Cons. Stato Sez. IV, Sent., 26-07-2011, n. 4459 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza n. 1149 del 2010, il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso proposto dal dott. M. avverso il decreto del Ministero della Giustizia del 22 luglio 2009, recante il conferimento delle funzioni giurisdizionali e la destinazione all’ufficio di prima destinazione, nella parte in cui lo assegnava al Tribunale di Foggia, in seguito a diniego del C.S.M. (precedentemente impugnato) di riconoscimento del beneficio della precedenza assoluta nell’assegnazione della sede previsto per i magistrati che prestino assistenza continuativa ed esclusiva a familiare portatore di handicap, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992.

Il T.A.R., richiamate le proprie precedenti sentenze 30 giugno 2009, n. 6339, di annullamento della deliberazione del C.S.M. 14 gennaio 2009 reiettiva della domanda di riconoscimento del beneficio predetto, e 8 settembre 2009, n. 8403, di annullamento della delibera del C.S.M. 27 maggio 2009 di conferimento delle funzioni ed assegnazione all’ufficio di prima destinazione, nella parte relativa all’indicazione della sede di Foggia, ha ritenuto fondata ed assorbente la contestazione di illegittimità derivata del decreto ministeriale da quella delle presupposte delibere del C.S.M..

Appellano la sentenza in epigrafe il Ministero della Giustizia ed il C.S.M., deducendo, per un verso, la piena legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, così come degli atti ad esso presupposti – anche alla luce dell’avviso espresso da questa Sezione in sede cautelare, in riferimento all’istanza di sospensione dell’esecutività della predetta sentenza n. 8403/2009, "con riguardo all’esistenza di altri familiari in grado di assistere i genitori del ricorrente di prime cure" (ord. 15 dicembre 2009, n. 6229) – e, per altro verso, che con delibera di data 9 settembre 2009 il C.S.M. ha reiterato, con diversa motivazione, il diniego di riconoscimento del beneficio in questione ed ha nuovamente assegnato l’interessato al Tribunale di Foggia, e che tale delibera ed il consequenziale decreto ministeriale, sono passati indenni al vaglio del T.A.R. che, con sentenza n. 1151 del 2010 ha respinto il ricorso del dott. M. con l’ampia motivazione riportata nell’atto di appello.

L’appellato non si è costituito.

Con ordinanza n. 1435 del 2010 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.

All’udienza del 12 aprile 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

Emerge dall’esposizione che precede come al momento della decisione sul ricorso n. 7030 del 2009, resa con l’impugnata sentenza n. 1149/2010, fosse già intervenuta la delibera del C.S.M. di data 9 settembre 2009 (impugnata con altro ricorso, deciso con sentenza di rigetto n. 1151/2010) con la quale, a seguito dell’annullamento da parte del T.A.R. del Lazio, con sentenza n. 6339/2009, del precedente diniego di concessione del beneficio della priorità di scelta ex art. 33, comma 5, legge n. 104/1992, l’istanza dell’odierno appellato è stata riesaminata, dando luogo ad un nuovo, diversamente motivato, diniego, in riferimento all’idoneità delle due sorelle dell’istante a prestare assistenza ai genitori portatori di handicap, ed alla nuova assegnazione del dott. M. al Tribunale di Foggia.

Ne deriva che era venuto a mancare, nel corso del giudizio, un presupposto per la definizione nel merito del predetto ricorso, di nessuna utilità, ormai, essendo il chiesto annullamento del decreto del 22 luglio 2009, superato dalla nuova delibera del C.S.M. e dagli atti ad essa consequenziali, sui quali si concentra, ora, l’interesse dell’odierno appellato.

L’appello va, pertanto, accolto, dichiarandosi, in riforma dell’impugnata sentenza, l’improcedibilità del ricorso di primo grado.

Si ravvisano, in considerazione della natura e dell’esito della controversia, motivi di compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara improcedibile il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-07-2011) 01-08-2011, n. 30489 Applicazione della pena

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 27.10.2009 il Tribunale di Pescara in composizione monocratica, in funzione di giudice dell’esecuzione, in sede di opposizione proposta contro precedente provvedimento reiettivo, rigettava ancora l’istanza di D.R.A. tesa ad ottenere declaratoria di estinzione dei reati di cui alla sentenza 17.06.1998 emessa ex art. 444 c.p.p..

Rilevava invero detto giudice come fosse ostativa la commissione, da parte dell’istante, di delitto perpetrato il 05.04.2001, e dunque entro il quinquennio, di cui a sentenza 21.12.2005, a nulla rilevando che la pena di tale ultima sentenza fosse stata dichiarata estinta per indulto e che per la stessa la D.R. avesse poi ottenuto riabilitazione.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetta condannata che motivava l’impugnazione, con atto personale, deducendo: la riabilitazione conseguita, eliminando ogni effetto penale, doveva ritenersi consentire la chiesta estinzione dei reati di cui alla sentenza 17.06.1998. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte depositava quindi requisitoria con la quale richiedeva rigetto del ricorso.

