Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-09-2011, n. 19365 Diritti della personalità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.R. e M.R., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sul minore C.A., con ricorso depositato il 4 febbraio 2005, chiedevano al Tribunale di Palermo la condanna del Ministro dell’Istruzione, del Centro servizi amministrativi di Palermo, e di P.G., al risarcimento dei danni da essi subiti, anche nella qualità, a seguito dell’ illegittimo trattamento di taluni dati personali ad essi riferibili.

Narravano che entrambi, in quanto professori presso un istituto scolastico di Palermo, avevano occupato le prime due posizioni nell’elenco dei perdenti posto di cui all’art. 7, comma 5, del contratto collettivo della scuola applicabile, avvantaggiandosi di un particolare punteggio previsto in ragione delle condizioni di salute del figlio A., ai sensi delle disposizioni della L. n. 104 del 1992. Era accaduto che P.G., professore presso il medesimo istituto, inserito nella stessa graduatoria perdenti posto ma in posizione inferiore rispetto ad essi ricorrenti, aveva chiesto al Dirigente scolastico di visionare, attraverso accesso agli atti, la documentazione che aveva consentito di precederlo ai sensi della citata L. n. 104 del 1992.

Quindi lo stesso P. aveva, a mezzo lettera raccomandata inviata all’Ufficio di segreteria per la conciliazione presso il Centro Servizi amministrativi di Palermo, avanzato richiesta di tentativo di conciliazione, lamentando in quella missiva che la graduatoria da lui contestata era stata formulata sul presupposto errato della sussistenza dei requisiti capaci di far godere ad essi ricorrenti i benefici di cui alla citata L. del 1992. Ai sensi del vigente contratto collettivo nazionale della scuola l’istanza, contenente un riferimento ai problemi di salute del predetto minore, era stata affissa nell’apposito albo del Centro Servizi. I ricorrenti individuavano in tali circostanze una condotta illegittima tanto del professor P. quanto delle indicate Amministrazioni. Resisteva il Ministero chiedendo il rigetto del ricorso facendo rilevare che l’affissione nell’albo del Centro Servizi Amministrativi, quest’ultimo mera branca organizzativa priva di autonoma personalità, era stata effettuata ai sensi del contratto collettivo della scuola e che peraltro la documentazione prodotta dai ricorrenti a sostegno della loro pretesa di miglior punteggio non era mai stata consegnata ad alcuno, tanto meno al professor P..

Si costituiva anche il predetto professore P. resistendo e rilevando di essersi limitato ad inoltrare l’istanza innanzi menzionata in busta chiusa e di non essere in alcun modo responsabile degli atti successivi compiuti dalla Pubblica Amministrazione.

Chiedeva in via riconvenzionale di essere risarcito del danno per lite temeraria.

Il Tribunale di Palermo riteneva anzitutto che l’informazione relativa allo stato di salute del figlio minore dei ricorrenti costituisse dato personale sensibile esclusivamente con riguardo al minore, in quanto capace di rivelare lo stato di salute di costui soltanto. Riteneva che invece quanto ai ricorrenti, genitori del minore, l’informazione connessa allo stato di salute del figlio costituisse mero dato personale e non dunque anche dato sensibile.

Quindi riteneva che la richiesta di accesso avanzata dal professor P. fosse stata correttamente considerata ammissibile dalla Pubblica Amministrazione che l’aveva ricevuta, giacchè fondata su di un diritto di rango pari a quello dell’interessato, come previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 60, ovvero sulla tutela di un diritto risalente alla protezione costituzionale del lavoro. Escludeva quindi ogni illegittimità nella condotta del professor P. avendo lo stesso, per tutelare siffatto suo diritto di rango costituzionale, semplicemente richiesto, e quindi ottenuto, di visionare una documentazione per verificare se, nella specie, il suo diritto fosse stato conculcato. Riteneva infatti l’istanza di accesso soggetta al vaglio di una pubblica autorità alla quale quindi soltanto spettava non soltanto il potere di assentire alla richiesta stessa ma anche di determinarsi in conseguenza della delicatezza dei diritti in contesa.

Escludeva che la richiesta del tentativo di conciliazione avesse costituito illecito ovvero dato luogo a circostanza cui ricondurre causalmente la lesione lamentata.

Il giudice del merito quindi, passando all’esame della condotta della PA, condividendo la ritenuta inesistenza di alcuna autonoma soggettività in capo al Centro Servizi, e dunque individuando quale soggetto legittimato passivo il solo Ministero convenuto, riteneva anzitutto che la pubblicazione di dati personali e non anche sensibili, peraltro prevista dal contratto collettivo nazionale, non potesse costituire illecito. Riteneva invece, sulla base della distinzione dei dati in questione, ritenuti sensibili solo con riferimento alla persona del minore di età, che nella specie operasse il disposto dell’art. 22 del D.Lgs., in esame, comma 8, in base al quale i dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi. Ad avviso del Tribunale di Palermo dunque l’Amministrazione una volta ricevuto l’atto non poteva diffonderlo rendendolo pubblico mediante l’affissione ad un albo, in quanto comunque contenente un riferimento ad un dato sensibile. Riteneva del tutto irrilevante ad escludere tale illegittimità il rilievo del contratto collettivo nazionale vigente prevedente per l’appunto siffatta modalità di diffusione senza eccezione alcuna, essendo detta fonte normativa negoziale e dunque dovendo essa cedere di fronte al dato legislativo appena citato. La pubblica Amministrazione dunque, ad avviso del Tribunale di Palermo, ricevuta l’istanza di tentativo di conciliazione contenente dati sensibili relativi ad un soggetto terzo rispetto a coloro sui quali la contrattazione collettiva poteva produrre effetti, non avrebbe dovuto procedere all’affissione pubblica dell’istanza ma piuttosto dare luogo a comunicazioni dirette e riservate agli interessati. Pertanto il Tribunale, esclusa ogni lesione del patrimonio dei ricorrenti C. e M., e riconosciuta invece la lesione subita dal minore, rappresentato dai predetti, liquidava in via equitativa in favore del minore soltanto i danni lamentati,nella somma complessiva di Euro 1000,00 oltre interessi. Negava anche la sussistenza in capo ai ricorrenti del diritto a vedersi risarcito il cosiddetto danno riflesso. Negava quindi la sussistenza dei presupposti necessari alla emissione di una condanna risarcimento del danno per lite temeraria e dunque rigettava sul punto la richiesta del P.. Condannava invece i ricorrenti in proprio e nella qualità a corrispondere a quest’ultimo le spese di lite ed a rimborsare al Ministero il 50% delle spese legali dal medesimo sostenuto. Condannava il Ministero ha rimborsare ai ricorrenti, nella qualità, le spese da essi sostenute per far valere le ragioni del minore quantificandole nel 50% di quelle da essi complessivamente sostenute, in quanto l’altro 50% riteneva fosse stato sostenuto per far valere le pretese avanzate in proprio.

Contro questa sentenza ricorrono per cassazione con atto articolato su sei motivi C.R. e M.R. in proprio e nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sul figlio minore A..

Ha resistito con contro ricorso il solo professor P. G..

