T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 14-11-2011, n. 8744

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe la parte ricorrente espone quanto segue:

1) che egli lavora alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria;

2) che con sentenza n. 12009 del 2008 il TAR Lazio accoglieva il ricorso proposto dai signori Mancaniello ed altri (tra cui il ricorrente) per vedersi riconoscere il diritto ad ottenere il computo delle due ore settimanali di servizio obbligatorio a fini di tredicesima mensilità, nonché ai fini della riliquidazione del trattamento pensionistico e di quello di buonuscita, con relativa condanna dell’Amministrazione al pagamento di quanto dovuto; in particolare il TAR accoglieva in parte la pretesa dei ricorrenti riconoscendo il loro diritto ad ottenere il computo delle due ore di servizio straordinario obbligatorio a decorrere dal 31 dicembre 1995 nella base pensionabile e sulla base di calcolo della buonuscita.

Espone altresì di avere notificato nel secondo semestre del 2010, come risultante in atti, apposita diffida affinché l’Amministrazione eseguisse la sentenza in epigrafe, posto che questa è passata in giudicato, atteso il decorso dei termini di impugnazione previsti per legge senza che la parte soccombente proponesse appello.

Conclude chiedendo pertanto che sia dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione della Giustizia di portare ad esecuzione la prefata sentenza, oppure che sia nominato un commissario ad acta come per legge.

L’esponente aziona la pretesa ad ottenere l’esecuzione della sentenza in epigrafe, in base alla quale è stato riconosciuto il diritto nei confronti dei destinatari e dei quali fa parte, ad ottenere la determinazione della base pensionabile e della base di calcolo dell’indennità di buonuscita ricomprendendovi anche le due ore di lavoro obbligatorie e settimanali già previste dall’art. 12, commi 1, 2 e 3 del d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395 a decorrere dal 31 dicembre 1995.

Al riguardo è dunque da rilevare che, ancorché la sentenza possa ritenersi quanto meno esecutiva non avendo parte ricorrente prodotto certificato di non interposto appello, mentre l’art. 114, comma 2 del Codice di rito prescrive che l’attore debba produrre in giudizio anche l’eventuale prova del passaggio in giudicato, la situazione di cui sopra rende la domanda di esecuzione del tutto indeterminata, laddove a fronte del riconoscimento del diritto ad ottenere il beneficio di che trattasi recato dalla sentenza in epigrafe, la relativa condanna dell’Amministrazione alla corretta determinazione delle sopra cennate basi di calcolo ai fini della pensione e della indennità di buonuscita potrà avere attuazione quando gli interessati, tra cui l’esponente, lo matureranno e cioè al momento del collocamento in quiescenza.

Sotto questo profilo potrebbe obiettarsi che l’ottemperanza sostanzia un giudizio di merito, nel quale, unico, il giudice può sostituirsi all’Amministrazione nell’adottare il provvedimento, ma tale obiezione non vale a scalfire la circostanza che era nella disponibilità della parte fornire la prova dell’intervenuta cessazione al momento della proposizione del ricorso per l’esecuzione, laddove il giudice non può di certo, neppure in sede di merito, sostituirsi all’Amministrazione quando la pretesa azionata, ancorché derivante da una sentenza asseritamente passata in giudicato, sia indeterminata o futura.

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando:

Dichiara inammissibile il ricorso, come in epigrafe proposto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-10-2011) 28-10-2011, n. 39230

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sull’appello proposto, tra gli altri, da L.G.R. A. ed E.C.O.F. avverso la sentenza del GUP presso il Tribunale di Roma in data 10-12-2009 che, all’esito di giudizio abbreviato, li aveva dichiarati colpevoli del reato di concorso in importazione, trasporto e detenzione a fine di spaccio di Kg. 4,00 circa di cocaina, con la aggravante dell’ingente quantitativo e, con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, nonchè con la diminuente per il rito, aveva condannato ciascuno alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 100.000 di multa, con pene accessorie dell’interdizione perpetua dal pp.uu. nonchè, durante detta pena, dell’interdizione legale e della sospensione dell’esercizio della potestà di genitore, la Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 17-9-2010, confermava il giudizio di 1^ grado, ribadendo la comprovata responsabilità degli imputati in ordine al reato ascritto loro, anche in relazione alla correttezza della contestata aggravante dell’ingente quantità di droga, oggettivamente sussistente e la "più che equa" misura del trattamento sanzionatorio.

