T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 11-03-2011, n. 2209 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe la società M. coop a r.l. ha impugnato il bando di gara per procedura aperta, pubblicato con avviso sulla stampa nazionale in data 28 maggio 1998, per l’affidamento in appalto dei servizi di pulizia, piccola manutenzione e posizionamento arredi della Stazione aeroportuale di Fiumicino e di tutti gli atti connessi e consequenziali, e in particolare degli atti di gara, del silenzio formatosi sull’atto di diffida notificato dalla ricorrente in data 9 luglio 1998, dell’atto con cui è stata disposta l’esclusione dell’offerta della società ricorrente dalla gara e di tutti gli atti con cui si è provveduto all’aggiudicazione dell’appalto ed alla eventuale stipulazione del contratto, nonché per la reintegrazione in forma specifica.

Osserva il Collegio che il proposto gravame si incentra sulla asserita illegittimità della previsione del bando, come interpretata alla luce dei successivi chiarimenti della stazione appaltante, secondo cui "non sono ammesse offerte in aumento rispetto a ciascuno degli importi indicativi biennali a base d’asta".

Va tuttavia rilevato che, come si evince dagli atti di causa, la Commissione di gara procedeva alla esclusione della impresa ricorrente, non già perché la stessa avesse presentato un’offerta economica in aumento (l’offerta economica di M., in realtà, non veniva nemmeno aperta, non essendo stata l’impresa ammessa alla gara), ma in quanto l’impresa non presentava i requisiti essenziali di qualificazione (non avendo prodotto documentazione idonea a certificare l’iscrizione alle fasce di classificazione prescritte dalla legge nonché i requisiti di cui all’art. 13, lett. B, nn. 2 e 3 del bando, tutti prescritti a pena di esclusione dalla gara).

Ne consegue che il difetto nella ricorrente dei requisiti di qualificazione e la conseguente impossibilità per la stessa di concorrere – nella gara contestata come in una eventuale riedizione della medesima – alla aggiudicazione dell’appalto in questione, rende pertanto inammissibile il ricorso proposto per difetto di interesse.

E’ noto infatti che l’interesse a ricorrere, intanto sussiste, in quanto il possibile accoglimento del ricorso può determinare una qualche utilità per il ricorrente, laddove, nel caso di specie, un eventuale accoglimento del gravame non potrebbe determinare alcun effetto positivo per la ricorrente, essendo risultata l’offerta inammissibile per mancanza dei requisiti di qualificazione dell’impresa.

Oltretutto, non può fare a meno di osservarsi che nell’odierno giudizio l’impresa esclusa, oltre a non articolare alcuna concreta censura riguardo alle effettive cause della propria esclusione, contesta, oltre tutto tardivamente, una clausola del bando che nessuna incidenza causale presenta sulla sua esclusione.

Per le considerazioni svolte il ricorso è inammissibile e pertanto il Collegio non può che darne atto.

