Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-09-2011, n. 19161 Licenziamento

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assorbito l’incidentale.
Svolgimento del processo

Il sig. M.C., dipendente dell’A.C.I. Automobile Club di Ancona a seguito della contestazione di un ammanco di cassa fu destituito dall’incarico con provvedimento del 7 settembre 1992; a seguito di impugnazione, tale provvedimento fu sospeso dal TAR delle Marche che però mantenne ferma la sospensione cautelare dal servizio disposta il 20 luglio 1992.

Il sig. M. ha convenuto l’Automobile Club di Ancona dinanzi al Tribunale di Ancona con ricorso del 2003, deducendo di non essere stato reintegrato in servizio anche dopo la scadenza del termine di cui alla L. n. 19 del 1990, art. 9, e chiedendo la condanna dell’ente datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni dovute e non corrisposte a far data dal 20 luglio 1997.

Il Tribunale adito ha accolto la domanda del M. rigettando la riconvenzionale spiegata dall’ente convenuto per la condanna del dipendente alla restituzione delle somme sottratte. Su gravame dell’ACI, con la sentenza oggi impugnata la Corte di Appello di Ancona ha parzialmente riformato tale decisione. Escluso che la pendenza del giudizio amministrativo costituisse antecedente logico giuridico del riconoscimento dei diritti vantati dal M. in relazione alla intervenuta cessazione dell’efficacia della sospensione cautelare, il giudice territoriale ha affermato che alla scadenza del termine massimo di efficacia di tale provvedimento il M. aveva acquisito il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro; da tale momento era peraltro tenuto alla prestazione lavorativa, sicchè in mancanza dell’offerta di tale prestazione il ristoro del danno subito – parametrato alle retribuzioni non corrisposte – doveva essere riconosciuto dalla data della messa in mora dell’Amministrazione (29 maggio 2002). Doveva essere d’altro canto esclusa, in mancanza di prova, la deducibilità dall’importo relativo di un aliunde perceptum.

La sentenza impugnata ha infine confermato la statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale dell’ACI, da ritenersi spiegata a titolo di responsabilità extracontrattuale, in considerazione della prescrizione della relativa azione.

Avverso questa decisione l’Automobile Club ha spiegato ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale il M. resiste con controricorso. Con il ricorso dell’ente è stata prodotta copia della sentenza in data 7.11.2006 con cui il Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dall’Automobile Club contro la decisione del TAR in data 30 marzo 2005 che aveva annullato il provvedimento di destituzione.

M. ha depositato controricorso proponendo contro la stessa sentenza della Corte di Appello autonomo ricorso per cassazione con due motivi, al quale l’A.C.I. Automobile Club di Ancona resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione

1. I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

2.1. Con il primo motivo del proprio ricorso (R.G. n. 8774/2007) l’Automobile Club di Ancona denuncia la violazione dell’art. 295 cod. proc. civ. e deduce che la pronuncia del Consiglio di Stato n. 6556/2006, depositata il 7 novembre 2006, con cui è stata definitivamente affermata la legittimità dei provvedimento di destituzione del sig. M., travolge ogni pretesa del dipendente relativa a diritto alla retribuzione e alla reintegrazione nel posto di lavoro, con l’estinzione del rapporto di impiego con decorrenza dal momento della sospensione cautelare.

La parte critica la decisione della Corte territoriale con cui si è erroneamente esclusa la necessità di sospendere il giudizio in attesa della definizione del giudizio di impugnazione della sentenza del T.A.R. per le Marche che, pronunciando sui ricorsi avverso i provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio e di destituzione dall’incarico, aveva annullato il provvedimento di destituzione adottato il 7 settembre 1992 dal Consiglio Direttivo dell’ACI di Ancona; osserva che il giudizio civile avrebbe dovuto essere sospeso e, se riassunto, una volta intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato con l’accertamento della inesistenza del rapporto di lavoro fin dal 1992, la domanda del M. avrebbe dovuto essere respinta.

