T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 17-01-2011, n. 359

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
in disparte ed in disparte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalle controparti, il ricorso non risulta fondato in quanto la decadenza dalla convenzione dichiarata dal Comune resistente non è avvenuta a causa della cancellazione dall’albo di cui all’art. 53 del D.lgs n. 447 del 1997 bensì per le specifiche inadempienze perpetrate dalla XXX nei confronti del Comune resistente che hanno provocato, di conseguenza, l’attivazione della clausola risolutiva espressa contenuta nella convenzione, a suo tempo, stipulata tra le parti avente ad oggetto la gestione e riscossione dei tributi locali;
– che, per le ragioni sopra esposte, la fattispecie contemplata dall’art. 3, comma 3, del D.L. n. 40 del 2010 (invocato a proprio favore dalla ricorrente) non risulta applicabile al caso in esame posto peraltro che la stessa norma da ultimo citata fa salve le disdette, le revoche o le risoluzioni degli affidamenti intervenute per cause diverse dalla cancellazione dall’albo di cui all’art. 53 del D.lgs n. 447 del 1997;
– che una diversa interpretazione della norma citata, come quella prospettata dalla ricorrente (che faccia cioè rivivere le concessioni di che trattasi, in tutti i casi diversi ovvero anche quelli che non sono stati causati dalla cancellazione dall’albo di cui all’art. 53 del D.lgs n. 447 del 1997), farebbe dubitare della legittimità costituzionale della disposizione;
– che, altresì, la determinazione n. 56 dell’11 marzo 2010 (depositata in giudizio dalla stessa ricorrente) non risulta impugnata;
– che il ricorso va quindi respinto con declaratoria di soccombenza delle spese di giudizio;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune resistente che si liquidano in euro 500,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Daniele Dongiovanni, Primo Referendario, Estensore

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Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-09-2012, n. 14767

