Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-08-2011, n. 17162 Pensioni indirette o di reversibilità

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 16.5 – 13.10.2006 la Corte d’Appello di Roma rigettò l’impugnazione svolta da P.I.B. nei confronti dell’Inps avverso la pronuncia di prime cure che aveva respinto la domanda da lei proposta tesa al riconoscimento quale contribuzione italiana, figurativa o effettiva, di quella relativa al periodo di lavoro prestato dal coniuge B.I. presso le miniere d'(OMISSIS) in regime di militarizzazione (dal 10.10.1940 al 9.9.1943) e per l’effetto all’accertamento del diritto del suo dante causa alla pensione di vecchiaia Inps in regime di convenzione italo – jugoslava e, conseguentemente, del suo diritto alla pensione di reversibilità in favore dei superstiti, con condanna dell’inps al pagamento della prestazione, con arretrati a decorrere dalla presentazione della domanda amministrativa (2.9.1999) e con interessi e rivalutazione e spese.

A sostegno del decisimi la Corte territoriale, per ciò che ancora in questa sede specificamente rileva, osservò quanto segue: – con note successive al deposito dell’appello erano state prodotte due sentenze, dalle quali si sarebbe dovuto evincere che, al dante causa della P., era stata riconosciuta dall’Inps la pensione di vecchiaia in regime internazionale a decorrere dal 1 maggio 1982 e che l’Inps era stato condannato al pagamento, in favore degli eredi, tra i quali l’appellante, dei ratei maturati della prestazione maggiorati di interessi legali;

– tale produzione era inammissibile perchè tardiva; infatti, benchè il giudicato esterno possa essere rilevato d’ufficio anche in sede di legittimità, è tuttavia necessario che la relativa documentazione sia acquisita ritualmente nel corso del giudizio di merito e, nel rito del lavoro, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione, cosicchè la irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza in grado di appello;

– tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento (ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento) nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa; tali poteri, peraltro, sono da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse, mentre, nel caso in esame, la sentenza che avrebbe accertato il diritto del dante causa dell’odierna appellante è del 1996 ed è passata in giudicato nel 1997, ben prima della introduzione del giudizio di primo grado; ben avrebbe potuto quindi la P., già in quella sede, produrla o, quanto meno, allegare il fatto materiale con essa accertato; per contro tale allegazione ed il deposito del documento, erano avvenuti addirittura successivamente all’introduzione del giudizio di appello, con note mai autorizzate dalla Corte; in tale situazione di fatto era pertanto inammissibile l’acquisizione del documento anche nell’esercizio dei poteri officiosi, non essendo mai stato ritualmente allegato nel contraddittorio delle parti la circostanza di fatto che ne avrebbe costituito il fondamento.

Avverso la suddetta decisione della Corte territoriale, P.I. B. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’Inps ha resistito con controricorso, svolgendo ricorso incidentale condizionato fondato su un motivo.
Motivi della decisione

1. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza ( art. 335 c.p.c.).

2. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 324 c.p.c., nonchè vizio di motivazione e motivazione apparente, lamentando che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del giudicato formatosi sul diritto del suo dante causa alla pensione di vecchiaia e invocando il principio della rilevabilità del giudicato esterno anche in sede di legittimità.

Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 324 e 132 c.p.c., deducendo, sempre in relazione all’intervenuta produzione delle sentenze relative alla pensione del suo dante causa e alla relativa quantificazione dei ratei maturati e non riscossi, il carattere apparente della motivazione, avendo la Corte territoriale rigettato il gravame "attaccando la parte motiva a stampa che il collegio presieduto dal dott. Z.G. è solito usare per i procedimenti aventi questo oggetto". 3. La seconda doglianza, logicamente prioritaria, è manifestamente infondata, posto che la motivazione addotta, nei termini diffusamente indicati nello storico di lite, risulta perfettamente aderente alle indicate risultanze processuali del caso concreto, sicchè la motivazione stessa è idonea ad esplicitare e sostenere le ragioni del decidere, essendo evidentemente irrilevante che le considerazioni in diritto siano state svolte negli stessi termini eventualmente utilizzati in casi analoghi.

4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ne giudizio di cassazione l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata; ciò non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; pertanto la produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 13916/2006; Cass., n. 26041/2010).

