Cass. civ. Sez. V, Sent., 07-12-2011, n. 26355 Imposta regionale sulle attivita’ produttive

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Svolgimento del processo

La controversia concerne l’IRAP supposta non dovuta da un installatore di impianti elettrici per gli anni 1998-2001 e chiesta a rimborso dal contribuente. La Commissione accoglieva il ricorso e la decisione era confermata in appello con la sentenza in epigrafe sulla base dell’assenza di autonoma organizzazione nell’attività svolta dal contribuente.

L’amministrazione propone ricorso per cassazione con due motivi. Il contribuente non si è costituito.

MOTIVAZIONE

Motivi della decisione

Con i due motivi di ricorso, l’amministrazione contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, che nel caso di specie fosse possibile parlare di attività svolta in assenza di autonoma organizzazione, trattandosi pacificamente di attività di impresa, quale è quella di installatore di impianti elettrici.

Il ricorso non è fondato. Questa Corte ha affermato che: In tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore (nella specie, tassista) è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. n. 21123 del 2010). Nel caso di specie il giudice di merito ha accertato in fatto, con congrua motivazione, che non vi è stato impiego di rilevanti capitali, nè di personale dipendente e che si trattava, quindi, di piccolo imprenditore.

Sicchè deve essere rigettato il ricorso. Non occorre provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 02-09-2011, n. 2138 Concessione per nuove costruzioni contributi

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente ha impugnato gli atti del Comune con cui viene determinato il contributo di costruzione relativo al permesso di costruire in sanatoria, per un intervento edilizio su un immobile sito nel Comune di Milano, in Via Polibio e consistente nella trasformazione di locali serra senza permanenza di persone, in locali abitabili.

Avverso gli atti sono articolate le seguenti censure:

1) Violazione degli artt. 3, 7 e 10 L. 241/90; violazione dell’art 97 Cost.; travisamento dei fatti; eccesso di potere, carenza di motivazione, essendo l’atto carente di motivazione;

2) Violazione degli artt. 3, 7 e 10 L. 241/90; violazione dell’art 97 Cost.; travisamento dei fatti; eccesso di potere, carenza di motivazione: il Comune non ha consentito la partecipazione al procedimento;

3) Violazione e falsa applicazione dell’art 2 L. 241/90 e della L. 47/85, del DPR 380/2001, D.L. 269/2003 e della L.R. 31/2004: il Comune ha applicato le nuove tariffe, nonostante la domanda di sanatoria fosse stata presentata sei anni prima e si debba ritenere formato il silenzio assenso;

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 comma 37 D.L. 269/2003 e 4 comma 1 L.R. 31/2004: violazione e falsa applicazione dell’art 23 Cost.; carenza e travisamento dei presupposti; eccesso di potere; illogicità manifesta: l’aumento disposto dal Comune con la delibera consiliare n. 73/2007 è illegittimo, in quanto superiore all’incremento previsto dalla legge;

5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 comma 1 L.R. 31/2004, violazione dell’art. 23 Cost., carenza e di travisamento dei presupposti; illogicità ed ingiustizia manifesta sotto ulteriore profilo: l’aumento è stato deliberato oltre il termine di legge.

Con motivi aggiunti depositati in data 17 giugno 2011 impugna il provvedimento della Direzione Centrale Sviluppo del Territorio, del 19 novembre 2010, con cui viene chiesto il pagamento del saldo degli oneri.

Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 7 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione ai sensi dell’art 60 cod. proc.amm.

Il ricorso è infondato e va respinto.

La delibera consiliare di aggiornamento degli oneri di urbanizzazione, unitamente alle questioni sulla applicabilità alle domande di condono presentate negli anni precedenti, è stata già oggetto di esame da parte di questa Sezione (ex multis sentenza n. 6929/2010), che ha altresì sollevato la questione di legittimità costituzionale della disciplina regionale.

