T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 19-05-2011, n. 844 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. La ricorrente è proprietaria in zona agricola in Comune di Bardolino di un fondo di 13.360 mq. sul quale insiste un fabbricato rurale, realizzato in forza della licenza edilizia rilasciata il 21.1.1964.

Una parte dell’immobile del volume complessivo di circa 600 mq. è destinata ad abitazione, mentre un’altra è adibita a stalla, fienile e portico.

B. Con delibera n. 8 del 21.1.2005 il Consiglio Comunale di Bardolino adottava una variante al P.R.G. attribuendo una nuova destinazione ad una dozzina di fabbricati non più funzionali alla conduzione del fondo agricolo, in attuazione dell’art. 4 della L.R. n. 24/1985. In forza della detta variante la destinazione d’uso di costruzioni esistenti, ma non più funzionali alle esigenze del fondo agricolo, viene ad essere disciplinata dallo strumento urbanistico.

C. La ricorrente presentava, quindi, l’osservazione alla variante adottata, rubricata al numero 75, con la quale chiedeva di poter destinare a residenza anche la parte d’immobile adibita a stalla, fienile e porticato.

D. Il Consiglio comunale, con voto unanime, accoglieva, ai sensi dell’art. 70 della L.R. n. 61/1985, l’osservazione e modificava nel senso richiesto dalla ricorrente la variante al P.R.G.. Successivamente il Comitato previsto dall’art. 27 della L.R. n. 11/2004 esprimeva parere contrario all’istanza della ricorrente, parere recepito dalla Giunta regionale nella determina impugnata.

E. La ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato:

1) per violazione dell’art. 45 della L.R. n. 61/1985 in quanto in forza della citata disposizione la Giunta ha il potere di apportare modifiche d’ufficio agli strumenti urbanistici adottati dai Comuni in casi tassativi e, segnatamente nell’ipotesi sub n. 6, qualora sia necessario garantire l’osservanza di prescrizioni e vincoli stabiliti da leggi e regolamenti. Orbene, nel caso in esame nessun atto di indirizzo risulta violato dalla deliberazione comunale di accoglimento dell’osservazione n. 75, tanto più che il potere dell’Ente locale di imprimere una nuova destinazione d’uso ad un annesso non più funzionale alla conduzione del fondo è espressamente previsto dall’art. 4 della L.R. n. 24/1985, riprodotto dall’art. 43 della L.R. n. 11/2004. Né, infine, vi sono limiti volumetrici imposti dalla Regione le cui previsioni riguardino esclusivamente ai manufatti da realizzarsi ex novo in zona agricola e non le modifiche della destinazione d’uso di fabbricati non più funzionali all’attività rurale;

2) per eccesso di potere per difetto di motivazione, per violazione art. 3 della legge n. 241/1990 essendo insufficiente a soddisfare l’onere motivazionale sia la motivazione succinta espressa accanto al numero dell’osservazione, sia quella riconducibile alle considerazioni e valutazioni espresse nel parere del Comitato;

3) per eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà e manifesta illogicità, per violazione della L.R. n.24/1985 in quanto l’osservazione presentata dalla ricorrente prevede tutte le caratteristiche indicate nel paragrafo D del parere del Comitato, essendo il fabbricato di cubatura inferiore a 800 mc e non determinando la trasformazione della destinazione né un aumento di cubatura, né una modificazione di area di sedime, né una demolizione e successiva ricostruzione.

F. La Regione Veneto, ritualmente costituita in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso eccependo che l’impugnazione è stata proposta dalla sola sig.ra B. e non anche dagli altri soggetti che hanno presentato l’osservazione respinta. Nel merito la Regione ha sostenuto che il Comune, pur avendo espresso parere favorevole all’osservazione, non ha provveduto a ripubblicare il piano comunale, come previsto dall’art. 70, comma 2, della LR n. 61/1985 con la conseguenza che, in sede di approvazione, legittimamente è stato disatteso il parere ex art. 42 della LR n. 61/1985. La Regione ha, infine, rammentato che la ricorrente e gli altri proprietari dell’immobile avevano presentato anche un’altra osservazione – la n. 74 -, relativa ad altro immobile, accolta in sede di approvazione dello strumento urbanistico.

