testimonianza del responsabile del reparto e diretto referente del lavoratore, ogni ulteriore particolare riferito da terzi soggetti potrebbe essere o conforme a quanto da costui riferito (e quindi superfluo ai fini del decidere), o difforme e, quindi, scarsamente attendibile per la maggiore credibilità riconosciuta al primo teste.
Va dunque affermata la correttezza del giudizio di superfluità espresso dal giudice di appello, che di per sè costituisce valida motivazione ed esime dall’esame dell’altra questione attinente la correttezza dell’ulteriore motivazione dell’esclusione dei testi di parte convenuta, attinente la decadenza.
10.- Passando al ricorso principale e prendendo in esame per primi i motivi quarto e quinto attinenti il punto della decorrenza della prescrizione, deve preliminarmente rilevarsi che impropriamente parte ricorrente invoca la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui, se è vero che la decorrenza della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo, ben diversa è la situazione psicologica in cui versa il lavoratore per il timore della risoluzione del rapporto, allorchè si tratti di lavoro formalmente autonomo, da quella in cui il rapporto di lavoro sia garantita sin dall’inizio della stabilità reale, mentre a nulla rileva, in relazione alla situazione di soggezione in cui versa il lavoratore nel primo caso, il successivo riconoscimento giudiziale della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto (Cass. 19.01.11 n. 1147 e 23.01.09 n. 1717).
Nel caso di specie il giudice di merito ha accertato in fatto che il rapporto di lavoro – quantunque connotato da prestazione attinente la professione medica – sin dall’inizio non si è atteggiato (nemmeno formalmente) come lavoro autonomo, riscontrando che fin da quel momento il lavoratore era soggetto a possibili sanzioni disciplinari.
La Corte di merito ha ritenuto, in altre parole, che lo S. fin dall’inizio avesse la piena consapevolezza del carattere subordinato del rapporto di lavoro, in ragione delle modalità di svolgimento da lui stesso dichiarate.
Questa affermazione di fatto è impugnata dal ricorrente principale solamente sotto il profilo della carenza di motivazione, senza contestazione del dato di fatto da cui è partito il giudice, e cioè che la sottoposizione al potere disciplinare esistesse fin dall’inizio, a prescindere dalla (pretesa) qualificazione libero- professionale del rapporto.
Sul piano giuridico, pertanto, non può trarsi la conclusione, imposta dalla detta giurisprudenza, che lo S. fosse psicologicamente condizionato dalla consapevolezza di svolgere una prestazione autonoma che lo inibiva dal ricorrere alla tutela giudiziale ed a richiedere la tutela reale, in quanto il rapporto di lavoro fin dall’inizio ha assunto connotazione subordinata. Deve concludersi, quindi, che correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che il rapporto di lavoro nel suo concreto atteggiarsi fosse assistito dalla tutela reale, con conseguente decorrenza della prescrizione in corso di rapporto.
Sono dunque infondati i motivi quarto e quinto del ricorso incidentale.
11.- I primi due motivi del ricorso principale, da trattare in coda per il contenuto residuale, debbono ritenersi inammissibili per la loro carente formulazione.
Con gli stessi si deduce l’indebita decisione in punto di prescrizione, sia perchè al giudice di appello non era consentito prendere in considerazione l’eccezione relativa per i limiti della formulazione dell’impugnazione (primo motivo), sia perchè non sarebbe indicata la motivazione della decisione a proposito della presa in considerazione della documentazione sulla consistenza numerica dell’azienda che si assume tardivamente prodotta (secondo motivo). Il ricorrente, di fronte ad una analitica descrizione dell’impugnazione compiuta dal giudice di appello a pag. 3 della sentenza impugnata, tuttavia, non precisa quali fossero gli esatti contenuti a suo avviso fraintesi dal giudice di appello, nè indica quale fosse il contenuto della (a suo avviso dire esauriente) pronunzia di primo grado, limitandosi sul punto ad invitare il Collegio di legittimità a "una semplice scorsa della sentenza del Pretore di Napoli" (pag. 4 del ricorso).
L’evidente violazione dell’art. 366 c.p.c., rende inammissibili i due motivi.
12.- Col terzo motivo del ricorso principale si assume che il giudice di appello ai fini della consistenza dimensionale dell’azienda avrebbe preso in esame l’estratto del libro matricola e paga nonostante fosse stato tardivamente prodotto nel giudizio di primo grado.
Il motivo è infondato.
Il Collegio d’appello ha ritenuto i documenti ammissibili ai sensi del capoverso dell’art. 437 c.p.c., poichè – trattandosi di prove decisive dell’eccezione di prescrizione – li ha ritenuti indispensabili.
13.- In conclusione, entrambi i ricorsi sono infondati e debbono essere rigettati.
In ragione della reciproca soccombenza le spese del giudizio di legittimità debbono essere compensate.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen., sez. I 25-10-2007 (04-10-2007), n. 39530 Assegnazione di un detenuto a una determinata sezione di un istituto penitenziario – Reclamo