Non si sono costituiti il Ministero per l’Istruzione Università e Ricerca, intimato, nè il Garante per la tutela dei dati personali al quale il ricorso è stato notificato.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso i coniugi C. – M. lamentano relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 1, 2, 3, 4, 6, 17, 18, 19, 20, 21, 22, nonchè degli artt. 2 e 3 Cost., della Repubblica. Lamentano altresì la motivazione omessa insufficiente e contraddittoria con riferimento al punto in questione, ritenuto decisivo della controversia. I ricorrenti contestano l’affermazione del Tribunale secondo il quale, con riferimento alla divulgazione del dato di cui si tratta, esso costituirebbe, si è detto, dato personale quanto ai due genitori ed anche dato sensibile quanto al minore. Ritengono invece che il dato stesso sia sensibile anche con riferimento ai due genitori, e ritengono tale errore all’origine della esclusione di ogni diritto al risarcimento del danno in capo ad essi direttamente. Ritengono altresì che tale erronea differenziazione sia stata causa della ritenuta legittimità della diffusione ovvero della riferibilità del trattamento contestato alle funzioni istituzionali dell’Amministrazione. Sostengono che tutti i dati, personali e sensibili, debbono essere trattati con accorgimenti e cautele previste dalla normativa in questione ed affermano che, anche andando oltre l’errore della inesatta distinzione criticata , il Tribunale ha mancato di motivare in relazione ad una propalazione che è stata comunque eccessiva.

1.A. Ritiene il collegio che la doglianza, in qualche punto ripetitiva, individui, nel nucleo essenziale riassunto riguardante la distinzione tra dato sensibile e dato personale, la necessità di una migliore precisazione dei principi in gioco.

La trama normativa che consente di ricostruire sul piano giuridico la vicenda che ne occupa muove dall’art. 1 del D.Lgs. di cui si tratta.

Esso recita: "chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano". E’ di tutta evidenza la ampiezza dell’oggetto della protezione,giacchè l’uso della dizione "dati personali che lo riguardano" fa diventare "personali" tutti i dati che, per l’appunto, quale che ne sia l’origine ontologica, riguardano la persona che rivendica la protezione in questione.

L’art. 4, quindi, nel chiarire i concetti essenziali che strutturano la normativa alla lettera d) qualifica dato personale, "qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, enti o associazioni, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale".

Ritiene il collegio che con tale espressione la legge ha inteso individuare ogni circostanza trattabile come dato, ovvero capace di essere raccolta in un archivio per qualsivoglia successivo trattamento, in quanto riferibile ad una persona e capace di consentirne la identificazione.

Infine, e per quanto riguarda la questione oggetto del motivo di ricorso, alla lett. d), l’articolo stesso definisce come dati sensibili, quelli, "idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni di carattere religioso, filosofico, politico sindacale, nonchè i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".

Da tale previsione il Tribunale di Palermo trae la conclusione che il dato relativo alla salute che rileva è quello riferibile alla sola persona del soggetto vittima di una condizione negativa di salute.

Il collegio ritiene siffatta distinzione eccessiva rispetto alla finalità della legge, e dunque arbitraria.

1.a. E’ opportuno partire, per risolvere la questione, dalla differenza di regime giuridico attribuita al dato sensibile rispetto al più generico dato personale.

Per il secondo in via di principio va detto che l’interessato, ovvero il soggetto al quale il dato si riferisce e che il dato identifica, ha diritto di ottenere conferma della esistenza o meno "di dati che lo riguardano con l’indicazione dei medesimi, delle finalità e delle modalità del trattamento" art. 7 D.Lgs. del 2003). Ha diritto di ottenere l’aggiornamento, la rettificazione o, quando vi ha interesse, l’integrazione che ritiene o la cancellazione o la trasformazione in forma anonima, ed in ogni caso i dati stessi devono essere trattati in modo lecito e secondo specifiche regole che si possono definire di correttezza. Essi devono essere espliciti, legittimi, esatti, aggiornati, per temi pertinenti, completi , e non eccedenti rispetto alla finalità dichiarata. I dati sono custoditi e controllati anche in relazione alla conoscenza acquisita sulla base del progresso tecnico, alla natura dei medesimi e alle caratteristiche del trattamento, così che si evitino rischi di distruzione, perdita, o diffusione; ed ovviamente, chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento dei dati stessi è tenuto a risarcirlo anche se non patrimoniale.

I dati personali facenti parte della elencazione di cui alla lettera d) precedentemente citata, ovvero i dati sensibili, ricevono un ulteriore specifico trattamento, anzitutto con l’art. 20 del D.Lgs..

Il principio è quello espresso al numero 1 della norma suddetta, secondo il quale il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge, nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati, nonchè "le operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite".

La restante parte dell’art. 20 disciplina quindi le specifiche modalità di operazioni eseguibili rispetto a tali dati sensibili da parte di soggetti pubblici. Conclusione che se ne trae è che la storica esperienza dell’uso discriminante, arbitrario, oppressivo, di dati della persona che per la loro delicatezza, (si pensi a quelli che riguardano opinioni politiche, adesione a partiti, origine razziale, ovvero come dimostra anche la attualità, quelli relativi a specifiche malattie particolarmente invalidanti oppure ad una vita sessuale particolare, da parte delle Pubbliche Amministrazioni e dei Governi, ha fatto prescrivere che qualunque catalogazione di tali dati e qualunque uso se ne intenda fare debbano essere autorizzati dalla legge.

Quindi la norma si preoccupa, per il caso in cui la legge specifichi la finalità di interesse pubblico che giustifica il trattamento ma non indichi le modalità nè i tipi di dati sensibili ai quali il trattamento si dovrebbe riferire, di stabilire l’intervento del Garante che, caso per caso, determina modi e tempi di particolare protezione. Infine la norma precisa che laddove la legge non prevede il trattamento di uno specifico dato, pur rientrante nella categoria della sensibilità, dovrà allora affidarsi al Garante l’individuazione, previo accertamento dell’interesse pubblico al trattamento stesso, dei modi nei quali esso può essere portato a termine.

1.b. Osserva il collegio che la protezione assegnata al dato sensibile non è solo più forte di quella assegnata al dato meramente personale. Essa è qualitativamente diversa, giacchè sottolinea l’interesse pubblico ad un trattamento rispettoso di fondamentali principi di convivenza democratica e sociale. Al punto che essa, in realtà, rende insufficiente la sola autorizzazione al trattamento da parte del titolare del dato, ovvero da parte del soggetto che pure riveste quella posizione culturale, religiosa, politica, oppure di salute, ritenuta abbisognevole di protezione anche con la tutela della sua riservatezza. Infatti l’art. 26, operante fuori del caso dell’utilizzo del dato sensibile da parte di una Pubblica Amministrazione, precisa ancora un fondamentale principio secondo il quale essi dati possono essere trattati solo previo consenso scritto dell’interessato ed autorizzazione del Garante. A dimostrazione che non si tratta solo di un interesse, per quanto fondamentale, del soggetto la cui situazione culturale, politica o sanitaria può essere racchiusa in un dato, ma si tratta invece di un princìpio generale di ordine pubblico delle relazioni tra i soggetti. Sinteticamente,dunque, ritiene il collegio possa dirsi che ogni dato che consenta l’identificazione in capo ad un soggetto di una situazione di debolezza, di disagio, ovvero di una situazione e l’esperienza storica ha dimostrato possa dar luogo a situazioni discriminatorie ovvero lesive dei diritti del titolare del dato stesso, viene prudenzialmente protetto in maniera più forte che non qualunque dato che attenga alla generica riservatezza della persona, con un regime che implica per definizione l’intervento del Garante, quanto meno accanto alla volontà del titolare, se non addirittura in via ed in misura prevalente. Esistono insomma particolari disagi o pericoli di particolari disagi nei confronti dei quali il legislatore ha voluto che il dato personale che ne consente il disvelamento sia particolarmente vigilato. In ragione, appunto, della strutturale ed ontologica pericolosità del disvelamento.

Pertanto, che una notizia riguardante la salute di un minore sia in quanto tale dato personale e sensibile, relativamente al minore stesso, è fuori questione.