G. Con ordinanza n. 532 del 27.5.2009 il Collegio ha respinto la domanda di misure cautelari non ritenendo sussistente il requisito del periculum. Tale pronuncia è stata confermata in sede di appello dal Consiglio di Stato.

H. Alla pubblica udienza del 23 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Occorre, innanzitutto, precisare che la mancata notifica del ricorso agli altri soggetti che, unitamente alla sig.ra B., avevano sottoscritto l’osservazione n. 75 alla variante al P.R.G. del Comune di Bardolino non incide in alcun modo sull’ammissibilità dell’impugnazione, giacché evidentemente si tratta di cointeressati al ricorso e non di controinteressati.

2. Nel merito il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento per le seguenti ragioni.

3. Con i primi due motivi la ricorrente lamenta l’illegittimità della determina impugnata per violazione dell’art. 45 della L.R. n. 61/1985 e per difetto di motivazione.

3.1. La ricorrente, unitamente agli altri comproprietari del fondo sul quale insiste l’immobile non più funzionale all’attività agricola, presentava un’osservazione alla variante parziale adottata dal Comune di Bardolino con deliberazione n. 8 del 21.1.2005, chiedendo la riconversione a residenza della parte di fabbricato adibita ad annesso rustico.

3.2. Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che l’osservazione n. 75, accolta dal Comune di Bardolino, è stata respinta dalla Regione rinviando alla "vigente legislazione urbanistica regionale L.R. n. 4/2008, modificativa della L.R. n. 11/2004 e alla specifica circolare esplicativa in materia.".

3.3. Orbene la Regione afferma di avere correttamente inteso l’avviso favorevole del Comune di Bardolino sull’osservazione n. 75, quale mero parere espresso ai sensi dell’art. 42 della L.R. n. 61/1985 e non quale modifica allo strumento adottato ex art. 70 della medesima legge, poiché, al di là dell’espressione letterale utilizzata nella delibera consiliare n. 55/2005, l’Ente locale non ha provveduto alla ripubblicazione della parte del piano interessata dalle modifiche. Ne discende, quindi, ad avviso della Regione, l’inesistenza nel caso di specie di un particolare onere motivazionale in ordine alla reiezione dell’osservazione formulata dalla ricorrente.

4. Tanto premesso osserva il Collegio che, a prescindere dalla qualificazione dell’avviso favorevole all’accoglimento dell’osservazione n. 75 da parte del Comune di Bardolino come modifica allo strumento urbanistico ex art. 70 della L.R. n. 61/1985 o come mero parere ex art. 42 della stessa legge, non è dato comprendere dalla motivazione del provvedimento gravato le ragioni del parere contrario espresso dalla Regione Veneto. E, infatti, dalla stringata motivazione apposta accanto all’osservazione n. 75 non si evincono le ragioni sottese alla modifica d’ufficio apportata giacché, come affermato dalla stessa Amministrazione resistente in sede di memoria ex art. 73 c.p.a., in essa si fa un generico richiamo alla normativa applicabile alle zone agricole nel periodo transitorio conseguente alle modifiche apportate alla L.R. n. 11/2004 dalla L.R. n. 4/2008.

4.1. A tale riguardo rammenta il Collegio che le modifiche apportate dalla L.R. n. 4/2008 alla L.R. n. 11/2004 non attengono specificamente alle disposizioni concernenti il mutamento di destinazione d’uso delle costruzioni non più funzionali allo svolgimento dell’attività agricola e che, dunque, appare ancora più difficile interpretare il richiamo operato alla detta normativa.

