Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-09-2011, n. 20088 Velocità

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 23.11.2005 il giudice di pace di San Giorgio La Molara annullava il verbale di contestazione elevato il 14.12.2004 dalla Polizia municipale del comune di Buonalbergo a carico di P.S., per l’infrazione all’art. 142 C.d.S., comma 8.

Riteneva il giudice di prossimità, accogliendo apposito motivo di opposizione, che l’accertamento fosse illegittimo per violazione dell’art. 345 reg. esec. C.d.S., comma 4, il quale stabilisce che per l’accertamento delle violazioni ai limiti di velocità, le apparecchiature di cui al comma 1 del cit. articolo devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale, e devono essere nella disponibilità degli stessi. Rilevava che, nella fattispecie, il servizio di rilevazione, gestione e rendicontazione delle sanzioni amministrative era stato affidato dal comune alla So.E.S. s.r.l., la quale a termini dell’apposita convenzione, gestiva e rendicontava le sanzioni amministrative, metteva a disposizione della Polizia municipale una vettura completamente attrezzata per il rilevamento delle infrazioni e con misuratore di velocità preventivamente installato, verificava ad ogni servizio la funzionalità dell’apparecchio rilevatore che metteva a disposizione del vigile urbano, accendeva e spegneva l’apparecchio stesso su ordine del pubblico ufficiale, istruendo quest’ultimo sull’impostazione dei limiti di rilevamento della velocità, con l’obbligo di spegnere immediatamente l’apparecchiatura nel caso in cui il pubblico ufficiale si allontanasse per qualsiasi motivo.

Riteneva, quindi, che il ruolo del verbalizzante fosse ridotto ad una mera presenza, tra l’altro non qualificata, restando la gestione dell’apparecchiatura completamente affidata, per le poche operazioni non automatiche, al soggetto privato. Osservava, quindi, che in materia la prova regina era costituita dalla perfetta funzionalità del mezzo di rilevazione, che nello specifico era utilizzato dalla società So.E.S. anche in altri comuni, per cui il computer elaborava anche i diversi dati che gli erano immessi di volta in volta. Per contro, riteneva il giudice di primo grado, spettava al pubblico ufficiale, una volta raggiunto il luogo del rilevamento, verificare che l’apparecchio effettuasse misurazioni esatte attraverso un concreto esperimento, non bastando la semplice attestazione del funzionamento, del quale dovevano essere descritte e attestate le caratteristiche essenziali, affinchè in qualunque momento sia i cittadini, sia il magistrato adito potessero effettuarne il controllo. Nello specifico, nel verbale della Polizia municipale non v’era traccia di tale verifica, non essendo sufficiente l’attestazione circa funzionalità e omologazione dell’apparecchiatura, in quanto quest’ultima non era custodita dagli agenti di polizia, ma da una società privata mirante ad ottimizzare il rendimento della strumentazione impiegata, la quale, essendo installata su veicoli spostati continuamente da comune a comune, sopportava tutte le sollecitazione, gli scuotimenti e i contraccolpi cui erano esposti i veicoli ospitanti. Osservava, infine, che anche lo sviluppo e la stampa delle foto era rimessa alla società concessionaria, che essendo tenuta a trasmettere solo i rilievi fotografici validi per provare la sanzione, esercitava ampia discrezionalità nella scelta dei fotogrammi da inviare al comune, con grave compromissione della certezza e dell’imparzialità dell’intero procedimento.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il comune di Buonalbergo, formulando tre mezzi d’annullamento.

Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo denuncia la violazione dei limiti interni della giurisdizione, nonchè la violazione o falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E, della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, art. 142 C.d.S. e art. 345 reg. C.d.S., la falsa applicazione del principio di imparzialità, la violazione dell’art. 2700 c.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione e l’omesso esame di un documento decisivo.

Dalla motivazione della sentenza, sostiene parte ricorrente, si comprende che il G.d.P. non ha esaminato la legittimità del verbale di contravvenzione opposto, nè si è occupato della sussistenza della violazione, ma ha arbitrariamente spostato la propria indagine sul contenuto della convenzione tra il comune e la società privata incaricata di organizzare le attività materiali propedeutiche allo svolgimento del servizio.

Nello svolgimento di tali attività il privato non si sostituisce alla Polizia municipale, ma opera in funzione di supporto, senza interferire nell’accertamento, rimesso ai pubblici ufficiali, laddove il soggetto privato si limita a fornire ausilio tecnico per il corretto funzionamento dell’apparecchio rilevatore e a svolgere prestazioni materiali per la stampa delle fotografie, senza che l’interesse economico sotteso alla convezione possa costituire motivo di dubbio sulla correttezza dell’operato del soggetto privato o produrre situazioni d’incompatibilità.

Inoltre, il G.d.P. non ha esaminato il contenuto della convenzione, da cui risulta che sviluppo e stampa dei fotogrammi scattati doveva avvenire in un laboratorio in possesso di regolare licenza comunale e con la possibilità che fosse presente anche personale della Polizia municipale.

Il giudice di pace, inoltre, non poteva ravvisare alcuna violazione dell’art. 345 reg. C.d.S., non essendo stata proposta querela di falso avverso il verbale di infrazione.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, artt. 45 e 142 C.d.S., art. 345 reg. C.d.S., D.L. n. 121 del 2002, art. 4, convertito in L. n. 168 del 2002, nonchè il vizio di motivazione e l’omesso esame di un documento decisivo.

