Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-02-2011) 28-02-2011, n. 7577 Ricorso

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Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Messina, con sentenza del 19 aprile 2010, confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato G. F. per il reato di falsa testimonianza.

All’imputato era addebitato di aver, quale testimone, deposto il falso nel procedimento penale contro Gi.Gi., F. E. e S.D. per il reato di lesioni personali commesso ai suoi danni a seguito di un infortunio sul lavoro. In particolare, il G. avrebbe dichiarato che, al momento dell’infortunio, vi erano mezzi meccanici in movimento e che non indossava occhiali protettivi, pur avendoli richiesti al datore di lavoro, contrariamente alla versione dei fatti fornita dal medesimo nel corso delle indagini preliminari.

2. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, articolando un unico motivo con cui con cui denuncia la violazione della legge processuale, per aver la Corte di appello omesso di esaminare un motivo di appello, concernente l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.

Sussiste il vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello, purchè le stesse siano dotate del requisito della decisività (Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, dep. 16/09/2009, Greco, Rv. 244763).

Pertanto, l’omessa motivazione in ordine ai motivi di appello non comporta l’automatica nullità della sentenza di appello, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo.

Venendo al caso in esame, i giudici dell’appello, pur avendo esattamente esposto in premessa il motivo di gravame, concernente l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal G. nel corso delle indagini preliminari (pag. 1), non hanno fornito ad esso esplicita risposta. Tuttavia, tale motivo appare non decisivo, in quanto la Corte di appello ha fondato il proprio convincimento della falsità della deposizione resa in udienza "soprattutto" sulle dichiarazioni fatte dagli altri operai presenti ai fatti, che avevano smentito la seconda versione fornita dall’imputato circa la presenza sul posto di mezzi meccanici.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa emergenti dal ricorso – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 22-12-2010) 14-03-2011, n. 10201

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ott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Il Tribunale per i Minorenni di Brescia in funzione di Giudice del Riesame, con ordinanza del 25 ottobre 2010, ha confermato l’ordinanza del 1 ottobre 2010 del GIP del Tribunale per i Minorenni di Brescia con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di R.V., indagato per i delitti di furto e di tentato furto in abitazione.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando una motivazione illogica, incompleta e insufficiente nonchè una violazione di legge sia quanto alla sussistenza dei gravi indizi per l’applicazione della misura cautelare sia quanto all’esatta individuazione del reato ascritto all’imputato. Viene, altresì, censurata la mancata concessione della permanenza presso una comunità per i minori.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è, all’evidenza, da rigettare.

2. Le doglianze del ricorrente tendono infatti a rendere accreditarle una diversa ricostruzione delle emergenze di causa sulla base di ipotesi le quali, a prescindere dal relativo grado di plausibilità, non possono essere devolute all’apprezzamento del Giudice di legittimità.

La Cassazione, infatti, non valuta nuovamente i risultati delle prove nè persegue la ricostruzione più aderente ad essi per la qualificazione della fattispecie sottoposta al suo esame e neppure può entrare ancora una volta nella ricostruzione dei gravi indizi di colpevolezza per l’emanazione dei provvedimenti cautelari ma è deputata unicamente a verificare che il ragionamento seguito dal Giudice di merito sia razionale e non soffra di vistose incertezze su elementi decisivi.

3. Tutto ciò premesso, si osserva come correttamente il Tribunale del Riesame abbia affermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nel ritenuto concorso dell’imputato, in uno con gli altri coimputati maggiorenni, relativamente ai delitti di furto e di tentato furto in abitazione aggravato sulla base della presenza degli stessi sul luogo del delitto, a bordo di un’autovettura guidata dallo stesso odierno ricorrente sulla quale vennero rinvenuti arnesi da scasso e dal cui finestrino vennero lanciati, alla vista dei Carabinieri, gli oggetti rubati in una delle abitazioni.