Sussistono comunque giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo dichiara inammissibile.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-06-2011, n. 13692 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 1 e 2 dicembre 1992 il Comune di Napoli evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, la Cooperativa SENNA a r.l., esponendo che con deliberazione commissariale 28.7.1987 n. 6713, parzialmente modificata con Delib. G.M. n. 247 del 28.7.1989, in esecuzione delle disposizioni dettate dalla L. n. 899 del 1986 di concessione di finanziamenti in favore dei comuni per l’acquisto di alloggi da destinare ai senza tetto, era stato deciso l’acquisto di 88 alloggi, realizzati "in diritto di superficie" dalla cooperativa SENNA, siti in (OMISSIS), lotti corpi 8 e 9, per il prezzo di L. 10.813.390.000. Aggiungeva che l’efficacia dell’atto deliberativo dell’acquisto era stato subordinato all’effettiva concessione dei finanziamenti a copertura del prezzo di acquisto da parte del Ministero LL.PP. in conformità delle previsioni della predetta legge. Precisava che la sottoscrizione del contratto era stata preceduta dalla comunicazione, da parte del Ministero, dell’esito positivo dell’istruttoria dell’acquisto e, quindi, dell’effettivo accredito a favore del Comune della somma corrispondente al prezzo di acquisto degli alloggi e che effettuato l’accredito si era pervenuti – il Comune e la SENNA – alla sottoscrizione della compravendita n. (OMISSIS) del 6.9.1990. Sottolineava che al momento della stipula gli immobili risultavano abusivamente occupati e gli stessi erano gravati da iscrizioni ipotecarie e trascrizione di pignoramenti e sequestri in favore di istituti di credito e di privati. Allo scopo di utilizzare i finanziamenti e di garantire contestualmente gli interessi pubblici di cui era portatrice parte acquirente, la sottoscrizione del contratto era stata preceduta da formale dichiarazione della venditrice di riconoscimento delle sue situazioni debitorie e da dichiarazione dei creditori di consenso alla compravendita, con rinunzia alle azioni pendenti a fronte del rilascio di delega, dalla venditrice all’acquirente Comune, per il pagamento, entro sei mesi dalla stipula, dei singoli creditori, con imputazione del relativo importo sul prezzo del contratto. In relazione all’occupazione abusiva era stato, altresì, concordato che la consegna degli immobili sarebbe avvenuta entro cinque giorni dalla data dello sgombero, mentre il pagamento del prezzo, da corrispondere secondo le modalità pattuite tra la venditrice ed i creditori, era stato condizionato alla consegna degli appartamenti in perfetto stato. La cooperativa SENNA però non aveva proceduto all’adempimento della sua obbligazione principale di sgomberare e consegnare gli immobili entro il termine essenziale concesso dai creditori e a causa del decorso del tempo, si profilava il rischio di perdere i finanziamenti predisposti dal Ministero. Il Comune perveniva, dunque, alla diffida, con atto stragiudiziale del 15/19.6.1991, della venditrice a consegnare gli immobili, liberi da cose e persone, entro il termine di 30 giorni, con l’avvertenza che in mancanza il contratto si sarebbe risolto di diritto. La debitrice entro il termine fissato non provvedeva all’adempimento, per cui il Comune – scaduto il termine di efficacia delle dichiarazioni di consenso all’acquisto dei creditori della SENNA – sussistendo l’interesse a riottenere la disponibilità della somma già vincolata al pagamento degli alloggi per pervenire all’acquisto di altri alloggi disponibili sul mercato, evitando la perdita dei finanziamenti, nell’adire il Tribunale, concludeva chiedendo dichiararsi l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto stipulato il 6.9.1990 n. 60072 e comunque per grave inadempimento del venditore, con condanna della cooperativa al risarcimento dei danno.

Instauratosi il contraddittorio, la società convenuta non si costituiva, per cui il giudizio proseguiva in sua contumacia.

Con atto notificato il 15 giugno 1994 il curatore della cooperativa SENNA evocava in giudizio, a sua volta, il Comune di Napoli esponendo che con contratto n. 62072 del 6.9.1990 le parti avevano regolato le modalità di pagamento del prezzo di L. 10.813.390.000 tenendo conto delle pretese dei diritti dei creditori della cooperativa. Aggiungeva che nello stesso contratto risultava che la cooperativa venditrice aveva, già prima della compravendita, consegnato tutti i titoli ed i documenti relativi alla titolarità de bene trasferito, disponibilità e libertà del terreno in oggetto ed alla edificazione degli immobili ed aveva, in sede di stipula, rinunciato all’ipoteca legale ex art. 1817 c.c. Per effetto dell’atto il Comune era stato immesso nel possesso legale degli immobili acquistati, anche se essi erano stati materialmente occupati da famiglie senza tetto, le quali non avevano al riguardo alcun titolo. Le parti avevano stabilito che il possesso materiale sarebbe conseguito alla effettiva consegna dell’immobile, da effettuarsi entro 5 giorni dalla data di sgombero degli immobili stessi e subito dopo compiute modeste e ben determinate opere di ripristino, il Comune avrebbe dovuto adempiere il suo obbligo di pagamento del prezzo. Era invece accaduto che il Comune, divenuto proprietario, si era completamente disinteressato dell’immobile, in relazione al quale solo esso aveva tutti i poteri per provocare ed ottenere lo sgombero e la liberazione dagli occupanti abusivi. Ne era derivato il ritardo nel pagamento del prezzo ed un danno gravissimo, che aveva determinato il crollo finanziario ed il fallimento della cooperativa, pronunciato nel 1993.

