Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato ad A.L., l’AGENZIA delle DOGANE – premesso che il medesimo aveva opposto "dinnanzi il Tribunale di Milano" (che "dichiarava prescritto il credito erariale") l’"ingiunzione doganale ex art. 81 TULD emessa per tributi e diritti doganali evasi tramite fatti di contrabbando" e che la "pronuncia di secondo grado" (di "respingimento dell’appello" di essa Agenzia) era stata annullata da questa Corte di legittimità -, in forza di cinque motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 1591/07 della Corte di Appello di Milano (depositata il giorno 11 giugno 2007) che, pronunciando in sede di rinvio, aveva "dichiara(to) l’illegittimità dell’ingiunzione di pagamento … notificata in data 10 giugno 1994".
L’ A. instava per il rigetto dell’avverso gravame e, "qualora … la Corte . . . dovesse accogliere" lo stesso, spiegava ricorso incidentale fondato su tre motivi; lo stesso depositava memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
p. 1. Riunione dei ricorsi.
In via preliminare, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., va disposta ex officio la riunione del ricorso incidentale del contribuente all’anteriore dell’Agenzia, avendo le due impugnazioni ad oggetto la medesima decisione. p. 2. La sentenza impugnata.
La Corte di Appello – ritenuta tempestiva la riassunzione (in seguito al rinvio disposto da questa Corte con la sentenza 23 maggio 2003 n. 8146) perchè "la prova certa della relativa data va desunta dal timbro apposto sull’atto da notificare, recante il numero del registro cronologico e la data, con la specifica delle spese, anche se non sottoscritta dall’ufficiale giudiziario, dovendosi presumere che il timbro sia conforme all’annotazione su detto registro (che fa fede fino a querela di falso) …", esposto che il termine quinquennale (che questa corte ha ritenuto applicabile alla specie con detta decisione) non è trascorso in quanto l’ordinanza di inammissibilità del ricorso penale dell’ A., (nella data di pronuncia della quale doveva individuarsi il dies a quo) è stata emessa dalla Cassazione penale il 23 novembre 1992 e l’ingiunzione doganale opposta è stata "notificata in data 10 giugno 1994", ha "dichiarato l’illegittimità" di detta "ingiunzione" perchè:
(1) con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988 non è più possibile (Cass. 10542/98) emettere ingiunzione di pagamento in materia doganale;
(2) l’ingiunzione opposta, pur essendo stata emessa nel 1994 (quindi nella vigenza del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11), è fondata su di un accertamento compiuto in base a norme non più in vigore.
Lo stesso giudice, di poi, ha ritenuto assorbite le altre questioni poste dal contribuente. p. 3. Il ricorso dell’Agenzia.
Questa censura la decisione con cinque motivi.
A. Con il primo la ricorrente – assunto essere "ormai ius receptum … che con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, l’ingiunzione doganale ha perduto la funzione di precetto e di titolo esecutivo" ma "ha conservato … la funzione di atto di accertamento della pretesa erariale" – denunzia "violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 43 del 1973, art. 82 e D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130", concluse con il "quesito" secondo cui "l’ingiunzione doganale D.P.R. n. 43 del 1988, ex art. 82, pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, è atto che può essere emesso e notificato, quale atto di accertamento della pretesa erariale, sicchè erra, violando e falsamente applicando l’art. 82 TULD e D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, il giudice che ritenga illegittima l’ingiunzione doganale in quanto emessa e notificata dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988".
B. Con la successiva doglianza l’Agenzia – affermato "risulta (re) dalle stesse deduzioni della Corte" di appello che "la controparte non ha mai dedotto la mancata osservanza del D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 11" – denunzia "violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c.", riassunte nel seguente "quesito":
"viola e falsamente applica l’art. 112 c.p.c., incorrendo in ultrapetizione, il giudice che dichiari illegittima un’ingiunzione doganale per non aver osservato l’Ufficio il D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 11, ove chi ha proposto l’opposizione … non abbia mai addotto l’inosservanza … dell’art. 11 cit.".