Viceversa, nel caso di specie, come accertato in fatto dalla Corte territoriale, la sentenza che avrebbe riconosciuto il diritto alla pensione del dante causa dell’odierna ricorrente principale era passata in giudicato anteriormente all’introduzione del giudizio di primo grado, cosicchè la relativa allegazione e produzione documentale avrebbe dovuto rispettare le prescrizioni dettate dall’art. 414 c.p.c..

Nè la ricorrente principale ha specificamente censurato le ragioni, ricordate nello storico di lite, in forza delle quali la Corte territoriale ha ritenuto di non poter fare ricorso, al riguardo, ai poteri officiosi ex art. 437 c.p.c.; al riguardo va infatti tenuto conto che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 359/2005; 2540/2007; 18209/2007).

Il primo motivo del ricorso principale non può dunque trovare accoglimento, posto che, come esposto nello storico di lite, la sentenza impugnata non ha affatto negato la rilevabilità, anche officiosa, del giudicato esterno, ma, piuttosto, ha escluso l’acquisibilità al giudizio, nel caso di specie, della relativa produzione documentale.

5. In definitiva il ricorso principale va rigettato, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato (fondato sull’asserita violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato).

Ricorrono le condizioni di esonero della parte soccombente dalle spese processuali, stante la dichiarazione reddituale contenuta nelle conclusioni del ricorso.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale e dichiara assorbito l’incidentale; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 19-05-2011, n. 4366 Concessione per nuove costruzioni

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti -proprietari in forza di contratti di compravendita stipulati con la società "L.D.S. Srl’ e la sig.ra Rosanna Zamboni, di porzioni immobiliari del complesso immobiliare sito nel Comune di Ardea, con accesso in via Ancona n. 44 – riferiscono che la proprietà degli immobili ricade all’interno dei fabbricati B,C e D, insistenti sulla part.lla 31 del Foglio 51 asseritamente gravata da vincolo archeologico di tutela indiretta. Detti edifici sono parte di un più esteso complesso originariamente edificato sui terreni in Catasto al Foglio 51, part.lle 31 e 32, a seguito di convenzione edilizia in data 17.11.1989 nonché di concessione edilizia n. 382/89 e successiva variante in data 27 luglio 1990 in favore della società L.D.S. srl dal Comune di Ardea. I terreni sono stati trasferiti alla suddetta società dalla sig.ra Rosanna Zamboni in data 17.11.1989 con l’impegno di cedere alla venditrice il 25 per cento della volumetria che sarebbe stata realizzata sul terreno. La società, a seguito di concessione edilizia e successiva variante, ha realizzato il complesso immobiliare (centro commerciale, 7 fabbricati, 250 appartamenti).

Dopo otto anni dal rilascio della concessione edilizia e dopo cinque anni dalla ultimazione dei lavori il Dirigente dell’U.T. del Comune di Ardea, con provvedimento prot. n. 24702 del 1.8.1997, ha annullato la concessione edilizia n.362/89 e successiva variante del 27.7.1990, a suo tempo rilasciate per la realizzazione di un complesso turistico residenziale e alberghiero alla società L.D.S. srl, riscontrando l’esistenza di un vincolo diretto e indiretto ex artt. 1, 3 e 21 della Legge n. 1089 del 1939 sul terreno in questione.

Con successivo atto in data 29.8.1997, n. 330 lo stesso Dirigente, sulla base dei medesimi presupposti contenuti nel provvedimento di annullamento della concessione edilizia, ha ingiunto alla società "L.D.S. srl " di demolire l’intero complesso realizzato con preavviso, in caso di inottemperanza, di acquisizione gratuita di terreno e delle costruzioni al patrimonio del Comune.

Con verbale del 26.5.1998 il Comune ha accertato l’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 330/1997, ad esito di sopralluogo e con successivo provvedimento prot.n. 305 dell’8.7.2005 è stata ordinata l’immediata acquisizione al patrimonio immobiliare del Comune dell’area di sedime sulla quale insiste il fabbricato di cui alla concessione edilizia n. 382/89 e per accessione il fabbricato e le opere pertinenziali sulla stessa area realizzate, disponendo la trascrizione del presente provvedimento nei pubblici registri e l’immissione in possesso dell’immobile.

