Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-01-2011) 15-03-2011, n. 10412 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 25.1.2010 il Gip dei Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza avanzata da D.L. D., volta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 cod. proc. pen., in relazione a tutti i reati oggetto del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica di Milano.

In specie, il giudice dell’esecuzione rilevava che, pur non incombendo a carico dell’istante un onere di allegazione degli atti necessari ai fini della valutazione dei presupposti per il riconoscimento della continuazione, tuttavia, è necessario che l’istante indichi i reati in relazione ai quali viene prospettata l’unitaria determinazione criminosa; mentre, nel caso di specie era stata avanzata una richiesta del tutto generica.

2. Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso, personalmente, il D.L. il quale lamenta sostanzialmente l’erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione con riferimento all’art. 671 c.p.p., comma 1, deducendo che, con tutta evidenza, l’istanza si riferiva a reati del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti commessi nel medesimo arco temporale (2006); pertanto, il giudice dell’esecuzione era tenuto a motivare sulla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 671 cod. proc. pen..

Risulta allegata, altresì, una memoria a firma del ricorrente che si riferisce ad altro procedimento relativo ad istanza per la misura della detenzione domiciliare.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Nella ordinanza impugnata correttamente si richiama il principio secondo il quale, In tema di riconoscimento della continuazione ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., è necessario che l’istante indichi i reati in relazione ai quali viene prospettata l’unicità del disegno criminoso, rilevando che tale onere non poteva, nella specie, ritenersi soddisfatto avendo l’istante chiesto l’applicazione della continuazione in relazione a tutti i reati di cui al provvedimento di esecuzione di pene concorrenti.

Di contro, nel ricorso in esame il D.L. si è limitato a sostenere che l’istanza doveva ritenersi riferita al reati commessi nell’anno 2006, come desumibili dal provvedimento di esecuzione di pene concorrenti. Si tratta, quindi, di ricorso palesemente generico.

Il requisito della specificità dei motivi trova la sua ragione di essere nella necessità di porre il giudice dell’impugnazione in grado di individuare i punti e i capi del provvedimento impugnato oggetto delle censure: inerisce al concetto stesso di "motivo" di impugnazione l’individuazione di questi punti ai quali la censura si riferisce (Sez. 4, n. 25308, 06/04/2004, Maviglia, rv. 228926). Si tratta di un requisito espressione di un’esigenza di portata generale, che implica, a carico della parte, non solamente l’onere di dedurre le censure che intende muovere a uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato (Sez. 4, n. 24054, 01/04/2004, Distante, rv. 228586).

Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile ai sensi del combinato disposto dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. b) e art. 581 c.p.p., lett. c).

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 500,00 (cinquecento) in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 500 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 25-03-2011, n. 1843

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Vengono in decisione gli appelli proposti dal Comune di Nervesa della Battaglia e da B.C. s.p.a., entrambi volti ad ottenere la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione II, 31 luglio 2006, n. 2222.

1. La sentenza di primo grado, in accoglimento del ricorso proposto da Associazione Italia Nostra Onlus, ha annullato gli atti del Comune di Nervesa della Battaglia e della Regione Veneto relativi all’approvazione ai sensi della legge regionale del Veneto 1° luglio 1999, n. 23, di un Programma integrato di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale (PIRUEA) inerente l’ampio bacino di cava che si trova in quella località.

Alla pubblica udienza dell’11 gennaio 2011, gli appelli sono stati trattenuti per la decisione.

2. Occorre innanzitutto disporre la riunione degli appelli che oggi vengono in decisione, stante l’evidente connessione oggettiva e soggettiva, trattandosi di ricorsi avverso la medesima sentenza.

Prima di esaminare il merito dei ricorsi, deve essere dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’Associazione Italia Nostra Onlus, in quanto evidentemente tardiva, essendo avvenuta direttamente in udienza nonostante l’instaurazione del contraddittorio risulti rituale.

3. Sempre in via preliminare, il Collegio prende atto della rinuncia del signor Daniel Mauro (interveniente ad adiuvandum in primo grado), nei cui confronti deve, pertanto, essere dichiarata l’estinzione del giudizio, con compensazione delle spese di lite.

