T.A.R. Campania Napoli Sez. III, Sent., 02-09-2011, n. 4310 Atti amministrativi

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso notificato in data 19.01.2004 e depositato in data 20.01.2004, parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe per i seguenti motivi di diritto:

Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione – Violazione e falsa applicazione degli artt 7 E 8 della Legge 07.08.1990 N.241;

Violazione degli Artt. 3, 41 e 97 della Costituzione – Violazione e falsa applicazione degli artt.3 della Legge n.241/90 e 5 della Legge 18.01.1994 n.50 – Insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto – Eccesso di potere per sviamento – Difetto di istruttoria;

Violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione – Violazione e falsa applicazione degli Artt.3 della Legge n. 241/90 e 5 della Legge n.50/94 – Violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere per sproporzione della misura della sanzione erogata – Motivazione contraddittoria e lacunosa – Illogicità ed ingiustizia manifesta.

Si costituivano il Ministero della Economia e delle Finanze e l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

L’istanza cautelare di sospensiva veniva accolta con ordinanza n.645 del 29.01.2004.

All’udienza pubblica del 9 giugno 2011, la causa passava in decisione.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Parte ricorrente impugna il provvedimento con il quale l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ha irrogato, in suo danno, la sanzione della chiusura dell’esercizio commerciale nella sua titolarità ("B.E." in Sant’Antimo), ai sensi dell’art.5, comma 1, legge 18 gennaio 1994 n.50 per la durata di giorni 15 (quindici), a seguito dell’accertamento in data 13 ottobre 2000 della detenzione di Kg 0,600 di tabacchi lavorati esteri di contrabbando.

Con il primo motivo di ricorso, l’istante lamenta la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e la mancata indicazione del responsabile del procedimento.

Relativamente al vizio dell’omesso avviso di avvio del procedimento è applicabile alla fattispecie la disposizione processuale di cui all’art. 21octies, comma 2, seconda parte della citata legge n. 241, alla stregua del quale tale carenza procedimentale non comporta l’annullabilità del provvedimento allorché risulta dimostrato in giudizio che il contenuto di questo "non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Nel caso che occupa, infatti, non sono stati dedotti né allegati elementi che avrebbero potuto condurre ad un esito diverso del provvedimento impugnato.

Quanto alla mancata indicazione da parte dell’amministrazione del responsabile del procedimento, per pacifica giurisprudenza, ciò non integra una illegittimità del provvedimento, dovendosi considerare responsabile del procedimento il funzionario preposto alla competente unità organizzativa (ex multis T.A.R. Campania, sez. I, n. 610 del 2001).

Con il secondo e il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 5 della legge n. 50 del 1994 in quanto la Guardia di finanza ha accertato solo il possesso dei tabacchi lavorati esteri e non la loro cessione a terzi.

Il motivo non ha pregio.

L’art. 5 della citata legge n. 50/94 sanziona non solo la cessione abusiva di tabacchi lavorati di provenienza lecita in assenza della prescritta autorizzazione amministrativa, ma anche, per costante interpretazione giurisprudenziale, la detenzione degli stessi accompagnata da indici che possono ragionevolmente farla ritenere come finalizzata alla vendita al pubblico (ex plurimis T.A.R. Campania, sede di Napoli, sez. III n. 935, 2007).

In particolare la prova della cessione può anche essere desunta da elementi di prova diretta (quali le dichiarazioni rese) o indiziarie (la quantità di tabacchi rinvenuti, la varietà di marche, la loro esposizione ecc.) dai quali sia possibile desumere l’esistenza di una attività di cessione abusiva di tabacchi nell’esercizio commerciale.