Ed anzi con intimazione del 15.6.1991 l’ente locale aveva invitato la cooperativa a provvedere alla consegna degli immobili, avvertendola che in caso di mancato adempimento nel termine di trenta giorni, si sarebbe dovuto ritenere risolto il contratto, atto cui era seguita la citazione di cui sopra. Tanto premesso, il curatore affermava che la mancata attuazione del rapporto contrattuale scaturito dal contratto del 6.9.1990 andava attribuita alla negligenza ed inerzia del Comune, pertanto chiedeva fosse condannato il Comune a pagare il prezzo dovuto ed in subordine che il contratto fosse risolto per colpevole inadempimento del Comune, con conseguente condanna al risarcimento dei danni.

Si costituiva l’ente locale e resisteva, formulando in via riconvenzionale le stesse domande proposte con l’atto di citazione di cui sopra.

All’udienza del 19.9.1994, nel giudizio originariamente introdotto dal Comune, avendo lo stesso dichiarato di avere ricevuto dalla curatela della SENNA atto di citazione, il giudice istruttore interrompeva il processo.

Riassunta la causa dal Comune, si costituiva il curatore che resisteva alle richieste insistendo per l’accoglimento delle sue domande. Con provvedimento del 5.12.1995 i due giudizi veniva riuniti e con comparsa del 20.5.1997 interveniva l’avv. F. F., il quale, in qualità di creditore della cooperativa, dichiarava di volere sostenere le ragioni e difese del fallimento, proponendo istanza per il sequestro giudiziario e la conseguente amministrazione degli immobili, istanza dichiara inammissibile dal giudice con ordinanza dell’11.6.1997. Con comparsa depositata il 30.10.1998 interveniva volontariamente anche la Sud Factoring S.p.A. in liquidazione, la quale deducendo che con atto autenticato nelle firme dal notaio Renato Tarufi del 17.10.1990 si era resa cessionaria dei crediti della cooperativa SENNA derivanti dal contratto e che essa interveniva a sostegno delle difese del fallimento della cooperativa e chiedeva che il Comune venisse condannato a pagare direttamente a lui la somma di L. 2.480.000.000, oltre interessi e maggiore danno.

Il Tribunale adito, all’esito dell’istruttoria, rigettava la domanda di risoluzione proposta dal Comune ed accoglieva quella di pagamento del prezzo proposta dalla curatela fallimentare, con interessi dai 29.10.1997. Quanto alla posizione degli interventori, dichiarava che essendo ad adiuvandum, ogni loro pretesa doveva trovare soddisfazione nell’ambito delle norme disciplinanti la liquidazione fallimentare.

In virtù di rituale appello interposto dal Comune di Napoli, con il quale lamentava l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure, la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza dell’appellata, costituitasi la Sud Factoring S.p.A. in liquidazione, che proponeva appello incidentale per la riforma del capo della decisione relativo alla sua richiesta di condanna del Comune al pagamento del prezzo in suo favore, nonchè il F., accoglieva l’appello principale e in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto di compravendita n. (OMISSIS) per inadempimento della venditrice e per l’effetto dichiarava pienamente restituito il fallimento della società nel possesso giuridico degli immobili compravenduti; rigettava le domande della cooperativa di pagamento del prezzo e di risoluzione del contratto per inadempimento del Comune; rigettava l’appello incidentale della Sud Factoring. A sostegno della decisione la Corte territoriale evidenziava che le domande dell’appellante Comune erano solidamente fondate sui validi impegni contrattuali assunti dalle parti, risultando già dalle premesse del contratto e dall’allegato atto deliberativo dell’acquisto che la compravendita era stipulata sulla scorta della specifica L. n. 899 del 1986, la quale devolveva ai Comuni appositi finanziamenti per gli alloggi da destinare ai senza tetto. Proprio per utilizzare i fondi messi a disposizione dal Ministero, il Comune era addivenuto alla determinazione di accettare l’offerta proveniente dalla cooperativa SENNA, ma la conclusione si presentava particolarmente complicata, per cui la compravendita veniva accompagnata da una serie di norme di salvaguardia.

Del resto la cooperativa non aveva provveduto alla consegna dell’immobile, sulla stessa incombente ex art. 1476 c.c., nei tempi pattuiti, nè dopo la diffida ad adempiere, per cui l’inutile decorso del tempo aveva determinato la risoluzione di diritto del contratto con diritto del fallimento alla restituzione del possesso legale dell’immobile oggetto di compravendita.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il F., che risulta articolato su due motivi, al quale ha replicato con memoria il Comune.
Motivi della decisione

E’ preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dal controricorrente, fatta propria nella richiesta del Procuratore generale, senza utili repliche della ricorrente.

