Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-03-2012, n. 4566 Contratto di appalto

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1875/05, il Tribunale di Nola accoglieva la domanda per quanto di ragione, e condannava il Comune di Marigliano a corrispondere alla Cogin sas la somma di Euro 588.374, 17 oltre interessi legali dal 16 dicembre 2003 al soddisfo.

Avverso detta sentenza proponeva appello il comune di Marigliano.

Resisteva la Cogin sas.

Con sentenza n. 3193/10, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento sia dell’appello principale proposto dal Comune, sia di quello incidentale proposto dalla società, in riforma dell’impugnata sentenza, condannava il Comune a pagare alla Società CO.G.IN. la somma di Euro 276.473, 47, con gli interessi legali.

Con ricorso notificato in data 25.01.2011, la COGIN (divenuta S.p.a.) ha richiesto sulla base di tre motivi la cassazione della predetta sentenza.

Resiste con controricorso il comune di Marigliano.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente assume che la Corte napoletana avrebbe errato nel non riconoscere il diritto soggettivo alla revisione prezzi, inserita nello stato finale come riserva n. 4, poichè avrebbe omesso di considerare che siffatto diritto trovava un fondamento negoziale nel contratto di appalto n. 3023 del 20.05.1.94, nonchè in precedenti delibere consiliari, sicchè non poteva essere degradato a mero interesse legittimo.

Peraltro, secondo la società ricorrente, il Comune non avrebbe mai sollevato, sino alla comparsa conclusionale di secondo grado, osservazioni circa la quantificazione della contestata revisione operata dalla CTU, essendosi limitato soltanto a contestare l"’an debeatur dei compensi" ulteriori reclamati dall’appaltatore; mentre il Giudice a quo avrebbe rilevato motu proprio l’erroneità della consulenza d’ufficio, totalmente appiattita sui conteggi di controparte.

Con il secondo motivo di ricorso deduce che la Corte territoriale sarebbe incorsa "in errore di giudizio", ritenendo tardiva la relativa riserva, "allorchè aderendo alla tesi del Comune afferma che il maggior quantitativo di betonile era conoscibile sin dalla gettata dei primi pali"; il ricorrente continua assumendo che "l’errore di giudizio si manifesta nella scissione irrazionale nella fattispecie dannosa ripartita nella sola percezione della maggiore profondità dello scavo, laddove la pretesa reintegratoria investiva la globale quantità di betonile, conoscibile con la ordinaria diligenza solo a conclusione della frazione prestazionale, correttamente ritenuta tempestiva dal C. T. Uè dal Giudice di primo grado". Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ritiene tardiva anche la riserva per anomalo andamento del lavoro, atteso che la stessa sarebbe stata impedita dal periodo di sospensione dei lavori ed in maniera frettolosa la Corte avrebbe "collegato l’onere di tempestiva iscrizione della riserva alla data di nomina del collaudatore statico e di deposito presso l’ufficio del Genio civile", senza considerare che "la pendenza delle trattative sulla richiesta di proroga determina invero incertezza sull’assetto sulla durata del rapporto contrattuale e sulle ricadute economiche dell’anomalo andamento dei lavori".

Con il terzo motivo di ricorso l’impresa ricorrente assume il diritto ad ottenere il maggior danno ex art. 1224 da ritardo nel pagamento anche in presenza di un appalto pubblico regolato dalla disciplina del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35.

Il primo motivo è inammissibile.

La società ricorrente sostiene il proprio diritto a vedersi riconosciuta la revisione prezzi sulla base di una serie di documenti costituiti in primo luogo dal contratto rep. 3023 del 1994, ed, inoltre, dalle Delib. Consiliari n. 23 del 1993 e 1430 del 1990 nonchè da certificati di pagamento che includerebbero i compensi revisionali.

Il testo di tali atti non risulta peraltro riportato nel ricorso in violazione del principio di autosufficienza.

Inoltre a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, la nuova previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. (Cass. 20535/09; Cass. sez un 7161/10). Il mancato adempimento di tali obblighi rende il motivo non scrutinabile in questa sede di legittimità.