Con ordinanza 17 marzo 2010 n. 105 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 6, della legge regionale 3 novembre 2004 n. 31, statuendo tra l’altro che:

– relativamente alle normative sul condono edilizio succedutesi nel tempo (art. 32 decretolegge n. 269 del 2003, art. 39 legge n. 724 del 1994, art. 37 legge n. 47 del 1985) non è ravvisabile un orientamento interpretativo consolidato da cui possa ricavarsi un principio fondamentale della legislazione statale secondo cui gli oneri di concessione debbano essere determinati con riferimento alle tariffe vigenti alla data di entrata in vigore della legge di sanatoria;

– il criterio delle tariffe vigenti al momento dell’entrata in vigore delle leggi di sanatoria di volta in volta promulgate dal legislatore statale ai fini della determinazione della misura del contributo è ben lungi dell’essere l’unica regolamentazione conforme alla Costituzione, ma rappresenta solo una delle diverse soluzioni astrattamente possibili;

– gli oneri di concessione potrebbero, in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l’abuso è iniziato, al momento in cui l’immobile abusivo è completato, al momento dell’entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell’entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria;

– la materia è necessariamente riservata, per la pluralità delle soluzioni possibili, alla discrezionalità del legislatore;

– in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale di privilegiare l’interesse pubblico all’adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso – ugualmente meritevole di protezione – sembra il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore.

A fronte di detta pronuncia, poiché la norma regionale ha superato il vaglio di costituzionalità, è stato ritenuto legittimo l’operato del Comune che ha liquidato il contributo di costruzione applicando le tariffe approvate dal consiglio comunale con deliberazione 21 dicembre 2007 n. 73, divenuta efficace l’8.1.2008, anche alle domande di condono presentate negli anni precedenti.

Parte ricorrente obietta che il Comune non può avvantaggiarsi della propria colpevole inerzia nella definizione dell’istanza ed applicare retroattivamente le nuove tariffe.

Si deve però osservare che il ritardo nella definizione della domanda non è addebitabile all’Amministrazione. Il biennio assegnato al Comune per provvedere (decorso il quale si forma il silenzioassenso: cfr. art. 32, comma 37, decretolegge n. 269/03, convertito in legge n. 326/03) decorre dalla presentazione di un’istanza debitamente documentata (cfr. Cons. Stato IV, 30.6.10 n. 4174, 23.7.09 n. 4671; V, 21.9.05 n. 4946; 2^, 13.6.07 n. 1797/2007).

Nel caso in esame, la domanda non risultava completa della documentazione richiesta dal citato art. 32, comma 37 (denuncia in catasto, denuncia ai fini dell’ICI, denuncia ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), mancando la denuncia ICI e TARSU, nonché il saldo degli oneri autodeterminati.

Quanto sopra porta a respingere l’articolato motivo n. 3, in cui si contesta l’applicazione degli aggiornamenti alla domanda del ricorrente.

I motivi relativi alla violazione delle garanzie di partecipazione e al difetto di motivazione (n. 1 e 2) non hanno pregio: si tratta infatti di un provvedimento di determinazione di oneri, che si configura come attività di natura tecnica, vincolata all’applicazione dei parametri dati alle risultanze progettuali, senza che residui alcuna discrezionalità, rispetto alla quale la partecipazione è assolutamente priva di rilevo.

Per la natura di atto vincolato, configurandosi il calcolo degli oneri, sostanzialmente, in una operazione matematica, non vi è necessità di una specifica motivazione.

Quanto alle contestazioni circa l’aumento delle tariffe e la violazione del termine entro cui deliberare detto aumento (motivi nn. 4 e 5), si richiama quanto già affermato da questa Sezione (ex multis sentenza n. 7386/2010): " L’art. 32, comma 34, del decreto legge 269/2003, convertito con legge 326/2003, consente alle Regioni di incrementare fino al massimo del 100 per cento gli oneri di concessione relativi alle opere abusive oggetto di sanatoria.