La sentenza impugnata, premesso che le domande del Comune traevano le loro ragioni sugli impegni contrattuali assunti dalle parti, e riconosciuta, per l’effetto, la fondatezza della domanda di risoluzione avanzata dallo stesso ente locale, ha rilevato che il venir meno con effetto retroattivo del contratto tra le parti comportava il diritto del fallimento della cooperativa SENNA alla restituzione del possesso legale dell’immobile oggetto di compravendita.

Ha aggiunto che conseguentemente erano da ritenere infondate le domande proposte dalla curatela fallimentare, tanto quella principale di condanna del Comune di Napoli al pagamento del prezzo contrattuale, quanto quella subordinata di risoluzione in danno dello stesso Comune e di condanna al risarcimento del danno. Del pari conseguentemente infondato era l’appello incidentale della società interveniente data l’inesistenza di qualunque debito del Comune verso la Cooperativa SENNA in forza del contratto di compravendita. Questa essendo la "ratio decidendi" della sentenza, a prescindere dalla idoneità delle odierne doglianze a confutarla, va rilevata la carenza di interesse del ricorrente, il quale non censura l’affermazione della sentenza circa il difetto di una espressa richiesta di condanna in suo favore, per cui deve concludersi trattarsi di intervento adesivo dipendente (peraltro effettuato in grado di appello e senza una puntuale richiesta di condanna in proprio favore), che non legittima ad autonoma impugnazione. Questa Corte Suprema ha, invero, statuito che si ha intervento adesivo dipendente quando si interloquisce sostenendo le ragioni di una parte senza proporre nuove domande e senza ampliare il tema del contendere, con la conseguenza che si può aderire all’impugnazione proposta dalla parte ma non proporre impugnazione autonoma se la parte adiuvata non abbia proposto la sua impugnazione (cfr Cass. 16 febbraio 2009 n. 3734; Cass. 16 novembre 2006 n. 24370. In precedenza v. Cass. 4 luglio 1994 n. 6309; Cass. 7 settembre 1993 n. 9385; Cass. 15 giugno 1991 n. 6798; Cass. 4 dicembre 1985 n. 6073; Cass. 4 agosto 1982 n. 682).

Del resto il codice di rito assegna all’interventore adesivo dipendente, a norma dell’art. 105, comma 2 (che da luogo ad un giudizio unico con pluralità di parti), un ruolo del tutto secondario, attribuendogli poteri limitati all’espletamento di un’attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell’ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte, nella specie la Cooperativa SENNA. Ne consegue che, in caso di acquiescenza alla sentenza della parte adiuvata, l’interventore non può proporre alcuna autonoma impugnazione, nè in via principale in via incidentale.

D’altro canto con l’intervento adesivo il soggetto, in quanto portatore solo di un interesse di fatto all’esito della controversia in funzione della necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi conseguenze dannose derivanti dagli effetti riflessi del giudicato, non fa valere un autonomo diritto ma si limita a sostenere le ragioni di una delle parti senza ampliare l’oggetto del giudizio. Ciò spiega la ragione per cui la giurisprudenza costante di questa Corte, e la dottrina prevalente, considerano la posizione dello interventore adesivo dipendente meramente subordinata a quella delle parti principali, a meno che non si tratti della pronuncia sulle spese, rispetto alla quale è portatore di un autonomo interesse proprio, l’interventore adesivo dipendente, dunque, può aderire alla impugnazione della parte adiuvata ma non può impugnare autonomamente la sentenza.

Naturalmente, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso impedisce di passare all’esame delle censure dedotte con la proposizione del ricorso.

In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna alle spese, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-07-2011, n. 15309 Condominio di edifici Lastrici solari e tetto Spese della comunione e del condominio di manutenzione e di riparazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Condominio (OMISSIS), chiese ed ottenne dal Giudice di Pace di Gallina che fosse ingiunto ai coniugi B.A. e M.M.F., in solido con i coniugi F. M. e S.L., il pagamento di oneri condominiali relativi al rifacimento del lastrico solare, nonchè delle spese per la ristrutturazione dell’appartamento della coinquilina Mo., ammalorato da infiltrazioni provenienti dal detto manto di copertura.