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OSSERVA
Con ordinanza dell’8/3/2007 il Magistrato di Sorveglianza di L’Aquila ha rigettato il reclamo proposto da Z.V. avverso la sua assegnazione a sezione riservata dell’Istituto Penitenziario, rilevando che nessuna violazione dei diritti del detenuto era derivata da tale assegnazione. Il Magistrato di Sorveglianza ha escluso che lo Z. si trovasse in condizioni di isolamento, essendo assegnato alla medesima sezione altro detenuto la cui presenza consentiva di intrattenere un minimo di relazioni sociali, ed ha altresì sottolineato come al reclamante non fosse preclusa la fruizione di istituti trattamentali compatibili con il regime differenziato di cui all’art. 41 bis O.P. al quale lo Z. era sottoposto.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il difensore del detenuto deducendo violazione di legge e difetto di motivazione. Il ricorrente ha rilevato che si era ritenuta l’assenza di lesione ai diritti del detenuto solo valutando le condizioni di restrizione ma senza tenere conto dell’arbitrarietà dei motivi in forza dei quali era stata adottata da parte dell’Amministrazione penitenziaria l’assegnazione ad area riservata, motivi individuabili nelle segnalazioni da parte della Direzione del Carcere di Parma di asseriti comportamenti provocatori risultati inconsistenti alle opportune verifiche giurisdizionali.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
Come più volte affermato da questa Corte e come correttamente osservato dal Magistrato di Sorveglianza di L’Aquila, il reclamo avverso il provvedimento di assegnazione del detenuto ad una particolare sezione dell’Istituto di pena è ammissibile solo quando con esso si deducano specifiche violazioni dei diritti del detenuto in conseguenza proprio di tale assegnazione. E ciò in quanto la ripartizione dei detenuti all’interno della struttura carceraria è riconducibile al potere discrezionale dell’Amministrazione di organizzare e regolare la vita all’interno degli istituti, tenendo conto della pericolosità dei detenuti e della necessità di assicurare l’ordinato svolgimento della vita intramuraria. Nè, a sostegno di una diversa opinione in materia, vale sottolineare le eventuali limitazioni derivanti dall’assegnazione, posto che, comunque, si tratterebbe non già di restrizioni a carico del singolo detenuto e comportanti nei suoi confronti la sospensione o la riduttiva applicazione delle ordinarie regole di trattamento carcerario, ma piuttosto di limitazioni operanti nei confronti di tutti i detenuti assegnati alla specifica sezione e correlate alla sua particolare organizzazione. E dunque, tutto ciò premesso e tenuto conto che la verifica demandata al Magistrato di Sorveglianza era limitata all’accertamento o meno di una lesione dei diritti del detenuto in conseguenza della sua assegnazione ad area riservata del carcere, deve convenirsi sulla congruità ed esaustività delle argomentazioni svolte nell’ordinanza impugnata, laddove si esclude ogni illegittima compressione dei diritti del detenuto e si sottolinea la assicurata fruizione da parte di quest’ultimo sia dei momenti di socialità sia di ogni istituto trattamentale compatibile con il regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord.Pen. al quale lo Z. è sottoposto. Nessuna disamina meritavano, di contro, le ragioni poste a base dell’assegnazione che, come sopra si è sottolineato, rimane di stretta pertinenza dell’Autorità amministrativa, con siffatta assegnazione provvedendosi all’organizzazione interna del carcere e ad assicurare l’ordinato svolgimento della vita intramuraria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente Z. V. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-01-2011, n. 1471 Ricorso

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 29.6 – 12.10.2006 la Corte d’Appello di Perugia:

– dichiarò inammissibile l’appello principale proposto da C. E., Tr.Gr., T.A.M., Tr.

