Cons. Stato Sez. V, Sent., 25-07-2011, n. 4454 Comunicazione, notifica o pubblicazione del provvedimento lesivo Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Fondazione V. C. e la Società Agricola S. s.r.l. hanno impugnato dinanzi al T.a.r. Lombardia il decreto n.10682/01102008, recante l’autorizzazione integrata ambientale per la realizzazione di impianto per la produzione di energia elettrica a biomassa legnosa da realizzarsi nel Comune di Olevano da parte di M. T. s.p.a., lamentando eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria e dell’insufficiente valutazione dei presupposti nonché violazione della normativa in materia di valutazione di impatto ambientale.

Con ricorso per motivi aggiunti, le stesse ricorrenti hanno impugnato il decreto n. 2678/17.03.2008 di esclusione dell’impianto dalla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi dell’art. 32 del d. lgs. n. 152/2006 per perplessità della procedura di verifica, contraddittorietà, mancata comunicazione di avvio del procedimento e violazione delle regole di partecipazione.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, le ricorrenti hanno impugnato l’autorizzazione n. 01/09 n. 35275/07 del 15 gennaio 2009 con la quale sono stati autorizzati la costruzione e l’esercizio dell’impianto, incluse le opere connesse ed infrastrutturali indispensabili alla costruzione dell’impianto, da ubicarsi sui terreni accatastati al N.C.T. foglio 7, partt. 14, 17, 18, 21 e 22 del Comune di Olevano Lomellina nonchè la costruzione e l’esercizio della sottostazione e linea elettrica delle opere funzionali all’immissione nella Rete Elettrica Nazionale dell’energia prodotta ed è stato infine apposto il vincolo preordinato all’espropriazione, per violazione dell’art. 12 d. lgs. n. 387 del 2003 e delle regole sulla partecipazione al procedimento. Le ricorrenti, pur essendo soggetti interessati in quanto destinatari della procedura di espropriazione, non sarebbero state avvisate del procedimento, essendosi provveduto alla loro convocazione solo in occasione della terza seduta della conferenza di servizi, a pochissimi giorni dalla data in cui era stata fissata, con frustrazione del diritto di effettiva partecipazione. Inoltre, le ricorrenti non sarebbero state messe in grado di esaminare la documentazione depositata dalla M. T. per essere stata questa integrata successivamente alla conferenza di servizi.

Con un successivo ricorso, la Società Agricola S. s.r.l. ha impugnato il decreto di esproprio per opere di pubblica utilità (opere infrastrutturali e sottoservizi accessori) n. 567 del 23.11.2009, per illegittimità derivata, insufficiente motivazione, carenza di istruttoria.

Il T.a.r., riuniti i ricorsi, ha respinto quello diretto all’annullamento dell’autorizzazione integrata ambientale ed ha dichiarato irricevibile per tardività quello diretto contro il decreto di esclusione dell’impianto dalla proceduta di VIA.

Ha, invece, accolto il secondo ricorso per motivi aggiunti, annullando l’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio dell’impianto, della sottostazione, della linea elettrica e delle opere funzionali all’immissione dell’energia prodotta nella rete e, di conseguenza, l’apposizione del vincolo espropriativo, giudicando applicabile alla fattispecie il termine di dieci giorni stabilito dall’art. 10 -bis della legge n. 241 del 1990 rispetto al quale l’invito spedito sei giorni prima della data di convocazione della conferenza di servizi era da considerarsi tardivo e lesivo delle garanzie partecipative.

Parimenti, ha accolto il ricorso avverso il decreto di esproprio, considerandolo automaticamente caducato a seguito dell’annullamento dell’autorizzazione contenente la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare e impositiva del vincolo preordinato all’esproprio.

Hanno proposto impugnazione parziale della sentenza, con separati appelli, sia la Provincia di Pavia che la M. T., unitamente alla società B. O. s.r.l. nel frattempo subentrata come beneficiaria dell’autorizzazione unica e della procedura espropriativa.

Le appellanti sostengono che erroneamente il T.a.r. avrebbe considerato eccessivamente breve il termine di convocazione dei soggetti – individuati solo in prossimità della terza seduta della conferenza di servizio in ragione dell’inoltro in data 21.11.2008 dell’istanza per l’apposizione del vincolo di espropriazione su aree di loro proprietà – prevedendo l’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990 il termine minimo di cinque giorni intercorrente tra la data di convocazione e quella di fissazione della conferenza di servizi. Sarebbe, peraltro, inapplicabile la disciplina del preavviso di provvedimento negativo di cui all’art 10 bis, stante la diversità di ratio rispetto alla convocazione in conferenza di servizi. Inoltre, il provvedimento finale sarebbe stato adottato solo in data 15.1.2009, consentendo al privato di svolgere tutte le proprie osservazioni in chiave partecipativa nei 42 giorni successivi alla conferenza di servizi, margine di tempo congruo e consistente.

Peraltro, secondo la M. T., la Fondazione V. C. e la Società Agricola erano pienamente a conoscenza del procedimento espropriativi, avendo organizzato in data 14.11.2008 un convegno sull’argomento. Nè le stesse avevano indicato elementi conoscitivi che avrebbero potuto condurre ad un esito diverso, nel caso in cui pure fosse stato concesso un termine più lungo tra la convocazione e la conferenza di servizi.

Quanto all’annullamento del decreto di esproprio, la Provincia sostiene che sarebbe stata inammissibile la prospettazione, accolta dal T.a.r., di illegittimità derivata da un provvedimento fatto oggetto di un diverso giudizio. Quanto alle censure rivolte contro quest’ultimo provvedimento, relative alla inadeguatezza della soluzione progettuale delle infrastrutture, supportata da una perizia tecnica, la Provincia contesta la richiesta di un inammissibile sindacato di merito delle valutazioni tecnicodiscrezionali dell’amministrazione procedente, peraltro compiute già in occasione della dichiarazione di pubblica utilità, risalente all’approvazione del progetto, e non contestate in occasione dell’impugnazione di quel provvedimento. Anche le doglianze rivolte contro i provvedimenti di subentro della società B. di Olevano, subentrata nel procedimento ablatorio avviato da M. T., ed i verbali di immissione in possesso e di accertamento dello stato di consistenza sarebbero inammissibili per carenza di interesse e per mancanza di specifiche censure.