C. Nella terza doglianza la ricorrente – esposto che "la stessa Corte" di appello ammette essere "l’ingiunzione … stata emessa dipendendo il mancato pagamento dei tributi e diritti doganali da reato (… contrabbando)" – denunzia "violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 43 del 1988, art. 84 e D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11" sostenendo ("quesito") che:
"… in forza del combinato disposto del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, ove si tratti di recuperare dazi e diritti doganali evasi a causa di un reato, la dogana non è tenuta ad osservare la disposizione di cui all’art. 11 cit., sicchè erra, violando e falsamente applicando le precitate norme, il giudice che dichiari illegittima una ingiunzione fiscale emessa per il recupero di diritti e dazi doganali evasi con fatti di contrabbando, per non avere osservato la Dogana le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11".
D. Nel quarto motivo l’Agenzia denunzia "motivazione omessa" affermando che il giudice a quo, avendo ritenuto che "con l’ingiunzione opposta si era sottoposto a revisione un precedente accertamento divenuto definitivo", doveva indicare "quale fosse siffatto accertamento" mentre "il giudice a quo … non dice neanche da dove abbia tratto l’esistenza dello stesso".
E. Con la quinta (ultima) censura la ricorrente – esposto che "nell’atto di riassunzione" aveva chiesto anche di condannare l’ A. ""al pagamento di tutte le somme (indicate nell’ingiunzione) oltre interessi … "" – denunzia "violazione e falsa applicazione art. 132 c.p.c.", concluse con questo "quesito":
"vero che ove il giudice accolga l’opposizione avverso ingiunzione doganale per asserita illegittimità della stessa per vizi di forma e respinga, senz’altra indicazione (tanto meno quelle che ne indichino l’infondatezza nel merito) la domanda riconvenzionale della dogana diretta ad ottenere la condanna dell’opponente al pagamento dei diritti doganali portali dall’ingiunzione, la sentenza, in punto di respingimento della domanda riconvenzionale è, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., nulla per radicale inesistenza della motivazione". p. 4. Il ricorso incidentale.
Il contribuente impugna la medesima decisione per tre motivi.
A. Con il primo l’ A. – esposto aver "eccepito l’estinzione del giudizio per tardiva riassunzione"; affermato che nella "specie … vi è una mera apposizione del timbro con la data senza alcuna sottoscrizione dell’Ufficiale giudiziario nè numero di cronologico";
ricordato l’"orientamento .. . ribadito da questa Corte … (sentenza 20 giugno 2007 n. 14294)" -, denunzia "violazione e falsa applicazione degli artt. 392, 393 c.p.c., D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, artt. 30 e 75, D.P.R. art. 109 del 1959 (recte, 1229)… essendo il giudizio estinto per tardiva riassunzione", sostenendo ("quesito") che:
"… in caso di contestazione della conformità al vero della data apposta sul ricorso notificato senza sottoscrizione dell’Ufficiale giudiziario, l’interessato a far valere la tempestività della notifica è tenuto ad esibire idonea certificazione di cui al D.P.R. (recte, 1229) del 1959, art. 109 " per cui "erra, violando e falsamente applicando gli artt. 392, 393 c.p.c., D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, artt. 30 e 75 e art. 109 D.P.R. (recte, 1229)/1959, il giudice del merito che in presenza di contestazioni abbia ritenuto tale tempestività senza la prescritta certificazione sulla sola scorta di una data a timbro e della specifica delle spese non sottoscritta dall’Ufficiale Giudiziario".
B. Nelle altre due doglianze il contribuente – richiamate (pagg. 6 e ss. del controricorso) le "censure" svolte "in ordine alla nullità, comunque invalidità, dell’ingiunzione opposta" – denunzia "violazione degli artt. 99, 112, 132 c.p.c. … per aver omesso la corte territoriale l’esame dei motivi";
(a) di "nullità dell’ingiunzione opposta per vizio e difetto di motivazione", avendo ritenuto tali "questioni … assorbite dalle declaratorie di illegittimità dell’ingiunzione per effetto del D.P.R. n. 43 del 1938, art. 130, comma 2, (recte: 43/1973)", e:
(b) di "invalidità delle ingiunzioni per illegittimità e infondatezza della pretesa doganale". p. 5. Le ragioni della decisione. p. 5.1. Del ricorso principale.
Il ricorso dell’Agenzia (le cui censure vanno esaminate congiuntamente per la loro intima connessione) deve essere accolto.