I B. – M. proposero opposizione, eccependo la carenza di legittimazione della seconda non essendo comproprietaria dell’immobile – e sostenendo l’esclusivo obbligo dei F. – S., acquirenti dell’appartamento di essi opponenti in epoca anteriore alla delibera condominiale di ripartizione delle spese.

Esteso il contraddittorio a questi ultimi, gli stessi si costituirono negando l’esistenza di un obbligo esclusivo per le spese di ripristino , atteso che la relativa obbligandone doveva dirsi sorta nell’ottobre 1999, epoca in cui il Condominio aveva deliberato di accollarsi gli oneri di rifacimento del lastrico solare e di ripristino dell’appartamento della coinquilina Mo. – vale a dire in un momento anteriore sia alla compravendita, stipulata nel febbraio dell’anno successivo sia all’esecuzione stessa delle opere, completate nel giugno – luglio 2000.

Il Giudice di Pace, pronunziando sentenza n. 63/2003, dichiarò la carenza di legittimazione della M. e la sussistenza di un diritto di credito del Condominio, da valersi in via solidale nei confronti degli opponenti/chiamati; in accoglimento poi della domanda riconvcnzionale dei F. – S., ritenne che nei reciproci rapporti fosse obbligato solo il B. che, di conseguenza, avrebbe dovuto restituire, ai successivi acquirenti dell’appartamento, quanto dai medesimi già anticipato per il titolo ingiunto.

Il B. e la M. proposero appello al Tribunale di Reggio Calabria; il Condominio e i F. – S. svolsero altresì gravame incidentale; l’adito giudice, pronunziando sentenza n. 456/2005, respinse tutti i gravami e compensò le spese.

Il Tribunale ritenne – per quello che qui ancora conserva interesse- che l’obbligazione inerente il pagamento delle spese necessarie per la conservazione delle cose comuni – e per il ripristino di quelle del singolo condomino che dalle prime avesse subito ammaloramenti al proprio appartamento doveva essere ripartita – tra venditore ed acquirente dell’appartamento sito nel condominio – avuto riguardo al momento in cui l’assemblea aveva deliberato l’esecuzione dei lavori, momento che si poneva in epoca anteriore alla vendita e che determinava altresì l’obbligo di conservazione della cosa comune e della responsabilità verso terzi (gli altri condomini) per i danni derivanti dalla stessa.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione il B. sulla base di un unico motivo, cui hanno risposto i F. – M. con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale. Il Condominio non ha svolto difese. Chiamata la causa all’udienza del 10 marzo 2011 la stessa è stata rinviata al fine di rinnovare la notifica della fissazione dell’udienza alle parti ricorrenti.
Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c., essendo diretti alla cassazione della stessa sentenza.

1 – Con unico motivo il B. assume la violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1123 cod. civ., sostenendo che il momento in cui scaturirebbe l’obbligazione di contribuire alle spese condominiali sarebbe quello in cui viene data concreta attuazione ed esecuzione ai lavori (pacificamente avvenuta dopo la vendita ai F. – M.) perchè solo allora si manifesterebbe l’attività di conservazione delle parti comuni che rende ambulatoria la relativa obbligazione, e non già al momento della delibera condominiale di approvazione dell’esecuzione delle opere emendative.

2 – Il ricorso non è fondato.

2/a – Va innanzi tutto rilevato che il ricorrente fa proprio l’enunciato contenuto in una sentenza di legittimità (vedi Cass. 6323/2003: "l’obbligo di ciascun condomino insorge al momento stesso in cui si rende necessario provvedere alla conservazione della cosa e, per conseguenza, si eseguono i lavori che giustificano le relative spese) il quale però era strettamente collegato alla fattispecie decisa – come del resto messo in rilievo dal giudice di merito – in cui, le pere erano state eseguite poco prima della cessione e solo successivamente, a distanza di anni, vi era stata la liquidazione definitiva delle spese ad esse afferenti: il principio espresso (apparentemente desumibile dall’inciso "per conseguenza"), che valorizzava l’esecuzione delle opere rispetto all’approvazione della spesa, in quel caso, conduceva comunque al medesimo risultato di quello sostenuto nella gravata decisione.