In entrambi gli appelli si sono costituite con controricorso le ricorrenti in primo grado che i) resistono ai motivi di gravame; ii) ripropongono i motivi di ricorso rimasti assorbiti di violazione dell’art. 12, commi 3 d. lgs. 387/2003 per essere stata convocata con ritardo la conferenza di servizi, dell’art. 12, comma 4 per non essere stato preso in considerazione il parere negativo del Comune di Castello d’Agogna e per essere stato superato il termine di 180 giorni stabilito per il procedimento di autorizzazione unica, dell’art. 12, comma 7 per essere stata omessa la valutazione della tradizione agroalimentare dell’area; iii) propongono appello incidentale relativamente alla reiezione dei ricorsi avverso l’autorizzazione integrata ambientale, per mancata valutazione da parte del T.a.r. dei vizi attinenti alle macroscopiche contraddizioni, carenze e lacune progettuali poste in luce dalle perizie prodotte, ed avverso il decreto regionale di esclusione dalla VIA, erroneamente giudicato irricevibile data la mancata conoscenza per omessa pubblicazione del provvedimento sul BURL o sul sito informatico dell’amministrazione regionale e la sua illegittimità per violazione delle regole di partecipazione, violazione dell’art. 32 d. lgs. 15272006 e difetto di motivazione e di istruttoria.

Sono intervenuti in giudizio a sostegno delle appellanti le società indicate in epigrafe titolari di contratti di fornitura alla centrale di prodotto legnoso, il Comune di Olevano Lomellina e la società T. – Rete elettrica Nazionale s.p.a..

Le parti hanno depositato ampie memorie nel corso del giudizio.

All’udienza del 10 maggio, i ricorsi sono stati discussi ed il Collegio se ne è riservata la decisione.

Motivi della decisione

1.Va, preliminarmente, disposta la riunione degli appelli proposti avverso la medesima sentenza.

2.Va, poi, dichiarato ammissibile l’intervento spiegato in appello a sostegno delle appellanti da T. s.p.a., in quanto proprietaria della rete elettrica nazionale e concessionaria dell’attività di trasmissione dell’energia elettrica, interessata alla realizzazione delle opere elettriche per la connessione alla rete dei soggetti che producono energia elettrica utilizzando fonti rinnovabili, e dalle società agricole, in quanto titolari di rapporti di fornitura di materiale legnoso alla centrale a B..

In base al consolidato principio per cui nel giudizio amministrativo deve considerarsi ammissibile l’intervento in appello – ferma restando l’accettazione dello stato e del grado in cui il giudizio si trova – di soggetti non aventi la posizione di parti formali in primo grado qualora essi possano subire anche indirettamente un pregiudizio o possano tutelare una situazione di vantaggio attraverso la definizione della controversia (Cons. St. Sez. V, 8.9.2010, n. 6520; 9.3.2009, n.1365), va riconosciuta la legittimazione ad intervenire a quei soggetti che, in quanto titolari di rapporti contrattuali dipendenti dall’esercizio dell’impianto, possono subire indirettamente un pregiudizio dall’annullamento delle autorizzazioni oggetto di impugnazione.

Quanto alla identificazione del titolo legittimante l’intervento, occorre richiamare l’orientamento (di recente, cfr. con ampi richiami anche alla disciplina introdotta dal c.p.a. sostanzialmente confermativa della previgente, Cons. St. Sez. IV, 30.11.2010 n. 8363) secondo cui l’indagine deve essere condotta in astratto, tenuto conto della causa petendi quale si desume dal complesso delle affermazioni del soggetto che agisce in giudizio, indipendentemente dalla esistenza e validità dei rapporti che legherebbero l’interventore ai ricorrenti, in base alla affermazione della titolarità di un interesse dipendente e riflesso rispetto a quello azionato o comunque di un interesse di fatto, che si traduce in una più vantaggiosa aspettativa tale da legittimare la partecipazione al giudizio.

Il Collegio ritiene, pertanto, sufficiente sia l’allegazione di T. in riferimento all’interesse discendente dalla connessione alla rete di trasmissione nazionale dell’impianto, sia quella delle società agricole, che hanno, peraltro, depositato documentazione relativa agli accordi per la fornitura di materiale legnoso idonea, benché mancante di alcune parti in riferimento alle condizioni economiche, a dimostrare, al momento dell’intervento in giudizio ed indipendentemente dai denunciati intrecci societari, irrilevanti ai fini considerati, una posizione di vantaggio conseguente alla realizzazione ed all’esercizio della centrale.

Il loro intervento ad adiuvandum deve, pertanto, essere dichiarato ammissibile.

3. Anche l’eccezione di tardività della memoria di Tecnimont in quanto depositata sabato 23 aprile è da respingere.

A riguardo, va confermato il recente orientamento della Sezione (Cons. St. Sez. V, 31.5.2011 n. 3252),secondo cui il sabato è equiparato ai giorni festivi (in virtù della novella di cui all’art. 2, co. 11, d.l. n. 263 del 2005, in vigore dal 1° marzo 2006) "solo al fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo……..Il c.p.a. esplicita l’applicabilità della disciplina sul sabato anche al processo amministrativo (art. 52, co. 5, c.p.a., in tal senso si era già espressa la preferibile giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 18 febbraio 2008, n. 446).Questa regola, però, vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l’art. 52, co. 5, c.p.a. estende al sabato solo la proroga di cui al comma 3, ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì."

4. Venendo ai motivi di appello proposti dalle appellanti in merito all’annullamento dell’autorizzazione unica alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto, occorre stabilire se l’amministrazione provinciale, nell’invitare le società proprietarie di terreni interessati da servitù di elettrodotto e da vincolo preordinato all’esproprio a partecipare solo alla terza seduta della conferenza di servizi convocata ai sensi dell’art. 12 del d. lgs. n. 387 del 2003, con uno spazio temporale di sei giorni tra la convocazione e la celebrazione, abbia violato le garanzie partecipative del procedimento amministrativo.

4.1 Ritiene il Collegio che occorra considerare, data la rilevanza che il dato assume per le prerogative partecipative delle appellate, partitamente il provvedimento impugnato in relazione all’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto di produzione di energia da fonte rinnovabile alimentato a biomassa legnosa ed all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio per le porzioni di particelle interessate dalle opere connesse e infrastrutturali di cui alla richiesta presentata dalla M. T. in data 21.11.2008, successivamente alle prime due sedute della conferenza di servizi.

Per quanto riguarda l’autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, l’art. 12 del d. lgs. n. 387/2003 prevede un procedimento ispirato a principi di semplificazione e accelerazione, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni necessari, tramite il modulo della conferenza di servizi (Cons. St. Sez. VI, 22.2.2010 n. 1020).

La lettera e la ratio dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990 sul funzionamento della conferenza di servizi, richiamata dall’art. 12, prevede la partecipazione delle sole autorità amministrative interessate direttamente al provvedimento da emanare, che sono destinatarie immediate e beneficiarie delle garanzie partecipative previste per i lavori della conferenza (Cons. St. Sez. V, 13.9.2010, n. 6562; 4.3.2008, n. 824).