Pone quindi a questa Corte il seguente quesito di diritto: se, nel caso in cui sia ancora pendente il procedimento amministrativo nel quale si discute la legittimità del provvedimento di destituzione adottato nei confronti di un dipendente e quest’ultimo abbia agito in giudizio, nelle more, al fine di richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro, perchè decorso il termine massimo di sospensione cautelare- sospensione adottata per gli stessi fatti per cui è stata adottata la sanzione della destituzione – la decisione di quest’ultimo giudizio non dipende necessariamente dalla definizione del giudizio amministrativo, così da dover essere sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., travolgendo la decisione amministrativa poi intervenuta ogni decisione che trova il suo presupposto nell’esistenza di un valido rapporto di lavoro.

2.1. Il motivo merita accoglimento per le seguenti considerazioni. La questione della denunciata violazione dell’art. 295 c.p.c., che impone la sospensione del processo quando altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa, è superata dal giudicato esterno formatosi nel giudizio amministrativo di impugnazione dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti del M., con la sentenza n. 6556/2006 del Consiglio di Stato (prodotta in atti e pubblicata successivamente al deposito della sentenza oggi impugnata) che ha definitivamente accertato la legittimità della destituzione dall’impiego.

Tale pronuncia resa dal giudice competente a conoscere la controversia relativa al rapporto di impiego (secondo la disciplina applicabile ratione temporis) fa stato nel presente giudizio promosso dinanzi al giudice ordinario per il riconoscimento del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e alla retribuzione con decorrenza dal 20 luglio 1997.

Il rapporto su cui si fondano le pretese fatte valere in questa sede deve ritenersi conseguentemente estinto a tutti gli effetti, secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. per tutte Consiglio di Stato sez. 4^ n. 6669 del 9 dicembre 2002) con decorrenza coincidente con l’inizio della sospensione cautelare, disposta dal 20 luglio 1992. 3. Il secondo motivo dello stesso ricorso, con la denuncia di violazione degli artt. 1175 e 2104 cod. civ., art. 113 cod. proc. civ., investe la statuizione del giudice dell’appello con cui è stato confermato il rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dall’ACI di Ancona per il risarcimento del danno subito a causa della indebita appropriazione di somme da parte del M. nello svolgimento della sua attività di addetto al servizio di scuola guida. Secondo la Corte territoriale, tale azione è stata proposta a titolo di responsabilità extracontrattuale, e doveva ritenersi quindi prescritta per il decorso del termine quinquennale.

La parte critica questa decisione affermando l’erroneità di tale qualificazione della domanda: sostiene di aver proposto un’azione di responsabilità contrattuale (costituendo illecito contrattuale la sottrazione di somme contestata al dipendente) chiedendo non un risarcimento del danno, ma la restituzione delle somme dovute. Con il proprio quesito di diritto chiede alla Corte di stabilire se, costituendo i fatti addebitati fonte di responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale, la domanda riconvenzionale avrebbe dovuto essere qualificata come proposta cumulativamente, essendo stata richiesta la restituzione delle somme.

La censura non merita accoglimento. L’interpretazione della domanda è compito riservato in via esclusiva al giudice di merito il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, resta sottratto come tale, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità, prospettabile, con la possibilità di procedere direttamente all’esame degli atti processuali, solo quando, con la denuncia di un "error in procedendo" in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., la parte faccia discendere dalla interpretazione della domanda ad opera del giudice di merito la violazione del principio di necessaria coincidenza tra il chiesto e il pronunciato (Cass. 15859/2002, 6526/2002, 21208/2005, 17547/2009).