Il secondo motivo è infondato e per certi aspetti inammissibile. Va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che in tema di appalti assoggettati a disciplina pubblicistica, l’appaltatore che, in relazione a situazioni sopravvenute, intenda far valere pretese relative a compensi aggiuntivi rispetto al prezzo contrattuale ha l’onere di inserire, nella contabilità, formali riserve entro il momento della prima iscrizione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle vantate ragioni, e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non immediata portata onerosa, la potenzialità dannosa delle quali si presenti, peraltro, già dall’inizio obbiettivamente apprezzabile – secondo criteri di media diligenza e di buona fede – e consenta, pertanto, una corretta valutazione della situazione in base ai dati disponibili, onde segnalare, conseguentemente, alla parte committente il presumibile, maggiore esborso da affrontare (salvo poi a precisarne la relativa entità nelle registrazioni successive – o in sede di chiusura del conto finale – se la quantificazione sia, al momento, impossibile). (Cass. 13399/99, 2097/80; 394/79; 726/78;

21/78; 4430/77; 476/81).

A tali principi si è correttamente attenuta la Corte d’appello, la cui decisione in punto di diritto risulta del tutto corretta.

Quanto alla contabilizzazione del compenso per l’uso di betonite ha rilevato sulla base della CTU che il maggior uso di tale materiale si era evidenziato fin dalla fase di scavo, essendo risultato che la profondità dei pali era risultata maggiore di un metro e mezzo rispetto a quella originariamente indicata e che conseguentemente era evidente che per la gettata dei pali sarebbe stata necessaria una maggiore quantità di betonite e ciò si doveva rilevare fin dalla prima gettata degli stessi. Ciò comportava che la riserva avrebbe dovuto essere iscritta già nel primo stato di avanzamento.

Tale motivazione risulta assolutamente logica e basata sulle risultanze oggettive della consulenza tecnica, onde la stessa non è sindacabile in questa sede di legittimità.

Quanto poi alla tardività della riserva per anomalo andamento dei lavori per tutto il periodo tra la consegna dei lavori (14 giugno 1994) fino al 23 settembre 1994, data di deposito del progetto al genio civile, che risulta proposta solo il 22 marzo 1996 con lo stato finale dei lavori, la Corte d’appello si è correttamente attenuta al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui l’onere dell’appaltatore di formulare tempestiva riserva di maggiori compensi o indennizzi rispetto al corrispettivo pattuito, sorge nel momento in cui si evidenziano degli elementi che comportano, secondo indici di media diligenza e buona fede, un aggravio di spesa a suo carico.

Pertanto, in relazione ai fatti produttivi di danno continuativo, la riserva va iscritta contestualmente o immediatamente dopo che detti fatti abbiano evidenziato una potenzialità dannosa, percepibile con la normale diligenza, mentre il "quantum" può essere successivamente indicato.

In osservanza di detti principi la Corte d’appello ha rilevato la tardività della iscrizione a riserva avvenuta non solo dopo che i fatti produttivi del danno continuativo avevano iniziato a produrre i loro effetti ma addirittura circa un anno e mezzo dopo che gli stessi erano cessati.

Anche in tal caso trattasi di una motivazione del tutto adeguata sotto il profilo logico e fattuale e come tale non sindacabile in questa sede di legittimità.

Sotto altro profilo, entrambe le censure che la società ricorrente avanza nei confronti delle due esposte argomentazioni della Corte d’appello tendono a proporre delle censure sul merito della decisione e non possono quindi trovare ingresso avanti questa Corte.

Il terzo motivo è infondato.

Questa Corte ha in ripetute occasioni affermato che in tema di pagamento di corrispettivi dovuti per opere pubbliche, gli interessi moratori, calcolati nella misura prevista dal D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35, comma 1, devono ritenersi comprensivi anche del maggior danno ex art. 1224 cod. civ., e, conseguentemente satisfattivi di ogni ulteriore pregiudizio da ritardo nell’adempimento, atteso che la norma, a carattere speciale, si sostituisce alla disciplina generale codicistica. (Cass. 19960/11;

Cass. sez. un. 27186/07).

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in 3000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 01-12-2011, n. 9427

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso introduttivo, il ricorrente impugnava gli atti meglio indicati in epigrafe, con i quali ne era stato disposto il collocamento fuori ruolo.

Con ordinanza n. 5209/2009, questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare contenuta nel ricorso.