E’ pertanto da escludersi che le società proprietarie dei terreni circostanti, in quanto non destinatarie dell’atto finale, fossero titolari di diritti partecipativi al procedimento di rilascio di autorizzazione unica prevista dal citato art. 12,con la conseguenza che nessun obbligo sussisteva per l’amministrazione di convocazione alla conferenza di servizi anteriormente all’istanza della Marie Tecnimont (pervenuta tra la seconda e la terza seduta della conferenza di servizi) di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio su alcune particelle interessate da opere infrastrutturali.

Ma anche in merito alla partecipazione a tale seduta, è da escludersi, alla luce dei principi richiamati in ordine alla disciplina della conferenza di servizi, che essa potesse riguardare aspetti estranei all’apposizione del vincolo e relativi all’attività valutativa della soluzione progettuale preordinata al rilascio dell’autorizzazione unica.

Inappropriato è, quindi, il richiamo operato dal T.a.r. alla brevità del termine concesso ed al diniego di rinvio della seduta richiesto allo scopo di consentire una compiuta valutazione della questione da parte delle ricorrenti, per tale intendendo una valutazione della Fondazione e della S.A.S. sull’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto e non solo sulla procedura espropriativa.

Peraltro, ove anche si ritenesse che la determinazione dell’amministrazione di invitare alla conferenza di servizi la Fondazione e la S.A.S. comportasse l’ accettazione di un loro coinvolgimento anche nel procedimento di autorizzazione, non si potrebbe comunque applicare altro termine se non quello di cui le stesse amministrazioni partecipanti beneficiano, stabilito dall’art. 14 ter, che è di cinque giorni e risulta nella specie pienamente rispettato, essendo stata depositata agli atti del giudizio copia del fax che reca il positivo rapporto di trasmissione alle ore 17.30 del 27 novembre.

Non può, invero, ritenersi applicabile alla fattispecie, diversamente da quanto affermato dal T.a.r., l’art. 10 bis della legge n. 241/1990 sul preavviso di rigetto (che prevede un termine di dieci giorni), che è stato introdotto dalla legge n. 15 del 2005 al fine di consentire il contraddittorio tra privato ed amministrazione prima dell’adozione di un provvedimento negativo, allo scopo di far interloquire il privato sulle ragioni ritenute dall’amministrazione ostative all’accoglimento della sua istanza (Cons. Stato Sez. VI, 17012011, n. 256) e va, comunque, interpretato alla luce del successivo art. 21 octies comma 2, che impone al Giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo (Cons. Stato Sez. V, 07092009, n. 5235).

Nel caso in esame non è, infatti, neanche configurabile un" istanza delle appellate sulla quale l’amministrazione fosse tenuta a pronunciarsi, per essere il procedimento in corso diretto esclusivamente all’emanazione dell’autorizzazione unica ex art. 12, che evidentemente sfugge all’applicazione dell’art. 10 bis nei riguardi di soggetti diversi dal richiedente l’autorizzazione stessa.

Né le garanzie partecipative possono ritenersi violate sotto il profilo dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento di autorizzazione, ex art. 7 della legge n. 241/1990. In base a piani principi, la p.a. è tenuta a notificare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ai soli soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi (Cons. Stato Sez. IV Sent., 03032009, n. 1213), tra cui non sono ricompresi, in base al chiaro disposto dell’art. 12 d. lgs. n. 387/2003, i proprietari di suoli confinanti con l’area di intervento.

4.2 Chiarito, quindi, che nessuna garanzia partecipativa è stata violata nei confronti delle appellate quanto al procedimento di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto, occorre verificare se sussistono ragioni per escludere parimenti, come sostenuto dalle appellanti, la violazione del diritto di partecipazione della Fondazione e della S.A.S riguardo all’apposizione del vincolo espropriativo su talune particelle di loro proprietà interessate dalle opere connesse e infrastrutture indispensabili alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto, e se, quindi, risulti rispettato l’obbligo di comunicazione e di applicazione delle garanzie procedimentali per il provvedimento di approvazione del progetto che valga come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e di apposizione del vincolo espropriativo.

A riguardo, occorre rilevare che, a seguito della richiesta avanzata dalla M. T., l’amministrazione ha provveduto, mediante convocazione del 26 novembre 2008 alla seduta della conferenza di servizi, ad avvisare le appellate così come gli altri soggetti (Tenimento Castello S.S. e Rete Ferroviaria Italiana) interessati dallo stesso vincolo, che non hanno opposto motivi ostativi. Nella nota di convocazione si dà avviso circa l’istanza di apposizione di vincolo preordinato all’esproprio con dichiarazione di pubblica utilità delle particelle interessate dalle opere.

Il Collegio giudica tale comunicazione individuale satisfattiva delle esigenze di partecipazione del privato inciso dal procedimento espropriativo e tempestiva rispetto alla data di adozione del provvedimento finale (15.1.2009) da parte dell’amministrazione, sia ai sensi dell’art.7 della legge n. 241/1990, sia ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 8.6.2001, n. 327. Invero, le interessate hanno avuto la possibilità di disporre di un lasso di tempo sufficiente (48 giorni) per manifestare le proprie osservazioni relativamente alla procedura di espropriazione. Nè può considerarsi rilevante, ai fini considerati, la circostanza che l’evasione all’istanza di accesso in data 10.12.2008 sia posteriore all’adozione del provvedimento, dal momento che gli atti richiesti non si riferiscono né al procedimento di autorizzazione unica né, tantomeno, all’apposizione del vincolo, bensì al diverso procedimento di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale.

5.Una volta accolto il primo motivo di appello, occorre esaminare gli ulteriori motivi avanzati in primo grado dalle appellate contro il medesimo provvedimento, giudicati assorbiti e riproposti con controricorso.

5.1 Infondato è il motivo afferente la violazione dell’art. 12, comma 3 del d. lgs. n. 387/2003, attesa la natura acceleratoria del termine di trenta giorni entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata, non potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine, per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del provvedimento finale.

5.2 Parimenti da respingere è la censura fondata sul superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4 nel testo all’epoca vigente, per la conclusione del procedimento di autorizzazione. Anche a questo termine deve essere riconosciuta natura acceleratoria e non perentoria (Cons. St. 11.5.2010, n. 2825), con la conseguenza che il suo superamento non priva l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale.

5.3 Ugualmente infondata è la doglianza secondo cui, a seguito del parere sfavorevole reso dal Comune di castello d’Agogna, la provincia avrebbe dovuto rimettere la decisione alla giunta regionale, in base a quanto previsto dal comma 4 nel testo all’epoca vigente.