Nel caso di specie l’ingente quantità di sigarette (0,600 Kg) e la pluralità di marche (2) trovata nel locale costituiscono, in assenza di altra giustificazione, circostanze dalle quali poter ragionevolmente ricavare l’indebita destinazione alla vendita dei tabacchi rinvenuti. In tal senso, è il costante orientamento giurisprudenziale: "la chiusura dell’esercizio commerciale prevista dall’art. 5, l. n. 50 del 1994 è una sanzione amministrativa che prescinde completamente dall’eventuale procedimento penale. In particolare, l’accertamento in sede giudiziaria della responsabilità penale per violazione delle norme sul contrabbando non costituisce il presupposto per l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dal citato art. 5. Il verbale della Guardia di Finanza che riveste carattere di pubblica fede, per la cui smentita occorre la querela di falso, ben può essere posto a base della sanzione della chiusura del locale" (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 10 novembre 2009, n. 7218); "L’art. 5 l. n. 50 del 1994 prevede la sanzione della chiusura dell’esercizio commerciale laddove in locali non autorizzati alla vendita di tabacchi e generi di monopolio venga accertata la detenzione di tabacchi di contrabbando oppure di generi di monopolio destinati alla vendita. La normativa in questione non sanziona, dunque, esclusivamente il "contrabbando" di tabacchi, ma anche la semplice detenzione, destinata alla vendita senza prescritta autorizzazione, di generi di monopolio di legittima provenienza" (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 03 febbraio 2009, n. 1020); "la disposizione dell’art. 5, l. n. 50 del 1994, che prescrive la chiusura temporanea di esercizi commerciali o di esercizi pubblici, all’interno dei quali sia accertata "la detenzione o la cessione di tabacchi lavorati" di contrabbando, ovvero "la cessione abusiva di tabacchi lavorati in violazione della l. 22 dicembre 1957 n. 1293", e cioè da parte di soggetti privi della prescritta autorizzazione amministrativa, va interpretata nel senso che l’infrazione sussiste non soltanto quando venga constatata dalla polizia amministrativa una determinata cessione ma anche quando si possa ragionevolmente ritenere che i tabacchi siano offerti al pubblico per la vendita" (T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 22 marzo 2005, n. 1083)

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna delle parti resistenti delle spese di giudizio, che liquida, per ognuna, in complessivi Euro.1.500,00#.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 29-09-2011, n. 5414 Concessione per nuove costruzioni

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Il sig. A. N., nella qualità di proprietario di area non edificata nel Comune di Locorotondo, alla via Stazione, chiedeva nel 2003 che gli venisse rilasciato permesso di costruire (di seguito, per brevità: pdc) per un fabbricato per civile abitazione su tale area, segnalando che per altra area, sempre di sua proprietà ed avente analoga destinazione urbanistica, era già stato rilasciata tempo addietro concessione edilizia.

Con un primo provvedimento n. 12130 del 16 ottobre 2003 l’Amministrazione negava il richiesto pdc, affermando che l’area, per effetto di apposita delibera adottata dalla Giunta Comunale (n. 107 del 2003), approvata dal Consiglio Comunale con atto del 30 settembre 2003, era stata definitivamente destinata a verde attrezzato, con conseguente tipizzazione S2B, escludente ogni possibilità di nuova costruzione.

2. – Il sig. N. adiva il TAR territoriale con ricorso con il quale chiedeva l’annullamento di tale diniego sul presupposto che lo stesso fosse stato adottato in violazione dell’art. 12 del T.U. edilizia n. 380 del 2001 e del vigente strumento urbanistico, nonché deduceva che le delibere indicate come tipizzatrici della destinazione dell’area sarebbero stata adottate in violazione delle norme sulla formazione degli strumenti urbanistici.

Con ordinanza n. 95 del 2004 il TAR accoglieva l’istanza cautelare del ricorrente disponendo che il Comune di Locorotondo riesaminasse alla luce dei motivi di ricorso l’istanza di pdc del ricorrente.

In esecuzione di detta ordinanza il responsabile del competente Ufficio comunale respingeva nuovamente l’istanza con provvedimento n. 6030 del 11 maggio 2004, sul presupposto che l’area interessata fosse priva di pianificazione, così applicandosi la norma dell’art. 9 del TU edilizia che non consente, in tali condizioni, nuove edificazioni quale quella progettata dal ricorrente.