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Svolgimento del processo
Con citazione del 3/6/1991 S.C. conveniva in giudizio P.P. davanti al Pretore di xxx chiedendo che fosse accertato l’acquisto per usucapione di una porzione di terreno di circa 50 mq. adiacente all’abitazione di sua proprietà;
l’attrice sosteneva che il terreno era stato posseduto dai suoi nonni e danti causa sin dal 1914 i quali lo avevano recintato e utilizzato come deposito e pollaio. Il P. costituendosi, eccepiva che l’area era stata concessa in comodato gratuito da C. M. (sua dante causa) a I.O., madre dell’attrice con obbligo di riconsegna a semplice richiesta e che, siccome la I. si era rifiutata di onorare l’obbligo assunto, la C. aveva promosso azione giudiziaria per la riconsegna del bene. Con sentenza del 16/10/2001 la sezione stralcio del Tribunale di Reggio Calabria accoglieva la domanda di usucapione e all’esito dell’appello del P., al quale resisteva la S., la Corte di Appello di Reggio Calabria con sentenza in data 1/3/2010 riformava la sentenza, rigettava la domanda della S. e in accoglimento della riconvenzionale del P. accertava che l’area in contestazione era di proprietà di quest’ultimo.
La Corte di appello rilevava:
– che il primo giudice aveva completamente omesso di pronunciarsi sull’eccezione di interruzione dell’usucapione per effetto della citazione in giudizio di I.O., madre della S. che illegittimamente lo deteneva dopo la cessazione del comodato essendo invece obbligata a riconsegnarlo alla dante causa del P., che ne aveva richiesto la restituzione;
che l’effetto interruttivo, realizzatosi con la citazione del 1960, restava fermo nonostante l’estinzione del processo;
– che pertanto il periodo anteriore al 1960 non poteva essere utilizzato per il computo del termine ventennale di usucapione;
che il giudice di primo grado non aveva neppure motivato in ordine alla prova del possesso successivo al 1960, nonostante che il convenuto avesse dedotto che sin dal 1957 la S. aveva perso ogni relazione con il bene essendosi trasferita a (OMISSIS);
– che in ogni caso doveva escludersi un possesso della S. anteriore al 1960 perchè la circostanza era contraddetta dalla pattuizione del comodato precario che non sarebbe stata necessaria se i danti causa della S. avessero posseduto il bene;
– che il possesso successivo al 1960 (data del fatto interruttivo dell’eventuale anteriore possesso) non era provato in quanto le prove testimoniali sul possesso da parte della S. nel periodo successivo alla fine degli anni 50 erano generiche o addirittura inesistenti, mentre alcuni testi avevano riferito che l’attrice si era trasferita in (OMISSIS), tornando in loco solo saltuariamente, con ciò escludendo il possesso continuativo utile all’usucapione.
S.C. propone ricorso affidato a due motivi e deposita memoria.
Resiste con controricorso P.P. e deposita memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione perchè il giudice di appello aveva trascurato di considerare che il comodato di uso concesso alla madre di essa ricorrente dalla C. e la successiva azione di rilascio non potevano spiegare alcun effetto nei propri confronti in quanto aveva ricevuto il terreno non dalla propria madre, ma dai nonni.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato in quanto l’immissione, da parte del proprietario, nella detenzione del terreno della madre della attrice e l’esercizio del diritto, nella duplice veste di comodante e proprietario, di ottenerne la restituzione sono ragioni sufficienti a sostenere, come ritenuto dalla Corte territoriale, l’incompatibilità con un possesso da parte dei danti causa dell’attrice (il plurale utilizzato dalla Corte territoriale deve intendersi come riferito non al solo possesso ma anche al rapporto contrattuale instauratosi tra il comodante proprietario e la madre dell’attrice costituisce elemento che esclude che la detenzione materiale del bene da parte della figlia possa essere considerata significativa di un suo possesso ed è del tutto condivisibile la conclusione per la quale la madre non avrebbe stipulato un comodato per ottenere un possesso che in tesi già aveva la figlia.
Il contratto di donazione, comunque contestato quanto alla riferibilità all’immobile per cui è causa, sarebbe in ogni caso inidoneo a provare l’elemento del possesso dei nonni); di conseguenza il particolare materiale possesso da parte dell’attrice, nè è stato denunciato un vizio di omessa pronuncia con riferimento all’accertamento di un titolo di proprietà fondato su tale atto.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 1142 c.c. e art. 310 c.p.c. sostenendo:
– che se il giudice di appello avesse inteso attribuire al giudizio di rilascio iniziato nel 1960 e terminato nel 1969 un effetto interruttivo fino alla sua estinzione e non limitato alla data dell’atto introduttivo avrebbe violato l’art. 310 c.p.c.;
– che, ammesso il possesso iniziale al 19/12/1960, il possesso intermedio, secondo il disposto dell’art. 1142 c.c., non necessitava di alcuna ulteriore prova ed era irrilevante la non continuità del possesso per il trasferimento in (OMISSIS) in quanto il possesso, una volta acquistato, si esercita anche solo animo.
2.1 Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi e muove da un presupposto(il possesso animo domini antecedente al 1960) solo ipotizzato dalla Corte di Appello; infatti nella sentenza si afferma: "anche ad ammettere provato un possesso uti dominus anteriormente, non c’è dubbio che l’atto interruttivo del giudizio abbia azzerato l’eventuale termine già accumulato ai fini dell’usucapione"; l’espressione "anche a volere ammettere" e il riferimento ad un termine maturato per l’usucapione solo eventuale rivelano che la Corte ha formulato solo una ipotesi che non costituisce il fondamento della decisione di appello che, invece, trova il suo autonomo fondamento nella rilevata circostanza che il fondo fu detenuto dalla madre della S. (la relazione di fatto che l’attrice poteva avere con il bene dipendeva dalla detenzione da parte della madre) prima del 1960 solo a titolo di comodato precario (v. pag. 7 della sentenza: "risulta certo che il terreno in questione risulta detenuto in data anteriore al 1960 dalla dante causa della S., ma risulta altrettanto certo che il fondo fu detenuto a titolo di comodato precario"), mentre con riferimento ad un possesso successivo al 1960 da parte dell’attrice, la prova, secondo la Corte territoriale, è insufficiente se non addirittura inesistente, nè risulta che essa avesse neppure mai iniziato a possedere il bene.
3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente S. C. a pagare a P.P. le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2012

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Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige – sede di Trento N. 41/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 48 del 2008 proposto da CONFTRASPORTO (Confederazione del Trasporto, della Spedizione e della Logistica), FAI (Federazione Autotrasportatori Italiani) e UNITRA, soc. coop. a r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Michele Calleri, Natale Callipari, Francesca Fiorini e Francesco Valsecchi ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avv. Lino Rosa in Trento, via Brigata Acqui 9

CONTRO

l’AUTOSTRADA DEL BRENNERO S.p.A., in persona del Presidente in carica pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Claudio Guccione con domicilio presso la Segreteria di questo Tribunale ex art. 35 r.d. 1054/24;

l’ANAS S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in Largo Porta Nuova, n. 9 è per legge domiciliata;

il Ministero delle Infrastrutture, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in Largo Porta Nuova, n. 9 è per legge domiciliata;

il Ministero dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento nei cui uffici in Largo Porta Nuova, n. 9 è per legge domiciliata

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 50/07 del 30.5.2007, adottata dal Presidente dell’Autostrada del Brennero S.p.A., recante il divieto di sorpasso ai mezzi pesanti in alcuni tratti autostradali.