La società "L.D.S. srl’ ha provveduto ad impugnare entrambi i provvedimenti con ricorso RG n. 13083/97 e a seguito del fallimento della società (sent. 1059/98) il giudizio dinanzi al Tar è stato interrotto e poi riassunto. Con sentenza n. 10236/2002 il Tar ha dichiarato in parte inammissibile il ricorso e, in parte, lo ha respinto, sentenza appellata dal Fallimento L.D.S. srl dinanzi al Consiglio di Stato. Il Fallimento ha altresì impugnato anche il provvedimento di acquisizione al patrimonio con ricorso RG 7863/05 e questa sezione con ordinanza n. 5819/2005 ha accolto la domanda di sospensiva.

Gli istanti così hanno proposto ricorso avverso gli atti indicati in epigrafe, di cui lamentano la mancata notifica e la intervenuta conoscenza degli stessi in epoca recente, censurando tutti gli atti gravati dei seguenti motivi:

1) Violazione di legge in relazione all’art.31, commi 2 e 4 del DPR n. 380 del 2001: il provvedimento di acquisizione gratuita dell’immobile sarebbe illegittimo in quanto l’ingiunzione alle demolizioni e il verbale di accertamento dell’inottemperanza non sarebbero stati notificati ai proprietari e/o comproprietari dell’immobile stesso. Illegittimità da censurare parimenti nei riguardi dell’atto annullatorio e di demolizione, attesa la piena conoscenza del Comune di Ardea dei passaggi immobiliari e dei nominativi dei proprietari.

Quanto all’atto annullatorio: 2) Violazione del principio del giusto procedimento:artt. 2, 4, 6, 7, 8, 10 della L.n. 241 del 1990. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e in particolare per difetto e/o falsità e/o erroneità dei presupposti contraddittorietà manifesta tra più atti emanati dalla stessa P.A.. Illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione: la violazione del principio del giusto procedimento sarebbe evidente secondo i ricorrenti in quanto sia la comunicazione con la quale il Commissario Straordinario ad acta comunicava alla concessionaria della predisposizione degli atti di annullamento relativi alla concessione e successiva variante(nota 1.8.1997, prot. n. 24560), che l’atto di annullamento, recherebbero la stessa data del 1°agosto 1997. Inoltre, l’esistenza del vincolo di uso civico sull’area di sedime delle costruzioni non comporterebbe automaticamente il divieto assoluto di edificare. Aggiungono gli istanti altresì che, a far data dal 14.4.1988 al 20.1.1989, il Comune sarebbe stato a conoscenza del gravame di uso civico in corso di liquidazione su detti fondi privati, mentre con la certificazione di destinazione urbanistica rilasciata avrebbe asserito che la zona interessata dall’intervento non sarebbe sottoposta a vincoli, compreso quello di uso civico, ingenerando l’incolpevole affidamento del privato. Inoltre, la presenza del vincolo ad uso civico e di quello archeologico non risulterebbe nella redazione del PRG, né risulterebbe eccepito e rilevato dalla Regione Lazio.

3) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare per difetto e/o falsità dei presupposti, nonché per contraddittorietà manifesta. Violazione di legge nonché eccesso di potere per travisamento: la trascrizione del vincolo indiretto eseguita per ordine del Ministero competente presso la Conservatoria di Roma 2, nella sezione relativa agli immobili siti nel Comune di Pomezia, sarebbe erronea, posto che i terreni sarebbero stati scorporati dal territorio del Comune di Pomezia e assegnati al Comune di Ardea da più di 10 anni (1970), in disparte anche la circostanza della trascrizione sulla base di una nota priva della indicazione delle generalità del soggetto destinatario (Zamboni). L’errore contenuto nel titolo (decreto impositivo del vincolo), così come confluito nella nota di trascrizione, avrebbe impedito ab origine la conoscibilità e l’opponibilità ai terzi aventi causa dal proprietario destinatario della notificazione (Zamboni) e agli odierni ricorrenti ignari aventi causa in buona fede. Il Comune avrebbe taciuto in mala fede anche l’esistenza del vincolo archeologico di tutela indiretta (oltre che quello di uso civico), avendone al contrario conoscenza dello stesso, ingenerando affidamento del privato nella situazione attestata dai certificati di destinazione urbanistica (conoscenza ricavabile da preavviso di annullamento del 1.8.1997, comunicazione via fono della Regione del 7.9.1989, prot. n. 20789, comunicazione del 16.11.2005, prot PM01n 4520 della Soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio nonché dall’avviso di annullamento), senza giustificare uno specifico interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo.

