T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 06-07-2011, n. 1240

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente impugna l’epigrafato diniego di sanatoria edilizia adottato dal Comune di Lecce sui seguenti presupposti:" Il regime giuridico del nuovo condono edilizio, introdotto dalla l. 326/2003, delinea un ambito di condonabilità ben più restrittivo rispetto alla disciplina delle precedenti leggi (n. 47/1965 e n. 724/1994) soprattutto per quanto concerne le opere abusive realizzate in zone sottoposte a vincolo. In queste zone le sole opere suscettibili di sanatoria sono quelle ricadenti nelle tipologie 4, 5 e 6 vale a dire opere di restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e opere non valutabili in termini di superficie e di volume. Il legislatore regionale con la Legge 28 del 23 dicembre 2003 aveva escluso anche queste ultime dal beneficio della sanatoria, in seguito, con la Legge 19 del 3 novembre 2004, modificando l’art. 2 della L.R. 28/2003, ha affermato la condonabilità degli abusi minori nelle aree vincolate, vi è più che l’immobile realizzato su suolo agricolo contrasta con le norme e prescrizioni urbanistiche".

1.1. A sostegno del ricorso sono dedotte le seguenti censure:

I) Illegittimità del provvedimento di diniego di sanatoria edilizia del Dirigente dell’U.T.C., Settore Urbanistica del Comune di Lecce (prot. n. 41529 notificato in data 30 marzo 2010) per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 commi 26 e 27 l. 326/2003 e dell’art. 2 comma 1 L.R. n. 27/2003.

II) Illegittimità per eccesso di potere del provvedimento di diniego di sanatoria edilizia. Carenza di motivazione.

III) Illegittimità per violazione di legge. Assenza di motivazione.

IV) Risarcimento del danno da inutile attività processuale.

1.2. Con atto depositato in data 21 luglio 2010 si è costituito in giudizio il Comune di Lecce insistendo per la reiezione del ricorso.

1.3.Nella pubblica udienza del 5 maggio 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

2. Il ricorso è infondato e non meritevole di accoglimento.

2.1. La questione della sanabilità degli abusi edilizi in zone vincolate è stata già affrontata di recente dalla Sezione con argomentazioni dalle quali non è dato discostarsi (per tutte, fra le ultime, sent. 17/2009) e che possono darsi per riportate nel caso in esame.

In particolare, tra i principi di diritto più significativi, ivi si è affermato che:

– Il combinato disposto dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 32 comma 27 lett. D) del d.l. n. 269 del 2003 comporta che un abuso commesso su un bene vincolato può essere condonato, a meno che non ricorrano, insieme, l’imposizione del vincolo di inedificabilità relativa prima della esecuzione delle opere, la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio, la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Se una di tali condizioni non ricorre (ad esempio la difformità dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici), l’abuso realizzato su un immobile soggetto ad un vincolo di inedificabilità relativa sfuggirà alla disciplina dell’eccezione regolata dall’art. 32 comma 27 lett. D) citato (cioè alla non condonabilità) e sarà invece assoggettato alla disciplina generale dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sicché sarà condonabile anche (ad esempio) l’abuso realizzato dopo la imposizione del vincolo (sempre in presenza delle condizioni previste dal citato art. 32 della legge n. 47 del 1985).

– il coordinamento fra l’art. 33 della legge n. 47 del 1985 e l’art. 32 comma 27 lett. D) del D.L. n. 269 del 2003, importa la non condonabilità dello stesso, ai sensi dell’art. 33.

– è irrilevante la sussistenza o meno delle altre condizioni contemplate dall’art. 32 comma 27 lett. D) citato.

– Come ha rilevato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 196 del 2004 il condono disciplinato dal D.L. n. 269 del 2003 costituisce il risultato del bilanciamento di vari interessi: quelli della tutela delle esigenze pianificatorie, del paesaggio, della cultura, della salute, del diritto all’abitazione e al lavoro, dell’interesse finanziario dello Stato.

Se il condono di cui alla legge n. 47 del 1985 comportava il sacrificio delle esigenze pianificatorie quanto alla applicazione delle sanzioni amministrative e delle sanzioni penali edilizie (previste dall’art. 20 della legge n. 47 del 1985) in base al disposto dell’art. 38, il condono di cui al D.L. n. 269 del 2003 ha comportato anche il sacrificio della tutela paesaggistica quanto alla applicazione delle sanzioni penali specifiche.