Visto il ricorso con i relativi allegati, inizialmente proposto davanti al T.a.r. del Lazio e successivamente riassunto, a seguito di regolamento di competenza, davanti a questo Tribunale;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società concessionaria intimata,

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ANAS e dei Ministeri intimati;

Viste le memorie prodotte;

Vista l’ordinanza del T.a.r. del Lazio 27.9.2007, n. 4441 con cui è stata respinta l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi nella camera di consiglio del 15 gennaio 2009 – relatore il consigliere Lorenzo Stevanato – i difensori delle parti come specificato nel verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

A sostegno del ricorso in epigrafe vengono dedotte le seguenti censure:

1) violazione degli artt. 5 e 6 del D.lgs. 30.4.1992, n. 285, non essendo stata previamente effettuata la comunicazione all’ente concedente, senza che l’omissione fosse giustificata dall’urgenza di provvedere: il divieto di sorpasso dei mezzi pesanti non sarebbe una misura straordinaria né temporanea, ma costituirebbe il consolidamento di una prassi in vigore dal 1999.

2) violazione del’art. 5 del D.lgs. 30.4.1992, n. 285 ed eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, non essendo stati indicati gli elementi istruttori a supporto del provvedimento adottata e non essendo possibile verificare e ricostruire il relativo iter logico;

3) eccesso di potere sotto vari profili, non essendo stato osservato l’accordo – quadro del 2003 fra le parti interessate, in particolare per la durata indefinita nel tempo del divieto; sarebbe stata omessa l’acquisizione all’istruttoria di dati rilevanti; sarebbe stato violato il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;

4) violazione degli artt. 28, 29 e 30 del Trattato CE, in quanto l’impugnato provvedimento avrebbe l’effetto di limitare gli scambi intracomunitari.

La società concessionaria intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso per tardività e la sua l’inammissibilità, allegando: a) l’omessa impugnazione delle presupposte ordinanze n. 21 e n. 12 del 1999; b) il difetto di legittimazione attiva; c) la mancata contestazione di una parte essenziale della motivazione.

Nel merito ha controdedotto diffusamente, concludendo per la reiezione del ricorso.

Si sono costituiti in giudizio anche l’ANAS ed i Ministeri intimati delle Infrastrutture e dei Trasporti, contestando la fondatezza della prodotta impugnativa.

Alla pubblica udienza del 15.1.2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con l’impugnata ordinanza è stato introdotto “A partire dalle ore 06.00 del giorno 15 giugno 2007 il divieto di sorpasso dalle ore 6.00 alle ore 22.00 per i veicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 12 tonnellate adibiti al trasporto di cose e per i treni costituiti da autoveicoli trainanti caravan o rimorchi … sul tratto autostradale compreso tra Ala – Avio ed il Raccordo con la A1, da progr. km. 179 a progr.km. 314, in entrambi i sensi di marcia, fatte salve eventuali manovre di superamento di automezzi scortati, veicoli o trasporti eccezionali, mezzi d’opera quando viaggiano a pieno carico e comunque veicoli già soggetti a limitazioni di velocità particolari, nonché, veicoli in avaria”.

E’ stato, altresì, stabilito “il divieto di sorpasso dalle ore 6.00 alle ore 22.00 del giorno 15 giugno 2007 per veicoli di massa complessiva a pieno carico superiori a 12 tonnellate adibiti al trasporto di cose sul tratto autostradale compreso tra Bolzano sud ed Ala-Avio da progr. km. 85 a progr. km. 179 in entrambi i sensi di marcia, fatte salve le eventuali manovre di superamento di succitate”, nonché “il divieto di sorpasso per i veicoli adibiti al trasporto di cose di massa complessiva a pieno carico superiore a 7,5 tonnellate ed ai treni costituiti da autoveicoli trainanti caravan o rimorchi come definiti dall’art. 56 del C.d.S., nel tratto autostradale tra Brennero e Bolzano sud, da progr.km 0 a progr.km 85, dalle ore 0.00 alle ore 24.00 del giorno 15 giugno 2007, in entrambi i sensi di marcia, fatte salve le eventuali manovre di superamento di cui sopra”.