4. Del pari, la sussistenza delle esigenze cautelari è stata improntata non solo ai principi in genere applicabili alle misure personali (v. da ultimo Cass. Sez. 5, 17 aprile 2009 n. 21441) ma è stata, del pari, calibrata alla gravità dei fatti ascritti e alla personalità dell’odierno ricorrente (v. pagine 4 e 5 dell’ordinanza).

Senza alcun salto logico e con motivazione pienamente congrua si è, poi, giustificato il rigetto della concessione della misura della permanenza presso una comunità di minori, di cui al D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 19, in considerazione della mancanza di un processo educativo in atto nei confronti dell’indagato, la cui interruzione soltanto avrebbe consentito, al contrario, di valutare la possibilità di giungere ad una conclusione del suddetto percorso educativo presso le apposite strutture pubbliche minorili.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Deve procedersi, altresì, alle comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p. e in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2011, n. 13465 Ricorso

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Svolgimento del processo

La spa GRAFINDA, creditrice di B.A., provvide a pignorare i crediti che questi, professionista odontoiatra, vantava nei riguardi della sua debitrice (datore di lavoro) s.r.l. Studio Odontoiatrico C. Battisti. Alla udienza fissata ex art. 547 c.p.c. non comparvero nè il B. nè il debitor debitoris e pertanto GRAFINDA introdusse il giudizio di accertamento in data 7.2.2005 che, svoltosi nella contumacia dei convenuti, si concluse con sentenza emessa il 2.12.2005 dal Tribunale di Monza, s.d. di Desio, con la quale venne accertato che il terzo Studio Odontoiatrico era debitore del B. della somma di Euro 80.000,00 sino alla data della decisione e di Euro 4.000,00 mensili da tal data a quella della assegnazione. La Studio C. Battisti propose appello e si costituì Grafinda chiedendo il rigetto del gravame. La Corte di Appello di Milano, con sentenza 3.4.2008, osservando che Grafinda aveva fornito un quadro probatorio debole che il Tribunale aveva integrato indebitamente con valutazioni arbitarie mentre l’appello dello Studio Odontoiatrico aveva fornito elementi decisivi, che davano sostegno ad un credito del B. inferiore a quello determinato in primo grado, ha quindi determinato il debito dello Studio Odontoiatrico in Euro 13.083,00 sino al 3.12.2005 ed in Euro 654,18 mensili per il posteriore rapporto di lavoro. Quanto alle spese, la Corte di Milano ha rilevato che la prevalente soccombenza andava ascritta allo Studio che aveva "dato causa al giudizio con la sua condotta", ma che a suo carico andava disposta una compensazione pari ad un terzo delle spese dei due gradi, posto che l’obbligo del terzo accertato era assai inferiore a quello postulato all’inizio da GRAFINDA. Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 21.5.2008, lo Studio Odontoiatrico C.Battisti s.r.l. ha proposto ricorso in data 23.7.2008 denunziando la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., al quale si è opposta la soc. GRAFINDA con controricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La Corte di Milano ha ravvisato la prevalente soccombenza dello Studio Odontoiatrico nell’aver abusato della sua posizione di debitor debitoris, dando cioè causa al giudizio mentre avrebbe potuto subito rendere la dichiarazione. Temperamento al carico integrale delle spese che da tal rilievo sarebbe disceso è stato poi dalla Corte rinvenuto nell’essere stato accertato un credito ben inferiore a quello prospettato. Di qui il contestato criterio della compensazione per 1/3 delle spese e la scelta di gravare dei residui 2/3 lo studio Odontoiatrico C.Battisti in favore di Grafinda. La statuizione del giudice del merito, peraltro conforme a Cass. n. 5067 del 2007 e n. 15395 del 2010, viene censurata sia per la disapplicazione del criterio della soccombenza sia per la contraddittoria applicazione del temperamento della compensazione,ma la censura viene conclusa da quesiti di diritto affatto inidonei rispetto al parametro posto dall’art. 366 bis c.p.c..

