Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-04-2011) 19-05-2011, n. 19696

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Catanzaro in data 15.10.2009 confermava la condanna inflitta a D.S.F.A. dal GIP di Lamezia terme il 16.4.2008, per il delitto di evasione, consumato il precedente giorno 7. La Corte distrettuale riferiva che l’imputato era stato sorpreso fuori della propria abitazione, mentre colloquiava con una donna affacciata al balcone del proprio appartamento, sito al secondo piano di un immobile posto a venti, venticinque metri di distanza da quello dove era l’appartamento in uso all’imputato.

2. Il ricorso deduce violazione di legge e vizi di motivazione, perchè il terreno nel quale si trovava l’imputato sarebbe stato di esclusiva pertinenza della sua abitazione e recintato, e tale presenza non avrebbe indicato alcuna volontà di allontanarsi, sicchè non si sarebbe verificata alcuna effettiva sottrazione alla "sfera di custodia". 3. Il ricorso è inammissibile perchè il motivo è da un lato manifestamente infondato e dall’altro diverso da quelli consentiti.

La Corte distrettuale ha ricordato la giurisprudenza di legittimità (per tutte, Sez. 6, sent. 3212 del 18.12.2007 – 21.1.2008) che insegna come le eventuali pertinenze comuni del luogo in cui il soggetto si trova agli arresti domiciliari non rientrano tra quelli propri della vita privata e domestica dove, solo, deve trattenersi l’interessato. Ciò al fine di consentire i controlli di legge con assoluta immediatezza, senza che si renda necessaria alcuna indagine o verifica ulteriore, che non sia solo quella dell’immediata presenza. Ha quindi ritenuto che nel caso di specie l’intrattenersi in luogo comune, fuori dalla propria abitazione, a parlare con altre persone integri l’allontanamento non autorizzato.

Si tratta di un apprezzamento di stretto merito (che "copre" il contesto specifico sia in ordine al luogo sia in ordine alla ragione dell’uscita dal proprio appartamento), congruo ai dati riferiti e sorretto da motivazione nè apparente nè contraddittoria o manifestamente illogica. Ed in definitiva il ricorso finisce con il sollecitare questa Corte a rivalutare i presupposti di fatto dell’apprezzamento del Giudice d’appello, rivalutazione non consentita in questa sede.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-09-2011, n. 20072 Amministrazione straordinaria per le imprese in crisi

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rso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 29 marzo 2006 e notificata il 7 luglio 2006, in riforma della sentenza di primo grado accoglieva l’opposizione proposta dalla Banca di Legnano s.p.a. allo stato passivo della Amministrazione Straordinaria della Cariboni Paride s.p.a., riconoscendo al credito di Euro 215.858,34, già ammesso al passivo in via chirografaria, la prelazione ipotecaria, anche per gli interessi.

2. Avverso tale sentenza la Cariboni Paride s.p.a. in Amministrazione Straordinaria ha proposto, con atto notificato il 18 luglio 2006, ricorso a questa Corte, basato su cinque motivi. Resiste la Banca di Legnano spa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

3. Il collegio ha disposto redigersi motivazione semplificata.

4. L’eccezione, sollevata dalla ricorrente in memoria, di tardività della notifica del controricorso è infondata. Nella specie il termine fissato dall’art. 370 c.p.c., deve ritenersi sospeso, L. n. 742 del 1969, ex art. 1, durante il periodo feriale, non essendo applicabile nè la deroga disposta dalla L. n. 95 del 1979, art. 6 (che opera solo in relazione all’accertamento dello stato di insolvenza) nè, in ragione della natura del credito azionato, quella prevista dalla L. n. 742, art. 3. 5. Esaminando i motivi della impugnazione proposta – con i quali si denunziano, rispettivamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 38, e segg., della L. Fall., art. 67, commi 1 e 2, nonchè vizi di motivazione – deve preliminarmente rilevarsi come, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile nella specie trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato il 29 marzo 2006 e quindi nel periodo di vigenza della norma), l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. da 1 a 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; Id. n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazìone della sua ammissibilità. Nel caso in esame, l’illustrazione dei motivi di ricorso non contiene gli elementi suindicati, si che l’inammissibilità del ricorso ne deriva di necessità.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. III, Sent., 21-06-2011, n. 3704 Competenza e giurisdizione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata, pronunciata sul ricorso proposto dall’attuale appellante, per l’annullamento degli atti dell’avviso pubblico bandito dal "Complesso Ospedaliero San Giovanni Addolorata", per l’assunzione a tempo determinato, della durata di otto mesi, di due dirigenti medici, disciplina di Radioterapia, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, indicando quale giudice competente il giudice ordinario.