Tale censura non è stata espressamente formulata nel ricorso, con cui ci si limita in sostanza a proporre una diversa qualificazione della natura della pretesa, che si afferma azionata (cumulativamente) sia in via contrattuale che extracontrattuale (costituendo il fatto addebitato fonte tanto di illecito contrattuale che di illecito aquiliano). Non viene peraltro indicato alcun elemento da cui emerga una precisa e chiara scelta della parte in questo senso, e la sentenza impugnata, sorretta da congrua motivazione, non risulta sotto questo profilo efficacemente censurata. Appare esatto, in particolare, il rilievo secondo cui la scelta dell’azione risarcitoria per responsabilità extracontrattuale è confermata dalla sua proposizione davanti al giudice ordinario, dato che quella contrattuale avrebbe potuto essere promossa solo innanzi al giudice amministrativo, in quanto inerente a fatti commessi prima del 30 giugno 1998. 4. il ricorso di M.C., sorretto da due motivi, investe la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui fa decorrere il diritto al ristoro del danno subito, commisurato alle retribuzioni non percepite, dal momento della richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro con lettera del 25 settembre 2002, anzichè dalla scadenza del temine di efficacia della sospensione cautelare. Con il primo motivo, mediante la denuncia di violazione della L. n. 19 del 1990, art. 9, si contesta l’esistenza di un onere del dipendente di attivarsi per il ripristino del rapporto a tale scadenza; il secondo motivo rileva in ordine alla stessa questione un difetto di motivazione della sentenza impugnata.

5. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale proposto dall’ACI di Ancona in relazione al giudicato formatosi, con l’accertamento della legittimità del provvedimento di destituzione, in ordine all’estinzione del rapporto di impiego dal 20 luglio 1992, conduce alla cassazione della sentenza impugnata e alla decisione della causa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. (non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto) con il rigetto delle domande proposte dal M.. Per le medesime ragioni va rigettato anche il ricorso incidentale, che attiene alla stessa pretesa.

L’esito del giudizio, correlato alla formazione del giudicato esterno, consente di ravvisare giusti motivi di compensazione integrale tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il primo motivo del ricorso principale (R.G. n. 8774/2007) e rigetta il secondo. Rigetta il ricorso incidentale (R.G. n. 9523/2007). Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta le domande proposte dal M.. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 01-06-2011, n. 339 Pensioni, stipendi e salari

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I ricorrenti chiedevano l’accertamento del diritto a percepire gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle somme percepite dal Comune di Campobasso a titolo di Livello Economico Differenziato previsto dall’art. 35 DPR 333\90 con delibere della Giunta Comunale del 1996.

La pretesa dei ricorrenti si fonda sulla pretesa decorrenza dell’aumento contrattuale dalla data di entrata in vigore del contratto che ha creato la nuova voce stipendiale.

Si costituiva in giudizio il Comune di Campobasso che chiedeva il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 16.3.99 veniva respinta la richiesta di provvedimento cautelare teso ad ovviare gli effetti del silenzio dell’amministrazione sulla richiesta dei ricorrenti.

Il ricorso non è fondato.

L’emolumento inserito dalla contrattazione collettiva e recepito dell’art. 35 DPR 333\90 non era applicabile indistintamente a tutti i dipendenti, ma solo ad una percentuale di essi che la norma indicava partitamente per ogni qualifica funzionale sulla base di una selezione tra i potenziali aventi diritto regolata dal successivo art. 36.

La norma in questione così dispone: "1. I livelli economici differenziati di professionalità sono attribuiti mediante selezione alla quale partecipano i dipendenti indicati nell’art. 35, comma 1, in possesso del requisito di anzianità di effettivo servizio di ruolo di tre anni nella qualifica alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello della selezione.

2. La selezione di cui al comma 1 avviene per titoli culturali, professionali e di servizio da valutarsi, in relazione alla qualifica di riferimento, sulla base di obiettivi criteri predeterminati in sede di contrattazione decentrata.".

Circa la decorrenza economica dei benefici stipendiali ai fini del calcolo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria è necessario distinguere il caso in cui il beneficio tragga origine direttamente dalla previsione normativa da quello in cui sia necessario effettuare un’ulteriore attività.