Avverso detta sentenza entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo a rispettivi motivi di gravame, a mezzo dei propri difensori: L.:

1) Violazione dell’art. 606 comma 1, lett. c) in relazione all’art. 34 c.p.p., per incompatibilità di uno dei componenti il collegio giudicante della Corte territoriale capitolina (in persona del Dr. A. R.)che in data 3-6-010, in funzione di GIP presso il Tribunale di Roma, aveva emesso a carico del ricorrente un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per fatti oggetto di procedimento connesso a quelle oggi in esame, così valutando gli stessi atti a supporto di tale procedimento;

2) Erronea applicazione della legge penale e difetta di motivazione la merito alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità di droga D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, apoditticamente riferita ad un dato meramente quantitativo, a prescindere dalle pronunce al riguardo di questa Corte di legittimità, peraltro non vincolanti nel merito;

3) Difetto di motivazione in relazione alla quantificazione della pena, con indimostrato ruolo del ricorrente anche in punto di parametri utili a stabilire il quantitativo di stupefacente oggettivamente trasportabile da ciascun corriere;

4) Omessa motivazione in riferimento alla pena accessoria della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale per tutta la durata della pena, atteso che l’art. 32 c.p., comma 3, non comporta l’automatismo di tale pena accessoria in sede di condanna;

E.:

I) Nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione alla violazione dell’art. 34 c.p.p., n. 2 bis, posto che il GIP del Tribunale di Roma (in persona del Dr. R.A.), in data 3-6-2010, ha emesso un’ordinanza cautelare in carcere nei confronti del ricorrente in cui veniva contestato il reato concorrente di cui all’art. 74 D.P.R. cit. con reato fine oggetto del presente procedimento, di guisa che "lo stesso Magistrato si e trovato a valutare l’identico episodio avvenuto in data 27-6-2009, sia nella veste di GIP che in quella di membro del collegio della Corte di Appello romana, che ha emesso la sentenza oggetto del presente ricorso;

2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla mancata motivazione in ordine alla differenziazione della posizione dei vari imputati nello sviluppo dei fatti contestati, anche tenuto conto dell’ammissione di responsabilità della propria illecita condotta;

3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione al difetto di motivazione circa l’asserita presenza di cocaina proveniente da precedenti spedizioni o da altre fonti italiane, con travisamento delle effettive risultanze processuali ed omessa valutazione dei concreti elementi oggettivi realmente presenti in atti a cominciare da quelli di pg;

4) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza di motivazione sul riconoscimento dell1aggravante ex art. 80 D.P.R. cit., in assenza di indicazione dei parametri applicati dal giudice del gravame per la valutazione della sussistenza di tale aggravante;

5) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), per erronea interpretazione della legge penale sulla configurabilità dell’aggravante anzidetta, in difetto di caratteri di eccezionalità del dato ponderale giustificante un sensibile inasprimento della pena;

6) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza di motivazione circa il denegato ruconoscimento del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche su detta contestata aggravante.

I ricorsi sono infondati e vanno rigettati con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Ed invero, quanto all’eccezione di cui al motivo sub I) di ciascun ricorso è assorbente il fatto che tale censurata incompatibilità di uno dei componenti il Collegio giudicante della Corte territoriale capitolina la cui sentenza e oggetto dei presenti gravami, può essere fatta utilmente e tempestivamente valere solo tramite il ricorso all’istituto della ricusazione, per il combinato disposto degli artt. 37 comma 1, lett. a) con l’art. 36 comma 1, lett. g) a sua volta espressamente richiamante l’art. 34 c.p.p.. Trattasi di materia di portata eccezionale e, come tale, non oggetto di alcuna interpretazione analogica o estensiva, ma sottoposta a rigorosi vagli formali e sostanziali che ne garantiscano una corretta ed efficace applicazione a tutela di ben possibili (ma non è il caso in esame) tentativi di mera speculazione processuale sulla terzietà dell’organo giudicante nel contesto di una rigorosa osservanza del giusto processo anche in relazione al ruolo e funzione dell’A.G..