A. In ordine alla questione posta dell’amministrazione ricorrente con il primo "quesito" ("l’ingiunzione doganale D.P.R. n. 43 del 1988, pur dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, è atto che può essere emesso e notificato, quale atto di accertamento della pretesa erariale"), invero, questa Corte ha da tempo (anche precedente alla decisione impugnata) superato l’esegesi (condivisa dal giudice territoriale) secondo la quale (Cass., 1^, 23 ottobre 1998 n. 10542) "è illegittima l’ingiunzione di pagamento – emanata ai sensi del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 82 e notificata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 374 del 1990 – dei diritti doganali non riscossi per indebito riconoscimento di trattamento preferenziale daziario per merci importate da paesi extracomunitari, attesa l’abrogazione, a norma del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, di tutte le disposizioni che regolano, mediante rinvio al R.D. n. 639 del 1910, la riscossione coattiva dei diritti doganali, e la mancata applicazione della procedura di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, riferibile a tutte le ipotesi di revisione dell’accertamento divenuto definitivo".
Già nelle sentenze 9 maggio 2000 n. 5906 e 2 settembre 2002 n. 12761 di questa sezione, infatti, si è ribadito (rispettivamente):
(1) che "la discussa ingiunzione, in quanto atto di accertamento, deve essere ritenuta ritualmente emessa in base a norma specificamente contemplante la relativa emissione" e, soprattutto;
(2) che "il tenore letterale e logico della richiamata disposizione e l’inserimento della disposizione stessa in un contesto normativo che ha avuto la finalità di innovare l’esecuzione in materia di entrate pubbliche, sostituendo al sistema previgente – fondato sul R.D. n. 639 del 1910 – quello della riscossione a mezzo di ruoli esattoriali, rendono del tutto condivisibile l’orientamento di questa Corte (Cass. … 5350-1999; 13140-1995; 7141-1995) secondo il quale l’ingiunzione, in quanto atto di accertamento, è sopravvissuta all’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988 cit., posto che l’art. 130, comma secondo del menzionato D.P.R. ha sancito l’abrogazione delle sole previgenti disposizioni in materia di riscossione, non anche di quelle in materia di accertamento" ("sicchè", si è osservato nella seconda, "non si vede come possa negarsi all’atto impositivo, che ne contenga gli estremi, l’efficacia di atto di accertamento della pretesa erariale e la idoneità ad introdurre un giudizio sulla debenza dell’imposta").
La successiva sentenza 6 settembre 2006 n. 19194, poi, ha offerto ulteriori convincenti "argomentazioni" a sostegno della tesi per cui costituisce effettivamente "giurisprudenza consolidata" (come definita da Cass., trib., 18 giugno 2010 n. 14812, che ricorda anche "Cass. n. 20361/-2006") quella – da confermare per carenza di qualsivo-glia convincente argomentazione contraria (peraltro nemmeno adombrata dal contribuente) – "secondo la quale l’ingiunzione fiscale – e segnatamente l’ingiunzione doganale -, anche dopo l’entrata in vigore (1.1.1990) del D.P.R. n. 43 del 1988 e l’abrogazione, ad opera dell’art. 130, stesso D.P.R., delle disposizioni regolanti, mediante rinvio al R.D. n. 639 del 1910, la riscossione coattiva dei tributi, ha conservato una precipua funzione accertativa, integrando un atto complesso rivolto a portare la pretesa fiscale a conoscenza del debitore ed a formare il titolo, autonomamente impugnabile, per la successiva ed eventuale esecuzione forzala" .
Del pari va riconfermato il corollario (tratto dalla medesima Cass. trib., n. 12761 del 2002 e condiviso anche da Cass., trita., 18 settembre 2003 n. 13815 nonchè da tutte le successive decisioni sulla questione) per il quale "lo stesso atto di accertamento notificato alla controparte e da questa impugnalo integra gli estremi della domanda sulla quale il giudice è tenuto a pronunciarsi, anche nel merito, ove non sussistano ragioni a tal fine preclusive" cfr., altresì, la cit. Cass., n. 19194 del 2006 per la qual e (1) "nell’ambito del giudizio di opposizione all’ingiunzione l’Amministrazione, che assume sul piano dell’onere della prova la posizione di attore in senso sostanziale (non diversamente da quanto avviene nel procedimento monitorio ex art. 633 c.p.c.) ove ne chieda conferma in giudizio (vuoi espressamente in via riconvenzionale vuoi implicitamente instando per il rigetto dell’opposizione) esercita una domanda che è appunto quella di veder riconosciuto in tutto od in parte il diritto di recupero così azionato (Cass. 10132/05 e 16067/05)" e (2) "la cognizione del giudice non può … limitarsi alla verifica dei presupposti formali di validità dell’atto impositivo ma deve estendersi al merito della pretesa erariale in esso espressa sulla cui fondatezza è tenuto comunque a statuire, anche a prescindere da una specifica richiesta in tal senso e sulla base degli elementi di prova addotti dall’ente creditore e contrastati dal soggetto ingiunto").