Sui crediti di lavoro dei pubblici dipendenti, tardivamente soddisfatti, sono dovuti rivalutazione monetaria ed interessi legali (corrispettivi) con decorrenza dalla data di maturazione del diritto che si configura diversamente in ragione della differente fonte del credito; pertanto, se il diritto trova fonte direttamente nella legge o, comunque, in un atto normativo, la data della sua maturazione è quella della scadenza dell’emolumento o del suo rateo quand’anche l’Amministrazione debba porre in essere uno o più atti (paritetici) al fine della ricognizione e dell’adempimento della propria obbligazione mentre, se il diritto trae la sua fonte da un atto amministrativo autoritativo ovvero da un provvedimento (quali gli atti di inquadramento e di conferimento di nomine), la data della sua maturazione è quella dell’adozione del provvedimento stesso, ancorché questo abbia efficacia retroattiva (vedasi TAR Molise 200\1997 e 146\1997 e TAR Lazio 589\1998).

Pertanto, nel caso di specie in applicazione del principio sopra menzionato, il diritto a ricevere gli interessi legali e la rivalutazione monetaria non può che decorrere dal momento in cui sono state effettuate le selezioni ex art. 36 DPR 333\90 e non dalla decorrenza giuridica dell’emolumento integrativo.

La condotta del Comune di Campobasso non è pertanto censurabile sul punto.

Quanto al ritardo con cui sono state espletate le selezioni cui era subordinata la corresponsione dell’emolumento non è possibile in questa sede valutarne la legittimità poiché sarebbe stato necessario a suo tempo diffidare l’amministrazione a porre in essere le procedure previste dal DPR 333\90 attivando i rimedi previsti avverso il silenzioinadempimento.

Stante la natura della controversia e tenuto conto della condotta del Comune che solo dopo molti anni dalla previsione contrattuale a posto in essere le procedure necessarie per attribuire il beneficio economico ai dipendenti aventi diritto, appare equo compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 16-06-2011, n. 24166 Violazioni tributarie

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia, con ordinanza emessa il 05/10/010 – provvedendo sulla richiesta di riesame avanzata nell’interesse di Cascino Salvatore avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip del Tribunale di Brescia in data 20/09/010 ed avente per oggetto beni mobili e numerosi immobili ubicati come in atti, il tutto D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10 quater, e art. 322 ter c.p. – respingeva il gravame.

L’interessato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge dell’art. 606 c.p.p., lett. b).

In particolare il ricorrente, mediante articolate argomentazioni, esponeva che il sequestro preventivo era illegittimo poichè relativo a beni appartenenti a soggetto del tutto estraneo al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater.

C.S. si era limitato a svolgere la propria attività di consulenza professionale delle società coinvolte nella vicenda in esame, senza alcuna partecipazione diretta all’attività di indebita compensazione come contestata in atti.

Tanto dedotto, il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Il PG della Cassazione, nell’udienza camerale del 05/05/011, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Gip del Tribunale di Brescia, con ordinanza emessa il 20/09/010, applicava nei confronti, fra gli altri, di M.N. e C.S. la misura della custodia cautelare in carcere, in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p., come contestato in atti – ossia associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di plurimi reati in materia fiscale tra cui quello D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10 quater.

Con il predetto provvedimento il Gip disponeva anche il sequestro preventivo di numerosi immobili(come specificamente indicati) nonchè di tre autovetture; beni intestati a C.S.; il tutto ai sensi dell’art. 322 ter c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater.

C.S. proponeva istanza di riesame, che veniva respinta dal Tribunale di Brescia, con ordinanza in data 05/10/010, avverso la quale il Cascino proponeva l’attuale ricorso per Cassazione.

Tanto premesso sui termini essenziale della vicenda in esame, si rileva che il Tribunale di Brescia ha congruamente motivato tutti i punti fondamentali della decisione de qua.

In particolare, quanto al fumus commissi delicti inerente al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, il giudice del riesame ha evidenziato che allo stato degli atti – nell’ambito di una complessa indagine investigativa (di cui alla comunicazione della G.d.F. del 27/05/010) inerente ad un gruppo di società, tra le quali Athena srl, Athena Project srl, Athena Group Italia srl, in ordine alle quali M.N. era il reale gestore e C. S. svolgeva l’attività di consulente fiscale e commerciale – vi era stato l’utilizzo di un’indebita compensazione attraverso il modello F24, per crediti inesistenti, omettendosi così il versamento di tributi per gli anni 2008/2010 per una somma superiore ad Euro 1.000.000,00.