– Il raccordo fra i due condoni quanto alla estinzione dei reati edilizi è costituito dall’art. 32 comma 36 del D.L. n. 269 del 2003, secondo il quale " La presentazione nei termini della domanda di definizione dell’ illecito edilizio, l’oblazione interamente corrisposta nonché il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il suddetto pagamento, producono gli effetti di cui all’articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47", cioè l’estinzione dei reati edilizi.

La produzione di effetti (amministrativi e penali) sotto il profilo edilizio e quello paesistico è, quindi, oggetto di separate previsioni.

– La diversità dei due regimi è stata anche oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale (sentenza 27 aprile 2007 n. 144), che ha rilevato la diversità dell’oggetto fra i reati paesaggistici (volti alla tutela del bene materiale costituito dal paesaggio e dall’ambiente) e i reati edilizi (volti alla tutela del bene immateriale costituito dalla complessiva disciplina amministrativa dell’uso del territorio) e, per incidens, nella sentenza 5 maggio 2006 n. 183 ha ritenuto l’irrilevanza della disciplina statuale relativa al condono paesaggistico rispetto al potere regionale attinente alla previsione di sanzioni edilizie per lo stesso fatto.

– In conclusione, l’attinenza del condono previsto dall’ art. 1 comma 37 della legge n. 308 del 2004 alla tutela paesistica sotto il profilo penale, e quindi anche quello amministrativo specifico, e la diversità dei beni tutelati dalle norme paesistiche e da quelle che, bilanciando i vari interessi in gioco, disciplinano profili paesistici e profili edilizi del condono sotto l’aspetto amministrativo e quello penale impediscono di interpretare queste ultime alla luce delle altre (posto che le une e le altre sono norme eccezionali insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica).

Il condono "paesistico" di cui all’art. 1 comma 37 della legge n. 308 del 2004 comporta dunque la sottrazione del fatto alla disciplina penale ed a quella amministrativa attinenti alla tutela paesistica, rimanendo ferma però la sanzionabilità del fatto edilizio sotto i profili amministrativo e penale.

La disciplina dell’art. 1 comma 37 della legge n. 308 del 2004 è pertanto inidonea ad incidere su una regola data ad una pluralità di interessi, che attua un bilanciamento degli stessi ed è quindi insuscettibile di contaminazioni ad opera di una regola che attiene ad uno solo degli interessi bilanciati.

– Del pari limitati al profilo paesistico (amministrativo e penale) sono gli accertamenti di compatibilità paesistica previsti dall’art. 167 comma 4 e dall’art. 181 comma 1 ter del D.Lgs. n. 42 del 2004 (attinenti al rilascio in via ordinaria della autorizzazione paesaggistica per lavori già realizzati, di limitata entità e ritenuti compatibili con le esigenze di tutela del paesaggio) e dall’art. 182 comma 3 bis del medesimo testo (relativi alla definizione dei procedimenti attivati con la presentazione, entro il 30 aprile 2004, di domande di autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria); perciò irrilevanti ai fini della definizione di un fenomeno molto più complesso (quanto agli interessi coinvolti e conseguentemente bilanciati) quale è il condono, insieme edilizio e paesaggistico, ex art. 32 commi 25,26 e 27 lett. D) del D. L. n. 269 del 2003.

3. Alla luce di quanto ritenuto le censure dedotte sono infondate atteso che l’intervento edilizio è stato eseguito in assenza di titolo edilizio (secondo le affermazioni formulate dallo stesso ricorrente), in contrasto con le norme urbanistiche e le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in area sottoposta ai vincoli di cui all’art. 32 comma 27 lett. D) del D.L. n. 269 del 2003 e successivamente all’imposizione dei vincoli stessi (trattasi di vincoli ex L. 1497/1939 recepiti nel piano regolatore generale del Comune di Lecce con deliberazione di C.C. n. 93 del 1983 e n. 12 del 1989, nonché nel successivo PUTT/p approvato dalla regione Puglia in data 15 12.2000).

4. Non sussiste neppure il lamentato difetto motivazionale del provvedimento impugnato esternando lo stesso palesemente l’iter logico giuridico seguito.

5. Per le considerazioni che precedono il ricorso va quindi respinto.

6. Sussistono nondimeno giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2011) 19-07-2011, n. 28734

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 02/12/010 – provvedendo sulla richiesta di riesame, presentata nell’interesse di D. M., avverso il decreto di sequestro preventivo, disposto dal Gip del Tribunale di Tivoli in data 22/11/010 ed avente per oggetto l’area ed il cumulo di 10.000 mc di rifiuti ivi collocato, in relazione al reato, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 – respingeva il gravame.