Va osservato, a riguardo, che il parere sfavorevole – di cui è peraltro dato atto nel provvedimento – è stato manifestato tardivamente, a rettifica del precedente assenso del medesimo comune, in occasione della terza seduta della conferenza di servizi convocata in vista dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. Correttamente, pertanto, l’amministrazione non ne ha tenuto conto, astenendosi dal rimettere il procedimento alla giunta regionale.

5.4 Quanto alla mancata considerazione della tradizione risicola dell’area, va osservato che l’art. 12 d. lgs. n. 387/2003 consente l’ubicazione di impianti a fonti rinnovabili anche in zone classificate agricole. In disparte l’ammissibilità della censura, che investe una valutazione discrezionale dell’amministrazione sottoposta al sindacato giurisdizionale solo per profili che attengano alla evidente illogicità, non rilevabile nella fattispecie, si rileva che gli aspetti connessi alla natura agricola dell’area sono stati valutati dal Settore agricoltura della provincia di Pavia, che ha espresso parere favorevole alla realizzazione dell’impianto. Anche tale doglianza deve pertanto essere respinta.

6.L’accoglimento dell’appello avverso la parte della sentenza che ha annullato l’autorizzazione unica e l’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione comporta la necessaria riforma anche della parte in cui è stato accolto il ricorso contro il decreto di esproprio, considerato caducato per effetto dell’annullamento dell’autorizzazione dichiarativa della pubblica utilità ed impositiva del vincolo.

Occorre, tuttavia, esaminare le censure a suo tempo avanzate per vizi propri di quel provvedimento, non vagliate in primo grado, in quanto riproposte con controricorso.

Esse attengono alla carenza di istruttoria e di motivazione in ordine alla soluzione progettuale che avrebbe inutilmente penalizzato le aree di proprietà S.A.S., per quanto riguarda l’aspetto viabilistico e la servitù di elettrodotto. A riguardo, le appellate richiamano il contenuto della perizia del dott. agr. Corradini in cui sono esposte delle criticità del progetto.

I motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

Essi sono inammissibili per la parte in cui investono valutazioni di merito riservate all’amministrazione. In proposito basta rilevare che, secondo piani principi (Cons. St. Sez. IV, 15.5.2008, n.2247), l’individuazione dell’ area ove ubicare un" opera di pubblica utilità (nella specie, allargamento della via e realizzazione dei tralicci) "costituisce una scelta tecnico discrezionale dell’amministrazione che resta naturalmente sottratta al sindacato di legittimità, salvo evidenti profili di illogicità o abnormità", profili che nel caso all’esame le osservazioni contenute nella perizia, pur diffuse, non riescono ad evidenziare.

Inoltre, essi sono infondati quanto alla supposta insufficiente ponderazione degli interessi coinvolti, in quanto il sacrificio delle specifiche ragioni proprietarie esposte nelle osservazioni trova adeguato riscontro – secondo quanto emerge dalle premesse del provvedimento- nella coerenza delle opere con il progetto approvato oggetto di autorizzazione unica e nella loro indispensabilità rispetto all’impianto da realizzare.

Cadute le censure avverso il decreto di esproprio, non possono essere accolti neanche i motivi di ricorso avverso le consequenziali determinazioni dirigenziali ritenute affette da illegittimità derivata, compreso il verbale di immissione in possesso e la redazione contestuale dello stato di consistenza.

7.Una volta accolti gli appelli principali, occorre esaminare l’appello incidentale della Fondazione V. C. e della S.A.S. rivolto contro i capi della sentenza reiettiva dei ricorsi di primo grado diretti all’annullamento dell’autorizzazione integrata ambientale ed all’esclusione del procedimento dalla VIA.

7.1 Con un primo motivo, le appellanti incidentali deducono che a fronte di puntuali censure inerenti contraddizioni, carenze e lacune progettuali, il Tar avrebbe omesso ogni approfondimento istruttorio, seppure richiesto attraverso una domanda di consulenza tecnica diretta a valutare la fattibilità dell’intervento progettato e chiedono "un sindacato forte e penetrante sulle questioni poste, valutando eventualmente l’opportunità di disporre gli opportuni approfondimenti istruttori se del caso disponendo consulenza tecnica".

Il motivo è infondato.

Il Collegio condivide la motivazione del T.a.r. laddove ha giudicato le censure mosse come dirette a sollecitare un sindacato di merito inammissibile. A riguardo, si osserva che la consulenza tecnica può essere disposta non per sostituire la valutazione dell’amministrazione, ma per ricostruire nel modo più compiuto i fatti accaduti e per verificare, a seconda dei casi, se la contestata valutazione sia manifestamente irragionevole o adeguatamente motivata. Solo nel caso in cui le valutazioni dell’amministrazione si dimostrino affette da manifesta irragionevolezza o non adeguata motivazione il riscontro può condurre all’annullamento dell’atto (Cons. Stato Sez. IV, 21052008, n. 2404;Sez. VI, 22112006, n. 6835).

Nella specie, correttamente il T.a.r. non ha riscontrato nel provvedimento impugnato i profili di illogicità, irragionevolezza o travisamento che ne avrebbero permesso il sindacato ed ha pertanto escluso l’esigenza di disporre una consulenza tecnica.

Da tali conclusioni non intende discostarsi il Collegio, che pertanto respinge il motivo di ricorso e la richiesta di disporre consulenza tecnica.

7.2 La sentenza è da confermarsi anche riguardo alla pronuncia di irricevibilità per tardività del ricorso per motivi aggiunti notificato in data 16 marzo 2009 per l’annullamento del provvedimento regionale di esclusione dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale.

Va, in primo luogo, osservato che, in disparte la precisazione di cui al punto 3 del decreto, in cui la regione dispone l’inserimento del provvedimento nell’apposito registro e nell’elenco da pubblicarsi periodicamente sul B.U.R.L., da intendersi come forma di pubblicità facoltativa, l’efficacia dell’atto, ai sensi dell’art. 32 d. lgs. n. 152 del 2006 nel testo all’epoca vigente, non dipende dalla sua pubblicazione, che non risulta prescritta come obbligatoria per legge. E’ pertanto irrilevante la mancata pubblicazione sul B.U.R.L. ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, che deve farsi pertanto decorrere per il soggetto che si ritenga leso dalla piena conoscenza dei suoi elementi essenziali, quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano profili di illegittimità specifici ed ulteriori relativi al suo contenuto (Cons. St. Sez. IV, 13.6.2011, n. 3583, Sez. V, 23.5.2011, n. 2842).