L’appellante contesta la pronuncia, mentre l’amministrazione resiste al gravame. Le altre parti intimate non si sono costituite.

2. L’appello è fondato.

In linea di principio, secondo la previsione dell’articolo 63 del testo unico del pubblico impiego:

a) "1. Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. (….)";

b) "4. Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (…)".

3. Nel caso di specie, il contestato procedimento seguito dall’amministrazione presenta tutte le caratteristiche tipiche di un concorso pubblico, perché risulta puntualmente e univocamente incentrato sulla valutazione comparativa del merito dei candidati, accertato attraverso l’esame dei titoli ed un colloquio orale, e la successiva formulazione di una graduatoria degli aspiranti all’assunzione temporanea, assolutamente vincolante.

Diversi dati fattuali convergono verso questa conclusione:

– si prevede espressamente l’assoggettamento della procedura selettiva alla disciplina generale dei concorsi (D.P.R. n. 487/1994);

– si fa riferimento alle condizioni che danno diritto a precedenza o preferenza in caso di parità di punteggio;

– si prevede una puntuale griglia dei punteggi per i titoli (20) e per il colloquio (80);

– al punto 9 dell’avviso, si stabilisce che "la commissione esaminatrice, al termine del colloquio, formulerà la graduatoria di merito dei candidati, tenendo presenti le precedenze e le preferenze ai sensi della vigente normativa in materia. La graduatoria sarà poi trasmessa al Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera il quale, riconosciuta la regolarità degli atti dell’avviso, la approverà e procederà, con proprio atto deliberativo alla dichiarazione di vincitori".

4. È evidente, quindi, che la scelta delle persone da assumere prescinde da qualsiasi valutazione di carattere fiduciario o discrezionale, ma consegue alle oggettive risultanze della procedura selettiva.

Pertanto, nella specie, non può giovare all’amministrazione appellata il richiamo alla giurisprudenza concernente i casi, del tutto diversi, di conferimento di incarichi dirigenziali, preceduti da avvisi pubblici, finalizzati solo alla verifica della astratta idoneità dei candidati, ma senza formulazione di una graduatoria vincolante per l’organo competente alla nomina del dirigente (Cass. civ. Sez. lavoro, 12 novembre 2007, n. 23480).

5. È appena il caso di osservare, poi, che il carattere concorsuale della procedura di scelta dei dipendenti da assumere resta pienamente intatto anche nelle ipotesi in cui:

a) la selezione riguarda posizioni di livello dirigenziale (anche prescindendo dalla notazione secondo cui la qualifica dirigenziale potrebbe assumere connotazioni sui generis in relazione ai tipici contenuti delle mansioni assegnate al personale medico del Servizio sanitario nazionale);

b) il rapporto di lavoro è a tempo determinato (in tal senso, fra le tante, si veda Cass. civ. Sez. Unite, 15 gennaio 2010, n. 529, secondo cui, in tema di impiego pubblico, sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione a tempo determinato, posto che a dette procedure si applicano le norme generali, discendenti dal principio di cui al terzo comma dell’art. 97 Cost., che governano la gestione dei concorsi pubblici, le quali non hanno ragione di essere derogate per il solo fatto che l’assunzione sia stata effettuata con contratti a termine, in funzione dell’esecuzione di uno specifico progetto, ed il bando di concorso abbia considerato una selezione per soli titoli, senza prevedere lo svolgimento di prove d’esame.")

6. In definitiva, quindi, l’appello è fondato, con la conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo e il rinvio della controversia al giudice di primo grado, ai sensi dell’articolo 105 del codice del processo amministrativo.

Le spese del giudizio possono compensarsi.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

Accoglie l’appello e, per l’effetto, dichiara la giurisdizione amministrativa.

Rinvia al TAR competente, per il prosieguo, compensando le spese.

Spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Marco Lipari, Consigliere, Estensore

Salvatore Cacace, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

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Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-06-2011) 04-07-2011, n. 26089 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A L. e S.T. erano contestati i delitti di concorso in appropriazione indebita, per essersi appropriati dell’attività commerciale di ingrosso di autoveicoli nuovi e usati, nonchè di quattro autovetture, alienate a terzi denunciando falsamente lo smarrimento delle relative carte di circolazione, e di altre due, occupando il piazzale dove erano state parcheggiate, appartenenti a S.V., al fine di trame profitto; e di concorso in calunnia, in relazione alla falsa denuncia di smarrimento.

Con sentenza del 25.6-31.7.2008 il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava gli imputati responsabili di entrambi i fatti, tuttavia riqualificando il delitto ex art. 646 c.p. in quello di cui all’art. 393 c.p..