4.2. Non viene, infine, in alcun modo esplicitato per quale motivo l’immobile della ricorrente non rientri tra quelli per i quali non sarebbe consentita, attraverso lo strumento urbanistico, la riconversione a residenziale della parte non più funzionale all’attività agricola, tanto più che la modificazione richiesta non determina né un aumento di cubatura, né una modificazione dell’area di sedime, né una demolizione con eventuale successiva ricostruzione.

4.3. Né, infine, è dato comprendere per quale ragione l’accoglimento dell’altra osservazione – rubricata al n. 74 – presentata dalla ricorrente e avente la medesima richiesta relativa però ad altro fabbricato potesse in qualche modo influire sulla presente controversia, atteso che l’Amministrazione resistente non spiega le ragioni per le quali i due fabbricati siano stati ricondotti a situazioni differenti, tali da meritare una diversa determinazione dell’Ente regionale.

4.4. Secondo la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, invero, la presentazione di un’osservazione da parte dei privati interessati da una previsione dello strumento urbanistico adottato incrementa l’onere di motivazione, laddove la discrezionalità, ordinariamente riconosciuta ai Comuni nella formulazione delle scelte urbanistiche, non è ritenuta una spiegazione sufficiente per superare le obiezioni o le richieste puntuali formulate con riguardo a un edificio o a un’area particolare (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 04 ottobre 2010, n. 3724).

5. Alla luce delle predette considerazioni il ricorso appare, quindi, meritevole di accoglimento con conseguente annullamento del provvedimento impugnato nei limiti dell’interesse della ricorrente.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei limiti dell’interesse della ricorrente.

Condanna la Regione Veneto alla rifusione delle spese di lite in favore della ricorrente che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-09-2011, n. 19986 Notificazione

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Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 19 gennaio 2001 B.R. esponeva che il 14 aprile 1981 D.M.P. aveva concesso in locazione alla s.a.s. Radio Vega un appezzamento di terreno in località (OMISSIS) per l’installazione di una cabina, contenente apparecchiature per la diffusione di programmi radiofonici e per l’apposizione di un palo di sostegno della relativa antenna, per la durata di anni dieci; che il contratto era stato rinnovato per un ulteriore decennio; che, avendo acquistato nelle more l’appezzamento di terreno in questione, con raccomandata ricevuta dalla conduttrice il 13 aprile 2000, aveva inviato disdetta del contratto per la scadenza del 14 aprile 2001. Ciò premesso, intimava licenza per finita locazione e conveniva in giudizio Radio Vega per la relativa convalida. A seguito di opposizione della conduttrice, il giudice adito emetteva ordinanza di rilascio e disponeva il mutamento di rito. In esito al giudizio, il Tribunale di Asti condannava Radio Vega al rilascio del terreno. Avverso tale decisione la conduttrice proponeva appello principale mentre il B. proponeva appello incidentale in ordine alla disposta compensazione delle spese ed in esito al giudizio, la Corte di Appello di Torino con sentenza depositata in data 28 febbraio 2005 rigettava entrambi i gravami compensando le spese. Avverso la detta sentenza Radio Vega ha proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo, con due distinti profili. Resiste con controricorso il B..
Motivi della decisione

In via preliminare, si deve soffermare l’attenzione sull’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dal controricorrente, il quale ha rilevato che nel caso di specie, mentre la sentenza impugnata è stata notificata a Radio Vega S.a.s. il 10 maggio 2005, il ricorso per cassazione, proposto dalla ricorrente, è stato notificato al B. presso lo studio del suo procuratore costituito e domiciliatario, avv. Fiorentino Marco, soltanto il 14 luglio 2005, come risulta dall’esame del timbro apposto sull’atto, debitamente firmato dall’ufficiale giudiziario della Corte di Appello di Torino, recante altresì l’indicazione della data e del numero del registro cronologico che l’ufficiale deve tenere.