L’art. 345 reg. C.d.S., comma 4, ove interpretato nel senso della necessità di una presenza continuativa degli agenti di polizia deve ritenersi inapplicabile in caso di contravvenzioni elevate, come nella specie, su di un tratto di strada ove le violazioni possono essere accertate in modo automatico, anche senza il diretto intervento degli agenti preposti, e senza obbligo di contestazione immediata. Il G.d.P., invece, ha ritenuto che le nuove disposizioni siano applicabili solo in caso di apparecchiature fisse che eseguono misurazioni in modo completamente automatico, in tal modo ponendo a base della decisione una ragione non dedotta dal ricorrente.

Inoltre, il D.L. n. 121 del 2002, art. 4, convertito con modificazioni nella L. n. 168 del 2002, e ulteriormente modificato dal D.L. n. 151 del 2003, art. 7, si limita a disporre che i dispositivi che consentono di accertare in modo automatico la violazione, se utilizzati senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti, devono essere approvati o omologati ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 6, per cui il nuovo decreto non ha introdotto una diversa modalità di omologazione, ma fa riferimento alla medesima omologazione di cui all’art. 45 C.d.S., comma 6, nella specie debitamente attestata nel verbale di accertamento, con indicazione del relativo decreto.

Infine, il G.d.P. ha affermato che l’apparecchio rilevatore possiede determinate caratteristiche, senza esaminarne il libretto tecnico, e pur affermando che una volta impostato il relativo funzionamento è del tutto automatico, ha poi escluso l’applicabilità della nuova normativa, affermando che detta tipologia di apparecchio non rileva le contravvenzioni in modo automatico.

3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 142 C.d.S., degli artt. 2697 e 2700 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un documento su di un punto decisivo.

L’art. 142 C.d.S., comma 6, si limita a prevedere l’omologazione dell’apparecchio, e non la preventiva verifica del suo funzionamento volta per volta. Ed infatti, la giurisprudenza della S.C. ha ripetutamente affermato che le rilevazioni mediante strumenti elettronici posso essere disattese solo se se ne dimostrano guasti o difetti costruttivi, in difetto di che la loro efficacia probatoria permane inalterata, fino a querela di falso.

4. – Il ricorso è fondato.

Con sentenza n. 22816/08 questa Corte ha avuto modo di esaminare analoga impugnazione del comune di Buonalbergo in una fattispecie del tutto sovrapponibile, riguardante una sentenza del medesimo giudice di pace di San Giorgio La Molara. Identica l’infrazione amministrativa, le rationes decidendi a base del provvedimento impugnato e i motivi di ricorso per cassazione, conviene riportare la parti salienti della motivazione del citato precedente:

"…l’assistenza tecnica del privato operatore, limitata all’installazione ed all’impostazione dell’apparecchiatura secondo le indicazioni del pubblico ufficiale, non interferisce sull’attività d’accertamento poi direttamente svolta da quest’ultimo ed, anzi, offre agli utenti della strada nei confronti dei quali è effettuato il controllo una più sicura garanzia di precisione nel funzionamento degli strumenti di rilevazione ove tenuti sotto sorveglianza da parte di personale tecnico specializzato; ond’è che la decisione in esame, con la quale si è ritenuto invalido l’accertamento in quanto, nella specie, attuato alla presenza dell’operatore privato ma in funzione d’assistenza tecnica nei limiti indicati, opera un’interpretazione restrittiva dell’art. 345 reg. esec. C.d.S., comma 4, nonchè del combinato disposto degli artt. 11 e 12 C.d.S., che riserva ai pubblici ufficiali i servizi di polizia stradale, non consentiti nè dal tenore letterale nè dalla rado delle citate disposizioni. In secondo luogo – premesso che la deduzione con la quale si contesti al giudice del merito non di non aver correttamente individuato la norma regolatrice della questione controversa o di averla applicata in difformità dal suo contenuto precettivo, bensì di avere o non avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata, non comporta un giudizio di diritto, bensì un giudizio di fatto (e pluribus Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178; 5 maggio 2006 n. 10313; S.V., 30 marzo 2005 n. 6654) – va, altresì, rilevato il denunziato vizio di motivazione, attesa la palese illogicità della stessa, dacchè, nell’operato sillogismo, l’illazione non risulta consequenziale al confronto tra premessa maggiore e premessa minore. Se, infatti, l’art. 345 reg. esec. att. C.d.S., comma 4, prevede che le apparecchiature d’accertamento delle infrazioni "devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale – e devono essere nella disponibilità degli stessi", non si vede come tali condizioni di legittima operatività dell’apparecchiatura, normativamente prescritte, possono essere escluse nel caso in esame, laddove, per espressa previsione contrattuale, tutte le attività d’installazione ed utilizzazione dell’apparecchiatura stessa si svolgono alla presenza del pubblico ufficiale preposto al servizio – ed, anzi, con la diretta utilizzazione da parte del medesimo, ad essa "istruito" dal tecnico di supporto – al quale soltanto è demandato disporre la messa in funzione ed al cui allontanamento, anche occasionale, ne è connessa l’immediata disattivazione (…). Come già evidenziato da questa Corte (e pluribus, Cass. 18 aprile 2007 n. 9308; 1 febbraio 2007 n. 2206; 15 novembre 2006 n. 24355; 4 maggio 2005 n. 9222; 8 agosto 2003 n. 11971), in sede d’opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22 o art. 204 bis C.d.S., non può annullarsi il provvedimento sanzionatorio in base ad un’illegittimità desunta non dall’atto ma dalle modalità, esterne ad esso, con le quali era stato organizzato il servizio di rilevazione ed accertamento delle violazioni, mediante un sindacato sulle scelte tecniche ed organizzative del servizio, trattandosi di valutazione che, se effettuata, configura un’inammissibile ingerenza nel modus operandi della pubblica amministrazione, in linea di principio non sindacabile dal giudice ordinario (…). E’ del tutto evidente come, nel caso in esame, il giudice a quo abbia esorbitato dai propri poteri, in violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, non solo omettendo d’identificare e valutare incidentalmente l’atto presupposto, ma, ove ciò avesse fatto per implicito, invadendo la sfera delle attribuzioni riservate all’amministrazione, nella formazione dell’atto stesso convergendo, all’evidenza, una pluralità di valutazioni, da parte dei competenti uffici ed organi comunali, di natura non solo strettamente tecnica, ma anche ampiamente discrezionale, in quanto da formularsi sulla base d’apprezzamenti ponderati sia delle situazioni di fatto, sia delle molteplici esigenze, relative alle risorse umane ed economiche a disposizione dell’ente, da prendersi in considerazione al fine di regolare il traffico nell’ambito della gestione complessiva della circolazione stradale sul territorio (…). Nello stesso errore il giudice a quo è incorso laddove ha ritenuto di poter disquisire dell’idoneità o meno, in astratto, dell’apparecchiatura utilizzata per il rilevamento, valutazione rimessa, per contro, all’amministrazione in sede d’omologazione (Cass. 2 agosto 205 n. 16143); così come erroneamente ha ritenuto che il verbale dovesse contenere l’attestazione della sperimentata funzionalità dell’apparecchiatura e che tale funzionalità dovesse essere dimostrata in giudizio dall’amministrazione, mentre, viceversa, l’efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e dallo stesso debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse alla sufficienza dell’intervento progresso tecnologico rispetto al modello considerato, od alla mancanza di revisione o manutenzione periodica di esso, a pregiudicarne l’efficacia ex art. 142 C.d.S. (Cass. 26 aprile 2007 n. 9950; 5 luglio 2006 n. 15324; 16 maggio 2005 n. 10212; 20 aprile 2006 n. 8233; 10 gennaio 2005 n. 287; 24 marzo 2004 n. 5873; 22 giugno 2001 n. 8515; 5 giugno 1999 n. 5542) (…).