4)Eccesso di potere per omessa considerazione del principio generale dell’affidamento da parte del privato e conseguente omessa valutazione dell’interesse consolidato. Assenza e/o carenza di motivazione. Violazione di legge: in sede di autotutela il Comune non avrebbe valutato preliminarmente l’effettivo contenuto del vincolo archeologico indiretto nè ponderato la reale esistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della situazione quo ante.

5)Eccesso di potere per difetto dei presupposti sotto altri profili. Omessa considerazione della parziale incidenza del vincolo. Eccessiva onerosità del provvedimento di annullamento totale. Violazione di legge. Eccesso di potere per manifesta contraddittorietà: i ricorrenti vanterebbero diritti di natura condominiale sulle porzioni comuni site all’interno della part.lla 32, come l’area non occupata dagli edifici, le strade e gli spazi destinati a parcheggio; così l’annullamento parziale avrebbe fatto salvi i diritti domenicali in capo ai ricorrenti. Stante la diversità delle posizioni, l’autonomia costruttiva e la scindibilità invece avrebbe emanato un provvedimento di acquisizione relativa solo ai fabbricati insistenti sulla part.lla 31.

6)Eccesso di potere per falsità dei presupposti e per travisamento sotto altri profili, le asserite difformità del progetto sarebbero generiche nella loro consistenza.

Quanto al provvedimento di ingiunzione a demolire: 7) Illegittimità per vizi derivati; 8) Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità manifeste; 9)Violazione degli artt.7 e 8 della Legge n. 47 del 1985 e art.8 della L.R. n. 36 del 1987. Erroneo riferimento al concetto di difformità totale nonché alla pretesa assenza di concessione. Violazione ed errata interpretazione della Delibera Regionale di approvazione del PRG del Comune di Ardea, in BUR del 20.11.1984. Violazione ed errata interpretazione dell’art.8 L.R. 12.6.1975, n.72. Omesso riferimento all’art.12 della Legge n. 47 del 1985. Omesso riferimento all’art.37 del DPR n. 380 del 2001; 10) Violazione di legge con riferimento all’art.38 del DPR 6 giugno 2001, n. 380. Omessa e/o carente motivazione. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche.

I ricorrenti censurano l’atto ingiuntivo il quale sarebbe affetto in via derivata da tutti i vizi di cui apparirebbe inficiato il provvedimento d’origine; inoltre, le contestazioni sull’eccesso di cubatura sarebbero generiche e, in assenza di parametri certi di confronto, l’aumento non potrebbe essere ritenuto consistente ai fini della normativa in materia, in considerazione della invarianza dell’involucro edilizio. Inoltre, se conosciute le contestazioni nei tempi avrebbero potuto fruire della normativa sul condono di cui alla Legge n. 326 del 2003 con la sanatoria degli abusi. Infine, la gratuita acquisizione al patrimonio comunale dell’intero compendio non sarebbe praticabile perché l’istituto presupporrebbe l’abusività dell’intero organismo edilizio, mentre l’opera insisterebbe solo in parte sull’area riguardante il vincolo e per la restante il vincolo di uso civico sarebbe in liquidazione.

Quanto al verbale di accertamento dell’inottemperanza alla demolizione:

11) Violazione di legge. Eccesso di potere per travisamento, illogicità, irrazionalità, contraddittorietà manifeste, il verbale di accertamento non specificherebbe i dati catastali dei fabbricati distinti al NCEU del Comune di Ardea, ma solo l’indicazione del C.T.

Quanto al provvedimento di acquisizione al patrimonio e di immissione nel possesso:

12) Illegittimità per vizi derivati. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche. Violazione di legge con riferimento agli artt. 31 e 38 del DPR 6 giugno 2001, n. 380. Omessa e/o carente motivazione. Violazione di legge con riferimento all’art. 31, comma 6, del DPR n. 380 del 2001. Carenza di potere, la presenza di un solo vincolo (l’archeologico indiretto) sulla part.lla 31 del foglio 51, stante la liquidazione in corso del vincolo di uso civico, non consentirebbe l’acquisizione a favore del Comune di Ardea dell’area di sedime sulla quale insiste il fabbricato di cui alla part.lla 31.

