Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-01-2011, n. 1205 Sanzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. La Consulcoop s.c.a r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate (che non hanno resistito) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di irrogazione sanzioni per inesatta liquidazione periodica di imposta alla dichiarazione Iva del 1990, la C.T.R. Lazio confermava la sentenza di primo grado (che aveva dichiarato inammissibile il ricorso) rilevando che il contribuente non aveva alcun interesse a censurare l’avviso opposto per una violazione diversa da quella sulla base della quale era stata irrogata la sanzione e che correttamente i primi giudici avevano esaminato solo le ragioni poste a fondamento del ricorso introduttivo, non potendo considerare altre ragioni non dedotte o tardivamente proposte.

2. Con un unico motivo, deducendo vizio di motivazione, il ricorrente sostiene che i giudici d’appello avevano omesso di considerare che, se pure nel ricorso introduttivo era stata indicata una violazione diversa da quella per la quale era stata applicata la sanzione, per entrambe le violazioni era intervenuta la abolitio criminis e pertanto doveva essere rilevato l’intervento dello ius superveniens più favorevole al contribuente.

La censura è inammissibile, posto che il dedotto vizio di motivazione non attiene all’accertamento in fatto bensì ad una questione di diritto (l’intervento della abolitio criminis e le conseguenze che da tale fatto dovevano trarre i giudici d’appello).

In proposito, è appena il caso di evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 può concernere escluP.Q.M.

Rigetta il ricorso.
sivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione o l’applicazione di norme giuridiche, posto eventuali vizi della motivazione in diritto della sentenza non assumono rilievo di per sè, potendo essere censurata la decisione, ove non conforme a diritto (e indipendentemente dalla motivazione che la sostiene), ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 3, mentre, ove il giudice del merito abbia deciso correttamente le questioni di diritto sottoposte al suo esame, l’eventuale inadeguatezza, illogicità o contraddittorietà della relativa motivazione non può essere oggetto di censura ma può soltanto dar luogo alla correzione da parte della Corte di cassazione ex art. 384 c.p.c., u.c. (v. tra le altre Cass. n. 11883 del 2003).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In difetto di attività difensiva, nessuna decisione deve essere assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-01-2011, n. 465 Finanza regionale

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elega di D’Elia e l’avvocato dello Stato Palmieri;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1). Viene in decisione l’appello proposto dalla Regione Campania contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, prima sezione, 10 agosto 2005, n. 10686 che, accogliendo il ricorso proposto dall’Università degli Studi di Napoli "Federico II", ha annullato per difetto di motivazione la nota n. 434 del 2002, con cui la Regione Campania aveva chiesto all’Università di restituire la somma di Euro 27.293,83, somma che la Regione le aveva corrisposto a titolo di acconto sul contributo concessole per la ricerca scientifica ai sensi della legge regionale 31 dicembre 1994, n. 41.

2). L’appello non merita accoglimento.

2.1.). Va respinto, in primo luogo, il motivo con cui si fa valere il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Deve, al riguardo richiamarsi l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di riparto di giurisdizione in materia di sovvenzioni e contributi pubblici, rilevano i normali criteri di riparto, fondati sulla natura delle situazioni soggettive azionate, con la conseguenza che, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione sulla scorta di un addotto inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti denominati come revoca, decadenza, risoluzione, purché essi si fondino sull’asserito inadempimento, da parte del beneficiario, alle obbligazioni assunte a fronte della concessione del contributo; il privato vanta invece una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, se la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio, o se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (in tal senso, da ultimo, Cons. Stato, V, 10 novembre 2010, n. 7994).

Deve perciò ritenersi sussistente, nella fattispecie oggetto del presente giudizio, la giurisdizione amministrativa, in quanto, la restituzione del contributo è stata chiesta non contestando un inadempimento del beneficiario, ma alla stregua di una nuova valutazione dell’interesse pubblico in vista del quale il contributo era stato concesso..