Le rationes decidendi da ultimo esaminate sono, inoltre e comunque, da considerare illegittime anche in quanto, come giustamente evidenziato dal ricorrente Comune, hanno ad oggetto questioni relative a (pretesi) vizi del provvedimento impugnato non dedotti dall’opponente ma rilevati d’ufficio dal giudice in violazione dei limiti della propria patestas iudicandi (…). Quanto alla seconda delle principali considerazioni svolte dal giudice a quo sui motivi d’impugnazione effettivamente prospettati dall’opponente, è anch’essa errata. Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente evidenziato come, nel caso di violazione delle norme sui limiti di velocità nella circolazione stradale accertata a mezzo di strumento omologato, il momento essenziale dell’accertamento stesso sia quello del rilevamento fotografico, cui deve necessariamente presiedere uno dei soggetti ai quali, come già visto in precedenza, l’art. 12 C.d.S., demanda l’espletamento dei servizi di polizia stradale, e che non può essere effettuato in via esclusiva da soggetti privati;

come, pertanto, la fonte principale di prova delle risultanze dello strumento elettronico essendo costituita dal negativo della fotografia, quale documento che individua il veicolo e ne consente la rapportabilità alle circostanze di fatto, di tempo e di luogo rappresentativi, la successiva fase dello sviluppo e della stampa del negativo rappresenti il semplice espletamento d’una attività meramente materiale, cui non deve necessariamente attendere, nè presenziare, il pubblico ufficiale rilevatore dell’infrazione od altro dei soggetti indicati nel citato art. 12".

A tale persuasivo orientamento – confermato da Cass. n. 1955/10 (che nel richiamarsi ad esso ha coerentemente ritenuto illegittimo l’accertamento delegato per intero a soggetti privati, che vi provvedevano curando non solo l’installazione dell’apparecchiatura elettronica di rilevazione della velocità, ma anche la lettura dei risultati, la verbalizzazione e la notifica del verbale al soggetto interessato), e che si colloca, altresì, in linea con altri e costanti precedenti in tema di efficacia probatoria dello strumento rilevatore automatico della velocità (v. Cass. nn. 287/05, 6507/04 e 9441/01, nonchè Cass. nn. 7667/97, 9076/97, 6242/99, 1380/00, 16697/03, 12689/99, sulla necessità che l’opponente fornisca prova del difetto di funzionamento di tali dispositivi, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto, e Cass. nn. 22880, 17361/08, 9950/07, 15324/06 e 20886/05 sulla sufficienza dell’omologazione del modello di misurazione automatica utilizzato, non soggetta a scadenza) – ritiene la Corte di dover dare continuità, tenuto conto che le argomentazioni difensive svolte dalla parte controricorrente, nel ripercorrere e partecipare all’intera impostazione della sentenza impugnata, ne condivide tutti gli errori, incluso quello, basilare, di fornire un’interpretazione ingiustificatamente restrittiva e sostanzialmente abrogante dell’art. 345 reg. C.d.S., comma 4, che ove accolta renderebbe illegittimo l’impiego di qualsivoglia supporto tecnico non personalmente azionato, manovrato e utilizzato dagli organi di polizia stradale, lì dove, invece, i concetti di gestione e di disponibilità espressi dalla norma rimandano ad un potere di controllo iniziale e finale della polizia stradale perfettamente compatibile con quello ricostruito in punto di fatto dallo stesso giudice di merito.