Non può dirsi invece che non sia parimenti dato personale e sensibile anche relativamente ad altre persone, come i genitori, alle quali la legge, individuando una specifica diretta conseguenza negativa della malattia, analoga a quella che risente l’ammalato, ovvero individuando un disagio avente la stessa origine fattuale, riconosce per l’appunto il diritto ad ottenere uno specifico beneficio. In definitiva lo stato di salute del figlio, considerato espressamente dalla legge a fondamento di un diritto del padre, e pertanto dato personale del padre stesso,appare pervaso dalla stessa intrinseca delicatezza che fa individuare una necessità di riservatezza ed un disagio analoghi a quelli che si riferiscono all’ammalato nel momento in cui egli espone ad un terzo, ovvero ad una Pubblica Amministrazione, la propria malattia.

Esistono, insomma,a parere del collegio, informazioni che appartengono alla persona non tanto perchè attinenti la fisicità della stessa ma perchè la cultura, nel tempo, ha spinto, all’atto in cui essa individua il patrimonio giuridico della persona, a porre dentro di esso una particolare protezione a fronte della maturata consapevolezza sociale dell’ esistenza di un peso meritevole di aiuto. Nel caso che ne occupa si tratta della protezione (prevista dalla L. n 104 del 1992, ma in generale tutte le provvidenze che il sistema giuridico riconosce alla famiglia dell’ammalato portatore di handicap) che deriva dall’essere legato ad obblighi genitoriali di assistenza verso un ammalato. E’, dunque, l’obbligo di assistenza che rende personale un dato che nasce sensibile nella situazione soggettiva di altra persona. E tale dato non perde la sua caratteristica di "sensibilità", non diventa dunque meno sensibile, per il fatto che va a strutturare anche il patrimonio di altra persona, diversa da quella dell’ammalato, ma tenuta al carico, anche sociale, della stessa malattia. Dunque, e ciò va precisato anche in considerazione della funzione nomofilattica della Corte oltre che per la rilevanza che detta precisazione può rivestire nella soluzione della vicenda, la distinzione fatta dal Tribunale di Palermo, tra dati meramente personali e dati anche sensibili, certamente corretta sul piano esegetico e sistematico, non trova applicazione nella specie. Giacchè il dato sensibile, letteralmente tale in capo al minore, in quanto caratterizza il complessivo statuto dei diritti che fanno capo al padre lavoratore e pervaso dalla stessa delicatezza culturale, è anche dato sensibile riferibile a questi. La estensione del dato in questione, necessitata dalla richiesta di una provvidenza quale quella di cui alla Legge n 104 citata, conduce ad una dolorosità ed a rischi di discriminazione sociale che riguardano appunto il genitore, cosicchè il trattamento di tali dati da parte di una PA deve rispondere alle cautele che la legge ha connesso a quei dati.

Conclusivamente deve dirsi che il dato sulla salute, ovvero riguardante una condizione negativa di salute di una persona, che da luogo a conseguenze giuridiche nel patrimonio di familiari tenuti agli obblighi di assistenza, e che per tale caratteristica necessita di ostensione, deve essere assistito dalla protezione del dato sensibile anche quando identifica la persona del familiare predetto, ovvero il suo statuto di diritti.

1.c. Tutto ciò premesso ciò che nella specie rileva a risolvere la controversia è che l’informazione sanitaria in questione è stata trasmessa alla Pubblica Amministrazione dai coniugi C., perchè essa ne facesse uso nell’interesse di essi medesimi.

L’autorizzazione all’uso della informazione, e dunque al connesso trattamento, prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 20, n. 1, assolve nella vicenda ad una funzione specifica, che è di riconoscere che il patrimonio del fornitore dell’informazione è in qualche modo arricchito, a compenso del disagio di una specifica assistenza, da uno specifico diritto, che riguarda il punteggio concorsuale previsto dalla legge. Allora, come è organico alla materia del trattamento dei dati, la comunicazione dell’informazione la quale avviene nell’interesse di chi la trasmette, consente a questi di controllare la relazione tra l’uso che ne viene fatto e la funzione al quale l’uso deve assolvere.

Orbene l’art. 11 del D.Lgs., in questione, intitolato alle modalità del trattamento dei requisiti dei dati, chiarisce alla lettera d) che i dati personali oggetto della eventuale diffusione, debbono essere, tra l’altro, pertinenti, completi e "non eccedenti" rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati.

Cosicchè qualunque dato personale trasmesso dal titolare nel proprio interesse, deve essere trattato in modo che il trattamento stesso non ecceda la funzione. La quale , nel caso che ne occupa, era quella di anzitutto verificare la sussistenza del diritto al beneficio giuridico di cui alla L. n. 104 del 1992, e quindi, nel caso di contestazione della legittimità dell’attribuzione del punteggio, di consentire i necessari diritti di difesa a tutti gli interessati.

Il problema concreto che si poneva, e che il giudice del merito ha risolto nel modo che si è detto, era quello l della relazione tra la funzione pubblica esercitata e la protezione che spetta a siffatto dato, sensibile oltrechè personale.

Ritiene pertanto il collegio che correttamente il giudice del merito ha ritenuto, ancorchè non abbia adoperato siffatta espressione, eccedente, ovverosia non delimitata dai confini logici della funzione pubblica, la affissione in bacheca la quale era tale da consentire anche al pubblico non avente interesse giuridicamente rilevante, di conoscere la situazione riservata in questione. La PA ben avrebbe potuto assolvere alle essenziali necessità di comunicazione in forme riservate, ed osservare eventuali obblighi di pubblicazione indicando semplicemente che vi era stata una richiesta di procedura conciliativa e che essa era conoscibile nei suoi particolari solo dai titolari di interessi giuridicamente differenziati. Ovvero ben avrebbe potuto fare uso del potere di rivolgersi al Garante, ai sensi del comma n. 3 dello steso art. 20 citato, e chiedere con quali modalità detto dato dovesse essere trattato perchè fosse soddisfatta tanto la riservatezza quanto la trasparenza della attività amministrativa nei confronti dei controinteressati professori.

1.d. Consegue che la doglianza dei ricorrenti deve essere accolta sul punto del mancato riconoscimento della lesione del loro patrimonio giuridico personale per effetto della diffusione dei predetti dati, sensibili anche con riferimento ad essi.

2. Con il secondo motivo di ricorso i due ricorrenti lamentano violazione delle stesse norme del D.Lgs., innanzi menzionate, nonchè è ancora la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria con riferimento al punto stesso, decisivo della questione. Sostengono che il Tribunale ha errato nell’escludere ogni responsabilità in capo al professor P.. Ritengono che il rango degli interessi coinvolti fosse diverso e che dunque già la semplice richiesta di accesso ai documenti in questione da parte del P. e quindi la ricezione della copia degli atti allo stesso sia stata illegittima e lesiva.

2.a. Il motivo è infondato. Il professor P. ha fatto uso di un diritto previsto dalla legge, e peraltro, come ha stabilito il Tribunale di Palermo, fondato ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs. in questione, sulla tutela del suo diritto al lavoro, che non è, come sembrano credere i ricorrenti,posizione di rango costituzionale soltanto quando tocca la difesa del posto di lavoro. La tutela prevista dalla Costituzione si estende a tutte le articolazioni concrete del medesimo e dunque il professor P., che ha fatto uso di un diritto, per l’appunto dotato della più alta protezione giuridica consentita nel nostro ordinamento, non ha fatto, nè cagionato, danno ad alcuno, secondo una nozione di causalità adeguata.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano ancora la violazione delle stesse norme indicate al primo motivo del decreto legislativo n. 196 del 2003. Quindi ancora la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sul relativo punto decisivo.