A., T.M., T.I., T.G. e T.L. (quali eredi di t.g.) nei confronti del Comune di Umbertide, non avendo quest’ultimo partecipato al giudizio di primo grado;

– in accoglimento della svolta impugnazione incidentale, dichiarò il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, revocando la condanna alle spese pronunciata in prime cure nei suoi confronti;

– confermò nel resto la sentenza di primo grado, respingendo l’impugnazione principale volta alla retrodatazione al 17.11.1998 del beneficio dell’indennità di accompagnamento riconosciuta, a decorrere dal dicembre 2000, a favore del dante causa degli appellanti.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C. E., Tr.Gr., T.A.M., Tr.

A., T.M., T.I., T.G. e T.L. (quali eredi di t.g.) hanno proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.

L’intimato Inps ha resistito con controricorso.

Gli intimati Ministero dell’Economia e delle Finanze e Comune di Umbertide non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che:

– nel dichiarare il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze la Corte territoriale non ha tenuto conto del disposto della L. n. 326 del 2003, art. 42, secondo cui il ridetto Ministero è litisconsorte necessario nei giudizi relativi all’invalidità civile;

– la Corte territoriale ha insufficientemente motivato in ordine all’esclusione della condanna dell’Inps al pagamento in favore di essi ricorrenti delle spese di lite afferenti al primo grado di giudizio, non comprendendosi perchè gli stessi avrebbero dovuto proporre appello avverso un capo della sentenza (la condanna alle spese nei confronti del Ministero) a loro favorevole.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in ordine alla pronuncia di inammissibilità dell’appello nei confronti del Comune di Umbertide, non avendo la Corte territoriale considerato che, dopo la morte del dante causa, il ricorso per riassunzione era stato notificato dagli eredi anche al ridetto Comune, tanto che, nella delibera di Giunta di conferimento dell’incarico al legale, era stato indicato che il Comune stesso si era costituito in primo grado "a mezzo del Comune di Città di Castello in forza di delega conferita al predetto ente in virtù del protocollo d’intesa relativo al trasferimento delle competenze in materia di invalidità".

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione in relazione alla decorrenza del beneficio, lamentando l’omessa presa in considerazione di risultanze documentali da cui avrebbe dovuto evincersi la sussistenza del requisito sanitario già al momento della richiesta amministrativa.

2. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c., è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e quindi anche al presente ricorso, non trovando invece applicazione, ratione temporis, la novella di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 47, che, fra l’altro, ha abrogato il predetto art. 366 bis c.p.c..

In base all’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibifità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza detta motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex pluhmis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). Nel caso che ne occupa il primo motivo, limitatamente alla doglianza inerente aita dedotta violazione della L. n. 326 del 2003, art. 42, non ottempera a quanto richiesto, poichè il quesito non è stato formulato con l’indicazione del principio di diritto (ritenuto) applicabile alla fattispecie, bensì attraverso la mera richiesta di una pronuncia "in ordine all’applicabilità o meno della L n. 326 del 2003, art. 42, ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore tenuto conto del fatto che trattasi di norma di natura processuale".

Quanto al profilo di doglianza inerente alla pronuncia sulla regolamentazione delle spese di lite di primo grado, lo stesso è totalmente mancante sia del quesito di diritto che, in relazione al dedotto vizio motivazionale, del necessario momento di sintesi.

Il secondo e il terzo motivo, entrambi svolti denunciando vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono del pari carenti del rispettivo momento di sintesi; nè, quanto al secondo motivo, la denuncia del preteso error in procedendo, riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è accompagnata dalla formulazione del quesito di diritto.

Ne discende l’inammissibilità di tutti i motivi e, con ciò stesso, del ricorso.

3. Non è luogo a pronunciare sulle spese, attesa l’applicabilità, ratione temporis (il ricorso introduttivo risalendo al 2000), dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alla novella di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 21-01-2011, n. 656 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

che, con atto sottoscritto dal difensore, munito dei relativi poteri, il ricorrente ha dichiarato la rinuncia agli atti del ricorso, con richiesta di compensazione tra le parti delle spese di giudizio;

che, con atto sottoscritto dal Sindaco, il Comune resistente ha aderito alla richiesta di compensazione tra le parti delle spese di giudizio;

Considerato:

che l’atto di rinuncia è stato solo depositato in giudizio e non notificato;

che, tuttavia, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 4, del D.Lgs. n. 104/2010, si desume che la parte ricorrente non ha più interesse alla prosecuzione del ricorso;

Ritenuto:

che il ricorso debba dichiararsi improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse;

che, a fronte anche dell’adesione del Comune resistente alla richiesta in tal senso della parte ricorrente, debba disporsi l’integrale compensazione tra le parti delle spese, dei diritti e degli onorari;
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sezione I quater, definitivamente pronunciando, dichiara improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

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