5. – Per quanto sopra considerato, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di pace di Benevento, che nel decidere la controversia si atterrà ai principi di diritto sopra espressi, e che provvedere, altresì, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Benevento, che provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 20-06-2011, n. 910 Spedizionieri doganali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. In fatto, la società ricorrente DHL Express, appartenente al gruppo DHL, espone di svolgere attività di spedizioniere doganale e di beneficiare, per tali operazioni, della c.d. procedura di domiciliazione di cui all’art. 76 Regolamento CEE 12.10.1992, n. 2913 (Codice Doganale Comunitario: CDC) e all’art. 253 del Reg. CE 2 luglio 1993 n. 2454 (Disposizioni di applicazione del codice doganale comunitario: DAC); in particolare, la sede di Mantova ha ottenuto l’autorizzazione 5 settembre 2001 della Direzione regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Dogane.

Dunque, come previsto dal citato art. 253, la ricorrente non deve necessariamente presentare le merci negli uffici doganali, ma può gestire le operazioni di importazione ed esportazione direttamente presso i propri locali o presso locali autorizzati dall’Amministrazione doganale.

In data 16 settembre 2010, DHL Express (d’ora in poi anche solo DHL) ha chiesto all’Ufficio delle Dogane di Mantova, per la filiale locale, un’estensione dei luoghi già autorizzati alla procedura di domiciliazione, a tale scopo indicando i locali goduti a titolo di comodato d’uso e compresi nel complesso industriale della Società Huntsmann Surface Sciences Italia Srl, sito in Castiglione delle Stiviere (MN).

Con comunicazione 16 ottobre 2010, l’Ufficio delle Dogane di Mantova preavvisava la ricorrente della volontà di rigettare l’istanza, concedendo termine di 40 gg. per la presentazione di osservazioni e documentazione.

Contestualmente, a DHL veniva comunicato anche l’avvio del procedimento volto alla revoca del provvedimento di integrazione dei luoghi di arrivo/partenza merci, relativamente ai locali della ditta SISMA S.p.A., che l’Amministrazione aveva autorizzato con atto 31.12.2007: la Dogana assumeva, in sintesi, che tale estensione consentiva alla ricorrente di espletare le operazioni doganali in procedura domiciliata per conto del proprio cliente SISMA – presso locali nella titolarità di quest’ultima e la cui disponibilità era conseguente ad un contratto di comodato – senza attrezzare propri ed appositi luoghi, possibilità, questa, che la legge 25 luglio 2000 n. 213 riserverebbe ai soli CAD (Centri assistenza doganale, società di capitali costituite da doganalisti iscritti all’albo professionale da almeno tre anni e regolate dal DM 11 dicembre 1992 n. 548), stante l’assenza del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Dogane (da adottarsi ai sensi dell’art. 3 comma 9 citata legge n. 213/2000), necessario per estendere anche ad altri soggetti la facoltà concessa ai CAD.

In data 15.11.2010, la ricorrente presentava le proprie osservazioni, ma l’Ufficio delle Dogane di Mantova revocava la concessa integrazione dei luoghi, sostenendo, in sede di riesame, che il ricorso al contratto di comodato non potrebbe tradursi in una sostanziale disapplicazione del menzionato art. 3 comma 9 e non potrebbe, dunque, consentirsi "con riferimento alle merci di terzi proprietari giacenti presso luoghi dei proprietari delle merci (come specificamente previsto dall’art. 3, comma 5, legge 213/00)", perché ciò implicherebbe "una sostanziale equiparazione tra l’operato della DHL Express srl ed i CAD a ciò esplicitamente autorizzati dalla l. 213/2000".

II. In diritto, DHL deduce le seguenti censure:

1) violazione della normativa comunitaria e nazionale già richiamata, nonché delle disposizioni interne attuative ed esplicative (Determinazione Direttoriale 7.12.2000 e circolari Min. FinanzeDipartimento delle Dogane 7.5.1993, n. 153 e 14.2.2001, n. 11); eccesso di potere per travisamento dei fatti: invero, gli articoli 253 e da 263 a 267 delle DAC stabiliscono che "la procedura di domiciliazione consente di vincolare le merci al regime doganale nei locali dell’interessato o in altri luoghi designati o autorizzati dall’autorità doganale" e che l’autorizzazione ad utilizzare la procedura di domiciliazione è rilasciata a qualsiasi persona, senza porre differenze di carattere oggettivo o soggettivo tra gli operatori economici addetti allo sdoganamento delle merci e senza alcuna limitazione in ordine alla titolarità dei locali.

Sul piano interno, l’art. 3 comma 9 della legge 253/2000 ha demandato all’attuale Direttore dell’Agenzia delle Dogane di individuare – oltre ai CAD contemplati al precedente comma 5 – altri soggetti in possesso dei necessari requisiti di professionalità, da abilitare all’utilizzo di detta peculiare procedura: il tutto, con apposito provvedimento generale del Direttore, tuttavia non ancora emanato.

Proprio su tale carenza e sul rilievo che l’attività di DHL sarebbe svolta ad esclusivo vantaggio del cliente Sisma S.p.A. si fonda la motivazione del controverso provvedimento di revoca.