A giustificazione del provvedimento impugnato, la Regione invoca, infatti (anche nell’atto di appello), l’art. 11 della convenzione stipulata tra le parti in data 2 maggio 1998, che prevede che qualora, nel corso della ricerca, per fatto non imputabile a colpa del beneficiario e valutabile a giudizio esclusivo del Comitato scientifico, le probabilità di successo della ricerca stessa si affievolissero o venissero del tutto meno per carenza del risultato, il finanziamento, per la parte non ancora erogata, sarà revocato ed il beneficiario, per la parte erogata, tenuto alla restituzione della quota di finanziamento, fermo a suo carico l’obbligo, per la parte utilizzata, della relativa rendicontazione.

A fronte della revoca vi è, quindi, una diversa valutazione sulle probabilità di successo del progetto di ricerca e non un presunto inadempimento del beneficiario. Ne consegue che la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo.

2.2.) Da respingere sono anche le ulteriori eccezioni di inammissibilità e irricevibilità del ricorso originario riproposte dalla Regione con specifici motivi di appello.

2.2.1.) In ordine all’eccezione di inammissibilità (secondo la Regione sarebbe stata impugnata una mera nota di invito bonario proveniente dall’Avvocatura, tutt’altro che lesiva e priva di natura provvedimentale), si deve osservare che il vero oggetto del giudizio, contro il quale, del resto, si indirizzano le censure fatte valere dall’Università nel giudizio di primo grado, non è la nota dell’Avvocatura regionale (in effetti priva di natura provvedimentale), ma il provvedimento di revoca adottato con decreto della Giunta regionale in data 21 dicembre 2001, n. 7010, sul cui presupposto l’Avvocatura ha chiesto la restituzione degli importi di denaro precedentemente concessi.

2.2.2.) In ordine all’eccezione di tardività (secondo la Regione, il Settore ricerca scientifica aveva comunicato a mezzo fax al Dipartimento universitario di medicina interessato il pronunciamento sfavorevole del comitato scientifico preannunciando la revoca del contributo già con nota del 14 luglio 1999), si deve osservare che l’atto comunicato è un mero parere infraprocedimentale, che non può evidentemente determinare la decorrenza del termine per impugnare il provvedimento di revoca che risulta successivo (del 21 ottobre 2001). In relazione a tale provvedimento, non si sono prove in ordine al fatto che l’Università ne abbia avuto conoscenza in data anteriore rispetto alla comunicazione della nota con cui l’Avvocatura regionale chiedeva la restituzione delle somma.

Il ricorso di primo grado, quindi, deve ritenersi tempestivo.

2.3.) Nel merito, il Collegio condivide le conclusioni cui è giunto il Tribunale amministrativo in ordine al difetto di motivazione dell’atto di revoca.

Il provvedimento impugnato non indica, infatti, in alcun modo le ragioni sulla base delle quali la Regione ha ritenuto sussistenti i presupposti per disporre la revoca del contributo già concesso. Non risulta a tal fine sufficiente né il richiamo al parere del Comitato scientifico del 9 giugno 1999 (a sua volta primo di motivazione), né il generico riferimento alle esigenze contabili dell’esercizio finanziario 1999.

3.). L’appello, in definitiva, va respinto.

La peculiarità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 10223/2005, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-01-2011) 11-02-2011, n. 5102

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16.9.2010 il Tribunale di Napoli, costituito ex art. 310 cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto nell’interesse di F.S. avverso l’ordinanza emessa dalla locale Corte di appello il 14.4.2010 con la quale era stata disattesa l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare dell’imputato, condannato alla pena di anni otto di reclusione per la partecipazione all’associazione camorrista facente capo alla famiglia Mazzarella, con sentenza del Gup del tribunale di Napoli del 5.1.2009.

Rilevava il tribunale che l’ordinanza impugnata aveva rigettato l’istanza avanzata il 2.4.2010 dal difensore del F. con la quale si deduceva l’illegittimità del provvedimento reso dalla Corte di appello in data 14.1.2010 con il quale, in accoglimento della richiesta del difensore, Avv.to Scarfò, la Corte rimetteva in termine il predetto difensore per la proposizione dell’impugnazione (avendo eccepito il mancato avviso del deposito della sentenza di primo grado notificato solo al codifensore) e, contestualmente, sospendeva la decorrenza dei termini di custodia cautelare per la complessità del dibattimento relativamente a tutti gli imputati.