4. Nel merito, i ricorsi devono essere respinti.

5. Non hanno pregio, in primo luogo, le censure con le quali, gli appellanti fanno valere, sotto diversi profili, l’inammissibilità e/o l’irricevibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse e di legittimazione dell’associazione Italia Nostra,

Sussiste l’interesse al ricorso, in quanto il P.I.R.U.E.A., per quanto non ancora efficace al momento della proposizione del gravame, aveva, tuttavia già assunto, come correttamente ha osservato il Tribunale amministrativo regionale, un contenuto stabile ed irreversibile per effetto della delibera del consiglio comunale 10 novembre 2005 n. 66, con cui il Comune di Nervesa ha deciso di non sottoporlo alla procedura di VIA di cui alla l.r. Veneto 26 marzo 1999, n. 10. Nemmeno è corretto ritenere che il Piano doveva ancora essere approvato dalla Regione. La Giunta regionale, con deliberazione n. 2032 del 16 luglio 2005, ha infatti approvato il P.I.R.U.E.A. e lo ha definito intervento di pubblica utilità teso alla qualificazione dei siti interessati alle escavazioni e alla creazione di aree destinate ad attività naturalistiche e sportive, precisando ulteriormente che l’intervento in esame, consistente in meri movimenti di terra, era da ritenersi esonerato del regime normativo della l.r. Veneto 7 settembre 1982, n. 44.

Anche alla luce del contenuto della delibera regionale, deve pertanto ritenersi che, sebbene il Piano non risultasse ancora pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione, il suo procedimento di formazione doveva ritenersi sostanzialmente concluso. Risulta, quindi, condivisibile l’affermazione con cui il Tribunale amministrativo ha rigettato l’eccezione di irricevibilità (rectius: inammissibilità) del ricorso originario, rilevando che il Piano fosse ormai divenuto (almeno nella parte ritenuta lesiva) stabile e irreversibile.

6. Parimenti va respinta il motivo con cui si deduce il difetto di legittimazione al ricorso di Italia Nostra. Secondo l’appellante, Italia Nostra non è legittimata perché il Piano impugnato è uno strumento urbanistico che non incide in alcun modo sul bene ambiente o paesaggio, avendo, al contrario l’effetto di consentire il recupero di un’area degradata.

Il motivo non ha pregio, in quanto l’associazione ambientalista Italia Nostra nel caso di specie contesta che tramite uno strumento apparentemente urbanistico (il Piano impugnato) si sia in realtà dato vita al raddoppio del bacino di cava, con un impatto particolarmente negativo sull’ambiente e sul paesaggio. Italia Nostra ha sostenuto infatti che il P.I.R.U.E.A. anziché promuovere un programma di recupero ambientale, autorizza una vera e propria attività di cava, senza la preventiva V.I.A. e ricorre per evitare gli effetti negativi sull’ambiente e sul paesaggio che tale autorizzazione comporterebbe.

Il Collegio, quindi, indipendentemente dall’indirizzo giurisprudenziale (richiamato dalle appellanti) secondo cui la legittimazione delle associazioni ambientaliste ha natura eccezionale e va riconosciuta a condizione che il provvedimento che si intende impugnare leda in modo diretto ed immediato l’interesse all’ambiente (cfr. Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2007, n. 5560; IV, 9 novembre 2004, n. 7246; IV, 30 settembre 2005, n. 5205; IV, 16 dicembre 2003, n. 8234; V, 23 ottobre 2002, n. 5824; IV, 9 ottobre 2002, n. 536), rileva che nel presente giudizio tale legittimazione debba essere comunque riconosciuta, perché il provvedimento impugnato ha una diretta e immediata rilevanza ambientale.

Le ulteriori considerazioni con cui le appellanti sostengono che il Piano non lede l’ambiente, ma mira in realtà a riqualificare un’area degradata, sono considerazioni che attengono semmai alla fondatezza dei motivi fatti valere da Italia Nostra, ma non possono essere prese inconsiderazione per negare, in limine litis, la legittimazione dell’associazione al ricorso.

7. Ugualmente infondato è il motivo con cui si sostiene l’inammissibilità dell’intervento spiegato in primo grado dall’Associazione italiana per il World Wide Fund.

Le appellanti deducono che poiché l’associazione WWF ha una posizione identica a quello di Italia Nostra, vantando il medesimo interesse all’annullamento degli atti impugnati e la stessa legittimazione ex lege al ricorso, essa avrebbe dovuto proporre autonomo ricorso, con la conseguenza che l’intervento in giudizio, spiegato dopo la scadenza del termine per ricorrere, dovrebbe ritenersi tardivo.

Si tratta di un assunto non condivisibile.

Certamente il WWF deve ritenersi cointeressato rispetto al ricorso proposto da Italia Nostra (si trova, infatti, in una identica posizione di ente esponenziale dell’interesse ambientale, legittimato, ex lege, ad impugnare).

Non è condivisibile, tuttavia, la conclusione secondo cui l’intervento del cointeressato è sempre inammissibile se spiegato dopo il termine per proporre autonomo ricorso.