Tale duplice ordine di argomentazioni viene contestato, in fatto e in diritto da DHL:

– in fatto, la ricorrente deduce che il contratto di comodato non prevedrebbe alcun diritto di esclusiva bel servizio offerto da DHL a Sisma e che "anche da una rapida analisi della planimetria allegata all’istanza di estensione dell’autorizzazione a suo tempo presentata è possibile evincere che i luoghi oggetto di comodato insistano in uno stabile che, sebbene all’interno del complesso produttivo della Sisma, risulta completamente separato, con una propria ed apposita area magazzino merci (e verifica delle stesse) ed un’area adibita ad uffici amministrativi";

– in diritto, DHL puntualizza che "non necessita dell’autorizzazione ex art. 3, comma 9, l. 213/2000; piuttosto, rivendica anche in questa sede il diritto a mantenere l’autorizzazione all’estensione dei luoghi autorizzati alla procedura di domiciliazione, ex art. 76 CDC, artt. 253 e ss. DAC e art. 4 della l. 213/2000", revocata dall’Ufficio doganale di Mantova.

Una cosa sarebbe, infatti, l’autorizzazione ex art. 3 legge 213/2000 che consente al CAD di operare presso un o più cliente proprietari delle merci anche senza munirsi di luoghi idonei ed attrezzati; altra cosa, l’autorizzazione ex art. 4 stessa legge che abilita il soggetto intermediario – come DHL – ad operare presso la sede le sedi di cui abbia la completa disponibilità, in virtù di un diritto reale di godimento (proprietà, locazione, comodato) e previa autorizzazione della dogana;

2) eccesso di potere per contraddittorietà, essendo rimaste immutate le disposizioni vigenti allorquando la suddetta autorizzazione (poi revocata) fu rilasciata;

3) ove dovesse seguirsi "l’illogica ricostruzione normativa contenuta nell’atto impugnato", si chiede la disapplicazione delle disposizioni richiamate dall’Ufficio "dovendo trovare applicazione immediata e diretta gli artt. 76 CDC e 253 e ss. DAC".

III. L’amministrazione si è costituita in giudizio l’11 febbraio 2011 e con successiva memoria 28 febbraio 2011 ha sostenuto in sintesi che la prerogativa concessa in via esclusiva ai CAD (agevolazione in ordine alla presentazione delle merci) "non può essere estesa anche agli spedizionieri doganali che non abbiano ottenuto tale qualifica…; in caso contrario, verrebbe meno una delle caratteristiche che, nell’ambito delle procedure di domiciliazione, distingue i CAD dagli altri spedizionieri".

L’Amministrazione ha, altresì, eccepito l’inammissibilità della censura di eccesso di potere, non riferibile a valutazioni di carattere tecnico come quella di specie, e ha messo in discussione la validità, nel caso di specie, del titolo giuridico (comodato) che consente l’utilizzo dell’immobile.

IV. A tali argomenti ha replicato la ricorrente con memoria 9 marzo 2011.

Indi, all’odierna pubblica udienza la causa è passata in decisione, unitamente ad altre due vertenti su analoghi provvedimenti dell’Ufficio delle Dogane di Mantova.

V.1. Ciò premesso, sul fondamentale thema decidendum della controversia, il Collegio osserva, in linea generale, quanto segue:

(a) la disciplina comunitaria in materia di dogane ammette alcune procedure semplificate tra cui la procedura di domiciliazione (v. art. 253 par. 3 e 4 del Reg. n. 2454/93), ponendo sostanzialmente due condizioni: (1) che la semplificazione non determini inconvenienti o limitazioni per le autorità doganali; (2) che non vi siano discriminazioni tra gli operatori economici. La prima condizione è chiaramente espressa nelle parti della norma dedicate all’identificazione delle persone rappresentate e all’esigenza di consentire appropriati controlli doganali. La seconda è desumibile dall’ampiezza della formula con cui sono individuati gli operatori economici interessati ("qualsiasi persona"), e si collega al principio generale che vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi (v. art. 56 TFUE);

(b) la normativa nazionale favorisce le procedure semplificate, e in questo è conforme alla disciplina comunitaria;

(c) il percorso di estensione della procedura di domiciliazione risulta particolarmente avanzato per i CAD, i quali in base all’art. 3 comma 5 della legge 213/2000 possono presentare le merci per lo sdoganamento direttamente presso la sede dei propri clienti;

(d) rispetto agli altri operatori del settore, la posizione attribuita ai CAD potrebbe in effetti essere interpretata come un privilegio, e quindi come un potenziale punto di conflitto con la disciplina comunitaria. Tuttavia, occorre distinguere tra le fonti normative: a livello primario, l’art. 3 comma 9 della legge 213/2000 contempla espressamente la possibilità di estendere il medesimo trattamento ad altri soggetti, purché dotati di pari professionalità, e dunque non può essere attribuita al legislatore l’intenzione di garantire posizioni monopolistiche;

(e) il problema si presenta invece ai livelli inferiori della regolazione, in quanto l’Agenzia delle Dogane non ha provveduto, dopo molti anni, a elaborare le lineeguida che dovrebbero consentire ai soggetti diversi dai CAD di avvalersi delle medesime opportunità;

(f) un simile prolungato silenzio, qualora non possa essere giustificato da motivazioni compatibili con la disciplina comunitaria, rappresenterebbe, inevitabilmente, una violazione del principio posto dall’art. 4 par. 3 TUE, il quale impone agli Stati di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione (tra cui si inserisce la tutela della concorrenza in tutti i suoi aspetti). Vi sarebbe, inoltre, violazione del principio contenuto nell’art. 106 TFUE, in quanto l’attribuzione di un diritto speciale ai CAD non potrebbe essere mantenuta in vigore per un tempo indefinito;