L’interessato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge, ex art. 606 c.p.p., lett. b).

In particolare il ricorrente esponeva che nella fattispecie non ricorreva nè il fumus commissi delicti nè il periculum in mora. Si trattava di travertino proveniente da una cava gestita dalla "Spa Estraba", costituente un sottoprodotto non rientrante nella disciplina dei rifiuti di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256.

Tanto premesso, il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il PG della Cassazione, nell’udienza in Camera di Consiglio del 07/06/011, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Tribunale di Roma ha congruamente motivato i punti fondamentali della decisione. In particolare – quanto al fumus commissi delicti relativo all’ipotizzato reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1. lett. a) e comma 2, – risulta accertato che la "GE.SER." srl (di cui D.M. era rappresentante legale) provvedeva alla raccolta, trasporto ed abbandono incontrollato nella propria area industriale (ubicata come in atti) degli inerti di marmo, provenienti dalla lavorazione di cave di marmo travertino gestite dalla adiacente società "ESTRA BA" spa; il tutto senza essere provvisto della prescritta autorizzazione.

Le esigenze cautelarti venivano ravvisate nella necessità di evitare la prosecuzione della citata attività illecita.

Trattasi di valutazioni di merito immuni da errori di diritto, conformi ai parametri di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 2, non censurabili in sede di legittimità.

Per contro le censure dedotte nel ricorso sono generiche perchè ripetitive di quanto esposto in sede di riesame, già valutato esaustivamente dal Tribunale di Roma.

Sono, altresì, infondate perchè in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal Tribunale del riesame, sia perchè errate in diritto.

In particolare va disatteso l’assunto principale difensivo secondo cui i residui di marmo travertino erano da considerarsi un sottoprodotto non costituente rifiuto, con conseguente esclusione della disciplina normativa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256.

Invero gli inerti di travertino accumulati nell’area gestita dalla "GE.SER." derivano dall’attività di estrazione di cave di marmo effettuato dall’altra società, ossia la "ESTRABA" spa.

Detta ultima società si serviva dell’area riconducibile alla "GE.SER." srl, unicamente come deposito degli inerti di travertino che non erano stati utilizzati nè dalla "ESTRABA" spa direttamente, nè da altro soggetto terzo, secondo i parametri di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. h) (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis come introdotto dalla modifica legislativa D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, ex art. 12).

Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da D.M. con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-12-2011, n. 28359 Contravvenzione

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 7/6/2005 il Giudice di Pace di Roma respingeva l’opposizione proposta da B.D. avverso il verbale di contestazione di infrazione per avere circolato nella corsia riservata ai mezzi pubblici.

L’opponente aveva eccepito che la contravvenzione era stata elevata da un ausiliare del traffico, come tale privo del potere di elevare contravvenzioni relative alla circolazione; aggiungeva che era incongrua la motivazione in merito all’impossibilità di contestazione immediata.

Il giudice di Pace aveva rilevato che:

– il verbale redatto dall’ausiliario del traffico gode di fede privilegiata e che all’ausiliario è attribuito il potere di accertare e contestare le violazioni ai sensi della L. n. 488 del 1999, art. 68;

– nel verbale erano indicate le ragioni per le quali non si era potuto procedere a contestazione immediata e che rientravano fra quelle previste dall’art. 384 del regolamento esecuzione del C.d.S..

B.D. propone ricorso affidato ad un motivo illustrato con memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Roma.

Il collegio ha stabilito la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1. Con il motivo di ricorso, così testualmente formulato "violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. 15 maggio 1997, n. 121, art. 27, comma 132, e L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 68, anche in relazione agli artt. 2699 e 2700 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia" si assume che:

– i poteri in materia di prevenzione e accertamento delle contravvenzioni possono essere conferiti agli ausiliari del traffico sono nei casi tassativamente previsti dalla L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 132, tra i quali non rientrano le contravvenzioni per circolazione su corsìe riservate come quella oggetto del verbale contestato;

– di conseguenza diventa irrilevante la motivazione per la quale non è stato possìbile procedere a contestazione immediata.

Come già rilevato da questa Corte (Cass. 18186/2006), la L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132, ha stabilito che i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione.

Al comma 133, poi, il medesimo art. 17 dispone che "le funzioni di cui al comma 132 sono conferite anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone nelle forme previste dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 22 e 25, e successive modificazioni. A tale personale sono inoltre conferite, con le stesse modalità di cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 6, comma 4, lett. c)".