4. Il ricorso, infondato, deve essere rigettato con ogni dovuta conseguenza di legge.

Ed invero l’effetto estintivo ex art. 445 c.p.p., comma 2, è precluso dalla commissione, nei termini di legge, di un nuovo delitto (o contravvenzione della stessa indole) da parte del soggetto che abbia definito il primo addebito ex art. 444 c.p.p..

E’ pacifico che si debba avere riguardo alla commissione di un fatto costituente delitto (o contravvenzione della stessa indole) come evento storico, accertato con sentenza passata in giudicato, quale fattore ritenuto dall’ordinamento penale di immeritevolezza del beneficio dell’estinzione del reato giudicato con il favorevole rito alternativo ex art. 444 c.p.p..

Nè tale disposizione normativa risulta superabile dall’intervenuta riabilitazione in ordine al reato commesso nei termini di legge (nella fattispecie nel quinquennio, trattandosi di delitto).

A tal fine occorre rilevare come l’art. 178 c.p., nel disporre gli effetti della riabilitazione (ed in particolare l’estinzione "di ogni altro effetto penale della condanna"), faccia salva diversa disposizione di legge ("salvo che la legge disponga altrimenti") quale devono intendersi i limiti ostativi ex art. 445 c.p.p., comma 2.

Del resto diversa interpretazione risulterebbe anomala nel sistema, ove si ricordi che l’intervenuta riabilitazione non impedisce l’effetto penale di essere la condanna, oggetto della riabilitazione, comunque ostativa alla sospensione condizionale della pena (v, art. 164 c.p., comma 2, n. 1), effetto, fatto salvo, sicuramente meno rilevante dell’estinzione del reato, e che comunque conferma che la conseguita riabilitazione non annichilisce in toto il fatto storico dell’accertata commissione del reato in questione.

In definitiva il ricorso, infondato nella sua unica prospettazione, deve essere rigettato.

Alla completa reiezione dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente D.R.A. al pagamento delle spese processuali.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-07-2011) 12-09-2011, n. 33787 Esecuzione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 25 febbraio 2011 il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava la propria incompetenza a provvedere sulla istanza di applicazione dell’indulto in favore di D.R.S. dappoichè competente, ai sensi dell’art. 665 c.p., comma 4, il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, giudice dell’esecuzione per aver emesso, quale giudicante della cognizione, l’ultima sentenza di condanna del D.R. stesso passata in giudicato e rimetteva la questione alla Corte di legittimità per la risoluzione del conflitto.

1.2 Chiariva, il tribunale rimettente, di aver investito della questione il Giudice monocratico del Tribunale di Napoli, il quale aveva restituito gli atti sul rilievo che nella fattispecie non troverebbe applicazione l’art. 665 c.p.p., comma 4, richiamato come innanzi, ma la regola generale di cui al comma 1, dell’articolo di riferimento, dappoichè non in costanza di una pluralità di titoli da eseguire, bensì dell’esecuzione di un unico provvedimento, quello in relazione al quale risulta avanzata domanda di applicazione del provvedimento di clemenza.

2. Ciò premesso osserva il Collegio che si verte sicuramente in una ipotesi di conflitto negativo di competenza a norma dell’art. 28 c.p.p., poichè due organi giurisdizionali hanno rifiutato di prendere in esame, in executivis, la richiesta di un provvedimento di indulto, con stasi insuperabile del procedimento di esecuzione.

2.1 Al fine, pertanto, di dare soluzione all’insorto conflitto, giova rammentare che è costante, e priva di contrari opinamenti, la lezione interpretativa di questa Corte di legittimità secondo la quale la determinazione della posizione esecutiva di un soggetto nei cui confronti siano state pronunciate più sentenze di condanna, deve essere necessariamente unitaria e far capo, quindi, ad un unico giudice, che la norma di riferimento, l’art. 665 c.p.p., comma 4, indica nel giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna divenuta irrevocabile per ultima.

Trattasi, sempre per costante insegnamento, di competenza funzionale, assoluta ed inderogabile (Cass. pen., Sez. 1: 15.02.06 n. 8849;15.02.05 n. 26770; 19.01.05 n. 4510; 8.02.05 n. 13067; 3.12.2004 n. 46049; 12.05.2004 n. 23208) che individua il giudice chiamato a provvedere su ogni questione attinente l’esecuzione di una qualsiasi tra le varie sentenze di condanna, indipendentemente dal fatto che detta sentenza sia, o non, compresa nel provvedimento eventuale di cumulo e che la relativa pena sia espiata o risulti in altro modo estinta.