Era stato altresì accertato – evidenziava ancora il giudice del riesame – che C.S. anche in proprio, avvalendosi del medesimo sistema di indebita compensazione, aveva omesso il versamento di tributi per gli anni 2008, 2009, 2010.

Quanto alla legittimità e pertinenza del vincolo reale, il Tribunale esponeva che trattavasi di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria per equivalente di mobili ed immobili di proprietà di Cascino Salvatore, ai sensi dell’art. 323 ter c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, fino alla concorrenza della somma dei tributi evasi, somma certamente superiore nel suo complesso ad Euro 1.000.000,00.

Trattasi di valutazioni di merito, conformi ai parametri di cui all’art. 322 ter c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, non censurabili in sede di legittimità.

Per contro le censure dedotte nel ricorso sono generiche perchè meramente ripetitive di quanto esposto in sede di riesame, già valutate esaustivamente dal Tribunale di Brescia.

Sono, altresì, infondate perchè in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal giudice del riesame.

Dette censure, peraltro – quantunque siano prospettate come violazione di legge -costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto inerenti alla fondatezza in concreto dell’accusa.

Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità ed in materia di misure cautelari reali, dovendo il sindacato del giudice essere limitato alla sola verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato, senza sconfinare nel sindacato della concreta fondatezza dell’accusa Giurisprudenza di legittimità consolidata;

richiamata per ultimo dalla Corte Costituzionale Ord. N. 153 del 04/05/07 Ad abundantiam si osserva:

a) che Cascino Salvatore, quanto alle indebite compensazioni effettuate dal Gruppo delle Società Athena, non si era limitato a svolgere l’attività professionale di commercialista richiesta in riferimento a dette società, ma era stato l’ideatore dell’utilizzo illecito dei meccanismi di cui al modello F24, concorrendo consapevolmente alla realizzazione delle indebite compensazioni come contestate in atti; b) che il valore complessivo dei beni immobili e mobili di proprietà di C.S. (come determinato in atti) era certamente inferiore alla somma globale dei tributi evasi, somma superiore ad un milione di Euro;

c) che il provvedimento del Gip del 20/09/010 – con cui si disponeva il sequestro per equivalente dei beni intestati al C. – conteneva, anche se in modo implicito (come già evidenziato dal Tribunale di Brescia) le ragioni inerenti sia alla legittimità del sequestro de quo, sia alla pertinenza dei beni sottoposti al vincolo reale.

Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da C.S., con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 18-11-2011, n. 24234 Imposta regionale sulle attivita’ produttive

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Svolgimento del processo

B.G. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto che, rigettandone l’appello, per quanto nella presente sede ancora rileva, ha confermato la legittimità della cartella di pagamento, notificata il 6 luglio 2005, emessa all’esito del controllo formale svolto sulla dichiarazione presentata per l’anno 2001, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 bis e sui successivi pagamenti, relativa all’omessa effettuazione di alcuni versamenti periodici, nonchè dei saldi, dell’IVA e dell’IRAP per tale periodo d’imposta.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Uniriscossione, agente per la riscossione per la provincia di Treviso del Gruppo Riscossioni spa, ed il Ministero dell’economia e delle finanze non hanno svolto attività nella presente sede.

Motivi della decisione

Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, rimasto estraneo al giudizio di merito, introdotto successivamente al 1 gennaio 2001 e svoltosi nei soli confronti dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa a quella data, ed alla quale deve attribuirsi la qualità di successore a titolo particolare dello stesso Ministero (Cass., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116).

Con il primo motivo la contribuente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge, l’inesistenza insanabile della notificazione delle cartelle di pagamento effettuata dal concessionario a mezzo del servizio postale, per non essere stato compilato il modello di relazione di notificazione apposto in epigrafe delle stesse cartelle.