(g) una ragione di interesse pubblico potrebbe, certamente, essere costituita dall’esigenza di studiare e approfondire le caratteristiche dei soggetti equiparabili ai CAD. Si tratta, però, di una giustificazione evidentemente non più utilizzabile dopo oltre un decennio dall’entrata in vigore della legge 213/2000. Né può valere come giustificazione suppletiva l’esigenza di valutare le modifiche alla disciplina comunitaria, in particolare quelle introdotte dal Reg. (CE) 17 novembre 2008 n. 1192/2008. In realtà, la normativa nazionale sui CAD non è qui in discussione per la compatibilità con la regolamentazione comunitaria delle procedure semplificate, ma esclusivamente per il carattere disomogeneo della disciplina, che nelle sue applicazioni amministrative non permette ad altri soggetti, oltre ai CAD, di usufruire di procedure doganali semplificate. Sotto questo profilo, le novità apportate dal diritto comunitario possono chiarire il quadro generale ma non modificano nella sostanza una questione che si era già posta al momento dell’entrata in vigore della legge 213/2000;

(h) un’altra ragione di interesse pubblico a sostegno della differenziazione tra gli operatori economici potrebbe, in astratto, essere individuata nell’esigenza di correggere le distorsioni presenti sul mercato. Per gli spedizionieri doganali, l’abolizione dei controlli doganali alle frontiere interne dell’Unione a partire dal 1993 ha in effetti comportato notevoli cambiamenti sia nell’attività svolta, sia nelle forme di remunerazione. Non vi sono tuttavia elementi per affermare che i CAD sopportino per questo oneri superiori a quelli degli altri operatori del settore;

(i) potrebbe essere apprezzabile quale ragione di interesse pubblico anche l’incentivazione rivolta a soggetti particolarmente affidabili nello svolgimento di funzioni doganali (e in senso lato amministrative). Per i CAD la patente di affidabilità è conferita direttamente dalla legge. Questo però non esclude che altri soggetti possano conseguire un analogo livello di professionalità e fornire le medesime garanzie;

(j) nel complesso, quindi, non vi sono ragioni di interesse pubblico che consentano all’amministrazione di differire ulteriormente l’estensione della disciplina dei CAD a soggetti diversi; mentre il ritardo maturato a partire dall’entrata in vigore della legge 213/2000 integra un comportamento che contrasta con il diritto comunitario e non può trovare tutela in sede giurisdizionale.

V.2. Di conseguenza, proprio il risultato che l’Ufficio delle Dogane di Mantova intende scongiurare (cioè "la sostanziale equiparazione tra l’operato della DHL Express srl ed i CAD a ciò esplicitamente autorizzati dalla Legge 213/00": cfr. il "Ritenuto" delle premesse dell’impugnato atto di revoca 1.12.2010) deve, in realtà, ritenersi conforme alla normativa comunitaria, anche se la soluzione scelta dalla ricorrente per raggiungerlo (utilizzo di contratti di comodato) può configurarsi come "aggirante" ed elusiva: ma, in primis – come sopra osservato sub e) del capo V.1. – è l’Amministrazione colpevole di omissione normativa verso gli operatori del settore diversi dai CAD, cosicché non può imputarsi a questi ultimi il ricorso a escamotage pratico/giuridici al limite della fictio iuris.

V.3. Conclusivamente, il primo e centrale mezzo di impugnazione si rivela fondato ed è bastevole all’accoglimento del ricorso, ben potendo così ritenersi assorbite le ulteriori (e logicamente subordinate) censure di cui al secondo e terzo motivo, così da dispensare il Collegio, per ragioni di economia, dall’esame anche delle connesse eccezioni sollevate dall’Amministrazione resistente.

Da tali considerazioni discende l’annullamento dell’impugnato provvedimento di revoca 1.12.2010, n. 10775.

Le spese di giudizio, data la complessità di alcune questioni, possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e conseguentemente annulla l’impugnato provvedimento di revoca.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-02-2011) 01-07-2011, n. 25883 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L- Con Sentenza del 25.3.2010, depositata il 31.3.2010, il Tribunale monocratico di Bergamo, dopo la convalida dell’arresto, procedeva con rito abbreviato nei confronti di T.O., nato il (OMISSIS), alias O.G., nato il (OMISSIS), alias O.T., nato il (OMISSIS)) in relazione alle seguenti imputazioni: a) D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater, commesso ed accertato in (OMISSIS); b) artt. 81 cpv. e 495 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11 e con recidiva reiterata infraquinquennale ex art. 99 c.p., comma 4.

Il tribunale pronunciava condanna in relazione al primo capo di imputazione poichè l’imputato, ricevuta la notifica del provvedimento di espulsione del Prefetto di Pesaro e Urbino in data 29.7.2005 e dell’ordine di lasciare il territorio dello stato, continuava a permanere in Italia e si rendeva inottemperante, anche al provvedimento di espulsione del Prefetto di Bergamo in data 27.10.2009, nonchè al conseguente ordine di allontanamento emesso lo stesso 27.10.2009 dal Questore di Bergamo; quindi, concesse le attenuanti generiche applicate come prevalenti sulla contestata recidiva, infliggeva al T.O. la pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione.