La Corte distrettuale di Napoli l’11.11.2009 confermava l’affermazione di colpevolezza e la qualificazione giuridica dei fatti, in conformità alla prima sentenza, rideterminando in senso favorevole il trattamento sanzionatorio di entrambi gli imputati. In particolare, S.L. veniva condannata alla pena di due anni di reclusione, con pena base per il delitto di calunnia determinata in due anni, riduzione per le attenuanti generiche a un anno otto mesi ed aumento di quattro mesi per il reato sub A; per S.T. la pena era determinata in due anni otto mesi di reclusione, con pena base di due anni quattro mesi per la calunnia e aumento di quattro mesi per la continuazione con il reato sub A. 2. Ricorrono personalmente gli imputati, con unico atto, deducendo i seguenti motivi:

1- violazione degli artt. 521 e 604 c.p.p., perchè la riqualificazione avrebbe determinato una radicale immutazione del fatto, comunque non essendosi i ricorrenti potuti difendere nel giudizio di merito sul punto;

2- violazione dell’art. 368 c.p. e "travisamento del fatto", difettando l’elemento soggettivo della contestata calunnia, l’intento degli imputati essendo stato solo quello di ottenere il duplicato dei certificati, posto che questi non avrebbero dovuto essere nel possesso di S.V., che non ne sarebbe stato il titolare reale; la motivazione sarebbe comunque stata "insufficiente";

3- violazione dell’art. 191 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3 in relazione alla deposizione di S.V., che avrebbe dovuto essere esaminato ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p., essendo stato iscritto nel registro degli indagati in relazione alla ritenuta falsità di un contratto da lui prodotto in sede di denuncia;

precisano i ricorrenti che ciò di cui si dolgono è l’inosservanza della regola di giudizio di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 non essendo stato indicato alcun elemento di riscontro a quelle dichiarazioni, tale non potendo essere l’atto di querela, ai sensi dell’art. 51 c.p.p., comma 5;

4- violazione delle norme sulla determinazione della pena, per entrambi gli imputati, per l’eccessività di quella irrogata, e "richiesta di applicazione delle attenuanti generiche e dei benefici se concedibili" per S.T..

3.1 Sono fondati il primo e il terzo motivo in relazione al capo A, nei termini che seguono.

La Corte distrettuale ha ritenuto che, in relazione all’andamento dell’istruttoria dibattimentale ed all’essere lì emerso che effettivamente S.V. era intestatario solo fittizio "della gran parte di autovetture" e che lo stesso era stato vittima di violenza fisica volta ad impedirne l’accesso all’azienda, gli imputati erano stati messi nelle condizioni di difendersi adeguatamente anche con riferimento al diverso reato.

Ma questa Corte suprema ha insegnato (Sez. 6, sent. 3430 del 12.12.2008-26.1.2009) che "il giudice ben può dare al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica, senza con ciò incorrere nella violazione dell’obbligo di correlazione tra sentenza e accusa, a condizione, però, che il fatto storico addebitato rimanga sostanzialmente identico negli elementi strutturali della condotta, dell’evento e della posizione psicologica dell’agente. In sostanza, il potere del giudice del dibattimento di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica deve essere esercitato nel rispetto rigoroso delle esigenze del pieno contraddittorio, in applicazione del principio costituzionale del giusto processo. Tale potere deve essere escluso se tra il fatto-reato contestato e quello che il giudice, alla luce delle emergenze processuali, ritiene di individuare sub specie iuris vi sia un rapporto di piena e irriducibile diversità, senza una matrice di condotta unitaria. E’ vero, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio in esame non si esaurisce nel mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma deve tenere conto anche dell’intero percorso processuale e della concreta condizione di difesa dell’imputato in ordine all’oggetto dell’imputazione".

Nel caso in esame, sono ben diversi gli elementi strutturali delle due fattispecie, nella loro connotazione oggettiva e soggettiva. La contestazione formale indica un fatto di appropriazione di un’attività commerciale e di singoli beni a fine di profitto. Il reato ritenuto in sentenza presuppone una controversia che può trovare soluzione davanti all’autorità giudiziaria ed una condotta di violenza sulle persone. Si tratta, sul piano formale, di due fatti, e conseguentemente di due fattispecie di reato, non solo non sussumibili l’una nell’altra, ma del tutto strutturalmente diverse.

In tale contesto, ed in assenza di una modifica dell’imputazione ad opera della competente parte pubblica, l’emergenza nel dibattimento, sia pure nel contraddittorio, di elementi fattuali riconducibili alla fattispecie di diversa struttura non può, per ciò solo, ritenersi sanare ogni difetto o vizio di contraddittorio. Per l’assorbente ragione che altro è esser messi nella condizione di difendersi rispetto ad una diversa qualificazione giuridica comunque riconducibile all’essenza strutturale (oggettiva e soggettiva) della fattispecie originariamente contestata, altro è poter attivare tempestive difese in ordine alla prova dei fatti, strutturalmente differenti e peculiari, che fondano la "nuova" e diversa fattispecie.