B. Pure l’ulteriore affermazione del giudice di appello secondo cui, essendo stata "l’ingiunzione di pagamento … notificata nel 1994" (quindi nel "vigore" del "D.Lgs. … 1990 n. 374", "il cui art. 11 ha disciplinato ex novo la revisione dell’accertamento da parte degli uffici doganali", "l’accertamento compiuto secondo la precedente normativa va considerato illegittimo" si rivela giuridicamente erronea perchè non considera che (come scrive esso stesso) nella specie il "mancato pagamento dei diritti" pretesi dall’Agenzia ha "causa da un reato", precisamente da "fatti di contrabbando".
Secondo la "giurisprudenza di questa Corte … in tema di azione di recupero dei diritti doganali", infatti (Cass., trib., 20 settembre 2006 n. 20361, che richiama "ex multis Cass. 4527/83 – 236/84 – 1380/92 – 4892/94 – 11406/96", da cui gli excerpta che seguono, nonchè Cass., trib., 31 marzo 2010 n. 7836, per la quale "la fase di revisione non va attivata allorchè vi è in corso un procedimento penale, il quale rappresenta, in relazione al rispetto del principio del contraddittorio, una garanzia ben maggiore del procedimento amministrativo di cui alla L. n. 374 del 1990, art. 11 (cfr. Cass. 11827/97 …"), "al procedimento di revisione occorre far ricorso solo nell’ipotesi in cui la nuova liquidazione dei diritti di dogana sia stata determinata da una differente qualificazione delle merci importate in relazione alla loro intrinseca natura e non invece nei casi in cui – impregiudicata l’identificazione soggettiva ed aggettiva degli elementi fiscalmente rilevanti – la nuova liquidazione origini da una diversa classificazione tariffaria o da una errata individuazione del regime daziario applicabile" : quel "procedimento", proprio perchè suppone necessariamente "errori od omissioni sulla qualificazione e quantificazione delle merci importate", logicamente "non può essere utilizzato allorchè la determinazione dei diritti evasi consegua a fatti di contrabbando" (nei quali "fatti" mancano, ovviamente, "merci" che possano considerarsi "importate") "contestati dalla polizia tributaria e soggetti al vaglio del giudice penale, dove non si tratta di rimediare, con una verifica in contraddittorio ex D.P.R. n. 43 del 1973, art. 74 (poi trasfuso D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11) alla inesatta individuazione delle merci importate, ma di quantificare l’entità del dovuto, come conseguenza di un giudizio sulla sussistenza dell’illecito (Cass. 11827/97)". p. 5.2. Del ricorso incidentale.
Il primo motivo del ricorso incidentale va respinto; le ulteriori doglianze incidentali (concernenti questioni non esaminate dal giudice del merito) restano assorbite dall’accoglimento del ricorso principale.
A. La censura nella quale l’ A. afferma che "nella … fattispecie … vi era una mera apposizione del timbro con la data senza alcuna sottoscrizione dell’ufficiale giudiziario nè numero cronologico … effettivamente tale" ("essendo irrilevante la distinta spese, apposta su altro foglio e comunque successiva") e che "l’amministrazione doganale, a fronte della contestazione di esso convenuto …, non ha proceduto ad esibire alcuna certificazione, pur essendone onerata" è inammissibile perchè:
(1) si conclude con la formulazione (necessaria) di un "quesito di diritto" ex art. 366 bis c.p.c., che non risulta in nulla congruente con la ratio decidendi che sorregge il punto della decisione impugnata investito dalla doglianza, e, comunque;
(2) si basa sull’assunta proposizione di una indeterminata (perchè non altrimenti precisata) "contestazione", della quale, però, non vi è traccia nella sentenza gravata e di cui lo stesso A., in violazione dell’art. 366 c.p.c., non riporta i termini testuali, almeno quanto all’oggetto.