Ciò posto, considerato che, a norma dell’art. 325 cpv, ove sia intervenuta la notificazione della sentenza, il termine per proporre ricorso per cassazione è di 60 giorni e decorre appunto dalla detta notificazione, avvenuta validamente, ne derivano – questa è la conclusione del controricorrente – la tardività della notifica dell’impugnazione e conseguentemente l’inammissibilità del ricorso de quo.

L’eccezione, pur fondata su rilievi corretti in punto di fatto, non merita però di essere condivisa. All’uopo, vale la pena di prendere le mosse dalla circostanza che, circa sette giorni prima dell’avvenuta notifica, esattamente il 7 luglio 2005, durante il decorso del termine di sessanta giorni, la notificazione dell’impugnazione presso il procuratore costituito del B. non era andata a buon fine in quanto l’ufficiale giudiziario non aveva reperito l’avv. Marco Fiorentino, nel luogo indicato dall’istante, a causa del trasferimento del suo recapito in altra parte della città.

Nella relata di notifica, l’ufficiale giudiziario precisava di non aver potuto notificare il ricorso perchè il procuratore, secondo informazioni assunte in loco, si era trasferito da tempo in (OMISSIS).

Ciò posto, appare opportuno evidenziare i seguenti profili di fatto:

1) come emerge dalla lettura della sentenza notificata, nell’atto di notificazione della sentenza, eseguita meno di due mesi prima, il B. non aveva dichiarato alcun mutamento del domicilio, eletto per il giudizio, da Corso (OMISSIS).

2) nel medesimo momento in cui la notificazione del ricorso per cassazione non andò a buon fine, l’ufficiale notificante fu messo in condizione di conoscere che il procuratore costituito del B. aveva trasferito il suo studio legale in piazza (OMISSIS) ove sette giorni dopo, esattamente il 14 luglio del 2005, riuscì effettivamente ad eseguire la notifica previa consegna a mani della segretaria del domiciliatario.

Ciò premesso, mette conto di sottolineare che la Suprema Corte, nei suoi arresti più recenti, ha modificato il precedente orientamento, secondo cui la questione della conoscenza o conoscibilità del diverso recapito del procuratore non aveva alcun rilievo giuridico, statuendo invece che, in caso di esito negativo della notifica di un’impugnazione, non imputabile al notificante, il procedimento notificatorio può essere riattivato e concluso, anche dopo il decorso dei relativi termini. Invero, se la notifica dell’atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, non si perfeziona per cause non imputabili al notificante, questi non incorre in alcuna decadenza ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame (Cass. 6547 del 2008).

Successivamente, sono intervenute anche le Sezioni Unite statuendo che, qualora la notificazione di atti processuali, da compiersi entro un determinato termine perentorio, non si sia perfezionata per cause non imputabili al notificante, quest’ultimo ha la facoltà e l’onere di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (cfr. Sez. Un. n. 17352/09, Cass. n. 9046/10).

Dall’esame degli arresti giudiziari, sopra riportati nella loro essenzialità, appare pertanto evidente che la più recente giurisprudenza di questa Corte si è tendenzialmente orientata in direzione di un maggiore e più consapevole riguardo alle circostanze soggettive ed oggettive dalle quali sia dipeso il decorso infruttuoso dei termini di impugnazione. Conforme a tale orientamento appare pertanto il principio di diritto applicabile alla vicenda processuale che ci occupa, secondo cui, in tema di notificazione di un atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, qualora la notificazione non si sia perfezionata per cause non imputabili al notificante, ed in particolare a ragione dell’avvenuto trasferimento del difensore domiciliatario non conoscibile da parte del notificante, e l’ufficiale giudiziario abbia appreso, già nel corso della prima tentata notifica, il nuovo domicilio del procuratore, il procedimento notificatorio non può ritenersi esaurito ed il notificante non incorre in alcuna decadenza, non potendo ridondare su di lui la mancata immediata rinotifica dell’atto, da parte dell’ufficiale giudiziario, non dipendente dalla sua volontà, ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la richiesta di notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame.