2/b – Nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte reggina, essendo l’esecuzione dei lavori successiva alla delibera condominiale di effettuarli ed alla compravendita, non poteva essere invocata la -ritenuta – connessione temporale e logica tra insorgere della necessità di effettuare i lavori e la loro concreta effettuazione per porre l’accento – ai fini che qui sono in verifica – solo sul secondo momento, atteso che, seguendo il principio di cui le parti ricorrenti si fanno latrici, non si darebbe ragione del fatto che la necessità di provvedere alla conservazione deriva dall’accertamento, da parte del Condominio, di una situazione dannosa riconducitele alle cose comuni, mentre la materiale esecuzione del lavori può essere ad essa temporalmente più o meno contigua per fattori accidentali (quali ad esempio le difficoltà nell’identificazione dell’appaltatore delle opere).

2/c – Va altresì aggiunto che la "maturazione" dell’obbligo di contribuzione alle spese condominiali – in caso di alienazione dell’immobile di proprietà singola – incide sulla identificazione del soggetto obbligato in maniera differente a seconda che si tratti di spese per l’ utilizzo dei servizi comuni – valendo allora il mero riferimento del periodo di concreta erogazione prima della cessione (cfr. fattispecie presa in esame da Cass. 23345/2008) – o piuttosto si verta in materia di spese manutentive- fattispecie analoga a quella in esame: in quest’ultimo caso invero l’accertamento stesso dell’emergenza conservativa o emendativa di danni a terzi compiuto dal Condominio (accompagnato o meno da delibere di spesa ma sempre con sufficiente grado di specificità rispetto alla riconducibilità alle cose comuni del fattore generativo del danno) determina come detto, l’insorgenza dell’obbligo conservativo in capo a tutti i condomini e pone l’eventuale successiva approvazione delle relative spese in una prospettiva meramente esecutiva ed esterna, rispetto alla già compiuta identificazione della persona dell’obbligato.

3 – La soluzione interpretativa alla quale si è sopra pervenuti non si pone in contraddizione con quanto di recente sostenuto da questa Corte con sentenza n. 24.654/2010 nella quale si è distinto – al fine di identificare il momento della deambulatorietà dell’obbligazione per spese attinenti al condominio in caso di vendita dell’immobile di proprietà singolare – tra spese necessarie per la manutenzione ordinaria (in cui la nascita dell’obbligazione coincide con il compimento effettivo dell’attività gestionale, assumendo la successiva delibera condominiale carattere dichiarativo e non costitutivo dell’obbligo) e spese relative ad interventi di manutenzione straordinaria ed ad innovazioni rilevanti (in cui la delibera avrebbe allora valore costitutivo dell’obbligazione, essendo rimesso all’assemblea di valutare la necessità della spesa): nella fattispecie in esame invero la straordinarietà della spesa assume carattere del tutto particolare in ragione della sua finalità emendativa di un danno già cagionato al singolo condomino e, quindi, va ricondotta – pur accettando la distinzione operata da Cass. 24.654/2010 – ad un ordinario e necessitato potere di gestione che, quindi insorge nel momento in cui – incontestata essendo la responsabilità del Condominio- sia sorta la fattispecie causativa del danno al singolo condomino.

4 – Con unico motivo di ricorso incidentale i F. – S. lamentano l’omessa motivazione in merito alla disposta compensazione delle spese di lite: la doglianza è infondata in quanto costituisce sufficiente motivo di compensazione delle spese di lite la reciproca soccombenza – fu infatti respinto analogo motivo di appello con riferimento alla compensazione delle spese del giudizio innanzi al Giudice di Pace.

5 – Va disposta analoga compensazione nel presente giudizio di legittimità sia per il rigetto di entrambi i ricorsi sia soprattutto per la relativa novità – rispetto alla data di introduzione del ricorso – delle soluzioni interpretative sopra riportate.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Respinge i ricorsi e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-04-2011) 04-05-2011, n. 17253 conflitti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 19 maggio 2010 il G.I.P. del Tribunale di Rimini ha dichiarato la propria incompetenza territoriale a trattare il processo a carico di C.F. più altri sei, tutti imputati di più ipotesi di violazione dell’art. 73, L. Stip. ed ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata, avendo ritenuto tale ultimo Tribunale territorialmente competente a conoscere il processo anzidetto.