Che tal requisito sia applicabile, con riguardo alla impugnata sentenza 3.4.2008 e pur in sede di decisione di legittimità da assumere dopo l’abrogazione della menzionata disposizione, è dato indiscutibile alla luce del principio posto dalle recenti pronunzie di questa Corte (Cass. n. 7119 e n. 20323 del 2010).

E che tal requisito importi la contrapposizione dialettica del decisum che si contesta alla propria esatta proposta di lettura delle norme è altrettanto evidente, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 774 e n. 4146 del 2011). Nella specie i due quesiti posti all’ultima pagina del ricorso si risolvono nella sola generica sollecitazione del potere nomofilattico (Dica la Corte se alla luce delle motivazione della Corte di Appello è applicabile l’art. 91 c.p.c. come da noi sostenuto; Dica ….) senza alcuna esposizione critica degli specifici argomenti della sentenza ai quali si contrapponga la esatta applicazione delle norme invocata nel motivo. Le spese si regolano secondo soccombenza.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente società Studio Odontoiatrico C. Battisti alla refusione delle spese in favore della soc. Grafinda, determinate in Euro 1.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-04-2011) 14-04-2011, n. 15178 Sanzioni

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per l’accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento dell’altro.
Svolgimento del processo

G.A. ha impugnato il decreto 18 maggio 2009, emesso dal Giudice di Pace di Messina, con cui è stato convalidato il decreto pronunciato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 15 bis, commi 1 e 2, dal Questore della Provincia di Messina in data 17 marzo 2009, con il quale si sottoponeva l’interessato alle misure di cui alle lettere a), b) d),J) dello stesso articolo.

Con un primo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75 bis, comma 2, e dell’art. 24 Cost., sotto il profilo dell’esiguità del termine a difesa, tenuto conto che l’unico lasso di tempo in cui l’interessato può fare valere le proprie ragioni è quello che va dal momento della ricezione della notifica del provvedimento del Questore al momento della convalida da parte del Giudice di pace (nella specie, meno di 14 ore).

Con un secondo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta il vizio di motivazione in ordine ai presupposti che hanno giustificato l’assunzione della misura.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è fondato.

1.1. – Nel procedimento di convalida previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 15 bis è data facoltà all’interessato di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie e deduzioni al giudice della convalida. E’ evidente che una tale facoltà verrebbe del tutto vanificata se non fosse assicurato alla difesa un lasso di tempo, tra la notifica del provvedimento del questore e la convalida del giudice di pace, adeguato per l’esercizio di questa forma di contraddittorio, se pure meramente cartolare. Nel silenzio della legge e considerate le cadenze temporali previste per la procedura di convalida (il provvedimento è comunicato entro quarantotto ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio che, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive quarantotto ore), il termine dilatorio per l’esercizio del diritto di difesa dell’interessato, se deve essere tale da non interferire con la definizione del procedimento di convalida, improntato all’immediatezza e alla celerità, deve essere comunque sufficiente per consentire ad un soggetto, spesso inesperto di diritto, di reperire un difensore, sottoporgli il caso ed ottenere la redazione di uno scritto difensivo.

Trattandosi di misura di prevenzione, come dimostrato dal fatto che il relativo contenuto è assimilabile alle prescrizioni previste dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, le garanzie applicabili vanno funzionalmente coordinate con quelle operanti per le misure limitative della libertà personale previste dalla L. n. 401 del 1989, art. 6 volte a prevenire i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, che prevedono una analoga procedura di convalida. Deve trovare, infatti, applicazione, anche in questo caso, il meccanismo di tutela approntato dall’art. 13 Cost. per le misure restrittive della libertà personale, con una disciplina della convalida modulata sui tempi e sugli interventi previsti da questa norma.