Nel caso di specie, la rinnovazione della notificazione del ricorso per cassazione al difensore del B.G. è avvenuta ad appena sette giorni dalla prima tentata notifica ed a distanza di quattro giorni dallo scadere del termine, sicchè deve escludersi la decadenza dell’impugnante e la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del controricorrente.

Esaurita tale questione preliminare, deve ora rilevarsi che la doglianza, svolta dalla ricorrente, si articola essenzialmente attraverso due profili: il primo, fondato sulla violazione della L. n. 223 del 1990, artt. 1, 4 e 32; il secondo, fondato sull’asserita omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Ed invero, la sentenza impugnata- così scrive la ricorrente – avrebbe trascurato che, quando un terreno su cui sussiste un impianto di radio diffusione viene rilasciato al suo proprietario libero da persone e cose, l’impianto subisce una radicale modificazione della funzionalità tecnico-operativa per effetto della sua distruzione e per abbandono della posizione su cui quell’impianto, ad essa riferito e tarato, si trovava, cosa che contrasta con la Legge "Marrani", la quale vieta che gli impianti di radio diffusione abbiano a subire modificazioni della loro funzionalità tecnico-operativa.

Entrambi i profili di doglianza sono infondati. A riguardo, mette conto di osservare che le ragioni della decisione impugnata si fondano sulla considerazione che, se dall’ordine di rilascio del fondo deriva la rimozione degli impianti ivi installati, non si è di fronte ad una disattivazione imposta da un provvedimento che abbia imposto una modificazione tecnico-funzionale nel senso inteso dalla L. n. 223 del 1990 ma solo di fronte al riconoscimento del diritto del locatore di riottenere la disponibilità del bene che aveva concesso in locazione. Ciò risulta di ovvia evidenza ove si tenga presente – così scrivono i giudici di seconde cure – che un’eventuale ricollocazione degli impianti con le medesime caratteristiche tecnico-operative non è certamente vietata dalla legge. Del resto – e la considerazione merita di essere sottolineata – non può trascurarsi che l’opinione contraria determinerebbe la spoliazione ex lege del diritto di proprietà degli immobili e l’obbligo, per le emittenti, di continuare indefinitamente la propria attività nel medesimo posto.

Ciò premesso, risulta pertanto evidente l’infondatezza del profilo di doglianza, afferente il preso vizio motivazionale, poichè il giudice di merito, come emerge chiaramente dalle considerazioni riportate, ha argomentato in maniera adeguata sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione .nè è riuscito ad indicare il necessario rapporto di causalità fra le circostanze che sarebbero state trascurate e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quelle circostanze, se fossero state considerate, avrebbero portato ad una diversa soluzione della vertenza. Giova aggiungere inoltre che il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al Giudice di legittimità non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il Giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al Giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al Giudice di legittimità, (così Cass. n. 8808/08 in motivazione) Quanto alla pretesa violazione della L. n. 223 del 1990, artt. 1, 4 e 32 torna opportuno chiarire che, come ha già avuto modo di avvertire questa Corte, la ratio della normativa indicata, è quella di assicurare un regime di concorrenza ordinato nel tempo intermedio tra l’entrata in vigore della legge e la sua completa attuazione con un sistema di concessioni rilasciate ai privati esercenti di imprese di radio diffusione (cfr Cass. n. 5736/04). Pertanto, il divieto di modificazione degli impianti vale soltanto per il periodo transitorio stabilito dalla normativa, mirante ad impedire che, per il periodo precedente l’adozione del piano nazionale di ripartizione delle radio frequenze, l’assetto dei concessionari o comunque dei privati esercenti impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva subiscano mutamenti che potrebbero riverberarsi in danno di altri soggetti. Come scrive la Corte territoriale, si è in presenza di una prescrizione diretta a tener ferma, per il periodo e per i soggetti indicati, la struttura intrinseca e la potenzialità del singolo impianto consentito, senza avere nulla a che vedere con il regime privatistico che collega l’esercente la stazione emittente con chi concede l’uso del terreno su cui installare gli impianti di radio diffusione, in quanto la normativa in materia radiotelevisiva non prende in considerazione lo specifico rapporto tra locatore e conduttore del terreno, che rimane regolato dal codice civile e dalle norme speciali sulle locazioni.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dai profili di doglianza dedotti, consegue il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 21-06-2011, n. 5498 Sospensione dei lavori