Evidenziava, ancora, il tribunale che con l’atto di gravame II difensore lamentava che con il provvedimento del 14.1.2010 la Corte di appello avrebbe dovuto retrodatare la remissione in termini facendola decorre dall’avviso di deposito del provvedimento decisorio e non avrebbe potuto sospendere i termini di custodia cautelare in relazione al F., attesa la mancata regolare costituzione del rapporto processuale.

Il tribunale, quindi, rilevava che l’appello in esame pur avendo ad oggetto l’ordinanza resa dalla Corte territoriale il 14.4.2010, in realtà censurava quella emessa in data 14.1.2010 che non era stata impugnata dal F.. Pertanto, in applicazione del consolidato principio per il quale la perentorietà dei termini per l’impugnazione impedisce che si possa impugnare un’ordinanza che sia meramente confermativa di altra precedente non tempestivamente impugnata, rigettava l’appello.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il F., a mezzo del difensore di fiducia, censurando l’ordinanza del tribunale per violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), sulla base dei medesimi argomenti posti a fondamento dell’appello, sostenendo che l’istanza avanzata dalla difesa il 2.4.2010 aveva ad oggetto la richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare in conseguenza sia della remissione in termini sia della sospensione dei termini di custodia cautelare; quindi, l’impugnazione aveva ad oggetto una diversa ordinanza.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Come è stato evidenziato nell’ordinanza impugnata, alla luce della corretta indicazione dei provvedimenti adottati dalla Corte territoriale, l’appello pur avendo ad oggetto l’ordinanza resa il 14.4.2010 con la quale veniva rigettata l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, in realtà censurava l’ordinanza emessa dalla Corte territoriale in data 14.1.2010 che doveva essere impugnata ai sensi dell’art. 304 cod. proc. pen., e che, invece, non era stata impugnata dal F..

Che gli argomenti posti a fondamento dell’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, avanzata dalla difesa in data 2.4.2010, afferissero al contenuto del provvedimento reso dalla Corte territoriale in data 14.1.2010 risulta evidente anche da quanto ribadito nel ricorso in esame.

Il tribunale, quindi, ha fatto corretta applicazione del principio enunciato.

In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, poichè a norma dell’art. 304 c.p.p., commi 1 e 4, è consentita l’immediata appellabilità dell’ordinanza che ne dispone la sospensione, la mancata presentazione, da parte dell’interessato, dell’atto di appello nel termine perentorio stabilito dall’art. 310 c.p.p., comma 2, comporta, in virtù del fenomeno della preclusione endoprocessuale, l’inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, a nulla rilevando l’illegittimità dell’originaria sospensione (Sez. 1^, n. 43566, 05/12/2002, Filippo, rv. 223071; Sez. 1, n. 23159, 28/05/2008, Patanè, rv. 240207).

Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la declaratoria di inammissibilità dello stesso ai sensi dell’art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.

La declaratoria di inammissibilità comporta per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna II ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-04-2011, n. 9165 Sanzioni fiscali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, Sezione distaccata di Rimini, con la decisione indicata in epigrafe – accogliendo l’appello proposto dall’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, respingeva il ricorso proposto da B.S. avverso le cartelle di pagamento emesse nei confronti del predetto in relazione alle sanzioni pecuniarie relative a violazioni accertate a carico della S.r.l. Simone Bacchini Ingrosso Carni, poi dichiarata fallita, della quale il predetto era stato amministratore.

1.1 – La Commissione tributaria provinciale, dopo aver rilevato l’applicabilità – ratione temporis – della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, aveva accolto la censura del ricorrente fondata sull’invalidità della notificazione, nei suoi confronti, dell’avviso di accertamento.

1.2 – La Commissione tributaria regionale, rilevata in primo luogo l’infondatezza delle questioni pregiudiziali sollevate dall’appellato, nonchè appellante in via incidentale, osservava che gli avvisi di accertamento erano stati regolarmente notificati al curatore del fallimento della S.r.l. Simone Bacchini Ingrosso carni, ribadendo, poi, l’applicabilità al caso in esame della disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 472 del 1979. 1.3 – Per la cassazione di tale decisione il B. propone ricorso, affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

2. Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce "violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di ultrapetizione", in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, è fondato.