Nella specie, il provvedimento, risalente al marzo 2008, risulta indicato nei suoi elementi essenziali nel decreto n. 10682 dell’ 1.10.2008 di autorizzazione integrata ambientale e nei suoi allegati (in cui sono illustrate anche le ragioni dell’esclusione), e ad esso contiene, peraltro, riferimenti il ricorso introduttivo, tuttavia rivolto all’annullamento della sola autorizzazione integrata ambientale. Rispetto a tale dimostrata piena conoscenza, l’impugnazione dell’atto solo attraverso il ricorso per motivi aggiunti notificato il 15 marzo 2009 è, pertanto, tardiva.

Né un diverso termine di decorrenza può essere invocato in relazione alla richiesta di accesso rispetto alla cui evasione da parte della Regione Lombardia l’impugnazione si profilerebbe tempestiva.

Invero, il principio per cui la conoscenza del provvedimento amministrativo si realizza quando l’interessato ha contezza dell’esistenza dell’atto e della sua lesività non può soffrire deroghe per effetto di atti di iniziativa di parte, quale la richiesta di accesso, tali da dilatare il termine di impugnazione. L’integrazione della conoscenza dell’atto nella sua completezza può, infatti, offrire la possibilità di avanzare nuove censure tramite motivi aggiunti, ma non determina il venir meno dell’onere di impugnazione tempestiva dalla piena conoscenza del provvedimento e della sua lesività (Cons. St. Sez. IV, 5.3.2010, n. 1298).

Anche tale motivo di ricorso deve, pertanto, essere respinto con conseguente esonero dalla necessità di esame delle censure di merito relative al provvedimento impugnato.

8. Conclusivamente,respinta ogni istanza istruttoria, gli appelli principali riuniti vanno accolti, mentre gli appelli incidentali vanno respinti. In parziale riforma della sentenza di primo grado, devono essere respinti il secondo ricorso per motivi aggiunti volto all’annullamento dell’autorizzazione prot. 35275/07 del 15 gennaio 2009 ed il ricorso RG n. 278/2010 avverso il decreto di esproprio n. 567 del 23.11.2009 nonché avverso la determinazione dirigenziale n. 67231 del 13.11.2009, la determinazione n. 1712 del 17 novembre 2009, il verbale di immissione in possesso e la redazione contestuale dello stato di consistenza n. 72192 del 7 dicembre 2009.

La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:

– riunisce gli appelli NR 10144/2010 e NR 10147/2010;

– accoglie gli appelli principali;

– respinge gli appelli incidentali;

– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che per il resto conferma, respinge il secondo ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento dell’autorizzazione prot. 35275/07 del 15 gennaio 2009 ed il ricorso per l’annullamento del decreto di esproprio n. 567 del 23.11.2009, della determinazione dirigenziale n. 67231 del 13.11.2009, della determinazione n. 1712 del 17 novembre 2009, del verbale di immissione in possesso e della redazione contestuale dello stato di consistenza n. 72192 del 7 dicembre 2009.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2011) 01-08-2011, n. 30368

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 21.5.2008 il tribunale di Perugia dichiarò F. G. colpevole dei reati di sequestro di persona, lesioni personali, violenza sessuale in danno di B.E. e lo condannò alla pena di anni 6 di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento del danno in favore della parte civile, mentre dichiarò estinti per prescrizione i reati di minaccia e ingiuria.

La corte d’appello di Perugia, con la sentenza in epigrafe, dichiarò prescritti i reati di lesioni personali di cui ai capi B) ed E), rideterminò la pena in anni 5 e mesi 6 di reclusione e confermò nel resto la sentenza di primo grado.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo manifesta illogicità della motivazione osservando: che la B. aveva riferito dell’episodio delle lesioni subite nel 1999 solo nel 2000, raccontando ad un teste di esserle procurate da sola; che sull’episodio del 2000 le dichiarazioni della donna erano inattendibili perchè in contrasto con l’oggettività dei luoghi e con la deposizione della madre dell’imputato T.; che nessuno dei testi aveva riferito dei fatti per scienza propria.

Motivi della decisione

Il ricorso si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed manifestamente infondato perchè la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione, estesa a tutti gli elementi forniti dal processo, sulle ragioni per le quali ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato per i fatti contestatigli.

La corte d’appello, tra l’altro, ha dettagliatamente e congruamente valutato gli elementi indicati dall’imputato nel ricorso, ed in particolare il contenuto del racconto della B. e la deposizione della madre dell’imputato T., ampliamente e plausibilmente dando conto dei motivi per i quali il primo è stato ritenuto pienamente credibile e riscontrato da diversi elementi oggettivi, mentre la seconda è stata ritenuta in parte inattendibile, perchè contrastante con elementi certi, ed in parte irrilevante. La sentenza impugnata è in sostanza basata su motivazione esaustiva e plausibile, in ordine alla quale non sono riscontrabili vizi di mancanza o manifesta illogicità.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-06-2011) 09-09-2011, n. 33472

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza pronunciata il 18 gennaio 2007, il Tribunale di Catania condannò S.G. alla pena (sospesa ex art. 164 c.p.) di due anni di reclusione, con le circostanze attenuanti generiche, dichiarandolo responsabile del delitto di peculato (art. 314 c.p.), perchè, nella qualità di pubblico ufficiale – essendo stato nominato, in data 11 maggio 1999, dall’Ufficio del Territorio di Catania del Ministero delle Finanze amministratore dei beni confiscati, con decreto ex L. n. 575 del 1965 del Tribunale di Catania in data 20/12/1995 (divenuto definitivo il 22/3/1999), a R.L. e R.F. – si appropriava della somma complessiva di Euro 860.253,74 prelevandola, ad asserito titolo di acconto sul compenso, senza la necessaria autorizzazione dell’Agenzia del Demanio, con ripetuti prelievi dai libretti di deposito intestati alle imprese del gruppo Riela, dei quali aveva la disponibilità, versando il denaro sul proprio conto corrente bancario; nonchè per avere, senza autorizzazione, stipulato a nome delle medesime società e a proprio favore polizze assicurative, disponendo il pagamento dei relativi premi per l’anno 2000 ammontanti a Euro 5.640,88 (fatti accaduti in (OMISSIS)).

2. Contro la sentenza della Corte d’appello, confermativa della decisione di primo grado, ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, che deduce:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a, per erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 314 c.p. e con riferimento alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 nonies;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, per mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di peculato e a circostanze di fatto espressamente indicate nei motivi d’appello e non contraddette dalla sentenza impugnata;

travisamento della prova specificamente indicata;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a, per erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 314 e 51 c.p. per l’esistenza di una causa di giustificazione nell’esercizio del diritto;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a, per erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 314 e 47 c.p. per errore ricadente su una norma extrapenale e per mancanza di dolo;

e) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), per erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla sussistenza del reato di cui all’art. 314 c.p. in relazione alla stipula di polizze di assicurazione a proprio favore;

f) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a, per inosservanza di norme processuali sull’inammissibilità della domanda di provvisionale concessa alla parte civile.