Pregiudizialmente all’esame del ricorso nel merito, vanno decise le eccezioni in rito opposte dalla difesa della Società Autostrada del Brennero.

L’eccezione di irricevibilità del ricorso perché asseritamente tardivo è infondata, non essendo stata fornita dalla parte resistente in giudizio la piena prova che la conoscenza dell’ordinanza impugnata sia avvenuta antecedentemente al decorso dei sessanta giorni che hanno preceduto la proposizione del ricorso.

Sono infondate anche le ulteriori eccezioni di inammissibilità del ricorso.

Circa l’eccepito difetto di legittimazione, osserva il Collegio che le associazioni di categoria agiscono in giudizio per la tutela degli interessi collettivi degli associati, e perciò esse possono adire il giudice amministrativo per l’annullamento di provvedimenti che ledono tali interessi, come ricorre nella fattispecie, ove attraverso la prodotta impugnativa di una misura pertinente il traffico sull’autostrada del Brennero, ritenuta pregiudizievole per il suo agevole scorrimento da parte degli autocarri ivi indicati, s’intende tutelare l’intera categoria rappresentata.

Circa l’omessa impugnazione delle previe ordinanze del 1999, va in contrario rilevato che l’ordinanza impugnata col presente ricorso è lesiva ex se, essendo stati introdotti elementi di novità rispetto alle precedenti ordinanze e non si configura, quindi, come meramente confermativa; in disparte resta in ogni caso il fatto che, alla luce dell’istruttoria svolta, la natura propriamente provvedimentale della suddetta ordinanza pare non seriamente contestabile.

Infine, circa la mancata impugnazione di una parte della motivazione, ove fa riferimento alle esigenze di tutela ambientale, l’omissione non fa venir meno l’interesse all’impugnativa poiché detto capo di motivazione non è sufficiente a sorreggere autonomamente il provvedimento.

Nel merito, peraltro, il ricorso è infondato.

Va premesso che il potere esercitato nella fattispecie dalla società concessionaria è disciplinato dall’art. 6, comma 4, del D.lgs. 30.4.1992, n. 285 (Codice della Strada) nei termini seguenti:“L’ente proprietario della strada può, con l’ordinanza di cui all’art. 5, comma 3:…

b) stabilire obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa, o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade”…

Il comma 6 dello stesso art. 6, a sua volta, stabilisce che “Per le strade e le autostrade in concessione, i poteri dell’ente proprietario della strada sono esercitati dal concessionario, previa comunicazione all’ente concedente. In caso di urgenza, i relativi provvedimenti possono essere adottati anche senza la preventiva comunicazione al concedente, che può revocare gli stessi”.

Ciò premesso, col primo motivo di ricorso si sostiene che sarebbe stata omessa la comunicazione prescritta dal citato comma 6, non ostandovi l’urgenza di provvedere.

In realtà, la società resistente ha dimostrato, producendola in giudizio, che tale comunicazione preventiva è stata effettivamente eseguita in data 24.5.2007 (doc. n. 12), per cui la relativa censura si rivela infondata in fatto.

Nell’ordine logico, sono stati poi dedotti (col secondo motivo) i vizi di difetto di motivazione e di istruttoria.

Nemmeno tali censure sono fondate.

Invero, l’ordinanza impugnata – contrariamente a quanto assumono le istanti associazioni – appare obiettivamente assai ampiamente motivata.

Essa, infatti, muove dalla riconosciuta utilità che hanno svolto le precedenti ordinanze del 1999 (n. 18 di data 7 agosto 1999, n. 19 di data 12 agosto 1999 e n. 21 di data 4 ottobre 1999) per “ovviare a situazioni di pericolo determinate dalle frequenti manovre di sorpasso tra mezzi pesanti che comportano l’impegno della corsia di sorpasso per lunghi tratti a causa della minima differenza di velocità tra i mezzi in questione, con penalizzanti conseguenze anche sulla capacità di assorbimento del traffico dell’arteria, dove il traffico leggero è sottoposto a continue variazioni di velocità”.

Con quei provvedimenti era stato imposto il divieto di sorpasso per i veicoli adibiti a trasporto di cose di massa complessiva a pieno carico superiore a 7,5 tonnellate nel tratto autostradale tra il passo del Brennero e Ala – Avio per entrambi i sensi di marcia.

La motivazione considera, poi, che tali provvedimenti “hanno portato in generale notevoli benefici per la sicurezza della circolazione (diminuzione degli incidenti con conseguenze gravi); per la fluidità della stessa (aumentata capacità di gestione del traffico senza formazione di code); per il rispetto dell’ambiente (minori accelerazioni e frenate); per la maggior sicurezza percepita dagli utenti”.