All’udienza del 16 novembre 2011, parte ricorrente, a mezzo di difensore regolarmente munito di delega, dichiarava il sopravvenuto difetto di interesse.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 22-12-2011, n. 10056

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

CONSIDERATO che il ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento di esclusione, per inidoneità attitudinale, dal concorso per esami e titoli per il reclutamento di 1.548 allievi carabinieri in ferma quadriennale, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale;

CONSIDERATO che il ricorrente contesta il gravato giudizio deducendo censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili;

CONSIDERATO che, in linea con una consolidata giurisprudenza, le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in merito alle prove concorsuali, costituiscono pur sempre l’espressione di una ampia discrezionalità finalizzata a stabilire in concreto, come nel caso in esame, l’idoneità attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziare uno sviamento logico od un errore di fatto;

RITENUTO, pertanto, che l’indagine del giudice amministrativo in ordine alla legittimità dei giudizi espressi in relazione alla idoneità psicoattitudinale dei candidati va limitata alla verifica della sussistenza dei presupposti assunti ad oggetto della valutazione, della logicità di questa e della congruenza delle conclusioni che ne sono scaturite (cfr. CONS. STATO – Sez. IV – 27 ottobre 1998, n.1392; T.A.R. LAZIO – Sez. I bis – 18 agosto 2003, n.7145);

CONSIDERATO che dall’esame della documentazione versata in atti dall’Amministrazione emergono le ragioni che hanno determinato la negativa valutazione del ricorrente sotto il profilo dell’assenza dei requisiti attitudinali richiesti dalla vigente normativa per il reclutamento nell’Arma dei Carabinieri;

CONSIDERATO che l’esame di tale documentazione non ha palesato alcun plausibile elemento sintomatico di eccesso di potere nella valutazione e nel giudizio resi, attesa la specificità e la completezza degli accertamenti sanitari a cui il ricorrente è stato sottoposto sia sotto il profilo psicologico che psichiatrico;

RITENUTO, infine, che dal giudizio impugnato, sia pure sinteticamente espresso, è possibile evincere le ragioni che hanno determinato la negativa decisione in ordine alla valutazione dell’idoneità del ricorrente, sotto il profilo attitudinale, ai fini del reclutamento nell’Arma dei Carabinieri, per cui si dimostra legittima l’esclusione dalla procedura selettiva del ricorrente, supportata da valutazioni tecniche esaurienti nell’evidenziare l’assenza del previsto profilo attitudinale, con la conseguenza che non possono condividersi i motivi di censura relativi alla pretesa inidoneità dei colloqui svolti in sede di accertamento attitudinale, nonché alla sostenuta inadeguatezza motivazionale della gravata determinazione.

Il ricorso va, dunque, respinto, mentre le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 10-01-2012, n. 185 Sanità

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 20 marzo 2009 e depositato il successivo 23 marzo, la Società Asmed a r.l impugna gli atti specificati in epigrafe e ne chiede l’annullamento.

Riferisce in fatto di essere un’azienda operante nel settore degli apparecchi elettromedicali e di altri dispositivi medici destinati all’Ottimizzazione Neuro-Psico-Fisica e di aver ideato, progettato e costruito l’apparecchio modulare denominato CRM (Convogliatore di Radianza Modulante), emettente energia elettromagnetica a microonde di modestissima potenza, utile in diverse specializzazioni della medicina e del benessere in generale, per il trattamento da disturbi da stress etc..

In data 31 marzo 2003 ha conseguito la certificazione CE dall’Organismo notificato CERMET quale apparecchio non impiantabile di classe IIa (certificazione rinnovata in data 31.3.2008) ed il 30 aprile 2004 ha ottenuto anche la certificazione del sistema di gestione della qualità secondo le norme ISO 9001:2000 e ISO 13485:2003 ed è oggi in uso in circa 130 studi medici specialistici, ospedali nonché presso l’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica Militare di Roma.

In data 28 novembre 2003 il Ministero della Sanità avviava una procedura ispettiva, volta a verificare la conformità dei dispositivi medici alle prescrizioni del D.Lgs. n. 46 del 1997, conclusasi positivamente a seguito di azioni correttive.

Sennonché il predetto Ministero, con nota del 6.6.2006, comunicava di procedere ad una nuova verifica, volta alla completa valutazione dell’apparecchiatura di cui trattasi, conclusasi negativamente con il provvedimento impugnato.

A sostegno delle proprie ragioni deduce:

1.violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5, 11, co. 2, e 17 D.Lgs. n. 46 del 1997; dei paragrafi 1 e 3 All. I ; paragrafo 3, All. VII; paragrafo 1.1 All. X; Allegati IV, v e VI al D.Lgs. n. 46 del 1997. Eccesso di potere per carenza di presupposti, travisamento dei fatti ed illogicità manifesta.