Si è costituito in giudizio il Ministero dei BB.CC.AA. per resistere al ricorso, chiedendo la reiezione del gravame.

Anche il Comune di Ardea si è costituito in giudizio eccependo preliminari profili di irricevibilità del ricorso e chiedendo, comunque, la reiezione dello stesso.

Con ordinanza in data 26 gennaio 2006, n.618 è stata respinta la suindicata domanda cautelare di sospensione del provvedimenti impugnati.

In data 24.9.2008, il ricorrente Sig. G. D.A. ha prodotto atto di rinuncia al ricorso, sottoscritto anche dal difensore, ritualmente notificato.

Con atto in data 29.12.2008 la ricorrente sig.ra C.M. unitamente agli eredi del sig. F.A., nel frattempo deceduto, ha presentato atto di riassunzione.

Con atto contenente motivi aggiunti notificati al Comune in data 17.3.2009, parte ricorrente venuta a conoscenza della considerata non rituale notifica alla ditta proprietaria del decreto ministeriale 29.3.1980 impositivo del vincolo ex art.1, 3 e 21 della Legge n. 1089 del 1939, di divieto assoluto di erigere nuove costruzioni e opere di qualsiasi genere,anche provvisorie, ha chiesto l’inopponibilità dello stesso nei confronti dei successivi proprietari.

Il Ministero BB.CC. ha replicato alle censure da ultimo proposte, ulteriormente argomentando sulla tipologia del vincolo e sull’efficacia reale dello stesso, ed ha insistito per l’opponibilità nei confronti dei successivi acquirenti proprietari, concludendo per il rigetto del ricorso avversario.

Anche il Comune di Ardea ha prodotto memoria difensiva, eccependo preliminarmente la inammissibilità dell’atto contenente motivi aggiunti e comunque, attesa l’infondatezza delle pretese, ha concluso per la reiezione del gravame. E’ seguita la replica dei ricorrenti sia sugli aspetti preliminari di rito che di merito con argomentate considerazioni. Alla udienza pubblica del 7 maggio 2009, la causa è stata cancellata dal ruolo.

I ricorrenti in prossimità dell’odierna udienza hanno ulteriormente argomentato sulle eccezioni di parte avversa fornendo elementi a riscontro riguardo la mancata rilevazione del vincolo sull’area.

Alla pubblica udienza del 31 marzo 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

2. Per i preliminari profili di rito il Collegio esamina l’ atto di rinuncia al ricorso proposto dal sig. G. D.A., ritualmente notificato in data 2425.6.2008 al Comune di Ardea, al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e al Fallimento L.D.S. srl. e sottoscritto dal ricorrente e dal difensore di parte.

In relazione a ciò, occorre prendere atto della predetta rinuncia depositata ritualmente dal sig. D.A., ai sensi dell’art. 84 del cpa, a cui non è seguita opposizione delle parti resistenti, disponendo la compensazione delle spese di giudizio limitatamente alle predette parti, avuto riguardo alle circostanze di fatto di cui alla controversia.

3. Con riferimento al gravame proposto dagli altri soggetti indicati in epigrafe, la cui dichiarazione di interesse al ricorso è stata prodotta con nota in data 25.3.2011, reputa il Collegio che il ricorso non sia ancora maturo per la decisione alla luce di quanto rappresentato e contestato dalle parti costituite e tenuto conto della mancanza di una replica aggiornata da parte del Comune resistente alle argomentazioni difensive dei ricorrenti; pertanto, ai fini della completa cognizione della causa, occorre disporre:

– nei confronti del Comune di Ardea di acquisire una aggiornata relazione dettagliata e documentata relativa alla situazione di fatto e di diritto degli immobili di cui è causa nonché in relazione agli aspetti ediliziourbanistici e alle difformità contestate (con riferimento anche alla eventuale scindibilità delle opere se distinte – come risultante dalla consulenza tecnica di parte redatta dall’arch. Saraco e la verifica statica – in relazione alle aree sottoposte al vincolo);

– chiarimenti in ordine ai profili di censura dedotti riguardo la rilevabilità del vincolo sulle aree e dell’identificazione dello stesso nell’ambito territoriale del Comune nonchè i documenti relativi all’avvenuta notificazione del vincolo da parte dei messi comunali, fornendo altresì ogni altro elemento utile per la soluzione della controversia;

– nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali resistente di acquisire comprovati chiarimenti tenendo conto anche delle repliche dei ricorrenti riguardo la ritualità della notificazione del decreto di vincolo e le circostanze della conoscibilità della sussistenza del vincolo medesimo, fornendo altresì ogni altro elemento utile per la soluzione della controversia.