L’ordinanza, in punto di istruttoria, fa successivamente riferimento alla circostanza che “i dati raccolti insieme con la Polizia Stradale e da questa certificati dimostrano una accentuata differenza in tutti gli indicatori della incidentalità tra il tratto ove sono in vigore i divieti di sorpasso rispetto al tratto ove questi non sono vigenti, a favore del primo”.

Sul piano istruttorio l’ordinanza dà atto che “l’analisi dei tempi di percorrenza dei tratti autostradali ove sono in vigore i divieti di sorpasso ha dimostrato che, a fronte di un flusso veicolare più ordinato e di una maggiore fluidità della circolazione, non vi è alcuna penalizzazione temporale per i veicoli per i quali non è consentito il sorpasso. Infatti i tempi di percorrenza medi per chilometro per i veicoli pesanti a 5 o più assi, dotati di apparato Telepass, sono sostanzialmente uguali sia nelle ore e nel tratto ove è in vigore il divieto di sorpasso che nelle ore e nel tratto ove non vi è divieto.”

Detti puntuali rilievi, che trovano supporto nei dati di fatto cui fanno riferimento, acclarano dunque non solo l’adeguatezza della motivazione addotta, ma consentono di disattendere l’associato rilievo di un’insufficiente istruttoria, che all’opposto è stata puntualmente eseguita con modalità appropriate al fine da perseguire e con articolazione esauriente rispetto a ciascuna questione da sottoporre a meditata verifica.

Alcuna contestazione, del resto, viene mossa dalla parte istante quanti ai fatti ed ai dati esposti, il che manifesta che l’onere di dimostrare l’assunto consistente ed effettivo pregiudizio, derivante dal divieto di sorpasso, a fronte del risultato degli accertamenti svolti dalla Società Autostrada del Brennero, non è stato assolto in giudizio; è, in particolare, rimasto incontroverso in atti il fatto che i tempi di percorrenza dei visto tratto autostradale da parte dei mezzi pesanti non sono sostanzialmente variati rispetto al periodo in cui il suddetto divieto non era in vigore.

Col terzo motivo è stata denunciata la violazione dell’accordo – quadro del 2003 tra le parti interessate, in particolare per la durata indefinita nel tempo del divieto. E’ stata, inoltre, censurata l’omessa l’acquisizione all’istruttoria di dati rilevanti e la violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.

Procedendo dall’analisi di quest’ultimo vizio, il Collegio osserva che la società concessionaria ha correttamente applicato il principio di proporzionalità e di ragionevolezza dell’azione amministrativa e, cioè, il criterio del minor sacrificio possibile. Secondo la ben nota scansione trifasica, la misura prescelta dev’essere necessaria, astrattamente idonea a perseguire lo scopo ed, infine, strettamente proporzionale in modo tale che il provvedimento emanato non superi la soglia del soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito, obbligatoria restando l’opzione per la misura più mite che permetta, comunque, il raggiungimento dello scopo.

Nella specie, è avviso del Collegio che tale parametro non sia stato violato e che l’imposizione del divieto di sorpasso ai mezzi pesanti fosse in effetti la misura più mite e nel contempo pienamente idonea a contenere gli incidenti stradali ed a garantire una maggiore protezione dell’ambiente; per converso il pregiudizio da essa recato ai tempi del servizio di autotrasporto è in ogni caso assai modesto se confrontato con i vantaggi prodotti in termini di sicurezza del traffico, ivi compresa la riduzione degli incidenti, nonché di tutela ambientale.

Circa la denunciata violazione dell’accordo – quadro del 2003, dal documento n. 6 prodotto in giudizio dalla società resistente si evince che esso reca criteri di massima (come le caratteristiche fisiche del tracciato, le condizioni climatiche e gli elevati volumi di traffico) relativi alla sperimentazione dei divieti di sorpasso in autostrada, che peraltro non risultano affatto disattesi nel caso all’esame. Inoltre, va rilevato che l’ordinanza impugnata è comunque successiva alla fase sperimentale, già esplorata dalla società concessionaria, e la sua durata a tempo indeterminato si giustifica proprio perché la precedente sperimentazione ha fornito concludenti indicazioni sull’utilità della misura adottata. A tal riguardo si può aggiungere che le diverse scelte adottate da altre concessionarie (come quella, citata dalle ricorrenti, di Autovie Venete per la tratta di imbocco della tangenziale di Mestre dell’A4 – A27) riguardano situazioni obiettivamente diverse sicchè il dedotto vizio appare del tutto inconfigurabile. In particolare, è completamente diversa e non affrontabile con quella dedotta in giudizio la situazione della tangenziale di Mestre, dove l’incolonnamento ininterrotto dei camion sulla corsia di destra rende oltremodo difficoltosa l’immissione dei veicoli dagli innesti stradali, rendendo ben comprensibile che non sia applicato il divieto di sorpasso ai mezzi pesanti per non congestionare ulteriormente tale corsia.