3.a. Il motivo è sostanzialmente ripetitivo di quello precedente giacchè ancora una volta sostiene la responsabilità del professor P. nella richiesta di copia degli atti e di accesso. Esso è dunque infondato per le stesse ragioni esposte nell’esame del motivo che precede.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano anzitutto, ancora una volta, la violazione delle stesse norme del D.Lgs. n. 196 del 2003, menzionate ai primi motivi. Quindi lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., nonchè dell’art. 432 cod. proc. civ..

Quindi, ancora, lamentano la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., e, sempre, la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sul relativo punto. Sostengono l’errore del giudice di merito nell’aver ritenuto di liquidare equitativamente il danno richiesto nella qualità. Sostengono che il Tribunale ha mancato di istruire adeguatamente il punto, e peraltro ha mancato di valutare compiutamente gli esiti dell’istruzione ricorrendo affrettatamente allo strumento equitativo.

4.a. La doglianza è generica nella parte in cui non chiarisce in concreto quali circostanze emerse dall’istruttoria il giudice avrebbe trascurato e quali prove testimoniali sarebbero stati utili in tal senso, e su quali circostanze. E’ peraltro infondato nella parte in cui, con qualche ripetitività, allega violazioni di legge già proposte nei motivi precedenti e già esaminate.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione delle medesime norme, innanzi indicate, del D.Lgs. n. 196 del 2003, quindi degli artt. 1223, 2056, 2059 cod. civ., del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167. Infine ancora lamentano la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria con riferimento al punto decisivo della controversia. Sostengono che il Tribunale ha errato nel negare il riconoscimento del risarcimento del cosiddetto danno esistenziale riflesso. Nella specie infatti, sia pure astrattamente, la vicenda sarebbe riconducibile al delitto di cui all’art. 167 del D.Lgs., in questione. Pertanto sulla base di tale astratta riconducibilità il giudice del marito avrebbe dovuto per l’appunto risarcire il danno richiesto.

5.a. Il motivo è infondato. L’art. 167 del D.Lgs., in questione richiede letteralmente, perchè il reato possa essere configurato, dunque anche in astratto, il fine da parte dell’agente di trame per sè profitto ovvero di recare ad altri danno. Nella specie è del tutto evidente come ha adeguatamente accertato il giudice di merito, che l’intento del professor P. era di esercitare una specifica e prevista sua facoltà. Il P., secondo tale accertamento, ha esercitato i propri diritti rivolgendosi, in modo peraltro riservato, alla pubblica amministrazione. Nemmeno in astratto è individuabile la riconducibilità di tale condotta alla figura specifica di delitto di cui si tratta.

6. Con l’ultimo motivo i ricorrenti, allegando ancora la violazione delle norme di legge sempre citate della intestazione di ciascuno dei precedenti motivi, lamenta altresì la violazione dell’art. 2233 cod. civ., nonchè degli artt. 91 e 92 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, art. 24, e segg., della L. n. 1051 del 1957, art. 1, della L. 3 agosto 1949, n. 536, art. 1. Infine ancora lamentano la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sul punto, decisivo, in questione. Affermano che il tribunale erroneamente ha liquidato le spese di giudizio andando al di sotto dei minimi di tariffa, che non ha tenuto conto della domanda relativa al cosiddetto danno riflesso e dunque non ha considerato tale domanda ai fini delle spese, che non ha tenuto conto della differenza di attività professionali svolte dalle parti liquidando le stesse somme a titolo di spese di giudizio, tanto ai ricorrenti quanto ai resistenti. Ha errato infine nel condannare essi coniugi in proprio al pagamento delle spese di lite.

6.a. La doglianza è complessivamente è generica laddove manca di individuare in concreto le specifiche voci di tariffa che sarebbero state omesse o violate. E’ infondata nella parte in cui allega a fondamento la domanda di riconoscimento del cosiddetto danno riflesso giacchè il giudice di merito ha escluso ogni danno al patrimonio dei ricorrenti.

7. Il fondamento del primo motivo nel senso precisato conduce alla cassazione della sentenza sul punto con rinvio del causa ad altro giudice del merito che provvederà ad esaminare la domanda di risarcimento diretta dei coniugi C. – M., il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questa fase tra gli stessi ricorrenti e la Pubblica Amministrazione. I ricorrenti vanno invece condannati al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti del resistente P..
P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione nei confronti della Pubblica Amministrazione e lo respinge nei confronti di P.G.. Cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia anche per le spese al Tribunale di Palermo in persona di diverso magistrato. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti di P.G. e le liquida in Euro 1.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi nonchè alle spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 03-10-2011, n. 20243 Notificazione a mezzo posta

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o.
Svolgimento del processo

D.C.T., nato in (OMISSIS), ricorre per cassazione, sulla base di un motivo, avverso il decreto del Giudice di pace di Lecce in data 30 ottobre 2008, che ha dichiarato inammissibile il ricorso, con il quale il cittadino straniero ha proposto opposizione all’ordine di lasciare il territorio nazionale, impartito dal Questore di Lecce il 28 luglio 2008 in ragione del decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Lecce il 13 settembre 2007.

L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.
Motivi della decisione

Il ricorso per cassazione è inammissibile, in quanto notificato a mezzo del servizio postale con raccomandata tardivamente spedita il 17 dicembre 2009, oltre il termine di decadenza previsto dall’art. 327 c.p.c., e non risultando prodotto in atti l’avviso di ricevimento di detta raccomandata comprovante l’effettiva e valida instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’Amministrazione intimata, che non ha svolto difese in questa sede (Cass. 2005/2722).

Stante la mancanza di attività difensiva del Ministero dell’Interno, nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-06-2011, n. 5510 Opere pubbliche

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Svolgimento del processo

Espone il ricorrente raggruppamento avente quale Capogruppo mandataria I. di essere stato individuato dalla Regione Veneto, all’esito di una procedura pubblica, quale Promotore per la concessione di progettazione, realizzazione e gestione della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta.

Alla stessa ATI veniva riconosciuto un diritto di prelazione ai sensi dell’art. 154 del D.Lgs. 163/2006. con bando pubblicato il 24 ottobre 2006 la stessa Regione indiceva la procedura ristretta per l’individuazione dei soggetti da porre in competizione con il Promotore

All’esito della prima fase della procedura, venivano individuati due concorrenti, fra i quali la costituenda ATI S.I.S. (odierna controinteressata).

La successiva fase di procedura negoziata (fra l’ATI I. e l’ATI S.I.S.) si concludeva con l’aggiudicazione della concessione in favore della prima in forza del diritto di prelazione da essa esercitato, sull’offerta presentata da S.I.S.

L’aggiudicazione della gara veniva impugnata dall’ATI S.I.S. dinanzi al T.A.R. del Veneto, che accoglieva il ricorso incidentale presentato da I. e respingeva il ricorso principale di S.I.S.

Tale pronunzia veniva, tuttavia, riformata in appello.

In ottemperanza alla relativa pronunzia (n. 3944 del 2009), resa dalla Sezione V del Consiglio di Stato, la Regione Veneto (deliberazione di Giunta n. 1934 del 30 giugno 2009) disponeva l’aggiudicazione in favore dell’ATI S.I.S., subordinando peraltro l’efficacia del provvedimento alla verifica del possesso, in capo a quest’ultima, dei prescritti requisiti.

La delibera di Giunta Regionale veniva, peraltro, impugnata dinanzi al T.A.R. del Veneto da I..