In Lombardia, la legge regionale 31/2004, all’art. 4 comma 1, attribuiva ai Comuni il potere di aumentare gli oneri di urbanizzazione relativi alle opere abusive riconducibili alle tipologie di illecito numeri 1, 2 e 3, di cui all’allegato 1 al d.l. 269/2003, rispettivamente, fino al massimo del 50, 30 e 20 per cento, mediante apposita deliberazione da adottarsi entro il termine perentorio di trenta giorni dall’entrata in vigore della legge regionale 31/2004 (6 novembre 2004).

Il Comune di Milano si è avvalso della facoltà di cui al citato art. 4, comma 1, mediante deliberazione della Giunta comunale n. 2644 del 16.11.2004.

Si pone – di conseguenza – il problema della corretta applicazione della stessa, vale a dire della determinazione degli oneri di urbanizzazione ai quali applicare l’aumento massimo del 50 per cento previsto dalla delibera medesima.

Sul punto, occorre premettere che la legge regionale 31/2004, all’art. 4 comma 6, prevede che gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria, sono determinati applicando le tariffe vigenti "all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria".

Il Comune di Milano ha interpretato la norma, come agevolmente si desume anche dall’esame dei suoi scritti difensivi, nel senso che l’incremento di cui alla delibera 2644/2004 debba calcolarsi sulle tariffe effettivamente vigenti al momento del rilascio del titolo in sanatoria (nella presente fattispecie il titolo è stato rilasciato il 3.9.2009), sicché la tariffabase, sulla quale calcolare gli aumenti per le opere abusive, deve necessariamente tenere conto degli adeguamenti periodici degli oneri di urbanizzazione, decisi dai Comuni in virtù delle generali previsioni dell’art. 16 comma 6 del DPR 380/2001 e della legge regionale 12/2005.

Il Comune di Milano ha disposto tali adeguamenti periodici mediante deliberazione consiliare n. 73 del 21.12.2007, per cui l’Amministrazione ha tenuto conto degli oneri di urbanizzazione introdotti da quest’ultima, al fine del calcolo degli aumenti di cui alla pregressa delibera di Giunta n. 2644/2004".

Va poi ricordato che il Comune di Milano si è avvalso della facoltà, prevista dall’art. 32 comma 40 del decreto legge 269/2003, ai fini dell’istruttoria delle domande di sanatoria edilizia, di incrementare fino ad un massimo del 10 per cento, i diritti e gli oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come disciplinati dalle Amministrazioni comunali per le medesime fattispecie di opere edilizie, attraverso la deliberazione di Giunta Comunale del 3.11.2004.

Gli uffici comunali hanno dato attuazione alla citata delibera 2493/2004 in maniera analoga a quanto effettuato per la delibera di Giunta 2644/2004, vale a dire aumentando nella misura del 10 per cento gli oneri concessori come fissati con la delibera consiliare 73/2007.

L’esponente ha denunciato la violazione dell’art 32, anche se unicamente con riguardo al momento della sua applicazione, nonché al superamento del limite massimo di incremento fissato dalla normativa regionale, ma non ravvisando altri profili di illegittimità nella condotta del Comune; profili che, quand’anche esistenti, mai potrebbero essere rilevati d’ufficio dallo scrivente giudice, ostandovi il generale principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 del codice di procedura civile, oltre che l’onere per il ricorrente di indicare, nell’atto introduttivo del giudizio, "motivi specifici" di gravame (cfr. art. 40 lett. c del codice del processo amministrativo; sull’onere della specificità dei motivi di ricorso, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, si vedano TAR Basilicata, sez. I, 5.3.2010, n. 100).

Ciò premesso, le censure relative alla errata applicazione del suddetto art 32 non possono essere accolte, così come formulate, alla luce delle considerazioni sopra svolte in ordine al momento rilevante per la determinazione degli oneri concessori delle istanze di condono, considerazioni alle quali il Collegio si permette di rinviare e dalle quali si desume la correttezza della pretesa comunale di calcolare gli oneri concessori alla luce della delibera consiliare 73/2007.

In conclusione, devono essere rigettate tutte le censure, contenute nel ricorso principale e nei motivi aggiunti.