Con il secondo ed il terzo motivo, denunciando violazione di legge, censura la sentenza, rispettivamente, in ordine all’insufficiente motivazione delle cartelle, e alla non allegazione degli atti richiamati.

Con il quarto motivo la ricorrente si duole dell’omessa pronuncia in ordine all’eccepita illegittimità della cartella perchè priva di sottoscrizione, mentre con il quinto motivo censura la pronuncia, sotto il profilo della violazione di legge, in ordine alla mancata indicazione nella cartella del funzionario responsabile del procedimento.

Con il sesto motivo, denunciando violazione della l. 27 dicembre 2000, n. 212, art. 6, comma 5 deduce l’illegittimità della liquidazione dell’imposta prodromica alla notificazione della cartella di pagamento perchè non preceduta dall’invio della comunicazione di cui alla disposizione in rubrica.

Con il settimo motivo critica la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non essersi pronunciata sulle sanzioni irrogate, deducendone la nullità per carenza di motivazione nella cartella e per erronea applicazione dei principi in tema di cumulo giuridico e di continuazione.

Il primo motivo del ricorso è infondato, in quanto per la notifica della cartella esattoriale il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26 contempla, tra l’altro, un’ipotesi di notifica "diretta" – cui si è fatto ricorso nella specie -, secondo cui la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente e dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal citato art. 26, penultimo comma secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione ovvero l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione" (Cass. n. 14327 del 2009).

Il secondo motivo è del pari infondato.

Quanto alla motivazione dell’atto, il giudice d’appello ha correttamente ritenuto, alla luce del disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 e del rinvio al modello ministeriale di cartella ivi operato, pienamente legittima nella specie la cartella redatta in conformità, perchè reca "l’elenco completo delle voci che compongono la pretesa e fornisce, per ciascuna di tali voci, un’adeguata giustificazione del relativo titolo, rispettando così l’obbligo di motivazione".

Quanto all’obbligo, posto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 di allegazione degli atti richiamati, esso è stato sensibilmente attenuato dalle novelle recate alla disciplina delle singole imposte dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 31, applicabile nella specie ratione temporis, che si limitano a prescrivere la necessità che degli atti richiamati sia riprodotto il contenuto essenziale. Nel caso in esame, non sono indicati gli atti richiamati che non sarebbero stati riprodotti, ad eccezione della dichiarazione annuale dei redditi del contribuente, della quale la ricorrente non si duole sia mancata nella cartella – qui assimilabile ad un avviso di liquidazione – l’indicazione delle parti rilevanti ai fini della determinazione delle imposte risultate non versate sulla base della dichiarazione medesima.

Il quarto ed il quinto motivo sono anch’essi infondati.

In ordine alla sottoscrizione dell’atto, secondo la giurisprudenza di questa Corte la cartella, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25 quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, "dev’essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza nonchè l’indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale tramite apposito numero di codice" (Cass. n. 14894 del 2008 e n. 4757 del 2009).

Nè, come è stato chiarito, "l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria è richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (cd. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008" (Cass., sez. un., 14 maggio 2010, n. 11722).

E’ infondato il sesto motivo, in quanto l’invito a fornire chiarimenti previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, è limitato ai casi in cui "sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione".

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, peraltro, "l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, (in materia di tributi diretti) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3 (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l’esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi: in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva considerato legittimamente emessa la cartella di pagamento, in assenza di comunicazione al contribuente, per l’importo riferito ad un’istanza di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis non seguita dal versamento di quanto dovuto" (Cass. n. 17396 del 2010; ed, inoltre, Cass. n. 26330 del 2009 e n. 26361 del 2010).

Il settimo motivo è privo del requisito dell’autosufficienza, e perciò inammissibile, in quanto il riferimento alle sanzioni irrogate è del tutto generico, non essendo offerte dalla ricorrente alcuna indicazioni in ordine alla loro specie, natura o entità.

In conclusione, il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate e di Uniriscossioni va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate e di Uniriscossioni.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito, per l’Agenzia delle entrate.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese nei confronti della Uniriscossioni e del Ministero dell’economia e delle finanze, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

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