Con due atti di motivi aggiunti il sig. N. contestava la legittimità anche di detto nuovo diniego per difetto di motivazione, non essendo ricavabile dalla scarna clausola inserita nel provvedimento quale fosse l’iter logico seguito, nonché per avere qualificato l’immobile "area in assenza di pianificazione", senza tener conto della delibera del consiglio comunale n. 25 del 2002, in base alla quale, nelle zone S2B, come quella del ricorrente, è prevista la possibilità di edificare con indice 1,5 su metà della superficie disponibile e con cessione della restante metà per parcheggio pubblico.

3. – Con la sentenza impugnata, n. 783 del 2 marzo 2005 il primo Giudice emanava le seguenti statuizioni:

– improcedibilità del ricorso introduttivo in quanto il provvedimento con esso impugnato è stato "…sostituito dal successivo atto prot. 6030 del 11 maggio 2004, recante ulteriore diniego di permesso di costruire sulla base di diversi motivi…", anch’esso impugnato "…con motivi aggiunti da parte del ricorrente…";

– infondatezza di entrambi gli atti di motivi aggiunti proposti contro il citato secondo diniego di pdc, perché la motivazione allegata "…è sicuramente sufficiente a sostenere il diniego…", in quanto chiarisce, in esecuzione dell’ordine cautelare emesso dal Tribunale, "…che l’area interessata dall’intervento richiesto non è coperta da strumenti urbanistici comunali allo stato vigenti…"; perché la delibera consiliare n. 45 del 2002, invocata dal ricorrente a sostegno della edificabilità dell’area, ancorché tipizzata S2Bverde attrezzato, "…non è mai divenuta efficace per non essere stata seguita dall’approvazione della Regione…"; perché non v’è alcuna contraddittorietà tra il diniego impugnato e precedente concessione edilizia rilasciata per altra area dello stesso ricorrente avente analoga destinazione urbanistica, tenuto conto che "…o tale concessione è stata rilasciata illegittimamente dal Comune su di un suolo privo di disciplina urbanistica, oppure la disciplina del suolo interessato è diversa da quella oggetto del ricorso…".

4. – Con l’appello in epigrafe il sig. A. N. ha chiesto la riforma di detta sentenza articolando un unico motivo di impugnazione così rubricato "…Violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed erronea applicazione dell’art. 9 dello stesso decreto presidenziale, nonché vizio della motivazione…".

Più in particolare, l’appellante ha lamentato:

i)- sotto un primo profilo, che sarebbe impossibile ricavare dalla scarna motivazione allegata al provvedimento impugnato l’iter logico seguito per denegare il richiesto pdc, con conseguente difetto di quella "…circostanziata motivazione…" invece ritenuta necessaria dalla giurisprudenza, importando "…il diniego di assenso a costruire una contrazione dello jus aedificandi del proprietario…";

ii)- sotto un secondo profilo, che tale difetto di motivazione si renderebbe ulteriormente evidente, tenuto conto, per un verso, che "..per area in assenza di pianificazione possono intendersi varie e distinte ipotesi: da quella di area sita in un Comune del tutto sprovvisto di pianificazione, a quella di area con vincolo urbanistico scaduto, ovvero di area con destinazione urbanistica in itinere…", così che, "…in relazione a ciascuna di tali fattispecie, va applicata una particolare disciplina edilizia con le specifiche conseguenze…"; per altro verso, che, nella specie, occorreva una "…motivazione specifica ed adeguata, tenuto conto che lo stesso Comune è dotato di PRG sin dal 1980 e, quindi, non è certamente privo di pianificazione…";

iii)- sotto un terzo profilo, che il TAR avrebbe sostanzialmente integrato la motivazione del provvedimento impugnato, peraltro in maniera anche insufficiente, "…sia perché non chiarisce che cosa intende per strumenti urbanistici non vigenti, sia perché non tiene conto che, come risulta dagli atti di causa, nel Comune è vigente un PRG…";