Circa l’asserita omissione di dati rilevanti, si è già visto sopra che l’istruttoria svolta è stata esauriente e che gli elementi che la sorreggono sono sufficienti ed appropriati, per cui anche le censure dedotte col terzo motivo di ricorso vanno disattese.

Infine, è manifestamente infondata la censura di violazione del Trattato CE, nel rilievo che l’impugnato provvedimento avrebbe l’effetto di limitare gli scambi intracomunitari.

Invero, l’istruttoria esperita ha acclarato che i tempi di percorrenza dei mezzi pesanti non sono significativamente aumentati per effetto del divieto di sorpasso già precedentemente introdotto, evento peraltro, la cui ricorrenza nella specie non rappresenterebbe un ostacolo agli scambi commerciali transfrontalieri, che potrebbero all’opposto giovarsi, tramite il più ordinato flusso veicolare, di una concorrente maggiore sicurezza di scorrimento: resta in ogni caso da sottolineare che i valori tutelati sul territorio nazionale in termine di risparmio di vite umane sono obiettivamente poziori rispetto alle pur legittime esigenze del trasporto delle merci su gomma, sottostando alla sicurezza stradale ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare un ostacolo alla libera circolazione delle merci (cfr., ad es.: Corte giustizia CE, 05 giugno 2008 , n. 170).

Conclusivamente, per le ragioni che precedono il ricorso va respinto

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente a rifondere alle amministrazioni resistenti le spese e gli onorari del giudizio, che liquida – tenuto conto del valore indeterminabile della causa e dell’entità dell’attività difensiva svolta – nei termini seguenti:

a) alla Società Autostrada del Brennero, complessivi € 12.000,00 (di cui € 10.000,00 per onorari ed € 2.000,00 per diritti), oltre ad I.V.A. e CPNA ed al 12,5% sull’importo degli onorari, a titolo di spese generali;

b) all’ANAS ed ai Ministeri resistenti, complessivi € 6.000,00 (di cui € 5.000,00 per onorari ed € 1.000,00 per diritti), oltre al 12,5% sull’importo degli onorari, a titolo di spese generali.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 15 gennaio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo Presidente

dott. Lorenzo Stevanato Consigliere, estensore

dott. Alma Chiettini Consigliere

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 29 gennaio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 41/2009 Reg. Sent.

N. 48/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 22 febbraio 2011, n.4277 DISTANZE TRA COSTRUZIONI

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MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte d’appello, si sostiene, benchè investito con il gravame proposto dagli appellanti della questione relativa all’insussistenza, eccepita da questi ultimi, del diritto di veduta vantato dalle P., ha omesso di svolgere qualsiasi accertamento e valutazione dei fatti rilevanti ai fini della controversia in ordine all’esistenza del diritto delle attrici. Tale accertamento sarebbe stato di per sè sufficiente a determinare l’illegittimità della costruzione S. – D. C. almeno per tutta la parte costruita in aderenza e a chiusura della terrazza. Il giudice del gravame, invece, ha ignorato del tutto il motivo, senza farsi carico nè di confutare le censure, nè di farle proprie.

1.1. – Il motivo è inammissibile per due ragioni concorrenti.

1.1.1. – La prima consiste in ciò, che solo la parte impugnante ha interesse alla pronuncia su tutti i motivi d’appello, mentre per il divieto della reformatio in peius (operante anche nel processo civile: v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 14063/06) la parte appellata, che non abbia proposto impugnazione incidentale, non ha un interesse pari e contrario alla decisione su ciascun motivo.

Nè ha pregio alcuno il ragionamento di tipo eventuale svolto dalle ricorrenti, secondo cui una diversa impostazione del percorso motivazionale, incentrato sull’esistenza del diritto di venduta esistente a vantaggio del fondo di loro proprietà, avrebbe potuto far emergere l’illegittimità dell’intera opera realizzata dai S. – D.C., atteso che le sentenze si impugnano per quanto hanno deciso, non per quello che avrebbero potuto statuire.