Motivi della decisione

1. I fatti addebitati all’imputato sono pacifici. Il S. – nominato dal Ministro delle Finanze (ufficio del Territorio di Catania) amministratore dei beni e delle aziende confiscate al gruppo Riela – si autoliquidò, senza autorizzazione del competente ufficio ministeriale, la somma di cui al capo d’imputazione, a titolo di anticipazione sul proprio compenso professionale, determinandone l’ammontare, emettendo fatture ogni bimestre a carico delle singole società appartenenti e trasferendo le somme di denaro dai conti correnti delle imprese ai propri conti correnti bancari; inoltre, senza alcuna autorizzazione, stipulò polizze assicurative in suo favore, imputando i relativi premi alle imprese amministrate.

Nella predetta autoliquidazione – non soltanto non autorizzata, ma anche contrastata con ripetuti interventi scritti e orali del competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze, che ribadì al S. l’illegittimità di prelevare somme di denaro per il proprio compenso professionale senza autorizzazione ministeriale e che richiese anche la restituzione del denaro per il caso che fosse stato "erroneamente" prelevato – i giudici di merito hanno correttamente individuato la condotta appropriativa, accompagnata dall’animus rem sibi habendi, che produsse la deliberata intervensio possessioni.

2. Il ricorrente assume che nessuna norma prevede che la liquidazione delle anticipazioni dei compensi dell’amministratore dei beni confiscati debba essere autorizzata da parte del Ministero delle Finanze. Rileva che l’art. 2 nonies (più correttamente "novies") della L. 31 maggio 1965, n. 575 (nel testo vigente all’epoca dei fatti), che disciplina l’amministrazione dei beni confiscati (mentre quella relativa ai beni sequestrati è stabilita dall’art. 2 octies), non contiene alcuna previsione di provvedimento di autorizzazione da parte del Ministero delle Finanze concernente il compenso. Infatti, il comma 3 di tale articolo richiama la competenza del dirigente del competente Ufficio del territorio solamente per gli "esborsi che non trovino copertura nelle risorse della gestione", mentre rinvia, per la gestione dei beni da parte dell’amministratore, al precedente art. 2 octies "in quanto applicabile".

Il senso di quest’ultima espressione, secondo il ricorrente, si limiterebbe agli aspetti sostanziali; in particolare non riguarderebbe la liquidazione dei compensi dell’amministratore dei beni confiscati, anche perchè quest’ultimo svolge le proprie funzioni, con autonomia gestionale, sotto il controllo del competente ufficio ministeriale, mentre l’amministratore dei beni sequestrati agisce come mero esecutore delle determinazioni dell’autorità giudiziaria, "sotto la direzione del giudice delegato" (art. 2 sexies). L’amministratore dei beni confiscati è, perciò, dotato dell’autonomia del mandatario e, nel perseguire gli obiettivi stabiliti dalla legge nell’art. 2 diecies e segg. della predetta legge, può autodeterminarsi il compenso nel caso di sufficienza delle risorse economiche disponibili, mentre necessita dell’autorizzazione ministeriale soltanto nel caso d’insufficiente disponibilità del conto di gestione.

3. Il Collegio ritiene tale interpretazione infondata e rileva che è contrario ad ogni principio figurare un potere di autoliquidazione del compenso professionale del pubblico ufficiale, mentre v’è una norma che assegna espressamente all’autorità ministeriale la determinazione del compenso dell’amministratore di beni confiscati.

3.1. Il legislatore, all’art. 2 novies, comma 3, ha precisato che la gestione dei beni confiscati deve conformarsi alla L. 23 dicembre 1993, n. 559, art. 20 (disciplina della soppressione delle gestioni fuori bilancio nell’ambito delle amministrazioni dello stato) e, in quanto applicabile, alla L. n. 575 del 1965, art. 2 octies, ed ha espressamente richiamato i "sensi del decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro delle finanze, 27 marzo 1990, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 98 del 28 aprile 1990", che detta "disposizioni per la gestione dei beni confiscati".

Il richiamo alle previsioni di tale decreto, espressamente operato dal legislatore con la L. 7 marzo 1996, n. 109, art. 3, comma 2, (che stabilisce la disciplina applicabile per il periodo di tempo rilevante in questo procedimento) comporta un’incorporazione delle disposizioni oggetto del rinvio in quella rinviante, con ciò superando e rendendo non più attuale qualsiasi problema attinente a eventuali vizi formali del decreto, in ipotesi rilevanti prima del richiamo operato dalla fonte legislativa primaria.

Che i problemi formali relativi al decreto sopra indicato siano irrilevanti in questo procedimento è, peraltro, implicita convinzione dello stesso ricorrente, che invoca l’art. 5, comma 2, di tale decreto ("I rapporti giuridici connessi all’amministrazione dell’azienda vengono regolate dalle norme del codice civile") per sostenere, erroneamente, l’inesistenza di una previsione sulla liquidazione del compenso e il rinvio alle norme generali del codice civile.

Mette conto, infatti, sottolineare che tale decreto prevede che – ove, come nel caso in esame, l’oggetto della confisca sia un’azienda -"l’amministratore, in attesa della destinazione della stessa ai sensi dei commi 5 e sesto della L. 4 agosto 1989, n. 282, art. 4, provvede alla gestione sotto la direzione dell’Intendente di finanza o di un suo delegato" (art. 5, comma 1). Il comma 2 sopra indicato, ed erroneamente invocato dal ricorrente, si riferisce a tutti i rapporti giuridici connessi all’amministrazione aziendale, ad eccezione di quelli diversamente e specificamente regolati dallo stesso decreto. E l’art. 8 afferma, inequivocabilmente che nel compenso per l’amministratore nonchè per i tecnici e per le altre persone, autorizzati a coadiuvarlo dal competente Intendente di finanza, è determinato, con provvedimento dello stesso Intendente di finanza, sulla base dei parametri stabiliti con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro", poi intervenuto il 19 settembre 1992 (G.U. n. 68 del 23.3.1993).