La corte di appello, invero, ha affermato di desumere "la prova certa della … data" di consegna del ricorso in riassunzione all’ufficiale giudiziario "dal timbro apposto sull’atto da notificare, recante il numero cronologico e la data, con la specifica delle spese, anche se non sottoscritta" (al femminile, con univoco riferimento della mancanza di sottoscrizione alla "specifica delle spese") "dall’ufficiale giudiziario", "dovendosi presumere che il timbro sia conforme all’annotazione su detto registro (che fa fede fino a querela di falso) e che la data attestata dall’ufficiale giudiziario, se diversa, si riferisca all’avvio delle formalità del procedimento notificatorio": il giudice a quo, quindi, ha posto a fondamento della sua decisione la presunzione di conformità del "timbro" ("recante il numero cronologico e la data") con le "annotazioni" del registro "cronologico" e tale ragionamento, avente intuitivamente una sua autonoma logica giuridica, non risulta affatto investito dal motivo di impugnazione che, come si evince univocamente dalla sola lettura del "quesito", denunzia "violazione e falsa applicazione" (sostanzialmente) del solo D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 209, (recte)" (essendo il preteso vizio "degli artt. 392, 393 c.p.c., D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, artt. 30 e 15" meramente conseguente a quello), sostenendo ("quesito") che "erra, violando e falsamente applicando gli artt. 392, 393 c.p.c., D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, artt. 30 e 75 e D.P.R. art. 109 del 1959 (recte, 1229) il giudice del merito che in presenza di contestazioni abbia ritenuto tale tempestività senza la prescritta certificazione sulla sola scorta di una data a timbro e della specifica delle spese non sottoscritta dall’Ufficiale Giudiziario", con ciò supponendo, in modo sbagliato, che, al fine del riscontro del rispetto di termini perentori fissati per la notifica di un determinato atto processuale, il giudice non possa (come operato nel caso) trarre anche aliunde la prova della data di consegna all’ufficiale dell’atto da notificare ma debba sempre pretendere la esibizione della "certificazione" detta.
Nella sentenza 20 giugno 2007 n. 14294 invocata dall’ A. cui principi sono stati ribaditi da Cass.: 1^, 20 marzo 2008 n. 7470 e lav., 1 settembre 2008 n. 22003), invero, è stato univocamente:
(a) statuito che "ove non venga esibita la ricevuta di cui al D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 109, la prova della tempestiva consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare può essere ricavata dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data" e:
(b) "naturalmente" ("non potendo attribuirsi a tale timbro valore di prova legale in ordine alla data di consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario"), precisato che "la idoneità probatoria in questione viene meno in caso di contestazione (per qualsiasi motivo) della conformità al vero di quanto da esso indirettamente risulta", puntualizzandosi, altresì, che "l’interessato dovrà farsi carico di esibire idonea certificazione dell’ufficiale giudiziario" solo "in tal caso", ovverosia unicamente "in caso di contestazione (per qualsiasi motivo) della conformità al vero" di quanto, sia pure "indirettamente", risulta dal "timbro" detto.
Nel caso, sulla questione (1) l’ A. si è limitato a scrivere (pag. 5 del controricorso) ""… si costituiva con comparsa … chiedendo … dichiarare estinto il giudizio ex art. 393 c.p.c. in quanto tardivamente … riassunto essendo stato il ricorso notificato dopo la scadenza del termine" " e (2) il giudice a quo che lo stesso aveva eccepito "eccependo") , "preliminarmente", "l’estinzione del giudizio ex art. 393 c.p.c.": dagli atti il cui esame è consentito a questo giudice di legittimità, quindi, non risulta mai sollevata alcuna "contestazione" in ordine alla "conformità al vero" dei dati risultanti dal "timbro" ("recante il numero cronologico e la data") apposto dall’ufficiale giudiziario sul ricorso in riassunzione notificato. p. 6. La prosecuzione del giudizio.
La sentenza impugnata, siccome affetta dai vizi innanzi riscontrati, deve essere cassata e la causa, in quanto bisognevole dei conferenti accertamenti fattuali, va rinviata a sezione diversa della stessa Corte di Appello di Milano affinchè esamini l’appello dell’Agenzia facendo corretta applicazione dei principi enunciati al precedente par. 5.1. e regoli, altresì, tra le parti anche le spese di quest’ulteriore giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2012
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