Nel segnalare come, a far tempo dal 15 agosto 2009, la competenza ai fini dell’adozione degli atti della procedura di gara sia transitata in capo al Commissario Delegato per l’emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nell’area interessata dalla realizzazione della Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta (nominato con O.P.C.M. 15 agosto 2009 n. 3802), sottolinea parte ricorrente che l’ATI S.I.S. (in particolare, la mandante I.I. S.A.) non sarebbe in possesso dei prescritti requisiti.

In pendenza del completamento della procedura di verifica del possesso dei requisiti, nondimeno l’Autorità commissariale consegnava ad ATI S.I.S. le attività di progettazione.

La sottoscrizione della convenzione per la concessione della Pedemontana Veneta ad ATI S.I.S. interveniva, quindi, in data 21 ottobre 2009; in pari data risultando essere stata conclusa anche la suindicata procedura di verifica dei requisiti, con esito favorevole per il raggruppamento da ultimo indicato.

Nel sottolineare come la documentazione presentata, all’atto della partecipazione alla gara, dalla mandante I.I. siano assenti taluni elementi aventi invece imprescindibile rilievo ai fini dell’ammissione alla procedura, rileva la ricorrente come la suindicata mandante, in sede di verifica dei requisiti, abbia documentato il possesso dei requisiti stessi – assumendo di possederli direttamente – laddove questi ultimi farebbe invece capo a Società da I. indirettamente partecipate.

Per nessuna di queste ultime Società sarebbe stata prodotta alcuna delle dichiarazioni prescritte dall’art. 49 del Codice dei contratti pubblici; né la stessa I. avrebbe mai dichiarato di volersi avvalere dei requisiti delle Società medesime, così come non risulterebbe comprovata l’effettiva disponibilità delle risorse delle imprese ausiliarie relative a tali requisiti per tutta la durata della concessione.

Dall’esame della documentazione prodotta da ATI S.I.S., emergerebbe che I. ha comprovato il possesso dei prescritti requisiti esclusivamente indicando i requisiti posseduti da quattro società concessionarie autostradali dalla medesima partecipate dal 2004 attraverso un’articolata catena societaria.

Nel ribadire come il raggruppamento aggiudicatario non abbia mai dichiarato di voler fare ricorso all’istituto dell’avvalimento – e nel sottolineare come gli importi richiesti dal Disciplinare di gara siano raggiunti da I. solo computando per intero il volume di affari della Società Autopista de Atlantico (Audasa) per gli anni 20012005 (e, quindi, anche il periodo 20012003, nel quale la predetta concessionaria autostradale era del tutto estranea ad I. e per l’anno 2004, nel quale la partecipazione indiretta di quest’ultima era nella misura del 70%) – esclude parte ricorrente che la suddetta mandante vanti il possesso dei requisiti di che trattasi; pertanto argomentando l’illegittimità della disposta aggiudicazione.

Per quanto concerne le quattro società i cui requisiti avrebbero integrato i requisiti di partecipazione di I. (Autopista de Atlantico – Audasa, Autopista AsturLeonesa – Aucalsa, Autopistas de Navarra – Audenasa, Autoestradas de Galicia – Autoestradas), parte ricorrente ne sottolinea il carattere, nel quadro delle pertinenti disposizioni del diritto spagnolo, di "filiali": in quanto tali, con autonoma soggettività giuridica, proprio capitale e propri organi sociali.

Ne consegue che I. non avrebbe potuto imputare a se medesima i requisiti facenti capo alle suddette Società, né in alcun modo utilizzarli (fuori dalla fattispecie dell’avvalimento ex art. 49 del D.Lgs. 163/2006, nel caso in esame non dichiarato) ai fini della partecipazione alla gara.

Assume per l’effetto parte ricorrente che l’avversata aggiudicazione in favore dell’ATI controinteressata avrebbe consumato la violazione:

– della normativa nazionale; ed in particolare, dell’art. 49, comma 2, lett. a), c), d), e) ed f) del Codice dei Contratti in materia di avvalimento;

– della normativa comunitaria (artt. 47, comma 2 e 48, comma 3, della Direttiva 2004/18/CE).

La convenzione di concessione stipulata fra il Commissario delegato e l’ATI S.I.S. in data 21 ottobre 2009 sarebbe – inoltre – nulla, atteso che a tale data era ancora pienamente efficace la misura cautelare sospensiva di cui al decreto del Presidente della V Sezione del Consiglio di Stato n. 4737 del 25 settembre 2009, venuta meno soltanto alla successiva data del 22 ottobre 2009 per effetto del rigetto dell’istanza cautelare (proposta da I.) da parte della medesima Sezione (ordinanza n. 5285).

Con motivi aggiunti notificati alle controparti l’11 novembre 2010, I. ha poi impugnato il decreto del Commissario delegato n. 10 del 20 settembre 2010, recante approvazione del progetto definitivo della Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta, con accessiva declaratoria della pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell’opera.

L’illegittimità dell’atto sopra indicato viene argomentata da I. assumendo che esso sia inficiato in via derivata per effetto della sostenuta invalidità dell’affidamento ad ATI S.I.S. della concessione dell’opera, avversata con il ricorso introduttivo alla stregua delle considerazioni in precedenza riportate.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

Sollecita ulteriormente parte ricorrente il riconoscimento del pregiudizio asseritamente sofferto a seguito dell’esecuzione dell’atto impugnato, chiedendo:

– in via principale, la reintegrazione in forma specifica, previa dichiarazione di nullità della convenzione sottoscritta da ATI S.I.S.;

– subordinatamente, il risarcimento per equivalente, con riveniente accertamento del danno (che parte ricorrente quantifica, con riferimento all’intera durata della concessione, in due miliardi di euro) e condanna dell’Amministrazione intimata alla liquidazione della somma a tale titolo spettante.

L’Amministrazione commissariale intimata e la Regione Veneto, parimenti costituitesi in giudizio, hanno eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

Si è inoltre costituita in giudizio Società Consorzio Stabile S.I.S. S.c.p.a., la quale ha proposto ricorso incidentale (depositato in giudizio il 7 gennaio 2010) assumendo che la ricorrente principale sarebbe stata, a sua volta, priva dei requisiti per la partecipazione alla gara.

In particolare:

– uno dei direttori tecnici di I. (ing. Osvaldo Zedda) avrebbe omesso di dichiarare l’eS.I.S.tenza di un pregiudizio penale (applicazione della pena a mesi sei di reclusione su richiesta delle parti) risultante dagli atti di altra gara alla quale la stessa I. ha preso parte;

– alcuni direttori tecnici avrebbero omesso di presentare le dichiarazioni ex art. 38, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. 163/2006;

– analoga omissione sarebbe stata commessa da taluni soggetti aventi, a seguito di conferimento di procura, potere di rappresentanza di I. (rammentandosi come le dichiarazioni di cui alla lett. c) dell’art. 38 debbano essere presentate anche con riferimento ai procuratori ed ai direttori tecnici che risultino essere cessati dalla carico nel triennio antecedente la pubblicazione del bando);

– I. avrebbe omesso di garantire con idonea cauzione la proposta presentata in qualità di promotore in relazione al bando di gara pubblicato sulla GU n. 262 del 10 novembre 2006;

– le fidejussioni versate in atti dall’ATI I. sono sottoscritte unicamente dalla capogruppo mandataria, la quale non sarebbe stata investita, con specifico mandato, del potere di stipulare i contratti di garanzia in nome e per conto di tutti i soggetti del raggruppamento;

– le fidejussioni stesse sarebbero, comunque, irregolari per violazione degli artt. 75 e 155 del D.Lgs. 163/2006;

– le dichiarazioni sostitutive presentate dai componenti dell’ATI I. (R.D.E. S.p.A.; G. L.F. S.p.A.; Serenissima Costruzioni S.p.A.) relative all’insussistenza di cause di esclusione sarebbero generiche e, quindi, nulle;

– il previsto contributo obbligatorio all’Autorità di Vigilanza per i Contratti pubblici sarebbe stato versato soltanto in concomitanza con la seconda fase di gara;

– talune mandanti della predetta ATI vanterebbero un capitale sociale inferiore a quanto richiesto;

– l’offerta dell’ATI I. non recherebbe l’indicazione, relativamente alla società di progetto, delle quote di partecipazione al capitale sociale di ciascun componente il raggruppamento.