iv)- sotto un quarto profilo, che sarebbe illegittimo il richiamo operato nel diniego impugnato all’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2002, attesa la già indicata vigenza dal 1980 di apposito PRG;

v)- sotto un quinto profilo, che l’area dell’appellante, diversamente da quanto ritenuto dal TAR, sarebbe "…oggi disciplinata proprio dalla variante al PRG adottata con delibera del Consiglio n. 45 del 7 novembre 2002 che destina la stessa a zona S2B in cui sono consentite costruzioni con l’indice di fabbricabilità di 1,5 mc/mq, conforme a quello indicato nel progetto presentato…" e, quindi, "…anche nelle more dell’approvazione della variante, l’intervento del ricorrente doveva essere assentito, non superando i limiti di edificazione stabiliti dalla norma applicabile…";

vi)- sotto un sesto profilo, infine, che non rilievo sarebbe rilevante il fatto che detta variante non sia mai divenuta efficace per non essere stata seguita dall’approvazione della Regione, in quanto "…l’adozione della variante in parola (che riguarda anche l’area del ricorrente) comporta l’applicazione del richiamato art. 4, comma 1, della legge n. 291 del 1971 (che contiene rinvio materiale all’art. 41quinques della L.U. n. 1150 del 1942) e, quindi, l’edificabilità dell’area nei limiti di progetto…".

Con memoria depositata in previsione della discussione dell’appello il sig. N. ha ulteriormente illustrato le proprie tesi, ribadendo la richiesta di annullamento dell’impugnata sentenza.

5. – Il Comune di Locorotondo, pur evocato nel presente grado di giudizio, non si è costituito.

6. – Alla pubblica udienza del 21 giugno 2011 l’appello è stato introitato per la decisione.

7. – Preliminarmente, deve rilevare il Collegio che dei due capi di decisione della sentenza impugnata è stato appellato soltanto il secondo, per cui si può dare atto della prestata acquiescenza del sig. N. alla declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo di primo grado.

8. – Ciò precisato, può darsi ingresso all’esame dei profili impugnazione dedotti dall’appellante per la riforma del capo di sentenza che ha respinto le tesi sviluppate nei due atti di motivi aggiunti presentati contro il secondo diniego di permesso di costruire.

8.1 – Quanto al primo di essi, concernente l’asserito difetto di motivazione che inficerebbe anche il secondo provvedimento comunale di diniego, in disparte ogni valutazione sull’ammissibilità delle deduzioni all’uopo proposte – siccome ripetitive di quelle svolte in prime cure e, quindi, prive di ogni contenuto critico della decisione sul punto assunta dal primo Giudice – va comunque rilevato che esso è privo di pregio, essendo del tutto chiare le ragioni esternate dall’Autorità amministrativa per disattendere la richiesta di pdc del sig. N. e cioè che, essendo l’area carente di pianificazione da data certa (30 giugno 2003), trova applicazione l’art. 9 del T.U. edilizia che esclude la nuova edificazione.

8.2 – Né può essere condiviso il secondo dei profili di impugnazione proposti, in quanto la mera indicazione da parte dell’appellante dell’esistenza di un PRG che sarebbe in vigore dal 1980 non rende apprezzabile la connessa deduzione di insussistenza del presupposto per l’applicabilità dell’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, difettando non solo ogni prova del fatto che, in base a tale strumento urbanistico, sarebbe consentita l’edificazione, ma anche ogni indicazione della o delle disposizioni (dello stesso strumento) che imporrebbero al Comune di rilasciare il pdc richiesto; eppure parte appellante ben poteva munirsi, in proposito, di certificazione urbanistica che desse contezza, anche sotto il profilo storico, della destinazione dell’area e della sua attuale condizione giuridica.