2.2 Nel caso di specie non v’è contestazione in ordine alla circostanza che l’ultima sentenza divenuta irrevocabile sia stata pronunciata dal giudice napoletano, che in forza delle esposte ragioni di diritto va indicato come giudice dell’esecuzione, in quanto tale competente a conoscere in ordine alla domanda di applicazione del condono di cui in premessa (Cass., Sez. 1, 30.1.2008, n. 6075; Cass., Sez. 1, 05/05/2008, n. 19466) 2.3 Seguono le comunicazioni di cui all’art. 32 c.p.p., comma 2.

P.Q.M.

la Corte dichiara la competenza del Giudice monocratico del Tribunale di Napoli, cui dispone trasmettersi gli atti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 24-10-2011, n. 8146 Demolizione di costruzioni abusive

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto di potere definire il giudizio con sentenza in forma semplificata;

Considerato, in fatto, che con il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti la P. s.a.s. impugna la determinazione dirigenziale n. 365 del 2 marzo 2011 con cui Roma Capitale, ai sensi dell’art. 16 l. r. n. 15/08, ha ordinato la demolizione dei manufatti ivi indicati;

Considerato, in diritto, che il ricorso è fondato e merita accoglimento;

Considerato che dall’esame degli atti (si veda la nota prot. n. VN 23624 del 31 maggio 2011 trasmessa da Roma Capitale) emerge che per il fabbricato indicato al punto 4 del provvedimento impugnato (ivi identificato come manufatto posizionato su platea di cemento di mt. 10 x 5 con copertura in legno e dotato di due locali destinati a magazzino e bagno) non deve essere disposta la demolizione essendo per esso stata presentata domanda di condono edilizio n. 32471/05;

Considerato, poi, che il manufatto indicato al numero 1 dell’atto gravato risulta assentito con la concessione in sanatoria n. 253687 del 01/02/01 mentre il fabbricato menzionato al punto 2 è oggetto della richiesta di condono edilizio prot. n. 80590/04;

Considerato che nella fattispecie Roma Capitale deduce di non avere tenuto conto del titolo edilizio e della domanda di condono n. 80590/04 in quanto i relativi manufatti non sono stati rilevati nell’aerofotogrammetria del 13 luglio 2003, circostanza giustificata dalla ricorrente con esigenze connesse alla servitù di elettrodotto esistente nell’area;

Ritenuta, in diritto, fondata la censura con cui è stato dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto d’istruttoria ed illogicità in relazione alla mancata considerazione dell’esistenza della concessione edilizia in sanatoria n. 253687 del 01/02/01 e al fatto che i manufatti esistenti sarebbero tre e non quattro;

Considerato, infatti, che l’amministrazione, ai fini dell’adozione del provvedimento sanzionatorio, avrebbe dovuto espressamente tenere in considerazione il titolo edilizio esistente ed astrattamente idoneo a legittimare il manufatto almeno ai fini dell’annullamento in autotutela dello stesso;

Rilevato, altresì, che dal verbale di accertamento dell’abuso del 10/12/09 prot. n. 91945 e dalla nota di Roma Capitale prot. n. VN 23624 del 31/05/11 non risulta il manufatto indicato al punto 3 del provvedimento impugnato (ivi indicato come "manufatto posizionato su platea di cemento di circa m. 10 x 5 con altezza variabile tra m. 2,60 a m. 3,30 e struttura, chiusure verticali e copertura in legno e dotato di bagno") e, quindi, è da ritenere processualmente provata, in assenza della specifica contestazione della parte resistente costituita, la circostanza dedotta nel ricorso circa l’inesistenza dello stesso;

Ritenuta, poi, fondata la censura (proposta nel ricorso principale e nel ricorso per motivi aggiunti) con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 38 l. n. 47/85, richiamato dall’art. 32 d. l. n. 269/03;

Considerato, infatti, che, in ossequio a quanto previsto dalle norme in esame, il Comune avrebbe dovuto tenuto conto della sospensione dei procedimenti sanzionatori, ivi prevista, e della conseguente impossibilità di ordinare la demolizione prima della definizione, con provvedimento espresso, dei procedimenti scaturiti dalla presentazione delle istanze di condono edilizio relative ai manufatti indicati ai numeri 2 e 4 del provvedimento impugnato (TAR Lazio – Roma n. 4605/11; TAR Campania – Salerno n. 184/11);

Considerato che la fondatezza delle censure in esame comporta l’accoglimento del ricorso principale e del ricorso per motivi aggiunti ed il conseguente annullamento della determinazione dirigenziale di demolizione n. 365 del 2 marzo 2011 (unico fra gli atti impugnati lesivo dell’interesse posto dalla ricorrente a fondamento della domanda caducatoria) con salvezza degli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione, tenendo conto delle indicazioni provenienti dalla presente sentenza, riterrà di adottare nell’esercizio dei poteri di vigilanza e repressione ad essa riconosciuti dalla normativa vigente;

Considerato che la peculiarità della fattispecie giustifica, ai sensi degli artt. 26 d. lgs. n. 104/10 e 92 c.p.c., la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla la determinazione dirigenziale di demolizione n. 365 del 2 marzo 2011 fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione;

2) dispone la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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