1.1.2. – In secondo luogo, l’omessa pronuncia integra una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. nn. 26598/09, 12952/07, 1701/06, 27387/05 e 12475/04), lì dove, nella specie, le ricorrenti hanno invece censurato la sentenza in parte qua ai sensi del n. 5 art. ult. Cit..

2. – Con il secondo motivo, articolato in più punti, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di "norme di diritto", nonchè contraddittorietà e illogicità della motivazione.

2.1. – In particolare, si sostiene che il giudice di merito non solo abbia apoditticamente affermato che le strumento urbanistico vigente all’epoca di realizzazione del fabbricato di proprietà degli appellanti fosse il Piano di Ricostruzione, nonostante l’emanazione in epoca successiva della L. n. 1684 del 1962 e della L. n. 64 del 1974, ma abbia, altresì, omesso di considerare che, anche applicando le norme del P.d.R., la costruzione contestata dovesse parimenti considerarsi illegittima, data la presenza, nel cortile interno, di un edificio addossato ad una parete del fabbricato P., ma costituente senz’altro un manufatto idoneo a determinare l’obbligo di osservare le distanze, poichè ai fini dell’applicazione delle norme codicistiche la nozione di costruzione non si esaurisce in quella di edificio, ma si estende a qualsiasi opera non completamente interrata avente i requisiti di solidità e immobilizzazione rispetto al suolo.

Oltre a ciò non è del tutto chiaro il passaggio argomentativo in base al quale il giudice dì secondo grado abbia potuto ritenere legittima una costruzione che in ogni caso si trova, anche sulla terrazza, a distanza di mt. 4,71 dalla proprietà P., con evidente violazione delle N.T. A. dei P.d.R..

2.1.1. – Prosegue parte ricorrente che risulta confusa e illogica anche la teoria della Corte di merito sugli intervalli di isolamento, esclusi perchè, secondo il ragionamento del giudice d’appello, lo spazio tra i due fabbricati risulta già edificato per la presenza del locale terraneo delle P.. In senso contrario deve osservarsi che se è vero che per intervallo d’isolamento deve intendersi la distanza minima tra i muri frontali di due edifici (secondo il punto C.4.1. del D.M. 16 gennaio 1996), non si comprende perchè esso non possa configurarsi quando una tale situazione venga a verificarsi all’altezza del solaio del primo piano e non al piano terra, poichè l’intento di scongiurare danni alle persone in caso di crolli deve essere perseguito anche ai piani superiori. In secondo luogo, conclude, parte ricorrente, anche a voler tutto concedere, non può non essere stigmatizzato come sia stata la stessa Corte d’appello ad affermare che la distanza minima di mt. 5 doveva comunque essere rispettata, ed essa sicuramente non esisteva tra i fabbricati "divisi" dalla terrazza di proprietà P..

2.2. – Il motivo è fondato in ordine a entrambe le violazioni prospettate.

2.3. – E’ senz’altro erroneo, in primo luogo, che ai fini del computo della distanza tra costruzioni debba aversi riguardo, come afferma il giudice d’appello, al distacco intercorrente tra le due pareti "principali" dei fabbricati (cioè, si legge nella sentenza impugnata, "i muri maestri che partono dal suolo e si sviluppano verticalmente sino a raggiungere la linea di gronda"), senza considerare il corpo accessorio della proprietà P. posto al piano terra.

2.3.1. – Ed infatti, queste Corte ha avuto modo di rilevare che ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c., e segg., e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi "costruzione" qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo dall’uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione; e che, salvo l’ipotesi di sporti o aggetti in funzione meramente complementare o decorativa, gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, in guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità, assumono il carattere di costruzione, sicchè se ne deve tener conto ai fini dell’accertamento del rispetto della normativa sulle distanze, a maggior ragione qualora le distanze tra costruzioni siano stabilite in un regolamento edilizio comunale che non preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. n. 2228/01; in senso analogo, cfr. Cass. n. 1509/98, secondo cui ove l’opera da valutare sia costituita da più parti tra loro strutturalmente collegate in maniera stabile ed in misura tale da costituire un entità unica e inscindibile sul piano economico-funzionale, i caratteri propri della costruzione devono essere verificati dal giudice di merito riguardando l’opera nel suo insieme e non nelle singole sue parti, e rapportando quindi alla stessa, unitariamente considerata, il giudizio sulla idoneità alla creazione di intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà immobiliare).