Inoltre, va da sé che, in tali condizioni, non può essere condiviso neppure l’ulteriore rilievo secondo il quale il Comune avrebbe dovuto indicare, tra quelli ritenuti possibili, quale fosse il presupposto specifico che nella specie esclude l’edificabilità dell’area, sia perché, ai fini che qui rilevano, può ritenersi sufficiente ed esaustivo dell’obbligo di motivazione l’aver indicato il Comune da quale data l’area in questione era da considerarsi inedificabile, sia perché ogni diversa prova sul punto competeva alla parte richiedente non soltanto in sede processuale.

8.3 – Stessa sorte negativa non può, poi, non essere riservata anche ai restanti profili di impugnazione, rubricati sub iii), iv), v) e vi), come riportati nel precedente paragrafo n. 4 che precede, avuto presente:

– che la motivazione rassegnata dal primo Giudice non comporta alcuna illegittima integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, avendo questi correttamente rilevato come il provvedimento impugnato fosse in linea con il riesame disposto con l’ordinanza cautelare emessa in prime cure e come indicasse, in maniera sufficiente, la ragione di diritto (vigenza art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001) ostativa al rilascio del richiesto pdc;

– che, essendosi limitato detto Giudice a prendere atto dell’effettiva condizione urbanistica dell’area interessata dalla progettata costruzione ed in carenza di ogni diversa dimostrazione da parte istante, non può ritenersi errato che il Comune abbia fatto applicazione nel caso in esame dell’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, non essendo comunque sufficiente a sorreggere le argomentazioni al riguardo svolte dall’appellante il mero richiamo di uno strumento urbanistico asseritamente vigente;

– che difetta il presupposto legale sul quale parte appellante poggia la propria rivendicazione di edificabilità dell’area per le ragioni che seguono: per un verso, non è neppure controverso tra le parti (come deducibile dalle stesse argomentazioni svolte con i due ultimi profili di contestazione delle sentenza impugnata) che la variante urbanistica adottata con la delibera consiliare n. 45 del 7 novembre 2002, che ha attribuitola destinazione di zona S2B all’area in questione, non è mai divenuta definitiva per non essere stata approvata dalla Regione; per altro verso, il Collegio non può condividere la tesi che anche la semplice adozione dello strumento urbanistico possa comportare l’applicazione della norma di cui all’invocato comma 1 dell’art. 4 della legge n. 291 del 1971, avuto presente il principio giurisprudenziale secondo il quale, finché lo strumento urbanistico non abbia favorevolmente superato non soltanto la fase costitutiva, ma anche quella integrativa dell’efficacia, l’area interessata deve ritenersi sprovvista di una disciplina di pianificazione, con l’ovvia conseguenza che, nel frattempo, devono osservarsi le limitazioni all’edificabilità dettate dalla disposizione qui rilevante dell’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001.

8.4 – In conclusione, l’appello non merita di essere accolto, non essendo fondata alcuna delle deduzioni con esso svolte.

9- Quanto, infine alle spese di giudizio, nulla deve disporre il Collegio non essendosi costituito il Comune appellato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 5574 del 2005, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 16-02-2012, n. 2220 Esibizione di documenti

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Svolgimento del processo

La Serr. Imm. di Villa Giampietro convenne in giudizio la Pizzala s.r.l. dinanzi al Giudice di Pace di Rho, in opposizione a decreto ingiuntivo, per sentir dichiarare non dovute le somme ingiunte e revocare il decreto n. 854/04.

Parte convenuta chiese di respingere le domande rilevando di aver eseguito lavori per un’autovettura e di concedere la provvisoria esecuzione per l’importo di Euro 714,58, oltre accessori.

Il Giudice di Pace ha confermato il decreto ingiuntivo n. 854/04 e condannato la Serr. Imm. Di Giampietro Villa a corrispondere anche le spese del giudizio a favore di Pizzala s.r.l..

Propone ricorso per cassazione la Serr. Imm. Di Villa Giampietro con due motivi.

Resiste con controricorso la Pizzala s.r.l..