Per tali ragioni il ricorso e i motivi aggiunti, vanno respinti.

In considerazione della novità della questione giuridica affrontata e della complessità della stessa, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda),

definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 29-09-2011, n. 7627 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Considerato che con memoria depositata dalla parte ricorrente in data 23.9.2011 è stata prospettata la sopravvenuta carenza d’interesse al ricorso da parte dei ricorrenti;

Considerato altresì che all’odierna Camera di Consiglio il difensore intervenuto per i ricorrenti ha ribadito la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso da parte degli istanti medesimi, precisando che essa vale per tutti gli originari opponenti, ivi compresi i due erroneamente omessi nelle premesse della dichiarazione depositata il 23.9.2011;

Ritenuto che sussistono quindi, in considerazione di quanto sopra, gli elementi per la decisione della causa con sentenza abbreviata (essendone state peraltro preavvertite le parti all’odierna Camera di Consiglio) e che pertanto il ricorso di cui in epigrafe va dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, restando peraltro compensate, tra le parti, le spese di giudizio, sussistendo al riguardo sufficienti motivi giustificativi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-02-2012, n. 2204

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Svolgimento del processo

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Dogane elevava il valore dichiarato di un’auto importata dagli Stati Uniti, definita dall’autorità doganale come "auto usata", anche sulla base della dichiarazione fatta dall’importatore, e da quest’ultimo nel ricorso definita come "auto d’epoca".

La Commissione adita rigettava il ricorso. L’appello del contribuente era rigettato con la sentenza in epigrafe che riteneva provata la pretesa tributaria. Avverso tale sentenza, il contribuente propone ricorso con tre motivi. Resiste l’amministrazione con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta omessa pronuncia in relazione al primo motivo di appello concernente la violazione del combinato disposto degli artt. 78 Regolamento CEE n. 2913 del 1992, 178, 179 e 181-bis Regolamento CEE n. 2454 del 1993.

Il motivo non è fondato. In primo luogo, nel caso di specie non è riscontrabile un’omessa pronuncia, dovendosi, invece, ritenere che il rigetto dell’eccezione sollevata dal contribuente sia implicito nella costruzione logico-giuridica della sentenza. In secondo luogo, va evidenziato che anche l’orientamento giurisprudenziale più "aperto" al principio di tutela del contraddittorio enunciato dalla Corte di Giustizia con la sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, abbia affermato che "in tema di tributi doganali, il principio stabilito dalla Corte di Giustizia CE con sentenza 18 dicembre 2008, in causa C- 349/07, secondo cui all’importatore sospettato di aver commesso un’infrazione doganale va concesso un termine, da otto a quindici giorni, per la presentazione delle proprie osservazioni, prima dell’attivazione della procedura di recupero, non si applica nel caso in cui il medesimo fatto è stato valutato nell’ambito di un procedimento penale, in quanto in quel procedimento è pienamente garantito il diritto di difesa ed il contraddittorio" (Cass. n. 7836 del 2010). Nel caso di specie ricorre l’ipotesi considerata nel sopraenunciato principio essendo stati i fatti oggetto di valutazione nell’ambito di un procedimento penale conclusosi in primo grado con la condanna della contribuente.

Con il secondo motivo, il contribuente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, per aver il giudice di merito ritenuto: a) conforme alla richiamata norma la motivazione dell’avviso di accertamento (risolta per relationem ad atti non allegati); b) legittimo l’addurre ragioni di rettifica diverse da quelle indicate nell’atto impositivo impugnato, consentendo anche la produzione di nuovi elementi di prova; c) e valutato come prove documenti che possono essere considerati solo come indizi.