Inoltre, sia il Promotore Pedemontana Veneta S.p.A., sia la ricorrente principale I., risulterebbero partecipate da soggetti pubblici, con riveniente violazione delle applicabili prescrizioni di cui all’art. 13 del decreto legge 223/2006, convertito in legge 248/2006.

La ricorrente incidentale ha, poi, chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 234 del Trattato, in ordine alla compatibilità con gli artt. 43 e 49 del Trattato stesso della disciplina del project financing, segnatamente per quanto concerne il diritto di prelazione consentito in favore del promotore ex art. 154 del D.Lgs. 163/2006.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza dell’8 giugno 2011.
Motivi della decisione

1. Appare necessario procedere ad una preventiva ricognizione del complesso di vicende che hanno dato luogo all’instaurazione della presente controversia.

1.1 Nell’ambito della procedura di project financing promossa dalla Regione Veneto per la realizzazione della Superstrada Pedemontana Veneta, assumeva la figura di Promotore Pedemontana Veneta S.p.A. (appositamente costituita il 19 giugno 2002), la quale presentava una prima proposta nel 2002 (dichiarata di pubblico interesse con deliberazione della Giunta Regionale del 9 ottobre 2002 n. 3095), modificata poi il 31 dicembre 2003 (con accessivo ulteriore riconoscimento di pubblico interesse di cui alla delibera di Giunta del 30 dicembre 2004).

Seguivano, quindi, l’indizione della procedura ristretta per l’individuazione dei competitori e la procedura negoziata tra costoro e il promotore, al quale si era associata, nel frattempo, I. S.p.A. (odierna ricorrente principale), che era diventata anche la capogruppo mandataria del costituito raggruppamento.

In esito alla procedura ad evidenza pubblica, quest’ultimo conseguiva la concessione di costruzione e gestione dell’opera con lo strumento del project financing.

I relativi atti venivano impugnati dinanzi al T.A.R. Veneto dal concorrente raggruppamento avente quale mandataria il Consorzio Stabile S.I.S. S.c.p.a.

Con sentenza n. 3592 del 19 novembre 2008, il giudice come sopra adito accoglieva l’impugnazione incidentale proposta nell’ambito dell’anzidetto giudizio da I..

L’appello interposto da I. avverso la decisione di cui sopra veniva accolto dalla Sezione V del Consiglio di Stato con sentenza 17 giugno 2009 n. 3944.

Con deliberazione n. 1934 del 30 giugno 2009, la Giunta Regionale del Veneto provvedeva, conseguentemente:

– alla revoca del precedente affidamento nei confronti di I.

– ed all’aggiudicazione in favore del Raggruppamento temporaneo di imprese costituito dal Consorzio Stabile S.I.S. e da I.I. della concessione per la progettazione, realizzazione e gestione della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta;

demandando alla Direzione Infrastrutture di procedere alle verifiche di legge e a tutti gli adempimenti necessari per giungere alla stipulazione del contratto di concessione, sulla base di convenzione da sottoporre preventivamente all’approvazione della Giunta Regionale medesima.

1.2 Avverso la suindicata decisione del Consiglio di Stato 3944/2009 I. proponeva:

– ricorso per revocazione, dichiarato inammissibile con sentenza n. 453 del 2 febbraio 2010, resa dalla medesima Sezione V;

– e ricorso per cassazione, prospettando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo relativamente al capo della decisione predetta con il quale veniva statuito l’obbligo della Regione Veneto di aggiudicare in favore di S.I.S. la concessione di cui trattasi (tale impugnativa non risultando, allo stato, ancora definita).

1.3 La deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 1934 del 2009, d’altro canto, veniva da I. impugnata dinanzi al T.A.R. del Veneto.

Nelle more del giudizio come sopra incardinato, interveniva l’ O.P.C.M. 15 agosto 2009 n. 3802, con la quale veniva nominato un Commissario delegato per l’emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nell’area interessata dalla realizzazione della Superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta (con essa nominato), investito delle attribuzioni relative al compimento di tutte le iniziative finalizzate alla sollecita realizzazione delle opere anzidette e della consequenziale adozione, in sostituzione dei soggetti competenti in via ordinaria, degli atti e dei provvedimenti occorrenti alla urgente realizzazione delle opere.

Con la determinazione impugnata con l’atto introduttivo del presente giudizio, il Commissario delegato accertava, in capo all’ATI S.I.S., la sussistenza dei requisiti richiesti dal bando e da essa dichiarati in sede di gara, concludendo in tal modo la verifica già disposta per effetto della predetta deliberazione della Giunta Regionale n. 1934 del 2009; per l’effetto disponendo la stipula del contratto con S.I.S.

La medesima Autorità Commissariale veniva, peraltro, evocata anche dinanzi al T.A.R. del Veneto nell’ambito del giudizio come sopra incardinato, a mezzo di motivi aggiunti proposti avverso la ripetuta deliberazione giuntale n. 1934 del 2009.

Va ulteriormente precisato che con ricorso n. 1916 del 2010, veniva proposta dinanzi al T.A.R. del Veneto ulteriore impugnativa, ad opera di G. L.F. S.p.a., recante omologhe censure rispetto a quelle dedotte con il sopra citato gravame n. 1719 del 2009 da I. nei confronti della deliberazione di Giunta Regionale n. 1934 del 2009.

Nel corso dell’udienza pubblica tenutasi dinanzi al giudice veneziano il 13 maggio 2010, entrambi le suindicate parti ricorrenti insistevano per la cancellazione dal ruolo dei ricorsi da esse rispettivamente proposti, ovvero per un rinvio della trattazione di essi, o, ancora, per la sospensione dei procedimenti ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in ragione della ravvisata pregiudizialità nei riguardi delle impugnative presentate innanzi al T.A.R. per il Lazio avverso gli atti emanati dall’Autorità Commissariale.

A sostegno delle richieste sopra sintetizzate, le difese delle ricorrenti I. e G. L.F. rappresentavano la circostanza della pendenza, dinanzi a giudici diversi ed in modo parziale, di ragioni inerenti ad una vicenda sostanzialmente unitaria (per quanto concerne il T.A.R. Veneto, le contestazioni formulate in ordine al provvedimento di nuova aggiudicazione della gara a S.I.S.; relativamente al T.A.R. per il Lazio, le censure in ordine alla verifica dei requisiti in capo al nuovo aggiudicatario e alla determinazione di stipulare con esso il contratto).