Motivi della decisione

Con i due motivi del ricorso, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, parte ricorrente rispettivamente denuncia: 1) "Omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla sussistenza o meno dell’accordo contrattuale tra le parti"; 2) "Errata valutazione delle risultanze istruttorie (error in iudicando)".

Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente valutato sia le risultanze istruttorie, sia il comportamento processuale di parte opposta che, a fronte del disconoscimento della sottoscrizione dell’ordine di lavoro da parte del V., non svolgeva formale istanza di verificazione ma si opponeva all’ammissione di perizia calligrafica volta a verificare l’autenticità della firma richiesta da parte attrice.

E’ evidente, secondo la Serr. Imm., che la convenuta opposta, attrice sostanziale, sulla quale incombeva l’onere probatorio, non ha provato nè documentalmente nè testimonialmente il conferimento dell’incarico da parte di V.G. alla Pizzala.

Il motivo deve essere rigettato.

La decisione è stata resa dal Giudice di Pace secondo equità e non sono state denunciate violazioni di principi informatori della materia.

La mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, per presunzione di legge, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto e che la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sè favorevoli (Cass., 8 gennaio 1994, n. 155).

Infatti nell’impugnata sentenza il Giudice di Pace non ha fondato la sua decisione sull’ordine di servizio, ma sulle prove testimoniali, ritenendo provato che il V. ha fatto riparare l’auto e quindi egli è tenuto al pagamento del corrispettivo.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 800,00 di cui Euro 600,00 per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 14-11-2011, n. 5997 Demolizione di costruzioni abusive

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione Autonoma di Bolzano, dichiarava l’improcedibilità, per intervenuta acquiescenza, del ricorso proposto dalla società B. T. s.a.s. di G. S. & C. avverso i seguenti atti del Comune di Merano:

(i) il provvedimento del vice-Sindaco n. 133 del 22 maggio 2000, col quale le era stato ingiunto di demolire l’opera abusiva costituita dalla costruzione, in prosecuzione e ampliamento del locale-bar (regolarmente concessionato) insistente sulla p.m. 1 della p.ed. 1053 C.C. Maia di proprietà dell’istante, di una struttura ad "L’ in vetro e in muratura, realizzata sui lati ovest e sud dell’edificio e adibita a ricevitoria scommesse e video giochi, di mq 70,60 in superficie e di mc 183,56 in volumetria;

(ii) il provvedimento prot. n. 16720/00 del 17 maggio 2000, di diniego di concessione in sanatoria ex art. 85 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.), motivato dal contrasto del progetto in sanatoria con gli artt. 3 e 12 delle norme di attuazione del p.u.c. in materia di distanze minime dal confine e di osservanza della fascia di rispetto dell’adiacente strada pubblica, oltre che da carenze progettuali impeditive del controllo del rispetto delle norme igienico-sanitarie;

(iii) il parere negativo della Commissione edilizia comunale, richiamato dal provvedimento sub (ii).

Il T.r.g.a. motivava la declaratoria d’improcedibilità con la circostanza che la ricorrente, dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale, aveva presentato nuova istanza di rilascio di concessione in sanatoria ex art. 85 l. urb. prov., sulla base di un progetto diverso e ridotto rispetto a quello oggetto del provvedimento di diniego gravato nel presente giudizio, il quale recepiva le ragioni del precedente provvedimento di diniego ed era accompagnato dall’impegno alla rimozione spontanea delle opere abusive non comprese nella nuova domanda di sanatoria. Il T.r.g.a. rilevava al riguardo che "la nuova domanda di sanatoria concretizza un comportamento implicito di adesione al precedente operato del Comune, esplicatosi nei provvedimenti impugnati, con conseguente improcedibilità del ricorso proposto avverso questi ultimi" (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza), dichiarando le spese di causa interamente compensate tra le parti.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello la società ricorrente, censurando l’erronea declaratoria d’improcedibilità del ricorso in primo grado e riproponendo, nel merito, i relativi motivi.