Il motivo non è fondato. Le eccezioni del contribuente in punto di motivazione dell’atto impositivo sono state valutate dal giudice di merito, che ha evidenziato le carenze dell’accertamento basato "quasi esclusivamente, se non esclusivamente, sul contenuto dei controlli eseguiti presso l’esportatore americano e su quanto emerso nel corso degli stessi". Tuttavia, il giudice del merito non ha ritenuto decisive le rilevate carenze, in quanto quei "fatti" emergenti dai "controlli eseguiti presso l’esportatore americano", hanno trovato rispondenza probatoria nel giudizio in altra documentazione – legittimamente prodotta in giudizio, non trovando applicazione nel giudizio tributario la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, (nel testo introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69), poichè la materia regolata dal D.Lgs. n. 546, art. 58, comma 2, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. n. 18907 del 2011) -, alla quale il giudicante ha attribuito, con motivazione esente da critiche, il valore di "conferma" e "riscontro" delle "dichiarazioni rese dall’esportatore americano", dalle quali ha preso fondamento ed origine l’accertamento. Sicchè il motivo viene a risolversi nella richiesta di una revisione del giudizio di merito che è inammissibile in questa sede di legittimità, relativamente ad una sentenza che appare congruamente motivata e che ha affrontato con consapevole valutazione e con completezza la situazione probatoria presente agli atti.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia omessa pronuncia in merito al quarto motivo di appello concernente la violazione del combinato disposto di cui all’allegato 1^ all’art. 1 del Regolamento CEE n. 2658 del 23 luglio 1987 e del D.L. n. 41 del 1995, art. 39, il ricorrente lamenta sostanzialmente il mancato riconoscimento che nella fattispecie l’importazione riguardasse una automobile di interesse storico (sinteticamente, ma inesattamente definita dal contribuente, "auto d’epoca") rispetto alla quale avrebbe dovuto applicarsi il Codice NC 9705 e, quindi, l’esenzione dal dazio ai sensi dell’allegato 1^ all’art. 1 del Regolamento CEE n. 2658 del 1997 e l’aliquota IVA del 10% ai sensi del D.L. n. 41 del 1995, art. 39. Il motivo, che non si presenta con il principio di autosufficienza del ricorso, non essendo riportato il motivo d’appello per il quale vi sarebbe stata la lamentata omessa pronuncia, è, comunque, infondato. Non solo perchè la natura di "auto d’epoca" è stata dedotta per la prima volta in giudizio (così come inammissibilmente per la prima volta in giudizio è stata dedotta una domanda di rimborso), mentre di tutt’altro tenore era la dichiarazione doganale presentata e della stessa non era stata chiesta la rettifica, che deve ritenersi interdetta dopo l’accertamento a norma dell’art. 65 Regolamento (CE-E) N. 2913/92 del 12 ottobre 1992 che istituisca un codice doganale comunitario. Ma anche perchè nessuna prova è stata data dal contribuente che nella specie l’automobile importata avesse tutte la caratteristiche richieste per poter essere considerata, a norma delle disposizioni cui la ricorrente fa riferimento, un’auto di interesse storico.

Tali caratteristiche sono individuate dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 3 dicembre 1998 in causa C-259/97, la quale ha dichiarato che la voce 9705 della NC dev’essere interpretata nel senso che si presume che presentino un interesse storico o etnografico gli autoveicoli i quali:

– si trovino nel loro stato originale, senza cambiamenti sostanziali di telaio, organi di direzione o di sistema frenante, motore, ecc.;

– abbiano almeno trent’anni e – appartengano a un modello o tipo non più in produzione;

– segnino un passo caratteristico nell’evoluzione delle realizzazioni umane o illustrino un periodo di tale evoluzione;

– siano relativamente rari;

– non siano normalmente usati secondo la loro destinazione originaria;

– formino oggetto di transazioni speciali al di fuori del mercato abituale degli analoghi oggetti di uso comune;

– abbiano un valore elevato.

Nessuna di tali caratteristiche, le quali devono esistere tutte contestualmente, è stata provata sia propria dell’automobile della cui importazione è causa. Anzi si deve rilevare che l’impugnazione proposta appare perplessa, muovendosi contraddittoriamente tra una contestazione del maggior valore attribuito all’autoveicolo importato, da un lato, e una contestazione della natura di "interesse storico" di tale autoveicolo, che quel più alto valore implica necessariamente, dall’altro.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00 più spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2012

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