Dopo avere richiamato le disposizioni di tale decreto interministeriale, il legislatore, nella L. n. 575 del 1965, art. 2 novies, comma 3, (inserito dalla L. 7 marzo 1996, n. 109, art. 3, comma 2, recante "disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati") ha esplicitato che, per l’amministratore dei beni confiscati, provvede l’autorità ministeriale "al rimborso e alle anticipazioni delle spese, nonchè alla liquidazione dei compensi che non trovino copertura nelle risorse della gestione", dove è evidente che quest’ultima frase relativa si riferisce ai compensi, al rimborso e alle anticipazione di spese, più esattamente precisate nell’art. 2 octies, comma 3, ed ha la funzione di richiedere uno specifico provvedimento amministrativo per pagamenti di somme per le quali non vi è disponibilità sufficiente nel conto di gestione.

Ciò non significa, però, che nel caso la disponibilità sia sufficiente, si possa prescindere dal provvedimento ministeriale, giacchè questo è richiesto in via generale dalla lettura coordinata delle norme sopra indicate e, specificamente, dalla prima parte dell’art. 2 nonies, comma 3, con l’espresso richiamo al Decreto Interministeriale 27 marzo 1990, nonchè dall’inesistenza di un diritto soggettivo alla percezione di tali acconti e all’autoliquidazione di esso.

3.2. Come si è già rilevato, non sussiste alcuna disposizione che preveda il potere o la facoltà di autoliquidazione da parte dell’amministratore del compenso spettantegli per l’attività svolta e, a maggior ragione, dell’acconto su tale compenso.

Sussiste ovviamente il diritto soggettivo dell’amministratore a ricevere un compenso per l’attività svolta, ma la determinazione del suo ammontare è di competenza dell’autorità ministeriale territoriale, che lo esercita in applicazione del principio generale della posticipazione del compenso o della postnumerazione – secondo cui il compenso matura solo a prestazione completamente eseguita, sicchè non è previsto alcun diritto ad acconti.

E’ del tutto illogico ritenere che l’espressa previsione che "il compenso per l’amministratore … è determinato con provvedimento dell’intendenza di finanza" non copra anche eventuali acconti di tale compenso.

La tesi dal ricorrente, secondo cui è lasciata alla determinazione dell’amministratore la deliberazione di attribuirsi acconti, fissandone anche l’ammontare, comporterebbe il rischio di anticipazioni esorbitanti rispetto alla liquidazione finale, con pericolo di danno per l’Amministrazione finanziaria eventualmente costretta – come ipotizza lo stesso ricorrente, facendo propria l’opinione di un consulente di parte – a richiedere la restituzione del denaro eccedente, intraprendendo anche azioni giudiziarie.

3.3. L’attribuzione di acconti sul compenso è ovviamente possibile, ma è affidata alla discrezionalità (che non è arbitrio) dell’autorità istituzionale di riferimento.

Così com’è possibile, da parte dell’autorità giudiziaria, disporre anticipazioni sui compensi all’amministratore dei beni sequestrati, alla stessa maniera è consentito all’autorità ministeriale disporre anticipazione sui compensi all’amministratore dei beni confiscati.

Il potere dell’ufficio ministeriale territoriale di determinare l’ammontare del compenso dell’amministratore, dei tecnici e delle altre persone autorizzati a coadiuvarlo, comprende il potere di autorizzare eventuali acconti e di determinarne il relativo ammontare.

La correlazione tra possibilità di attribuzione di acconti e potere discrezionale dell’Amministrazione esclude che l’amministratore nominato possa vantare una posizione di diritto soggettivo all’anticipo, autonomamente esercitabile.

3.4. La condotta dell’imputato che, in contrasto con le previsioni normative e con i ripetuti richiami (accertati dai giudici di merito) della competente autorità ministeriale territoriale, trasferì sui propri conti correnti le ingenti somme di cui al capo d’imputazione, integra l’indebita appropriazione del denaro di cui egli aveva la disponibilità a causa e nell’esercizio della sua attività di amministratore delle aziende confiscate e realizza la fattispecie penale prevista dall’art. 314 c.p..

Deve, pertanto, ribadirsi il principio, affermato da questa Corte con riferimento al commissario liquidatore (Cass. Sez. 6, n. 5576/1998, Ferri), che l’amministratore di beni confiscati che si appropri di denaro, di cui abbia la disponibilità, delle aziende confiscate, autoliquidandosi, senza autorizzazione della competente autorità ministeriale, acconti da lui stesso determinati nell’ammontare, commette il delitto di peculato.

Tale condotta lede l’interesse giuridico tutelato dall’art. 314 c.p., cioè il dovere di fedele e onesta amministrazione, indispensabile specie nel settore patrimoniale per salvaguardare i principi di legalità e di buon andamento della pubblica amministrazione, quando il pubblico ufficiale volga a profitto proprio denaro della P.A., sia pure per soddisfare una propria pretesa creditoria che, in quanto non assistita dai requisiti della certezza, della liquidità e dell’esigibilità, è meramente teorica e, comunque, non può essere azionata in via di autotutela.

Sono pertanto infondati i motivi dedotti (sopra sintetizzati sub a e b) sull’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 314 c.p. e con riferimento alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ovies e sul vizio di motivazione della sentenza, avendo il giudice d’appello preso in esame e rigettato le doglianze dell’appellante, con motivazione che s’integra con quella più analitica della sentenza di primo grado.

3.5. Da quanto sopra esposto deriva che il diritto al compenso non comprende il diritto all’acconto nè, a maggior ragione, la facoltà di autoliquidazione di esso. E’ pertanto infondato il motivo sub e), con cui s’invoca la scriminante dell’esercizio di tale diritto (art. 51 c.p.).

Rileva, peraltro, il Collegio che neppure dall’eventuale riconoscimento di tale diritto si potrebbe pervenire all’esclusione della punibilità della condotta incriminata, concretatasi nell’esercizio, in via di autotutela, di esso. Come questa Corte ha già avuto modo, in fattispecie analoga a quella in esame, l’esistenza e l’esercizio di un diritto non sono, di per sè, sufficienti a escludere la punibilità di ogni condotta dell’agente, altrimenti punibile, ma è necessario che la condotta sia prevista e permessa o dalla stessa norma che integra la fonte del diritto, particolare rispetto a quella assolutamente generale dell’art. 51 c.p., o da altra disposizione più particolare rispetto a quella (Cass. Sez. 6, n. 5576/1998, Ferri).

Di regola, l’ordinamento non consente l’autotutela privata dei diritti. La tutela di questi è affidata all’autorità giudiziaria su domanda di parte. L’autotutela è consentita soltanto in casi eccezionali, espressamente previsti dalla legge e non suscettibili di estensione analogica.