3. Si costituiva l’appellato Comune di Merano, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

4. All’odierna pubblica udienza la causa veniva trattenuta in decisione.

5. L’appello è da respingere.

5.1. Il Tribunale amministrativo di giustizia amministrativa correttamente è pervenuto alla declaratoria d’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta acquiescenza, in quanto:

– nella nuova domanda di concessione in sanatoria (ed allegato progetto), presentata il 25 settembre 2000 a giudizio già pendente promosso avverso il diniego di concessione in sanatoria del 17 maggio 2000 (e gli atti presupposti e consequenziali), la ricorrente ha sostanzialmente recepito le motivazioni poste a fondamento del gravato provvedimento di diniego, specie con riguardo alla violazione degli artt. 3 e 12 delle norme di attuazione del p.u.c. del 1981 (cui corrispondono gli artt. 6 e 32 delle n.d.a. del p.u.c. del 2000) in materia di distanze dai confini ed edifici e di fasce di rispetto dalla strada pubblica, limitando la nuova domanda alle opere rispettose di tali prescrizioni e impegnandosi alla rimozione della parte delle opere abusive lesive (v. la relazione tecnica illustrativa allegata al progetto, che in parte qua recita testualmente: "Conseguentemente è intenzione della committenza rimuovere parte della costruzione abusiva sul prospetto Sud, per un totale di 114,46 mc");

– la nuova istanza di concessione in sanatoria (accolta col rilascio della concessione n. 412 del 20 novembre 2000, nella quale si da atto del versamento del contributo di concessione e della sanzione pecuniaria ex art. 85 l. urb. prov.), limitata alle parti dell’opera conformi alle prescrizioni del p.u.c. in sostanziale recepimento delle motivazioni poste a base del precedente provvedimento di diniego, unitamente all’impegno alla demolizione delle parti dell’opera contrastanti con le prescriizioni urbanistiche, comporta inequivoca acquiescenza al gravato provvedimento di diniego, attesa l’incompatibilità di siffatto contegno della ricorrente con la persistente volontà di coltivare il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego (anche in considerazione della mancata formulazione di riserve o condizioni con riguardo all’esito del giudizio pendente).

5.2. Ad ogni modo, i motivi posti a base del ricorso di primo grado sono manifestamente infondati nel merito,

(i) trattandosi – alla luce della documentazione planimetrica e fotografica in atti e tenuto conto della consistenza delle opere abusive, determinanti un ampliamento stabile della sagoma del preesistente locale-bar per una superficie di mq 70,60 e una volumetria di mc 183,56 – di costruzione edilizia indubbiamente necessitante di titolo concessorio (necessità, contestata nel primo motivo di ricorso),

(ii) emergendo dalla documentazione planimetrica acquisita al giudizio de plano la violazione degli artt. 3 e 12 delle n.d.a. del p.u.c. del 1981 (cui corrispondono gli artt. 6 e 32 delle n.d.a. del p.u.c. del 2000) in materia di distanze dai confini ed edifici e di fasce di rispetto dalla strada pubblica, con infondatezza delle deduzioni al riguardo svolte col secondo motivo di ricorso, nonché

(iii) costituendo l’ordine di rimessione in pristino atto vincolato di repressione di illecito edilizio, il quale non abbisogna di particolare motivazione, e dovendosi – in considerazione della particolare consistenza degli interventi abusivi sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto il profilo qualitativo, e tenuto conto del carattere relativamente recente dell’esecuzione delle opere abusive – escludere la configurabilità di una situazione di consolidamento della posizione del privato per decorso del tempo e inerzia dell’amministrazione, invocata nel terzo motivo di ricorso.

5.3. Conclusivamente, per le esposte ragioni l’appello è da respingere.

6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in parte dispositiva, vanno poste a carico dell’appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna la società appellante a rifondere all’Amministrazione appellata le spese del presente grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 2.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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