Anche nel processo amministrativo, così come nel processo civile, può distinguersi, infatti, un interesse adesivo autonomo o litisconsortile (con il quale il terzo interveniente propone una domanda propria, sebbene connessa con quella principale) e l’intervento adesivo dipendente (con il quale il terzo si limita a chiedere l’accoglimento della domanda già proposta dal ricorrente, senza ampliare in alcun modo il thema decidendum, proponendo autonomi motivi di ricorso).

E’ evidente che, mentre il primo tipo di intervento, traducendosi nella proposizione di un vero e proprio ricorso, deve essere spiegato nel termine di decadenza previsto per impugnare in via autonoma; al contrario, il secondo tipo di intervento (quello adesivo dipendente), non consentendo la proposizione di autonomi motivi, può avvenire anche quando il termine per impugnare in via principale è già decorso.

In tale ultimo caso, infatti, l’interveniente non propone un autonomo ricorso, ma si limita a chiedere l’accoglimento di quello proposto in via principale, accettando il processo nello stato e grado in cui esso si trova.

Sotto questo profilo, quindi, l’intervento dell’Associazione WWF è ammissibile, ferma restando l’inammissibilità di eventuali motivi di ricorso da questa proposti che risultino nuovi rispetto a quelli fatti valere dall’originario ricorrente.

8. La sentenza di primo grado deve essere confermata anche nel merito.

L’art. 2 della legge regionale del Veneto n. 23 del 1999, prevedendo che il programma integrato ha valore di piano urbanistico attuativo del piano regolatore generale, non solo attribuisce al P.I.R.U.E.A., la qualifica e la funzione di piano gerarchicamente subordinato al P.R.G., ma esclude che possa approvarsi il P.I.R.U.E.A. senza che sia stato approvato il P.R.G. (non potendosi evidentemente attuare un P.R.G. che ancora non esiste).

Nel caso di specie, invece, il P.I.R.U.E.A. è stato, invece, adottato quando il Comune di Nervesa della Battaglia aveva ancora un P.R.G. soltanto adottato, ma non ancora definitivamente approvato. In quel momento, pertanto, lo strumento urbanistico vigente (come si legge nella relazione generale del P.I.R.U.E.A.) era rappresentato dal programma di fabbricazione, ma tale strumento urbanistico non era sufficiente, in base alla legge regionale sopra richiamata, per procedere all’approvazione del P.I.R.U.E.A.

Sotto questo profilo, la tesi delle appellanti, secondo cui il P.I.R.U.E.A. avrebbe efficacia differita all’entrata in vigore del P.R.G., rappresentando contestualmente variante del medesimo, non risulta convincente, sia perché non può ammettersi una variante ad un P.R.G. non ancora approvato (in quanto la variante presuppone che esista l’atto da modificare), sia perché finisce comunque per disattendere l’art. 2 della citata legge regionale n. 23 del 1999 che, come sopra detto, esclude comunque che il P.I.R.U.E.A. possa essere adottato quando ancora non è vigente un P.R.G. da attuare.

Né può richiamarsi l’art. 48 bis della legge regionale del Veneto 20 ottobre 2004, n. 20 in quanto l’attuazione ivi prevista di varianti conseguenti all’approvazione di programmi integrati ai sensi della legge regionale n. 23 del 1999 presuppone comunque la vigenza di un piano regolatore generale, alla luce del chiaro disposto dell’art. 2 della stessa legge regionale n. 23 del 1999.

Non può venire in considerazione neanche l’articolo unico, comma secondo, della legge regionale del Veneto 3 settembre 1987, n. 51, atteso che la previsione contenuta in tale disposizione (volta a consentire ai Comuni provvisti di programma di fabbricazione di dotarsi di piani attuativi anche in deroga allo strumento urbanistico generale) valeva soltanto sino al 30 giugno 1998.

9. La sentenza di primo grado va confermata anche laddove ha ravvisato la violazione, da parte del P.I.R.U.E.A. adottato degli artt. 1 e 3 della legge regionale n. 23 del 1999.

In particolare, l’art. 3 di questa legge regionale prevede, al primo comma, che il P.I.R.U.E.A. "non può interessare, se non marginalmente ed in quanto necessarie per assicurare l’unitarietà dell’intervento, le seguenti zone territoriali omogenee: (…) agricole".

Il secondo comma dell’art. 3 precisa poi che nelle "zone E sono comunque consentiti i programmi integrati finalizzati al recupero ambientale di aree degradate o da valorizzare nei loro aspetti paesaggistici".