Riguardo al capo b) riteneva il tribunale, pur non facendo conseguire alla motivazione la corrispondente statuizione in dispositivo, che l’episodio concernente la dazione delle generalità O. G., essendo risalente al (OMISSIS), quando l’imputato fu sottoposto a rilievi dattiloscopici nella Questura di Roma, fosse ormai prescritto; per gli altri episodi valutava che le differenze tra le identità, di volta in volta declinate dall’imputato, non fossero tali da integrare il reato di falso contestato in continuazione.

2.- Propone ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Brescia denunciando che il tribunale ha omesso di pronunciarsi in dispositivo sul capo b) dell’imputazione assumendo, solo in motivazione, che per gli episodi di declinazione di false generalità diversi da quello di cui al fatto del (OMISSIS) (per il quale il giudice ha ritenuto la decorrenza dei termini di prescrizione), stante l’irrilevanza dei falsi, dovesse essere affermata l’insussistenza del reato di cui all’art. 495 c.p..

Ritiene, comunque, il ricorrente PM non condivisibili le argomentazioni sul punto ed assume la manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata. Sostiene a ragione che le differenze tra i vari nominativi forniti dall’imputato nelle distinte occasioni non sono affatto irrilevanti in quanto investono sia il nome o nelle distinte occasioni non sono affatto irrilevanti in quanto investono sia il nome o diverse parti del cognome, come contestato in imputazione e come risultante dal c.d. listato AFIS, senza che rilevi che la data di nascita sia sempre la stessa. Chiede, in conseguenza, l’annullamento parziale della sentenza: – o per la mancata pronuncia sul reato di cui al secondo capo di imputazione; – ovvero, in alternativa, qualora dovesse ritenersi integrato il dispositivo con il contenuto della motivazione, per la palese contraddittorietà ed illogicità della motivazione, quale risultante dal testo e dagli atti processuali richiamati.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Giuseppe Volpe ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

4.- Osserva il Collegio che il ricorso per cassazione proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Brescia non può, in tutta evidenza, essere qualificato come ricorso volto a far valere esclusivamente vizi di legittimità, vale a dire come ricorso immediato ex art. 569 c.p.p..

Con il proposto mezzo di gravame il PM ricorrente, infatti, censura la sentenza del Tribunale monocratico di Bergamo non per sola violazione di legge costituita nella omessa pronuncia in dispositivo sul reato di cui al capo b), ma altresì – ed in predominante misura – in relazione alla manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

Lamenta, invero, soprattutto che gli assunti del giudice, relativi alla "irrilevanza" delle false generalità fornite dall’imputato in varie circostanze successive all’episodio del (OMISSIS), siano infondati ed in palese contraddizione rispetto alla contestazione del reato di cui all’art. 495 c.p. come riportata in sentenza, nonchè con riferimento al certificato dei precedenti dattiloscopici in atti.

Temi questi direttamente attinenti al merito del giudizio e – per ciò stesso – a questioni di fatto involgenti la congruità della valutazione delle prove, sicuramente non proponibili nel giudizio di legittimità introdotto da un ricorso per saltum.

Ne consegue, quindi, che l’attuale ricorso non può che essere convertito in appello ai sensi dell’art. 569 c.p.p., comma 3, disposizione che opera, infatti, come clausola espressa di esclusione quando trattasi di ricorsi proposti anche ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione ai quali, così come per quelli proposti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), non si applicano le disposizioni relative al ricorso immediato per cassazione (cfr ex plurimis da ultimo Sez. 1, sent. 10.12.2008, n. 48139, Rv. 242789).

Pertanto questa Corte, preso atto della volontà di impugnazione del pubblico ministero e delle connotazioni giuridiche di tale iniziativa processuale, non può che trasmettere gli atti alla competente Corte di Appello di Brescia per il giudizio di merito di secondo grado.

P.Q.M.

La Corte previa conversione del ricorso in appello limitatamente al reato previsto dagli artt. 81 e 495 c.p., dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Brescia per il giudizio di secondo grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-12-2011, n. 26372 Danno biologico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.P. con D., M. e Va.Da., quali eredi di Va.Ab., marito della prima e padre degli altri, deceduto per l’attentato al rapido (OMISSIS), avendo già ricevuto dal Ministero dell’Interno la somma di L. 130.000.000 ai sensi della L. 12 agosto 1980 n. 466, a seguito dell’entrata in vigore della L. 3 agosto 2004 n. 206, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’interno perchè fossero condannati a pagare a titolo di elargizione la somma di cui all’art. 1, comma 1, della Legge da ultimo citata, da liquidare ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 2 e dell’art. 6 della stessa Legge del 2004. In base alle indicate norme, gli istanti chiedevano il ricalcalo della elargizione già ricevuta in base alla L. n. 206 del 2004, per essere reintegrati del danno biologico o morale da loro subito con la perdita del loro congiunto.

Il Tribunale di Napoli ha respinto la domanda, affermando che la L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 1 richiama la sola elargizione della L. n. 302 del 1990, comma 1 cioè quella spettante alle vittime che avessero subito una invalidità permanente e non ai loro congiunti, la cui domanda è stata quindi rigettata con compensazione delle spese del grado, per difetto di legittimazione, fondandosi la pretesa su una norma che non disciplina le elargizioni ai superstiti delle vittime del terrorismo. Per la cassazione di tale sentenza, la R. e i V. hanno proposto ricorso di un unico motivo notificato a mezzo posta il 18 – 25 settembre 2006 e le amministrazioni intimate si sono difese con controricorso notificato il 3 novembre successivo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e della L. 2 agosto 2004, n. 206, artt. 5, 6 e 11 in combinato disposto con la L. 20 ottobre 1990, n. 302, artt. 1 e 4.