Per l’assolvimento dei rispettivi incombenti istruttori a carico delle parti è congruo stabilire il termine di 60 (sessanta) giorni decorrenti dalla notificazione, a cura della parte ricorrente, della presente ordinanza, o dalla comunicazione della stessa in via amministrativa, se anteriore.

E’ sospesa ogni decisione in rito, in merito e sulle spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

– dà atto della rinuncia al ricorso del sig. G. D.A. e compensa le spese di giudizio tra lo stesso e le parti resistenti;

– ordina gli incombenti istruttori nei sensi e nei termini di cui in motivazione.

Fissa l’udienza di discussione del merito alla data del 14 dicembre 2011.

E’ sospesa ogni decisione in rito, in merito e sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-05-2011) 01-06-2011, n. 22187 Ebbrezza

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 gennaio 2008 il Tribunale di Udine dichiarava S.M. colpevole del reato di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2 e lo condannava alla pena di giorni quindici di arresto ed Euro 400 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello l’imputato.

La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 16 dicembre 2009, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava l’imputato al pagamento delle spese processuali del grado.

Avverso tale sentenza il S. personalmente proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l’annullamento con ogni conseguente statuizione.
Motivi della decisione

Il ricorrente censurava l’impugnata sentenza per i seguenti motivi:

1) erronea applicazione della legge penale per violazione degli artt. 157, 161 e 162 c.p.p., art. 484 c.p.p., comma 1, art. 552 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c, art. 179 cod. proc. pen..

Sosteneva sul punto di non essere stato in grado di difendersi nel giudizio di primo grado, in quanto il decreto di citazione a giudizio era stato notificato al difensore di ufficio in data 6.08.2007, mentre egli aveva già provveduto alla nomina di due difensori di fiducia in data 31.07.2007 e aveva eletto domicilio presso il loro studio. Rilevava inoltre che la omessa notifica del decreto di citazione a giudizio al difensore di fiducia e la nullità della notifica all’imputato avevano già formato oggetto di eccezione da parte del difensore di fiducia all’udienza del 16.01.2008, eccezione che era stata peraltro rigettata. Tale eccezione era stata peraltro riproposta nell’atto di appello e di nuovo rigettata. Rilevava ancora il S. che il decreto di citazione a giudizio era stato notificato all’imputato in data 24.07.2007 presso il domicilio da lui indicato in (OMISSIS) ed era stato consegnato ad una incaricata al ritiro, tale C.A., senza alcun accertamento sul rapporto tra la stessa e l’imputato in violazione dell’art. 157 cod. proc. pen..

2) erronea applicazione della legge penale per violazione ed erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. e L. n. 689 del 1981, artt. 53 e 58, artt. 163 e 164 cod. pen. – carenza di motivazione. Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata in merito al diniego delle attenuanti generiche era soltanto apparente in quanto non erano state spiegate le ragioni di tale scelta, essendosi la sentenza limitata al mero richiamo ai suoi precedenti penali dell’anno 2004 e 2005. Lamentava infine il ricorrente che la Corte territoriale aveva errato nell’omettere l’esame del motivo di gravame riguardante la contemporanea valutazione dell’esistenza di precedenti specifici ai fini della determinazione della pena, della negazione delle attenuanti generiche, della negazione della sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, della negazione della sospensione condizionale della pena. I proposti motivi di ricorso sono infondati.

Per quanto attiene al primo motivo deve rilevarsi che la sentenza impugnata con motivazione dettagliata e con preciso riferimento ad atti processuali ha spiegato le ragioni per cui nessuna nullità aveva inficiato il decreto di citazione a giudizio nel corso del giudizio di primo grado.

Per contro il ricorrente ha riproposto la questione con il ricorso per Cassazione in maniera del tutto generica in quanto non sono stati indicati gli elementi di fatto che la supportano.