I motivi sub 2) del ricorso L. e sub 4) e 5) del ricorso E. sono infondati, posto che la corte territoriale, a conferma dell’argomentato rilievo del giudice di 1^ grado, ha correttamente ribadito la sussistenza della contestata aggravante dell’ingente quantità, anche in relazione al criteri di recente opportunamente tracciati da questa Corte in relazione al dato quantitativo e qualitativo dello stupefacente, fermo restando che, al riguardo, l’impugnata sentenza, nel riportarsi a detti criteri, ha sufficientemente motivato la decisione al riguardo (cfr. fol. 4).

I motivi sub 2) e 3) del ricorso E. sono inammissibili, risolvendosi In censure sostanzialmente in punto di fatto a fronte delle quali, in ogni caso l’impugnata sentenza ha offerto corretta, sufficiente sposta motivazionale (cfr. foll. 2-3.4).

I motivi sub 3) del ricorso L. e quello sub 6) del ricorso E. attengo ad aspetti riservati al potere discrezionale del giudice di merito come tale insindacabile in questa sede di legittimità se, come nella specie, sufficientemente e correttamente motivato (cfr. fol. 4 sentenza impugnata).

Anche il motivo sub 4) del ricorso L. è infondato, posto che l’art. 32, comma 3, testualmente collega alla condanna per un tempo non inferiore ad anni cinque (come nella specie) la pena accessoria anche della sospensione della potestà di genitore, come è agevole rilevare dalla stessa dizione letterale al riguardo "produce, altresì, altresì durante la pena" detta pena accessoria, nell’ambito di una valutazione discrezionale ancorata alla stessa gravità del fatto ed alla pericolosità dell’imputato, come, nella specie, evincibili dagli eloquenti riferimenti al riguardo operati dal giudice di merito di 1^ e 2^ grado.

Alla stregua delle argomentazioni che precedono i ricorsi in esame dono, pertanto, infondati e vanno rigettati con la conseguente condanna dei riscorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-09-2011) 17-11-2011, n. 42387

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che con sentenza del 15 aprile 2010 il Tribunale di Nocera Inferiore, ha condannato S.M. alla pena di 200 Euro di ammenda, per il reato di cui all’art. 674 c.p., perchè nella qualità di gestore della società SEA, operante in (OMISSIS), avente ad oggetto il recupero di rifiuti di tipo carta, cartone, materiali plastici e ferrosi, anche provenienti dal ciclo della raccolta differenziata, causava la costante emissione nell’ambiente circostante di polveri, residui pulverenti, carte e residui cartacei volatili atti ad offendere, imbrattare e molestare le persone dimoranti nella zona residenziale circostante ed adiacente ed inoltre a causa della stagnazione delle acque meteoriche e di dilavamento del piazzale contaminate dai residui della attività di gestione dei rifiuti suddetta, cagionava l’emissione di odori nauseabondi e molesti atti ad arrecare pregiudizio alla vivibilità e salubrità ambientale della medesima area, in (OMISSIS), con condotta ultima accertata nel marzo 2007; e art. 650 c.p., perchè si rendeva inosservante della ordinanza n. 28 del 7 agosto 2001, emessa dal dirigente responsabile del servizio ambiente del Comune di Scalfati con la quale gli era stato ordinato, per motivi igienico-sanitari e di sicurezza pubblica di utilizzare il piazzale solo per la movimentazione e sosta temporanea dei rifiuti inerti, tenendo libera da materiale combustibile una fascia di 20 metri dal confine della linea ferroviaria, continuando a consentire l’accumulo di ingenti quantità di rifiuti cartacei e simili di natura infiammabile a ridosso della recinzione, in (OMISSIS) in epoca successiva alla data dell’ordinanza, con condotta perdurante ulteriormente accertata nel mese di marzo del (OMISSIS) e cessata, secondo quanto affermato in sentenza, dal febbraio (OMISSIS);

che l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1) Omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e del decreto di citazione a giudizio e quindi nullità della sentenza, essendogli stata anche in tal modo preclusa la possibilità di chiedere l’oblazione; 2) Erronea attribuzione alla società SEA di condotte riferibili alla società Papiro Sud, di cui era amministratore un parente dell’imputato, come dichiarato dal teste D.R. all’udienza del 21/1/2010 ed affermazione di responsabilità presunta in quanto basata unicamente sulla posizione di amministratore della società; 3) Mancata pronuncia di prescrizione per il reato di cui all’art. 650 c.p., in quanto il giudice, in violazione dell’art. 522 c.p.p., avrebbe ritenuto cessate le condotte al febbraio 2009; 4) Infondatezza delle accuse nel merito, in quanto mancherebbe una prova valida e munita di rigore scientifico della violazione dei limiti di tollerabilità di cui all’art. 674 c.p.;