Assume la ricorrente che per il tipo di dispositivo di cui trattasi, non impiantabile e non appartenente alla classe III, non è richiesta la valutazione clinica di cui all’allegato X né è richiesto di fornire alcuna documentazione clinica ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti essenziali previsti dall’art. 4 del D.Lgs. n. 46 del 1997. Per tali apparecchi, infatti, è nullo il rischio per la sicurezza del paziente sicché il requisito di cui al paragrafo 3 dell’All. I è ottemperato con la garanzia che il fabbricante dà in relazione alle prestazioni dichiarate, ma non anche della sua efficacia clinica.

In sostanza, la ricorrente afferma che per il dispositivo in argomento non è richiesta la valutazione clinica sulla sua efficacia da effettuarsi mediante l’esame dei dati clinici;

2. violazione e falsa applicazione dell’art. 4, del paragrafo 1.1 All. X del D.Lgs. n. 46 del 1997. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e difetto di motivazione.

Deduce la ricorrente l’erronea interpretazione che l’Amministrazione ha fatto del paragrafo 1.1 dell’Allegato X , poiché la documentazione prodotta comprende i lavori scientifici inerenti la valutazione di efficacia dell’apparecchiatura in argomento nei disturbi psichici e stress correlati. Infatti la documentazione è costituita da:

bandi e programmi dei Master Universitari di II livello presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di "Tor Vergata" di Roma e l’Università degli Studi di Firenze; trials clinici randomizzati in cieco e doppio cieco, completati e registrati presso l’Australian Clinical Trials Registry e pubblicati sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; collaborazioni con le Facoltà di Medicina e Chirurgia delle principali Università, tra cui l’Università degli Studi di Roma – Sapienza I, di Siena e di Firenze; deliberazione n. 825 del 17.12.2007 del Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle di Cuneo, con cui è stata autorizzata la conduzione dello studio di osservazione sugli "effetti della ottimizzazione neuro posturale e ottimizzazione neuro psichica con CRM terapia sui disturbi dell’umore e dell’affettività"; Accordo di comodato d’uso e Tutoship tra il Ten. Col. Me. Enzo Caponera (Capo reparto Stomatologico del Policlinico Militare di Roma, Master II livello in ottimizzazione neuro psichica presso l’Università di Tor Vergata) e la Soc. ASMED, avente ad oggetto l’organizzazione di uno o più studi clinici per valutare l’impiego della terapia.

La documentazione prodotta, secondo la ricorrente, rappresenterebbe quella richiesta dal paragrafo 1.1 dell’Allegato X e non, come sostenuto dal Ministero, esclusivamente le pubblicazioni su riviste internazionali;

3. violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 17 e 18 D.Lgs. n. 46 del 1997; dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere sotto vari profili.

Sottolinea la ricorrente la contraddittorietà tra il provvedimento impugnato e quelli rilasciati dal Ministero medesimo e dall’Organismo notificato CERMET nel corso del procedimento di verifica di conformità avviato in data 6.6.2006, ai sensi dell’art. 17 del più volte menzionato decreto legislativo. La certificazione presuppone la verifica del rispetto dei requisiti essenziali e delle prescrizioni del D.Lgs. n. 46 del 1997, tanto da consentire il commercio al di fuori del territorio nazionale, mentre il provvedimento impugnato definisce il dispositivo "non conforme ai requisiti essenziali previsti dall’art. 4 del D.Lgs. n. 46 del 1997;

4. violazione e falsa applicazione artt. 1 e 3 della L. n. 241 del 1990; dell’art. 18 D.Lgs. n. 46 del 1997; dell’art. 97 Cost.; eccesso di potere sotto vari profili.

Il provvedimento impugnato si pone in contraddizione con le valutazioni di conformità rilasciate da CERMET all’esito delle numerose visite ispettive effettuate (dal 13.3.2003 sino al 13.3.2008) e con la certificazione dello stesso Organismo dell’8.10.2007, laddove CERMET, nel dare chiarimenti al Ministero, ha dichiarato che l’Azienda "ha allegato documentazione clinica".

Dalla motivazione del provvedimento impugnato non è dato comprendere in ragione di quali risultanze istruttorie le attestazioni rese da CERMET siano inattendibili, posto che l’istruttoria svolta dal Ministero poggia sulla medesima documentazione prodotta da ASMED in occasione delle verifiche ispettive condotte da CERMET;

5. violazione e falsa applicazione art.3 della L. n. 241 del 1990; dell’art. 18 D.Lgs. n. 46 del 1997; delle norme UNI EN ISO 9001:2000 e 13485-2003. Eccesso di potere sotto vari profili.