1.2. – In relazione alla misura dell’obbligo di comparire presso l’ufficio o il comando di polizia territorialmente competente, in orario compreso nel periodo di tempo in cui si svolgono le competizioni sportive, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 144 del 1997, ha affermato la necessità che la loro adozione dovesse essere presidiata, sul piano processuale, da quelle stesse garanzie previste per i provvedimenti provvisori dell’autorità di pubblica sicurezza rientranti nella previsione dell’art. 13 Cost: garanzie consistenti nel controllo sul provvedimento da parte di un giudice e nel diritto di difesa. La stessa Corte ha precisato che la facoltà di interloquire deve essere esercitata con "modalità tali da non interferire" con la definizione del procedimento di convalida, nei termini previsti dalla legge, auspicando l’intervento del legislatore per disciplinare in maniera specifica le modalità di esercizio di detta facoltà, ma ha lasciato aperta la questione della determinazione del termine adeguato per l’esercizio in concreto del diritto di difesa.

Tale questione è stata risolta da questa Corte, che ha stabilito la necessità che il termine a difesa, per la presentazione di memorie e deduzioni al giudice della convalida, non sia inferiore a quarantotto ore, decorrenti dalla notifica del provvedimento di prescrizioni del questore (Sez. 3, 10 marzo 2010, n. 18530; Sez. 3, 15 aprile 2010, n. 20776; Sez. 3, 3 giugno 2010, n. 20766; Sez. 3, 16 febbraio 2011, n. 9000); e ciò considerando il medesimo termine previsto dalla legge a disposizione del P.M. per la richiesta di convalida.

1.3. – Sulla stessa linea, si è ritenuto illegittimo, per violazione del diritto all’intervento e all’assistenza difensiva, il decreto del giudice di pace che convalida il provvedimento assunto dal questore ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75 bis prima che siano trascorse quarantotto ore dalla notifica all’interessato del provvedimento medesimo, sul rilievo che, se il questore ha un termine di quarantotto ore (dalla notifica della sua decisione all’interessato) per comunicare il provvedimento agli effetti della convalida, anche il destinatario del provvedimento deve poter disporre di un identico termine (a difesa) di quarantotto ore (parimenti decorrente dalla notifica del provvedimento del questore), per presentare memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida (Sez. 6, 9 dicembre 2008, n. 3521/2009; Sez. 6, 15 ottobre 2010, n. 39212).

A tale ricostruzione non può obiettarsi che, con l’applicazione del termine a difesa di 48 ore, potrebbe verificarsi l’eventualità che tra la notifica all’interessato e la comunicazione al giudice di pace intercorra un lasso di tempo così breve, da comprimere eccessivamente lo spazio temporale nel quale inderogabilmente il giudice deve adottare la sua decisione sulla convalida. Infatti, per evitare tale inconveniente, è sufficiente che il questore ponga in essere prassi ispirate alla doverosa cooperazione con il giudice della convalida, ritardando il momento della comunicazione al giudice stesso rispetto al momento della notifica all’interessato, cosi che il termine per la convalida cominci a decorrere a partire da un momento successivo rispetto a quello dell’inizio della decorrenza del termine a difesa.

2, – Nel caso in esame, dalla documentazione in atti risulta che, il provvedimento del Questore del 17 marzo 2009, è stato notificato all’interessato alle ore 10.30 del 18 maggio 2009 ed è stato convalidato il giorno stesso da parte del Giudice di pace competente (in orario non precisato). Risulta, dunque, decorso un termine a difesa di poche ore, certamente insufficiente per apprestare un’adeguata linea difensiva, con conseguente lesione del diritto di difesa. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio del decreto di convalida. L’annullamento di tale decreto comporta altresì la perdita d’efficacia del provvedimento del Questore, posto che una rinnovata convalida troverebbe l’ostacolo del termine di 48 ore stabilito dalla legge, oramai decorso.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio il decreto impugnato e per l’effetto dichiara l’inefficacia del decreto del Questore di Messina del 17 marzo 2009.

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