Nel caso di specie, la marginalità è senz’altro da escludersi perché il programma integrato riguarda un’ampia area agricola (l’ambito spaziale dell’intervento passerebbe da 1.360.000 mq a 1.750.000 mq, con un aumento di circa il 25%), che non risulta affatto degradata, tanto che, come rivela il Tribunale amministrativo, tale era stata classificata sia dal Comune (in sede di adozione dello strumento urbanistico generale), sia dalla Regione (in sede di approvazione dello stesso), come zona da sottoporre a particolare tutela in considerazione del valore significativo delle sue coltivazioni.

Sotto tale profilo, le critiche che l’appellante rivolge alla sentenza di primo grado (deducendo che la marginalità dell’area agricola andrebbe valutata non in assoluto ma in termini relativi) non meritano condivisione in quanto prospettano una interpretazione della norma che contrasta con il suo chiaro tenore letterale.

Non condivisibile neanche l’argomento secondo cui il P.I.R.U.E.A., costituendo variante al P.R.G., comporterà nel momento in cui acquisterà efficacia con l’approvazione, un cambio di destinazione urbanistica del’intera area che da zona territoriale omogenea "E’ diventerà Z.T.O. "F", come tale non può soggetta ai limiti di cui all’art. 3 della legge regionale sopra citata.

Per confutare tale argomento è sufficiente richiamare le argomentazioni sopra svolte in ordine all’impossibilità di riconoscere al P.I.R.U.E.A. l’efficacia di variante di un P.R.G. non ancora vigente.

11. L’appello non è convincente anche nella parte in cui contesta che il P.I.R.U.E.A. determini l’autorizzazione allo svolgimento di una attività di cava che, come tale, avrebbe richiesto il previo espletamento della procedure di VIA.

A differenza di quanto sostiene l’appellante, l’attività estrattiva di cui si discute integra un’attività di cava in quanto si sostanziale in un movimento di terra connesso e seguito dalla commercializzazione del materiale estratto. Le opere in questione rientrano quindi nel campo di applicazione della legge regionale n. 10 del 1999 che impone la VIA per le cave e torbiere con più di 350.000 mc/anno di materiale estrattivo o di un’area interessata superiore a 15 ha (parametri tutti ampiamente superati dal P.I.R.U.E.A. in esame)

12. Le considerazioni svolte confermano l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado e consentono di respingere gli appelli proposti, con assorbimento di ogni ulteriore censura.

Gli appellanti, in ragione della soccombenza, vanno condannati in solido al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro 3.000,00 oltre agli accessori di legge, a favore sia dell’Associazione Italiana World Wide Fund, sia dei signori Fabio Lorenzetto, Ruggero Del Favero, Sergio Cesca, Silvano Rasera, Reanto Pol, Luigino Della Libera, Gianni Mestrineri (questi ultimi con il vincolo della solidarietà attiva).
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

prende atto della rinuncia dei signor M.D. e dichiara nei suoi l’estinzione del giudizio, con compensazione delle spese;

dichiara inammissibile la costituzione dell’Associazione Italia Nostra Onlus;

riunisce gli appelli e li respinge.

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro 3.000,00 oltre agli accessori di legge, a favore sia dell’Associazione Italiana World Wide Fund, sia dei signori Fabio Lorenzetto, Ruggero Del Favero, Sergio Cesca, Silvano Rasera, Reanto Pol, Luigino Della Libera, Gianni Mestrineri (questi ultimi con il vincolo della solidarietà attiva).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-02-2011) 15-04-2011, n. 15446 bancarotta fraudolenta

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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di questa stessa città che aveva dichiarato A.G. – nella qualità di amministratore della società S.A.M.A. srl, dichiarata fallita con sentenza del 23 settembre 1998 – del reato di bancarotta fraudolenta documentale, ai sensi della L. Fall., art. 217, nn. 1 e 2 (per avere omesso di depositare la situazione contabile patrimoniale alla data del dichiarato fallimento, unitamente ai libri sociali ed alle scritture contabili), assolvendolo invece dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale a lui ascritto nello stesso capo d’imputazione.

Avverso la sentenza anzidetta, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Lamenta, in particolare, che i giudici di merito, nel riconoscere la sua qualità di mero prestanome, abbiano ritenuto la sua colpevolezza in ordine al reato in questione, nonostante fosse emerso che avesse assunto la carica di amministratore solo nel 1997 e, a quella data, la società fosse oramai una scatola vuota essendo stata spogliata dei suoi beni dai precedenti amministratori, che avevano pure occultato la documentazione contabile. Inoltre, esso istante non era neppure socio nè era mai occupato dell’amministrazione della società, che, di fatto, era gestita da altri.