Basti pensare, nel nostro caso, al "fatto" violenza sulla persona:

del tutto estraneo alla struttura della originaria imputazione, solo se tempestivamente conosciuto nell’accusa formale permette, ad esempio, di introdurre prove orali o documentali volte a contraddirne la stessa esistenza storica. Nè potrebbe affermarsi che gli imputati e la loro difesa, appresa nel contraddittorio dalle dichiarazioni della persona offesa del "fatto violenza", avrebbero avuto l’onere di chiedere termine a difesa per eventualmente introdurre ulteriori prove. A ben vedere, proprio una soluzione interpretativa che rendesse necessario il ricorso ad uno strumento processuale (la richiesta di termine a difesa) tipico dei casi di contestazione nuova o diversa, ex artt. 516, 517 e 518 c.p.p., attesterebbe la non riconducibilità del contesto alla mera riqualificazione giuridica di un fatto sostanzialmente omogeneo.

Si aggiunga, che ancor più dopo l’ormai già consolidato insegnamento che impone il contraddittorio preventivo nel caso di possibile modificazione della qualificazione giuridica del fatto contestato (Sez. 6, sent. 45807 del 12.11-11.12.2008; Sez. 6, sent.

36323 del 25.5-18.9.2009; Sez. 1^, sent. 9091 del 18.2-8.3.2010; Sez. 6, sent. 20500 del 19.2-28.5.2000), sia pure con modalità e contenuti che possono essere anche differenti nelle diverse fasi, è indubbio che anche l’interpretazione sulla sussistenza o meno dell’omogeneità strutturale del fatto, che sola consente la riqualificazione giuridica, debba mantenersi particolarmente rigorosa.

Sussiste pertanto la nullità tempestivamente dedotta, quanto al reato di cui al capo A, sicchè la sentenza deve essere annullata limitatamente allo stesso, con restituzione degli atti al pubblico ministero di Torre Annunziata per l’ulteriore corso.

Tale annullamento assorbe il motivo terzo, tuttavia allo stato fondato nei termini che seguono: il motivo era stato tempestivamente dedotto alla Corte d’appello, che in effetti ne ha dato pure atto in sentenza (lett. c – dell’elencazione dei motivi proposti), salvo non trattarlo nella parte della motivazione che ha spiegato la propria decisione. E poichè l’eccezione risulta ancorata ad un contesto di fatto (la pendenza di altro procedimento a carico di S. V.) che deve essere verificato per poter valutare l’ambito ed il fondamento eventuale dell’eccezione stessa, ove il procedimento pervenisse ad ulteriore fase processuale il punto dovrà essere espressamente trattato dal giudice competente.

E’ assorbito, per quanto si dirà sub 3.3, il motivo sul trattamento sanzionatorio per il reato sub A. 3.2 Il secondo motivo è inammissibile. Bene i Giudici del merito hanno argomentato l’irrilevanza delle intenzioni ultime della condotta di falsa denuncia, essendo sufficiente ad integrare il delitto la consapevolezza della falsità del fatto denunciato e della sua idoneità ad attivare indagini. Per il resto le censure sono del tutto generiche e di merito, risolvendosi nella sollecitazione a diversa valutazione del materiale probatorio acquisito, preclusa in questa fase di legittimità.

Va precisato che l’incidentalmente accertata fondatezza del terzo motivo non rileva per questo capo di imputazione, posto che le dichiarazioni di S.V. non sono state richiamate nelle motivazioni dei Giudici del merito su questo capo B, nè tantomeno ciò è stato dedotto in ricorso.

3.3 Il quarto motivo è:

– inammissibile in ordine all’entità della pena di ciascuno degli odierni ricorrenti per il delitto di calunnia ed alle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. per il solo T., proponendo censure di merito e generiche;

assorbito, in ordine all’entità dell’aumento, per entrambi, per la continuazione relativa al reato sub A, dal corrispondente annullamento.

3.4 Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., al rigetto del ricorso quanto ai motivi relativi al delitto di calunnia consegue l’irrevocabilità della condanna di entrambi gli imputati per tale reato e in relazione alla pena a ciascuno di essi applicata in relazione a tale reato (quindi, un anno otto mesi per L. e due anni quattro mesi per T.).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nonchè la sentenza di primo grado limitatamente al capo A e ordina la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata per l’ulteriore corso.

Rigetta nel resto i ricorsi.
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