Sulla base di quanto esposto nella sentenza della Sezione I del T.A.R. Veneto 30 luglio 2010 n. 3290, le suindicate istanze non trovavano accoglimento da parte del collegio giudicante, in quanto:

– "residuerebbe la competenza di questo T.A.R. a statuire in ordine alle censure dedotte nei ricorsi proposti avverso la deliberazione della Giunta Regionale n. 1934 del 2009 non involgenti l’effettivo possesso da parte di S.I.S. dei requisiti dichiarati in sede di gara; e, proprio per quanto segnatamente attiene a tali censure, sussisterebbe – diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti – una pregiudizialità dei ricorsi in epigrafe rispetto a quelli proposti innanzi al T.A.R. per il Lazio, se non altro perché mediante la deliberazione giuntale anzidetta è stata comunque disposta – ancor prima del commissariamento – l’aggiudicazione dell’opera a favore di S.I.S., rinviando quindi per l’accertamento dei requisiti in capo alla medesima S.I.S. a provvedimenti ulteriori, solo in epoca susseguente adottati dal Commissario delegato e, per l’appunto, impugnati innanzi al T.A.R. per il Lazio";

– "anche a prescindere da quanto sopra, non sussistevano ostacoli di sorta per I. al fine di poter comunque e da subito dedurre, pure nella presente di giudizio, le censure da essa svolte innanzi al T.A.R. per il Lazio al fine di comprovare l’asseritamente mancato possesso, da parte di S.I.S., dei requisiti al fine di rendersi aggiudicataria dell’incarico di progettazione e di realizzazione dell’opera".

A seguito di quanto sopra, entrambi le ricorrenti depositavano istanze di rinuncia ai ricorsi rispettivamente proposti: conseguentemente dandosi atto, ad opera della sentenza sopra citata e previa riunione delle impugnative in ragione della loro connessione oggettiva, della rinunce stesse.

2. Quanto sopra doverosamente premesso al fine di illustrare le complesse vicende che hanno dato luogo all’odierno giudizio – caratterizzate, come evidenziato, dalla sovrapposizione di mezzi di tutela caratterizzati dalla parziale coincidenza delle ragioni con essi fatte valere, presentati dinanzi a differenti organi di giustizia – l’esaminabilità delle censure articolate con il ricorso ora all’esame è preclusa dalla fondatezza dell’eccezione di irricevibilità esposta dalla difesa erariale con memoria depositata in giudizio il 9 luglio 2010.

2.1 In particolare, l’Avvocatura Generale dello Stato ha con tale scritto difensivo sostenuto:

– la tardività del ricorso, in quanto riproduttivo delle censure già contenute nell’atto di motivi aggiunti come sopra proposto dinanzi al T.A.R. del Veneto (all’Autorità commissariale notificato il 14 settembre 2009), ed aventi ad oggetto la contestata legittimità dell’aggiudicazione sotto il profilo della carenza, in capo all’ATI S.I.S., dei prescritti requisiti di cui all’art. 48 del D.Lgs. 163/2006;

– l’inammissibilità dell’impugnativa, per violazione del giudicato formatosi per effetto della sentenza della Sezione V del Consiglio di Stato n. 3944/2009, atteso che I. avrebbe avuto cognizione dell’asserita carenza di requisiti in capo ad ATI S.I.S. già all’epoca del giudizio di appello come sopra conclusosi: rimanendo all’odierna ricorrente preclusa la successiva introduzione di nuovi argomenti di doglianza che avrebbero dovuto, necessariamente, essere dedotti nell’ambito del già definito giudizio;

– la carenza di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo con riferimento alle censure dalla ricorrente I. articolate riguardo all’affermata nullità del contratto stipulato in data 21 ottobre 2009, atteso che tale materia sfuggirebbe alla cognizione del predetto organo di giustizia.

2.2 Esclusa, alla luce delle sopravvenute disposizioni dettate (dapprima dalle modificazioni introdotte al Codice dei contratti per effetto del recepimento della Direttiva ricorsi, di cui al D.Lgs. 53/2010; quindi, dal Codice del processo amministrativo, di cui al D.Lgs. 104/2010), la fondatezza dell’eccezione da ultimo indicata, merita invece favorevole considerazione la prima delle sintetizzate argomentazioni, con le quali l’Avvocatura di Stato ha contestato la ricevibilità del ricorso.

Nei motivi aggiunti proposti nel corso del giudizio incardinato dinanzi al T.A.R. Veneto (n. 1719/2009), notificati al Commissario delegato il 14 settembre 2009, I. ha dato atto (cfr. pag. 26 e seguenti) di aver avuto accesso alla documentazione di gara il 10 settembre 2009; e di aver conseguentemente potuto apprezzare l’affermata carenza in capo al raggruppamento S.I.S. dei prescritti requisiti, segnatamente per quanto concerne la mandante I.I..

La stessa ricorrente, in ragione della ravvisata carenza dei requisiti in capo all’ATI aggiudicataria, ha articolato con i suindicati motivi aggiunti argomenti di censura (rubricati sub 5) e 6) rispetto ai quali le doglianze esposte con l’atto introduttivo del presente giudizio si dimostrano pienamente sovrapponibili.

Evidente si rivela, allora, la tardività dell’impugnazione ora all’esame del Collegio (notificata il 17 dicembre 2009) con riferimento:

– sia alla data di conoscenza della delibera di aggiudicazione n. 1934 del 30 giugno 2009 (già impugnata dinanzi al T.A.R. del Veneto con ricorso n. 1719/2009 ed ora gravata con l’atto introduttivo del presente giudizio)

– sia alla acquisita cognizione in ordine all’affermata carenza, in capo al controinteressato Raggruppamento S.I.S. (rectius: alla mandante I.I.) dei prescritti requisiti, intervenuta per effetto dell’accesso del 10 settembre 2009 e già denunciata con motivi aggiunti proposti dinanzi al medesimo giudice veneto il successivo 14 settembre.

La tardività del gravame appieno rileva laddove si consideri che parte ricorrente, nel tentativo di accreditare l’ammissibilità della sollecitazione del sindacato giurisdizionale dinanzi a questa Sezione, ha impugnato con l’atto introduttivo del giudizio:

– in via principale, l’esito della verifica dei requisiti in capo al predetto raggruppamento, conclusasi con atto commissariale del 21 ottobre 2009;

– e, derivativamente, la determinazione recante definitiva aggiudicazione in favore di S.I.S.

Se, rispetto all’atto da ultimo indicato, non può non ribadirsi che la contestazione è intervenuta successivamente allo spirare del termine decadenziale di legge, per quanto concerne invece la verifica dei requisiti va escluso che il relativo atto (in data 21 ottobre 2009) sia dotato di autonomia funzionale nell’ambito del procedimento di gara; e che, conseguentemente, sia in esso ravvisabile carattere di conseguente diretta ed autonoma lesività rispetto alla posizione giuridica pretensiva vantata dall’aspirante all’aggiudicazione (la quale incontra elemento di univoco pregiudizio, piuttosto, proprio nella conclusiva determinazione aggiudicatoria: rispetto alla quale, si ribadisce, il presente ricorso è incontrovertibilmente tardivo).

Depongono in tal senso:

– non soltanto il chiaro tenore letterale dell’art. 11, comma 8, del D.Lgs. 163/2006, che affida alla verifica del possesso dei prescritti requisiti carattere di "integrazione di efficacia" (con esclusa valenza autonomamente provvedimentale) rispetto alla determinazione con la quale venga disposta l’aggiudicazione definitiva;

– ma anche un costante insegnamento giurisprudenziale, dal quale la Sezione non intende discostarsi.

Una volta selezionata la migliore offerta – ed intervenuta l’aggiudicazione definitiva da parte della stazione appaltante all’esito della verifica di legittimità sugli atti della Commissione – la procedura di gara risulta esaurita: e la sequenza subprocedimentale ad essa seguente (inerente al controllo sul possesso dei requisiti in capo all’aggiudicatario e al concorrente che lo segua in graduatoria, ove già non assoggettati a controllo per sorteggio) integra la presenza di una fase successiva alle operazioni di gara, che non riguarda tutti i concorrenti ma unicamente i migliori due offerenti, avente valenza integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione stessa ai soli fini della stipulazione del contratto.