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Il Signor S.A.G. impugna dinanzi a questo Tribunale l’ordinanza sindacale n. prot. n. 575 del 4 maggio 1990 con la quale gli è stato contestato l’abusivo mutamento della destinazione d’uso dell’appartamento di sua proprietà sito in Roma, Via Padova n. 21 da abitazione ad ufficio privato nonché di avere eliminato il vano cucina nel ridetto appartamento, di talché gli ha ingiunto la sospensione dei lavori e la rimozione delle opere abusivamente realizzate.

Il ricorrente sostiene che il provvedimento sindacale adottato nei suoi confronti sia illegittimo per genericità, per carenza di istruttoria e dei presupposti dell’atto repressivo in quanto il mutamento di destinazione d’uso dell’appartamento è avvenuto nel lontano 1981 quando l’ordinamento all’epoca non rendeva necessario alcun titolo abilitativo, tenuto conto che non furono realizzate opere di alcun tipo.

Da qui il ricorso con richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

2. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale contestando analiticamente le avverse prospettazioni e confermando la correttezza del comportamento posto in essere dagli Uffici competenti.

Con ordinanza n. 1195 del 1990 questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare avanzata dalla parte ricorrente.

Depositate ulteriori memorie da parte del Comune resistente, il ricorso è stato trattenuto per la decisione all’udienza pubblica dell’11 maggio 2011.

3. – Dalla documentazione prodotta dal Comune può ricostruirsi lo sviluppo istruttorio che ha condotto all’adozione dell’ordinanza sindacale qui impugnata.

E’ anzitutto confermato (ma ciò non viene contestato dal ricorrente) che vi sia stato mutamento di destinazione d’uso dell’appartamento di Via Padova in Roma da abitazione ad ufficio turistico (agenzia di viaggi) nonché l’intervento di eliminazione del vano cucina.

E’ altresì specificato che per l’abuso in questione non è stata mai presentata alcuna domanda di condono edilizio.

4. – Nel settore edilizio il mutamento di destinazione di uso consiste nel variare la destinazione per la quale l’immobile è urbanisticamente destinato. Esso può essere realizzato con opere, ed in tal caso è soggetto a licenza o concessione ovvero a semplice autorizzazione, a seconda del tipo di intervento, o senza opere ed in tal caso è soggetto a semplice autorizzazione.

Ne discende che, salva una diversa caratterizzazione del territorio, ai fini del legittimo mutamento d’uso "funzionale" di un locale, inteso quale variazione di destinazione degli immobili non implicante la realizzazione di opere edilizie, non essendo richiesta concessione edilizia, è illegittimo l’ordine sindacale di demolizione, motivato con l’assenza o la difformità di idoneo titolo concessorio.

Viceversa, l’ipotesi di un mutamento di destinazione d’uso non già funzionale, bensì strutturale (e, cioè, connesso e conseguente all’esecuzione di opere) necessita di apposita concessione il cui difetto legittima la demolizione delle opere stesse; in detta evenienza rileva, infatti, il profilo risultante dalla combinazione dei due elementi individuati (il mutamento di destinazione d’uso del fabbricato interessato ai lavori e la realizzazione di opere a quello finalizzata) sicché in difformità, ovvero in difetto, di concessione, andranno considerate abusive non solo le opere di costruzione vere e proprie ma anche quei lavori interni che, per quanto modesti, appaiono necessari a rendere possibile la nuova destinazione.