2.3.1.1. – Nello specifico, il giudice d’appello ha rilevato (con accertamento di fatto non censurato sotto il profilo della logicità e congruità motivazionale) che il corpo accessorio dell’edificio di proprietà P., ubicato al piano terra e interposto tra questa e la proprietà S. – D.C., è costituito da servizi igienici, e dunque – è da ritenere – da una struttura, potenzialmente, di consistenza apprezzabile e in relazione di stretta funzionalità pratico-economica con il fabbricato principale, di cui amplia, altresì, la superficie complessiva utilizzabile. Ne consegue, in base alle superiori premesse, che i suddetti immobili di proprietà P., principale ed accessorio, devono essere valutati unitariamente ai fini della distanza tra costruzioni, e che, in particolare, la distanza stessa debba essere calcolata non dalla linea esterna del corpo di fabbrica principale, ma dalla parete più prossima dell’edificio accessorio che si interpone tra questo e l’immobile di proprietà S. – D.C..

2.4. – La decisione impugnata risulta, poi, illogica nella parte in cui pur partendo dalla premessa che la distanza – compresa tra un minimo di mt. 4,71 e un massimo di mt. 5,65 – tra il fabbricato di nuova costruzione di proprietà degli appellanti e i fabbricati P., distanza misurata dalla terrazza sita al primo piano che funge da copertura dei locali terranei di proprietà di queste ultime parti, contrasterebbe con le prescrizioni del regolamento comunale che impongono un intervallo d’isolamento minimo di mt. 6, trae l’incomprensibile conclusione per cui la L. n. 1684 del 1962, art. 6, che nelle zone sismiche vieta qualsiasi costruzione, anche a carattere provvisorio, negli intervalli di isolamento, non sarebbe applicabile nella specie perchè lo spazio tra i due edifici è già edificato per la presenza in esso del locale terraneo delle P., con l’altrettanto illogica deduzione per cui dovrebbe, pertanto, ritenersi applicabile solo la norma del P.d.R. che impone il rispetto della distanza di mt. 5 tra le facciate di edifici prospicienti.

2.4.1. – A tacere del carattere implicitamente ipotetico del ragionamento, che sconta la pregressa negazione dell’applicabilità del R.E.C. in quanto non ancora approvato all’epoca della costruzione degli appellanti, siffatto argomentare è incoerente, poichè negando che la distanza tra gli edifici delle parti possa qualificarsi come intervallo di isolamento (non per difetto dei suoi presupposti, ma) per il solo fatto che esso, nella specie, sarebbe già occupato da una costruzione, in contrasto con quanto prescritto ai riguardo dalla stessa (normativa antisismica, contraddica: la propria premessa logico-giuridica, per l tornare ad affermare che la sola regola applicabile nel caso in esame sarebbe quella del Piano di Ricostruzione che fissa in mt. 5 la distanza tra le facciate di edifici prospicienti i cortili, attuando in tal modo per la seconda volta la rimozione mentale del rilievo che nella controversia assume la presenza del locale terraneo di proprietà P..

2.4.1.1. – Per contro, come questa Corte ha avuto modo di affermare (v. Cass. n. 1695/04), le norme legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra edifici sono integrative delle disposizioni dell’art. 873 c.c., e segg., in materia di distanze fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non soltanto l’incolumità pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di intercapedini dannose e pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono sugli strumenti urbanistici che prevedano distanze inferiori.

2.4.2. – Di riflesso, nella fattispecie, occorre riscontrare il rispetto (non di 5, ma di) 6 mt. tra il fabbricato di proprietà S. – D.C. e quello di proprietà P., considerando quest’ultimo nella maniera unitaria di cui s’è detto innanzi, comprensivo, cioè, anche del corpo di fabbrica accessorio posto al piano terra e adibito a servizi igienici.

3. – In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che si atterrà ai seguenti principi di diritto: a) "le norme legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra edifici sono integrative delle disposizioni dell’art. 873 c.c., e segg., in materia di distanze fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non soltanto l’incolumità pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di intercapedini dannose e pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono sugli strumenti urbanistici che prevedano distanze inferiori"; b) ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c., e segg., e delle disposizioni legislative e regolamentari aventi carattere integrativo, gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, in guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità pratico- economica, costituiscono con l’immobile principale una costruzione unitaria, che va considerata nel suo insieme indipendentemente dallo sviluppo orizzontale o verticale dei singoli corpi di fabbrica di cui si compone, e senza distinguere tra immobile principale e accessori o pertinenze aventi le ridette caratteristiche, di guisa che le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell’edificio maggiore, ma da quella che risulti più prossima alla proprietà antagonista".

4. – Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale provvederà al regolamento anche delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

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