Per quanto riguarda poi il secondo motivo di ricorso, si osserva che la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ha indicato, con motivazione logica e congrua,le ragioni per cui ha ritenuto, come già il giudice di prime cure, che non fossero concedibili le attenuanti generiche, dal momento che l’odierno ricorrente, che ha precedenti specifici, non ha manifestato nessun segno di resipiscenza e di acquisita consapevolezza della pericolosità della condotta criminosa contestatagli. Per le stesse ragioni correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di confermare il diniego della sostituzione della pena detentiva inflitta con quella pecuniaria dal momento che, avendo il S. commesso per la quarta volta il reato di guida in stato di ebbrezza, si deve ritenere che la pena pecuniaria non abbia avuto alcun effetto preventivo nei suoi confronti. Per gli stessi motivi infine correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto non concedibile la sospensione condizionale della pena, che è preclusa dalla constatazione che non è possibile sciogliere in senso a lui favorevole la prognosi circa l’astensione in futuro dalla commissione di ulteriori reati.

Il ricorso proposto deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-10-2011, n. 22092 Condominio di edifici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso per manutenzione del possesso C.F. e S.C., proprietari dell’appartamento al primo piano del fabbricato sito in (OMISSIS), denunciavano che N.G. e P.C., proprietari del sottostante appartamento a piano terra, avevano realizzato tre pensiline di materiale plastico con intelaiatura in ferro lamentando la lesione dell’estetica della facciata e la violazione del diritto di veduta in appiombo dai medesimi esercitato.

Chiedevano la rimozione del manufatto, facendo presente che, attraverso la pensilina era possibile accedere dal muro di cinta al loro appartamento.

Si costituivano i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Respinta la tutela interdittale, il Tribunale di Massa con sentenza dep. il 21 luglio 2001 rigettava la domanda.

Con sentenza dep. il 25 novembre 2004 la Corte di appello di Genova rigettava l’impugnazione principale proposta dagli attori.

Dopo avere precisato i limiti entro i quali le norme sulle distanze legali si applicano al condominio in considerazione dell’esigenza di contemperare i diversi interessi dei proprietari che il giudice deve valutare, la Corte riteneva che, da un canto, le pensiline realizzate con materiale elegante e in armonia con le caratteristiche strutturali e le linee estetiche del fabbricato, svolgevano una funzione di obiettiva utilità per il condomino al piano terra e, d’altro lato, che il pericolo alla sicurezza del primo piano era da escludere, attesa la fragilità della lastra in policarbonato che sola avrebbe potuto fornire una base di appoggio per accedere all’appartamento degli attori mentre il materiale trasparente delle pensiline non impediva l’esercizio della veduta in appiombo.

2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione il C. e la S. sulla base di due motivi illustrati da memoria.

Resistono con controricorso gli intimati.
Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa, insufficiente contraddittoria motivazione sul punto "sicurezza" dei ricorrenti, censurano la decisione gravata che, nella valutazione della gerarchia dei valori condominiali, aveva ritenuto secondario il problema della sicurezza evidenziato da essi ricorrenti rispetto alla funzione di protezione e riparo della porta finestra del piano terra, che era stato invece considerato primario mentre tale sarebbe stato il problema della sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e patrimoniale degli attori. Ugualmente assurdo doveva considerarsi il ragionamento della Corte laddove aveva ritenuto che nelle lastre in policarbonato doveva individuarsi il piano di appoggio per accedere all’appartamento degli attori quando in realtà la base di appoggio era la struttura metallica in acciaio infissa nel muro e su cui poggiava il policarbonato.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrenti, lamentando violazione dell’art. 907 cod. civ. ed errata interpretazione dell’art. 1102 cod. civ. nonchè irrazionale omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano la sentenza gravata che con motivazione innovativa e inaccettabile aveva ritenuto che nell’ambito condominiale le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione solo in quanto compatibili.

Erroneamente era stato ritenuto che il valore primario della protezione dagli agenti atmosferici dovesse sacrificare nell’ambito condominiale il diritto di veduta goduto dagli attori, i quali avevano diritto all’osservanza delle prescrizioni dettate dall’art. 907 cod. civ. anche con riferimento a una pensilina che non deve impedire il diritto di veduta dei condomini, secondo quanto statuito dalla Suprema Corte. Tenuto conto che la pensilina, nella parte in cui è costituita con materiale trasparente, è destinata a opacizzarsi rapidamente, non si comprendeva come la stessa potesse considerarsi non ostativa all’esercizio della veduta.