Dal tenore della decisione di primo grado, cosi come richiamato, con adeguato rispetto del principio di autosufficienza, dalla difesa del ricorrente, emerge che la Commissione provinciale di Rimini aveva affermato l’illegittimità delle cartelle, in quanto non precedute da regolare notifica degli avvisi di accertamento.

In particolare, veniva esclusa la validità (rectius, l’esistenza) della notificazione al curatore del fallimento, in quanto gli avvisi di accertamento erano privi di "alcuna relata di notificazione", mentre si dava atto che l’Ufficio, premesso di aver notificato gli atti avvalendosi del servizio postale, aveva "anche esibito due ricevute di ritorno di raccomandate, peraltro non sottoscritte dal signor B.S. e prive dell’indirizzo del destinatario" .

A tale riguardo, richiamata l’applicabilità delle disciplina delle notificazioni così come disciplinata dal codice di rito, e rimarcata, quindi, l’assenza della relata di notificazione, si affermava che "la semplice ricevuta di ritorno, per altro non sottoscritta personalmente dal destinatario, del quale non è neppure indicato l’indirizzo, non può essere considerata prova idonea alla dimostrazione della avvenuta notifica, essendo del tutto priva degli elementi identificativi della trasmissione (atto notificato, indirizzo del destinatario) e di quella efficacia fidefadente propria dell’attestazione contenuta nella relata".

L’appello proposto dall’Ufficio, così come testualmente riportato nel ricorso, era incentrato unicamente sulla validità o meno delle notificazioni effettuate tramite il servizio postale, come espressamente previsto dalla L. n. 146 del 1982, art. 14, aggiungendosi che dagli avvisi di ricevimento emergeva, fra l’altro, "la prova del ritiro delle stesse da parte di familiare convivente (padre) che ha regolarmente firmato in data 19.7.2002". 2.1 – Da quanto evidenziato discende che in merito alla questione della invalidità delle notificazioni al curatore fallimentare, non intaccata dall’appello proposto dall’Ufficio, si era formato il c.d.

"giudicato interno", essendo rimessa alla valutazione della Commissione tributaria regionale soltanto l’aspetto inerente alle notificazioni eseguite, tramite il servizio postale, nei confronti del B..

Sotto tale profilo appare evidente che, avendo la Commissione tributaria regionale affermato che "gli avvisi di accertamento sono stati regolarmente notificati al curatore del fallimento Bacchini S.r.l. il 20 luglio 2002", senza procedere ad alcune esame della questione dedotta con il ricorso in appello, vale a dire la validità o meno della notifica effettuata personalmente al B., risulta violato il principio, contenuto nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56, secondo cui "le questioni e le eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte, s’intendono rinunciate".

Trattasi di una specifica limitazione al c.d. effetto devolutivo dell’appello, la cui violazione, come verificatosi nel caso di specie, si risolve nel denunciato vizio di ultrapetizione.

2.2 – La questione della notifica personalmente al B. e non alla società, ovvero al curatore del relativo fallimento – da vagliare sulla scorta dell’esame delle ricevute di ritorno prodotte dall’Ufficio, con particolare riferimento alla verifica della reale sussistenza del rapporto di convivenza con il padre (in tanto rilevante in quanto l’atto risulti effettivamente notificato nel domicilio del contribuente), applicandosi, in ogni caso, quanto alla c.d. "relata" il principio al riguardo affermato da questa Corte, secondo cui la sua assenza costituisce mera irregolarità (Cass., 14 ottobre 2009, n. 21762) – assume particolare rilievo, da momento che nella stessa decisione impugnata si da atto dell’applicabilità del D.Lgs. n. 472 del 1997, che prevede (art. 16) la notifica dell’atto di contestazione all’autore materiale della violazione.

2.3 – In considerazione dell’accoglimento del suddetto motivo, rimanendo gli altri assorbiti, l’impugnata decisione deve essere cassata , con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale, che esaminerà la questione dedotta con il gravame, applicando i principi sopra richiamati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.