Considerato che il primo motivo di ricorso risulta infondato, oltre che formulato in maniera del tutto generica: l’avviso di conclusione delle indagini preliminari risulta notificato al ricorrente, in (OMISSIS), presso la sede dell’azienda sita in via (OMISSIS), con consegna a C.F. addetto al ritiro in data (OMISSIS) e il decreto di citazione a giudizio per l’udienza del 27 novembre 2008 risulta notificato con raccomandata, nè in tale udienza l’avvocato, nella qualità di sostituto processuale del difensore di fiducia, ebbe ad eccepire alcunchè in ordine alla dichiarazione di contumacia dell’imputato, per cui non è certamente ravvisabile la lamentata nullità assoluta e insanabile, che ricorre solo se la notificazione della citazione sia stata omessa del tutto o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, sia risultata inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mentre la medesima nullità non ricorre "nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 c.p.p." (cfr. Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539);

che del pari risulta infondato il secondo motivo di ricorso perchè risulta invece evidente che la decisione si fonda sulle risultanze della verifica effettuata presso la SEA, essendo stato chiarito l’equivoco degli accertamenti svolti sulla società Papiro sud, come dettagliatamente esposto nella parte motiva della sentenza impugnata;

che è anche infondato il terzo motivo, atteso che il giudice di merito ha dato atto dell’accertamento avvenuto nel corso dell’istruttoria dibattimentale, della permanenza delle condotte, anche in riferimento all’omessa osservanza dell’ordinanza che imponeva lo sgombro di una ingente quantità di rifiuti cartacei situati nel piazzale, sulla fascia di confine con la linea ferroviaria; che infine va respinta l’ultima censura, afferente la mancanza di prova del superamento del limite di tollerabilità, richiesto, a parere del ricorrente, per la configurabilità del reato di cui all’art. 674 c.p., in quanto non esistendo una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della "stretta tollerabilità" quale parametro di legalità dell’emissione, il reato di cui all’art. 674 c.p. è configurabile addirittura anche nel caso di "molestie olfattive" promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera" (Sez. 3, n. 2475 del 9/10/2007, Alghisi e altro, Rv. 238447). L’evento del reato, infatti, consiste nella molestia, che, nel caso sia provocata dalle emissioni di gas, fumi o vapori, prescinde dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. (in tal senso Sez. 1, n. 16693 del 27/3/2008, Polizzi, Rv. 240117) e nel caso di emissioni idonee a creare molestie alle persone rappresentate da odori, se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, "il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti" (in tal senso, Sez. 3, n. 19206 del 27/3/2008, Crupi, Rv. 239874); che, nel caso di specie, gli esami testimoniali come sintetizzati nella decisione impugnata hanno consentito sia di provare la presenza ripetuta di olezzi maleodoranti nell’aria, sia la presenza di topi ed insetti, ed inoltre, quanto alla presenza di amianto nel tetto di copertura, il giudice di merito ha fatto richiamo a quanto accertato dai testi qualificati, all’esito di accertamenti tecnici, in ordine al superamento dei limiti di legge;

che pertanto i motivi di ricorso risultano infondati e, di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 10-01-2012, n. 170 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Considerato che il 14.12.2011 il ricorrente ha depositato in giudizio documentazione rilasciata dall’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma riguardante la intervenuta nomina e presa di servizio del ricorrente medesimo come Ricercatore presso l’Ateneo suddetto, con decorrenza dall’1.12.2011;

Preso altresì atto della circostanza che il difensore intervenuto in udienza il 14.12.2011 in rappresentanza del ricorrente ha dichiarato non sussistere ulteriormente nel ricorrente stesso alcun interesse alla coltivazione della causa, in relazione all’assunzione nel frattempo avvenuta del ricorrente stesso;

Ritenuto, ciò stante, che altro non resti al Collegio che dichiarare il ricorso improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, e che tuttavia le spese, sussistendo giustificati motivi, possano essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Bruno Amoroso, Presidente

Domenico Lundini, Consigliere, Estensore

Giuseppe Sapone, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.