2. I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

La sentenza impugnata è innanzitutto conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui le norme sulle distanze legali, rivolte fondamentalmente a regolare rapporti fra proprietà contigue e separate, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale quando sia compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative alle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè quando l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (Cass. 6546/2010; 7044/2004;

8978/2003; 15394/2000; 9995/1998; 10704/1994).

Al riguardo occorre ricordare i principi che in modo particolare sono stati chiariti e precisati da Cass. 14 aprile 2004 n. 7044 (di recente integralmente ripresi e riportati da Cass. 6546/2010).

Secondo Cass. 7044/ 2004 n. 7044, in considerazione della peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarietà si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione – che l’uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (Cass. 8808/2003).

Trova perciò applicazione la disciplina, che regolando in modo particolare e specifico, il godimento e l’utilizzazione dei beni comuni, ha natura speciale rispetto alla normativa che, nell’ambito dei rapporti di vicinato, stabilisce le limitazioni legali fra proprietà confinanti, che sono imposte con carattere di reciprocità indipendentemente dalla verifica di un pregiudizio derivante dalla loro inosservanza.

Al riguardo occorre fare riferimento quindi all’art. 1102 cod. civ. – applicabile, ai sensi dell’art. 1139 cod. civ., al condominio – che, nello stabilire i poteri e i limiti di ciascun partecipante nell’uso dei beni comuni, fissa al tempo stesso le condizioni di liceità della condotta del comunista.

Con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purchè il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso.

In definitiva l’estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (Cass. 10453/2001).

Pertanto,qualora – attraverso la valutazione delle esigenze e dei diritti degli altri partecipanti alla comunione – il giudice verifichi che l’uso della cosa comune sia avvenuto nell’esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 cod. civ. a tutela degli altri comproprietari, deve ritenersi legittima l’opera seppure realizzata senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti fra proprietà contigue e che trovano applicazione nel condominio, semprechè la relativa osservanza sia compatibile con la struttura dell’edificio condominiale, in cui le singole proprietà coesistono in unico edificio.

Infatti la prevalenza della norma speciale, dettata in materia di condominio, determina l’inapplicabilità di quella generale, quando i diritti o le facoltà da questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal partecipante alla comunione sulla base dell’art. 1102 c.c.: in considerazione del rapporto strumentale di cui si è detto fra l’uso del bene comune e la proprietà esclusiva, che caratterizza il condominio, non sembra ragionevole individuare a carico del diritto del singolo condomino – che si serva delle parti comuni in funzione del migliore e più razionale godimento del bene di proprietà individuale – limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi dei partecipanti alla comunione secondo i parametri stabiliti dalla specifica disciplina al riguardo dettata dall’art. 1102 cod. civ..

Nella specie, la sentenza ha compiuto, con motivazione immune da vizi logici, la verifica della compatibilità dell’uso più intenso della cosa comune con i limiti sanciti dall’art. 1102 cod. civ.. Ed invero, i Giudici non hanno affatto considerato prevalente la funzione di protezione delle pensiline rispetto al problema della sicurezza posto dagli attori avendo escluso che i manufatti realizzati dai convenuti potessero essere utilizzati da malintenzionati per accedere all’appartamento degli attori: hanno ritenuto che soltanto la lastra in policarbonato in astratto fosse utilizzabile come base di appoggio ma che in concreto per la sua fragilità non potesse costituire un piano idoneo per accedere all’appartamento degli attori. D’altra parte, è stata anche esclusa la lesione del diritto di veduta, stante il materiale trasparente di cui erano costituite le pensiline, che le stesse fossero state mantenute in condizioni di pulizia dai predetti convenuti in adempimento degli obblighi loro imposti a garanzia di una civile convivenza e di un corretto svolgimento dei rapporti di vicinato.

Orbene, le doglianze sollevate dai ricorrenti si sostanziano nella censura degli apprezzamenti compiuti dalla sentenza impugnata in ordine agli accertamenti di fatto – che sono riservati al giudice di merito – circa l’idoneità dei manufatti a creare una condizione di insicurezza o a ledere il diritto di veduta. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.800,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.