La L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 68, comma 1, ha successivamente chiarito che "la L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, commi 132 e 133, si interpreta nel senso che il conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni, ivi previste, comprende, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 12, comma 1, lett. c), e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonchè di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento con l’efficacia di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c." (comma 1). La norma ha, inoltre, stabilito che queste funzioni, "con gli effetti di cui all’art. 2700 c.c., sono svolte solo da personale nominativamente designato dal sindaco previo accertamento dell’assenza di precedenti o pendenze penali, nell’ambito delle categorie indicate dalla citata L. n. 127 del 1997, art. 17, commi 132 e 133" (comma 2), disponendo, altresì, che a detto personale "può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, nei casi previsti, rispettivamente, dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 158, lett. b) e c) e comma 2 lett. d") (comma 3)". Come rilevato dalla stessa sentenza 18186/06 e successivamente implicitamente confermato dalle Sezioni Unite (SU 22676/09, e 5621/09), la violazione consistente in una condotta diversa dal divieto di sosta, quale la circolazione in corsie riservate ai mezzi pubblici, può essere accertata solo dal personale ispettivo delle aziende di trasporto pubblico di persone, ma non anche dagli ausiliari del traffico (dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi) di cui alla L. 15 maggio 1997, n. 127, art. 17, comma 132, integrato e interpretato autenticamente dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 68, comma 1 (cfr. Cass. 551/09).

Inoltre l’accertatore deve essere nominativamente individuato con specifico provvedimento di nomina, come richiesto dalla normativa testè ricordata.

Questa Corte (Cass. 16777/07 in motivazione) ha già affermato il principio che incombe sull’amministrazione opposta dimostrare che la violazione era stata accertata da soggetto specificamente abilitato, non essendo sufficiente che il verbale rechi la mera qualificazione dell’operante come "ausiliario del traffico".

Va inoltre precisato che, proprio per la necessità che gli ausiliari del traffico (o gli agenti accertatori ispettivi) siano muniti di specifici requisiti fissati dalla legge citata, la loro nomina deve avvenire con provvedimento amministrativo soggetto a verifica in sede di accesso agli atti dell’amministrazione o nel giudizio in cui tale nomina rilevi (Cass. 24/4/2010 n. 9847).

Il giudice di pace avrebbe dovuto trarre le conseguenze dell’omissione probatoria e, soprattutto, della carenza di potere dell’ausiliario del traffico in relazione alla specifica infrazione contestata e rilevare la fondatezza dell’opposizione. Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo per entrambi i gradi di giudizio, come richiesto. Si fa luogo, con decisione di merito ex art. 384 c.p.c., all’accoglimento dell’originaria opposizione, giacchè i motivi di accoglimento del ricorso si fondano su rilievi che assorbono ogni ulteriore indagine, comunque preclusa dall’impossibilità di nuove allegazioni o produzioni documentali in sede di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla il provvedimento impugnato. Condanna parte controricorrente a rifondere alla ricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 450,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi per il primo grado e in Euro 400,00 oltre Euro 200,00 per esborsi per questo giudizio di legittimità oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-12-2011, n. 30132 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

L.P. ricorre per cassazione, sulla base di sette motivi, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto in data 23 dicembre 2008, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato detto Ministero al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.166,66, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, oltre a interessi legali a decorrere dalla domanda, per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio da lui promosso davanti al Tar Campania il 14 novembre 2000, protrattosi per circa sette anni e due mesi e ancora pendente alla data di proposizione del ricorso per equa riparazione (28 gennaio 2008). Il Ministero intimato ha resistito con controricorso. Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

1. Parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo sette motivi di ricorso, con i quali lamenta: – la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: "la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?" (primo motivo);

– il calcolo dell’equo indennizzo, con vizio di motivazione, solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio (motivi due e tre);

– il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di pubblico impiego (quarto e quinto motivo);

– la compensazione parziale delle spese processuali, in considerazione del parziale accoglimento della domanda (sesto e settimo motivo).

2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato.

I motivi due e tre sono infondati, in quanto è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14).

3. Il quarto e quinto motivo non sono fondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche quelli riguardanti la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411;

2008/6898).

Il sesto e settimo motivo sono infondati, in quanto, per effetto del richiamo operato dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, nel giudizio per l’equa riparazione della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo trovano applicazione le norme del codice di rito (Cass. 2004/23789; 2007/14053) e a norma dell’art. 92 c.p.c. il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione; nella specie, la Corte di merito ha motivato congruamente la compensazione parziale delle spese processuali, facendo riferimento al parziale accoglimento della domanda, tenuto conto della liquidazione dell’indennizzo in misura inferiore all’importo richiesto dalla ricorrente.

Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso e le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.