Il secondo motivo d’impugnazione deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza della legge sostanziale con riferimento alla L. Fall., art. 216 e art. 2392 c.c, sul rilievo che la responsabilità di esso istante era stata fatta discendere dalla violazione dei doveri discendenti dalla posizione di garanzia rivestita ai sensi dell’art. 2392 c.c., che avrebbe potuto essere positivamente evocata solo per reati puniti a titolo di colpa, ma non per quelli, come il reato in questione, puniti a titolo di dolo, secondo giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Nel caso di specie, avrebbero dovuto al più ravvisarsi gli estremi della bancarotta semplice.

2. – Le censure – esaminabili congiuntamente, stante l’identità di ratio contestativa che le accomuna – sono palesemente infondate.

Ed invero, è frutto di insindacabile accertamento di merito, in quanto compiutamente argomentato sulla scorta delle emergenze di causa, l’assunto che l’imputato, amministratore formale della società dal 30.4.1997, abbia operato come mero prestanome di altri.

Sicchè il titolo di imputazione, in riferimento al contestato reato di bancarotta fraudolenta documentale, è stato correttamente radicato in siffatta qualità, in ragione dell’assunzione che le relative funzioni comportano, dei doveri di vigilanza e di controllo di cui all’art. 2932 c.c. (cfr., per l’ipotesi di bancarotta semplice, Cass. sez. 5, 23.6.2009, n. 31885, rv. 244497).

D’altronde, con specifico riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, è ius receptum, alla luce di costante insegnamento di questa Corte regolatrice, che l’amministratore di diritto risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, sia se abbia agito di comune accordo con questi, sia in virtù dei principi generali che regolano la responsabilità penale. Da un canto, infatti, l’art. 40 c.p., comma 2 stabilisce che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, dall’altro è obbligo degli amministratori vigilare sul generale andamento della gestione, nonchè di fare quanto in loro potere per impedire il compimento di atti pregiudizievoli, ovvero di eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 5, 27.5.1996, n, 580, rv. 205058). La valenza del principio anzidetto cede nei soli casi in cui consti che l’amministratore sia rimasto completamente estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri ovvero lo stesso dimostri o chieda di dimostrare la totale dissociazione dall’operato degli stessi gestori (cfr., nello stesso senso, id. Sez. 5, 3.6.2005, Ambrosin). La fattispecie in questione non integrava certamente l’ipotesi derogatoria. Ed infatti, la sentenza in esame, integrata per quanto di ragione dalla motivazione della sentenza di primo grado – che, stante la convergenza in punto di penale responsabilità, forma con la prima una sola entità giuridica – ha sufficientemente argomentato in ordine al convincimento che l’imputato abbia dato un contributo causale alla realizzazione della fattispecie prevista e punita dalla L. Fall., art. 216, ritenendo peraltro insussistenti gli estremi per il riconoscimento della meno grave ipotesi della bancarotta semplice.

3. – Per quanto precede, il ricorso è inammissibile ed alla relativa declaratoria conseguono le statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-04-2011) 04-05-2011, n. 17259

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con richiesta pervenuta il 1 marzo 2011, la Procura generale presso la Corte d’appello d’Ancona ha chiesto che venisse designata, ai sensi dell’art. 724 c.p.p., comma 1 bis, la Corte d’Appello competente a svolgere una rogatoria chiesta dal Tribunale commissariale civile e penale della Repubblica di San Marino nell’ambito di un procedimento penale nei confronti di C. M., cittadino italiano, indagato per il reato di riciclaggio di somme di danaro di sospetta provenienza.

2. La rogatoria richiesta consiste nello svolgere accertamenti presso due società, di cui una con sede in Livorno ed un’altra con sede in Pesaro, onde accertare se nei loro riguardi erano stati segnalati movimenti anomali di assegni e cambiali.

3. Tenuto conto dei parametri di cui all’art. 724 c.p.p., comma 2, ritiene questa Corte opportuno designare, per l’espletamento della chiesta attività istruttoria, la Corte d’Appello di Ancona, che per la sua ubicazione geografica, potrà meglio espletare gli accertamenti istruttori richiesti.

4. Ai sensi dell’art. 724 c.p.p., comma 1 bis, dovrà comunicarsi la presente decisione ai Ministero della giustizia.
P.Q.M.

Determina la competenza della Corte di appello di Ancona, cui dispone la trasmissione degli atti.

Si comunichi al Ministero della giustizia.

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