Il concorrente che intenda contestare l’esito a lui sfavorevole della selezione delle offerte ha, dunque, l’onere di impugnare – tempestivamente – il provvedimento di aggiudicazione, in quanto esso cristallizza il risultato scaturente dalla comparazione delle offerte: l’omessa sollecitazione del sindacato giurisdizionale nel termine decadenziale decorrente dall’acquisita cognizione del risultato delle operazioni di gara determinando l’inoppugnabilità di quest’ultimo, con riveniente preclusione, per l’interessato, alla sua ulteriore contestazione.

Nel dare atto del costante orientamento espressosi nel senso sopra esplicitato (cfr. T.A.R. Valle d’Aosta, 16 febbraio 2011 n. 13; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 12 aprile 2010 n. 1905), va dunque ribadito che la lesione dell’interesse viene a consumarsi – unicamente – con l’atto di aggiudicazione: atto che, giova ripetere, il soggetto che si assume pregiudicato ha l’onere di impugnare tempestivamente, senza che le successive vicende riguardanti l’aggiudicatario (e, con esse, la verifica del possesso dei prescritti requisiti in capo a quest’ultimo) possano determinare la sopravvenienza di un titolo a ricorrere.

Consegue alle condotte considerazioni che (la contestazione degli esiti del)la verifica ex art. 48 del D.Lgs. 163/2006 non può essere surrettiziamente utilizzata per riaprire i termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva: la quale, pertanto, deve essere impugnata nel termine di legge, salva l’eventuale proposizione di motivi aggiunti laddove (il procedimento e/o) gli esiti della verifica onde trattasi sia suscettibili di addurre ulteriori elementi di doglianza non conosciuti (e/o conoscibili) all’atto dell’introduzione del giudizio principale.

2.4 Né, diversamente, potrebbe sostenersi che I. abbia tempestivamente impugnato la determinazione aggiudicatoria, all’uopo proponendo, nei termini, ricorso per motivi aggiunti dinanzi al(l’inizialmente adito) T.A.R. del Veneto.

O, ancora, che l’interesse all’impugnazione dell’aggiudicazione si sia radicato in capo all’odierna ricorrente solo per effetto del positivo esito della verifica dei requisiti (avente carattere di integrazione dell’efficacia dell’aggiudicazione stessa), di talché il termine per l’impugnazione (non soltanto dell’atto conclusivo del procedimento di verifica di che trattasi; ma anche) dell’aggiudicazione definitiva verrebbe a decorrere dal momento del perfezionamento della verifica del possesso dei requisiti medesimi in capo all’aggiudicataria.

Va infatti rammentato come il giudizio avente ad oggetto l’aggiudicazione definitiva (disposta dalla Regione Veneto con la ripetuta determinazione 1934/2009), già radicato dinanzi al competente T.A.R. del Veneto, sia stato infatti formalmente rinunziato dalla stessa I.: e definito con pronunzia del giudice anzidetto che ha preso atto della manifestazione di volontà abdicativa della parte ricorrente.

Ove l’atto impugnabile sia rappresentato – esclusivamente – dalla determinazione di aggiudicazione definitiva (quand’anche la decorrenza del relativo termine prenda luogo dall’integrazione di efficacia del relativo provvedimento), allora:

– non soltanto l’Autorità giudiziaria avente cognizione va individuata nel Tribunale territorialmente competente (il T.A.R. del Veneto), non venendo in considerazione la competenza funzionale del T.A.R. del Lazio, atteso che l’aggiudicazione stessa non è riconducibile ad Autorità commissariale;

– ma, vieppiù, l’impugnazione dinanzi a questo Tribunale dell’atto commissariale di verifica dei requisiti (peraltro privo di autonoma valenza provvedimentale, come già sottolineato), non consente di ammettere la derivata esaminabilità – peraltro veicolata da un’impugnazione tardiva – di un provvedimento di aggiudicazione, la cui cognizione sfugge, come rilevato, all’ambito espansivo della competenza del T.A.R. del Lazio.

Né, potrebbe, altrimenti, evocarsi nella fattispecie l’applicazione il principio di translatio judicii (di cui all’art. 50 c.p.c.; ed ora, anche all’art. 11, comma 2, c.p.a.), con accessiva preservazione degli effetti sostanziali e processuali dell’originaria domanda: non potendo il Collegio omettere di osservare come l’operatività della disposizione di che trattasi vada perimetrata nell’ambito della sola fattispecie in cui, a fronte della declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice inizialmente adito, la parte interessata riassuma il giudizio (nel termine prescritto) dinanzi al giudice munito di cognizione.

3. Le considerazioni precedentemente esposte impongono – in accoglimento delle eccezioni di tardività del gravame formulate dall’Avvocatura Generale dello Stato e dal controinteressato Consorzio S.I.S. – di dare atto dell’irricevibilità del gravame.

A tale pronunzia accede non soltanto la preclusa esaminabilità dei motivi aggiunti successivamente proposti dalla ricorrente I., ma anche l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso incidentale presentato dal Consorzio S.I.S.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I – cosi dispone in ordine al ricorso indicato in epigrafe:

– dichiara irricevibile il ricorso principale proposto da I. S.p.A.;

– dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso incidentale proposto dalla Società Consorzio Stabile S.I.S. S.c.p.a.;

– condanna la ricorrente principale I. S.p.A., nella persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di giudizio in favore del Commissario Delegato per l’Emergenza Traffico e Mobilità delle Provincie di Treviso e Vicenza, della Regione Veneto e della Società Consorzio Stabile S.I.S. S.c.p.a., in ragione di Euro 4.000,00 (euro quattromila/00) per ciascuna delle parti anzidette.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-06-2011) 05-07-2011, n. 26201 Conflitti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 08.10.2010 il Tribunale di Sorveglianza di Torino dichiarava inammissibile l’istanza di riabilitazione proposta da B.M. con riferimento alla sentenza a suo carico 24.09.1997, emessa ex art. 444 c.p., sul rilievo che per tale tipo di sentenza, che "costituisce una pronuncia sui generis" la decisione sull’istanza di riabilitazione sarebbe di competenza del giudice dell’esecuzione.

2. Con ordinanza in data 27.01.2011 il Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ritenuto che anche per le sentenze emesse in esito a patteggiamento la riabilitazione si appartiene alla competenza del Tribunale di Sorveglianza, sollevava conflitto di competenza.

3. Deve essere dichiarata 4 competenza del Tribunale di Sorveglianza di Torino.

Ed invero l’art. 683 c.p.p. attribuisce la competenza a decidere sulle domande di riabilitazione al Tribunale di Sorveglianza "quando la legge non dispone altrimenti". Orbene, è del tutto pacifico che per le sentenze emesse ex art. 444 c.p.p. non è prevista alcune disposizione particolare derogatoria della competenza in tema di riabilitazione. Nè è corretto l’argomento del Tribunale di Sorveglianza di Torino, secondo cui la sentenza di patteggiamento non potrebbe essere qualificata sentenza di condanna in senso proprio, atteso che è ormai consolidata la giurisprudenza che attribuisce alla sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. valenza equiparata alle sentenze di condanna in senso stretto ad ogni effetto, tra cui la competenza in tema di riabilitazione (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 41314 in data 27.10.2006, Rv. 236014, confl., comp. in proc. Nerozzi;

Cass. Pen. Sez. 1, n. 7796 in data 30.01.2008, Rv. 239238, confi, comp. in proc. Aloise; Cass. Pen. Sez. 1, n. 31940 in data 04.07.2008, Rv. 240681, Teloni; ecc.).

P.Q.M.

Dichiara la competenza del Tribunale di Sorveglianza di Torino cui dispone trasmettersi gli atti.

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