2.11 Tribunale di Torre Annunziata, con ordinanza del 15 dicembre 2010, ha da parte sua sollevato conflitto di competenza innanzi a questa Corte, ritenendo che non sussistessero i presupposti di legge per potersi ritenere territorialmente competente a svolgere il processo in esame.

Ha escluso nella specie l’applicazione del criterio di competenza del territorio determinata dalla connessione ai sensi dell’art. 16 c.p.p., avendo il giudice remittente fatto riferimento ad una connessione probatoria che, come tale, non era rilevante ai fini della competenza per territorio.

Ha poi escluso che nella specie fosse ravvisabile una connessione per continuazione ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. b), atteso che tale connessione era rilevante processualmente solo se fosse stata riferibile ad una fattispecie concorsuale, nella quale l’identità del disegno criminoso fosse stato comune a tutti gli imputati;

pertanto, al di fuori di tale ipotesi, il vincolo della continuazione non poteva determinare alcuna attribuzione o spostamento della competenza.

Ha comunque rilevato che, se anche fosse stata seguita l’errata impostazione del giudice remittente, doveva rilevarsi che il reato più grave era da individuare in quella di cui al capo a) della rubrica, per il quale era stata ravvisata l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80; e tale reato non era stato commesso in Torre Annunziata.

Inoltre, il momento consumativo del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 doveva essere individuato nel raggiungimento dell’accordo tra le parti contraenti circa la quantità, la qualità ed il prezzo della sostanza stupefacente ceduta e, in mancanza di elementi certi in tal senso, era esclusivamente rilevante la localizzazione della sostanza stupefacente, la quale era stata sequestrata in Rimini.

Era pertanto da riconoscere la competenza territoriale del Tribunale di Rimini, in considerazione del luogo di commissione del reato più grave; ed anche con riferimento al reato di cui al capo c) della rubrica era da ritenere che si trattasse della medesima sostanza stupefacente sequestrata a Rimini, si che, anche per detto reato, doveva ravvisarsi la competenza del Tribunale di Rimini.
Motivi della decisione

1. La controversia sollevata dal G.I.P. del Tribunale di Torre Annunziata integra un conflitto negativo di competenza, da risolversi da questa Corte ai sensi degli artt. 28 e segg. c.p.p., essendosi verificata una stasi insuperabile nella trattazione del processo indicato in narrativa, in quanto si sono dichiarati territorialmente incompetenti a trattare il medesimo sia l’organo giudiziario remittente, sia il G.I.P. del Tribunale di Rimini.

2. I reati contestati agli odierni imputati sono da ritenere connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. c), potendosi fondatamente ritenere che trattasi di reati collegati fra di loro, in quanto gli uni commessi per eseguire gli altri, in un intreccio di cessioni ed acquisizioni illegali di sostanze stupefacenti, che induce a ritenere sussistente l’ipotesi della connessione dianzi specificata.

3. Fatta tale premessa, va rilevato che, nella specie, occorre applicare il criterio attributivo della competenza territoriale fissato dall’art. 16 c.p.p., comma 1, alla stregua del quale la competenza per territorio per procedimenti connessi, rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia, appartiene al giudice competente per il reato più grave; e poichè, nella specie, non risulta con certezza il luogo di commissione del reato sub a), che è quello più grave, trattandosi di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente tipo cocaina aggravata dall’ipotesi dell’ingente quantitativo, occorre individuare il reato subito dopo più grave, da ravvisare in quello di cui al capo b) della rubrica, che appare essere stato commesso con certezza in Rimini; dal che consegue che il Tribunale di Rimini va ritenuto competente a trattare anche tutti gli altri reati, tenuto conto della ravvisata connessione di cui all’art. 12 c.p.p., lett. c) (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 16.7.09 n. 40537, rv. 244330).

4.11 conflitto negativo di competenza sollevato dal G.U.P. del Tribunale di Torre Annunziata va pertanto risolto nel senso di ritenere che è il G.U.P. del Tribunale di Rimini quello territorialmente competente a trattare il processo in esame; ed è pertanto a tale ultimo ufficio che gli atti vanno trasmessi per il prosieguo.
P.Q.M.

Dichiara la competenza del G.U.P. del Tribunale di Rimini, cui dispone trasmettersi gli atti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.