Nel caso di specie – tenuto conto della forza fidefacente dei documenti redatti dagli Agenti della Polizia municipale che hanno svolto il sopralluogo (depositati dalla difesa dell’Amministrazione resistente) – è confermato che il mutamento di destinazione d’uso è avvenuto con opere, in particolare l’eliminazione del vano cucina, di talché si ricade nella ipotesi di mutamento strutturale per il quale avrebbe dovuto essere richiesto l’apposito titolo abilitativo.

Ne deriva che l’intervento realizzato dal ricorrente va classificato come abusivo e che, quindi, pur l’ordinanza sindacale appare legittima anche perché espressamente precisa in motivazione le caratteristiche dell’intervento abusivo contestato.

Del resto è confermato che il ricorrente non ha presentato mai domanda di condono dell’abuso di cui sopra.

5. – In ragione di tutto quanto si è sopra esposto il Collegio reputa infondate le censure dedotte dalla parte ricorrente, di talché il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno imputate alla parte ricorrente in favore del Comune resistente, in applicazione dell’art. 91 c.p.c. novellato per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., liquidandosi nella misura complessiva di Euro 2.000,00 (euro duemila/00), come da dispositivo.
P.Q.M.

pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna il ricorrente, Signor S.A.G., a rifondere le spese di giudizio in favore del Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-06-2011) 05-07-2011, n. Esecuzione 6212

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso del 28.1.2010 G.V., assistito dal difensore di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza resa il dì 11 gennaio 2011 dalla Corte di Appello di Palermo, con la quale è stata rigettata la sua istanza volta ad ottenere il computo di un anno di reclusione, a titolo di fungibilità, sulla pena complessiva inflitta con la sentenza del 28.1.2010, in relazione a quella già espiata in esecuzione della sentenza resa a suo carico il 31.3.1998, tutte ricomprese nel cumulo del 22.9.2010.

A sostegno della domanda la difesa ricorrente lamenta, per un verso, l’erronea applicazione del principio di fungibilità in contrasto con quello del favor rei e con le regole stabilite dall’art. 81 c.p. e, per altro verso, che nell’applicazione del beneficio del condono avrebbe dovuto il G.E., una volta sciolta la continuazione, fare riferimento alla pena edittale minima relativa ai singoli reati e non già ai singoli aumenti di pena a tale titolo determinati.

2.2 Il P.G. in sede, con requisitoria ampia e diffusamente motivata, ha concluso per il rigetto della domanda.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 La Corte distrattuale infatti ha fatto corretta applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, in forza della quale devono essere computate, perchè fungibili tra loro, solo le pene espiate dopo la commissione del reato in relazione alle quali si invoca la fungibilità.

Nel caso in esame, infatti, la pena espiata va dal 29.3.1996 al 29.3.2000 e con essa risulta eseguita la sentenza di condanna resa il 32.3.1998. Quest’ultima sentenza è stata però ritenuta in continuazione con quella del 28.1.2010 e computata in aumento di anni tre di reclusione con il residuo di un anno di espiazione pena sine titulo.

Tenuto pertanto conto che tutti i reati di cui alle sentenze portate dal cumulo operato in relazione alla posizione dell’istante sono stati commessi in epoca successiva all’espiazione della pena cessata il 29.3.2000, consegue che l’anno di pena espiato sine titulo di cui alla sentenza del 31.3.1998 non può essere computato a titolo di fungibilità, essendo la pena espiata antecedente e non successiva alla commissione dei reati.

3.2 Quanto, infine, alla doglianza relativa al computo delle pene condonabili, richiama la Corte la lezione giurisprudenziale di questo giudice di legittimità secondo cui, in caso di scioglimento della continuazione, la pena relativa ai reati satellite cui applicare il condono è quella pari all’aumento conteggiato a mente dell’art. 81 c.p. e non già la pena minima edittale prevista per i singoli reati (Cass., SS.UU., 23.4.2009, n. 21501, Astone).

4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato, a mente dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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