Ad avviso del tribunale, l’elargizione della L. n. 302 del 1990, art. 1, comma 1 spetta solo ai soggetti rimasti invalidi per attentati terroristici e non ai superstiti di chi sia deceduto a causa di tali eventi. L’errore di giudizio è chiaro: la L. n. 205 del 2004, art. 4, comma 1, prevede la elargizione, nella misura massima di Euro 200.000,00, da proporzionare alla percentuale d’invalidità riportata con l’attentato e, per i ricorrenti, ha riguardo, con l’indicazione di detta misura massima, anche al caso di morte della vittima dell’attentato. Infatti il citato art. 5, comma 2 afferma che la disposizione che precede si applica anche alle elargizioni già erogate che devono rivalutarsi, riconoscendo agli aventi diritto il "danno biologico e morale". L’art. 5 citato, comma 3 sancisce che "… ai superstiti delle vittime, compresi i figli maggiorenni, è concesso, … oltre all’elargizione di cui al comma 1, uno speciale assegno vitalizio…"; la L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 5 precisa che "l’elargizione di cui alla L. 20 ottobre 1990, n. 302, art. 4, comma 1, e all’art. 12, comma 3, come sostituito dalla L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 3, comma 2, lett. b, è corrisposta nella misura di 200.000 Euro." Quest’ultima norma adegua, disponendone la riliquidazione, le elargizioni erogate ai superstiti dei soggetti deceduti in occasione di eventi terroristici, cui spettano le somme della L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 1. Inoltre la L. n. 302 del 1990, art. 4 concede ai componenti della famiglia di colui che perde la vita per effetto di attentati terroristici, un’elargizione di complessive L. 150.000.000 e la L. n. 206 del 2004, art. 11 legittima all’azione di riliquidazione di tale somma anche allorchè sia emersa "in sede giudiziaria, amministrativa o contabile la dipendenza… della morte da atti di terrorismo…", per cui l’errore del tribunale nel negare tale elargizione ai ricorrenti è stato palese, tenuto conto del danno biologico e morale da corrispondere con le elargizioni della L. n. 206 del 2004. 3. Il tribunale ha ritenuto ostativo all’accoglimento della domanda, il fatto che la stessa sia stata proposta dagli istanti per ottenere la elargizione ai sensi della L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 1, che richiama quella prevista nella L. 20 ottobre 1990, n. 302, art. 1 che spetta solo a coloro che abbiano subito una invalidità permanente a causa di atti terroristici, mentre per i componenti della famiglia di colui che perda la vita per effetto di tali eventi, è prevista un’elargizione complessiva dall’art. 4, comma 1, non rivalutabile ai sensi dell’art. 12, comma 3, della stessa Legge.

Afferma il giudice di merito che "la domanda così come proposta è infondata", nulla spettando agli attori ai sensi della L. n. 302 del 1990, art. 1, comma 1, che attribuisce elargizioni a "chiunque subisca una invalidità permanente" per atti terroristici, essendo invece regolata, dal successivo art. 4 la fattispecie della elargizione in favore dei componenti la famiglia di colui che perda la vita a causa di attentati.

La L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 1 rimanda alla sola elargizione prevista per le vittime di attentati che abbiano subito una invalidità e non si riferisce ai familiari di chi sia deceduto per atti terroristici.

Esattamente afferma il tribunale che "gli istanti si sono limitati a chiedere l’aumento della elargizione ricevuta sulla base della previsione di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 1 e della rivalutazione delle percentuali di invalidità, come previsto nel successivo art. 6, comma 1, norme che … riguardano solo le vittime degli attentati terroristici e non i loro familiari". Per quanto emerge dalla sentenza impugnata, gli istanti si sono qualificati eredi di Va.Ab., chiedendo la riliquidazione del dovuto per un danno biologico o morale che non poteva essere sorto per il de cuius che era deceduto e sulla pretesa equivalenza della morte alla "massima" delle invalidità (pag. 3 ricorso). Si deduce l’erroneità dell’assunto del Tribunale che afferma la infondatezza della domanda per il modo in cui si è proposta, non rilevando che la riliquidazione spetta ai componenti la famiglia di colui che sia deceduto per atti di terrorismo (L. n. 302 del 1990, art. 4 richiamato nella L. n. 206 del 2004, art. 5, comma 5), e non solo ai soggetti colpiti da invalidità permanente per i medesimi eventi.

Peraltro la qualifica di eredi della vittima degli atti terroristici non legittima gli attori a pretendere la elargizione spettante a chi ha subito una invalidità in luogo di quella prevista per i componenti la famiglia del soggetto deceduto in un attentato, riconoscendo la normativa tali pretese in base a fatti diversi, per cui le causae petendi delle due domande sono diverse. sarebbe spettata ai sensi della L. n. 302 del 1990, art. 4 e art. 5, comma 5 (non sei come per lapsus calami risulta dalla sentenza);

poichè è evidente la diversità dei fatti a base dei distinti titoli giuridici dell’azione dei ricorrenti rispetto a quelli che avrebbero consentito l’accoglimento della domanda, il giudice, di ufficio e senza incorrere in extrapetizione, non poteva che rilevare le diverse ragioni giuridiche o di diritto dell’azione, rigettando la domanda (cfr. Cass. 1 dicembre 2010 n. 24366, 24 novembre 2008 n. 27890 e 12 luglio 2005 n. 14552).

Il ricorso deve quindi rigettarsi e per la soccombenza i ricorrenti dovranno corrispondere ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione che liquida come in dispositivo arti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.700,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.