Nel caso in esame, in cui l’amministratore svolge un incarico pubblico, sotto il controllo e il potere direttivo dell’autorità ministeriale, non può configurarsi alcuna forma di autotutela, tanto più che l’autorità amministrativa aveva ripetutamente palesato all’imputato l’illegittimità della sua condotta, indipendentemente da ogni questione sull’ammontare del compenso o dell’acconto, non rilevante ai fini della configurazione del reato di peculato.

3.6. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l’erronea applicazione degli artt. 314 e 47 c.p.. Con idonea adeguata motivazione la Corte d’appello ha escluso che l’imputato abbia agito in buona fede. L’errore sulla legge extrapenale relativa alla disciplina dell’acconto, da cui sarebbe derivato un errore di fatto, considerato che tale errore, in quanto sostanzialmente riverberatosi sull’esercizio di un presunto diritto (art. 51 c.p.), si è rilevato inescusabile, anche per la qualità soggettiva dell’imputato (dottore commercialista, già Presidente del Consiglio dell’ordine di Catania), tanto più che l’ufficio ministeriale del territorio non mancò, per iscritto e verbalmente, di motivare la sua contrarietà alla condotta appropriativa dell’imputato, sollecitandolo persino alla restituzione delle somme di cui si era appropriato "per errore".

La ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito evidenzia la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, integrato dalla coscienza e volontà di fare proprie somme di cui il pubblico ufficiale aveva il possesso per ragioni del suo ufficio. Tale forma di dolo generico è insito nella condotta tenuta dall’imputato, non potendosi prendere in considerazione l’allegato inescusabile errore.

3.7. Manifestamente infondato, e perciò inammissibile, è il quinto motivo, relativo al costo delle polizze di assicurazione personali addebitato alle imprese amministrate. I giudici di merito hanno accertato (e il ricorrente non contesta in alcun modo) che l’imputato aveva addebitato alle imprese amministrate il premio delle polizze assicurative stipulato nel suo favore, così appropriandosi di denaro, di cui aveva disponibilità nelle sue funzioni di pubblico ufficiale, utilizzandola nel suo esclusivo interesse.

In proposito deve rilevarsi che erroneamente è stata omessa l’applicazione dell’art. 81 cpv. c.p., ma l’errore è irrimediabile per mancata impugnazione del pubblico ministero.

3.8. Infondato è, infine, l’ultimo motivo, con cui di denuncia l’illegittimità della concessa provvisionale in favore della parte civile, non disposta in primo grado. Assume il ricorrente che, in mancanza di impugnazione del P.M. e della parte civile, tale concessione costituisce reformatio in pejus, che viola l’art. 597 c.p.p..

Come questa Corte ha più volte affermato, non viola il divieto della reformatio in peius la sentenza che, in assenza di appello della parte civile, provveda alla liquidazione di una somma di denaro a titolo di provvisionale, non concessa dal giudice di primo grado, posto che il divieto attiene soltanto alle disposizioni di natura penale (Cass. Sez. 6, n. 38976/2009, Ricciotti; Sez. U, n. 30327/2002, Guadalupi; Sez. 5, n. 7967/1998, Calamità).

4. In conclusione, il ricorso va rigettato e l’imputato condannato al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo che segue.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile Agenzia del Demanio, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 21-10-2011, n. 606 Demolizione di costruzioni abusive Sanzioni amministrative e pecuniarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente con ricorso notificato in data 13 luglio 1999 e depositato il successivo 27 agosto ha chiesto l’annullamento previa sospensione degli effetti dell’ordinanza n. 110 prot. 12897 resa dal Dirigente della Ripartizione Urbanistica del Comune di Campobasso il 27/5/1999 con la quale gli veniva ingiunto di demolire sei manufatti in ferro e lamiera zincata ed in legno e muratura in quanto realizzati senza la concessione edilizia.

A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi di censura:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, 8 e 10 della legge 241 del 1990.

Il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in carenza delle garanzie di partecipazione, a principiare dalla omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. Ove notiziato dell’avvio del procedimento l’esponente avrebbe potuto rappresentare che i manufatti in questione sono stati realizzati negli anni cinquanta allorquando non era richiesta la concessione edilizia, oltre ad avere natura precaria.

3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 47 del 28.2.1985.

Poiché i manufatti sono stati realizzati sin dagli anni cinquanta non può ritenersi applicabile la normativa repressiva sopravvenuta.

Si è costituito in giudizio il Comune di Campobasso per contrastare i motivi di censura ex adverso fatti valere, concludendo per la reiezione del gravame.

Alla camera di consiglio del 14 dicembre 1999 il collegio con ordinanza n. 572/99 ha accolto la domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 11 maggio 2011 la causa è stata infine trattenuta in decisione.

Il primo motivo di censura relativo alla pretesa violazione delle garanzie partecipative è infondato in quanto secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa per i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atti dovuti e rigorosamente vincolati, rispetto ai quali non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (cfr. tra le tante T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 09 novembre 2010, n. 2631).

Fondato è invece il secondo motivo di doglianza con il quale il ricorrente deduce che i manufatti in questione sarebbero stati realizzati negli anni cinquanta, in epoca in cui non era richiesto alcun titolo edilizio per l’attività edificatoria al di fuori dei centri abitati.

Sul punto occorre rammentare in punto di diritto che chi contesta la legittimità dell’ordinanza sindacale di demolizione di un manufatto abusivo realizzato fuori dal centro abitato ha l’onere di fornire perlomeno un principio di prova in ordine al tempo dell’ultimazione di quest’ultimo, ove asserisca che esso è stato realizzato prima dell’entrata in vigore della l. 6 agosto 1967 n. 765, ossia quando per tali tipi di costruzione non era prescritta alcuna licenza edilizia (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 09 novembre 2010, n. 2631; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 18 dicembre 2007, n. 3224; Consiglio Stato, sez. V, 13 febbraio 1998, n. 157).

Nel caso di specie il ricorrente ha depositato due dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà con le quali persone aventi conoscenza diretta dello stato dei luoghi hanno effettivamente attestato l’anteriorità dei manufatti rispetto all’entrata in vigore della legge 765/67.

Inoltre in adempimento dell’ordinanza istruttoria n. 93/2011 il Comune di Campobasso ha depositato nota prot. 2418/98 della ripartizione urbanistica nella quale si afferma che "da accertamenti espletati dal Comando di Polizia Municipale, è emerso che le opere abusive in questione sono state realizzate all’incirca negli anni cinquanta".

Accertata dunque l’anteriorità della data di realizzazione dei manufatti in contestazione rispetto all’entrata in vigore della legge n. 765/67 il ricorso dev’essere accolto.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Molise, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato. Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Campobasso nelle camere di consiglio del 11 maggio e del 6 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi, Presidente

Orazio Ciliberti, Consigliere

Luca Monteferrante, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.