La certificazione di conformità alle normative UNI EN ISO 9001:2000 e 13485-2003 presuppone dei requisiti che corrispondono a quelli indicati dal D.Lgs. n. 46 del 1997 ai fini della marcatura CE dei dispositivi medici. Tuttavia dall’istruttoria condotta dal Ministero si evince che non sono stati tenuti in alcun conto i requisiti previsti per la normativa ISO. Dalla motivazione del provvedimento, infatti, non è dato comprendere le ragioni per le quali il CRM non è stato considerato idoneo a fornire le prestazioni assegnategli dal fabbricante secondo quanto richiesto dal paragrafo 3 dell’Allegato I del decreto legislativo più volte richiamato per i dispositivi di classe IIa;

6. violazione e falsa applicazione art. 3 e art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990; dell’art. 18 D.Lgs. n. 46 del 1997. Eccesso di potere sotto vari profili.

Assume la ricorrente che il provvedimento impugnato, determinato dall’accertamento del difetto dei requisiti essenziali, si concretizza in un provvedimento in autotutela, posto che interrompe l’immissione in commercio ed il ritiro dal mercato di una apparecchiatura commercializzata da lungo tempo ed autorizzata anche per l’estero, senza che ne sussistessero le ragioni di interesse pubblico;

7. violazione e falsa applicazione degli artt.3 e 21 quinquies della L. n. 241 del 1990; dell’art. 18 D.Lgs. n. 46 del 1997. Eccesso di potere sotto vari profili.

Anche qualora si configurasse il provvedimento impugnato quale revoca in ragione dell’interesse pubblico sotteso, esso è comunque illegittimo poiché non vi è alcuna motivazione sia in ordine ai motivi di interesse pubblico che in relazione alla posizione consolidata ed all’affidamento ingenerato nel destinatario che viene sacrificato.

8. violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della L. n. 241 del 1990; degli artt. 17 e 18 D.Lgs. n. 46 del 1997; dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere sotto vari profili.

Il provvedimento impugnato viola il principio di proporzionalità. Il Ministero avrebbe dovuto, in osservanza dell’art. 17 del citato decreto legislativo, ordinare al fabbricante di adottare tutte le misure idonee a far venir meno la situazione di infrazione entro un certo termine e solo scaduto il termine avrebbe potuto ordinare il ritiro dal commercio del dispositivo in questione. Nella specie, di contro, il Ministero, del tutto immotivatamente, ha disposto subito l’interruzione della immissione in commercio ed il ritiro dal mercato delle apparecchiature CRM.

Con atto di motivi aggiunti, notificato il 2 aprile 2009 e depositato il successivo 3 aprile, vengono dedotti ulteriori motivi, con particolare riferimento alla parte del provvedimento che impone il ritiro dal mercato delle apparecchiature CRM già in servizio.

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 septies della L. n. 241 del 1990; eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti illogicità manifesta e difetto di necessario presupposto.

Il Ministero non ha tenuto conto che i dispositivi attualmente in servizio (circa 130) non si trovano più nella disponibilità dell’istante, essendo stati legittimamente ceduti quando era consentita la loro commercializzazione, sicché la stessa non può imporre la restituzione agli attuali proprietari ;

2. violazione e falsa applicazione art. 1, 3 e art. 21 nonies e art. 21 1uin1uies della L. n. 241 del 1990; degli artt. 17 e 18 D.Lgs. n. 46 del 1997; dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere sotto vari profili.

L’amministrazione intende estendere retroattivamente gli effetti del provvedimento de quo sino a travolgere i rapporti giuridici conclusisi in forza della marcatura CE del 2003, che ha esaurito la sua efficacia alla scadenza del termine quinquennale di validità (31.3.2008).Consegue che il provvedimento censurato, come già dedotto, va ricondotto ad un provvedimento di annullamento, adottato in via di autotutela, con efficacia retroattiva, che non è idoneo a rimuovere un atto i cui effetti sono già esauriti.

D’altro canto, aggiunge la ricorrente, non è dato comprendere perché il Ministero abbia voluto travolgere anche la marcatura CE del 31.3.2003 (ormai priva di effetti dal 31.3.2008) ed i rapporti giuridici conclusi in forza della stessa.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha concluso per il rigetto del ricorso.

All’Udienza del 5 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Oggetto della presente controversia è il provvedimento con cui il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha disposto l’interruzione della immissione in commercio ed il ritiro dal mercato delle apparecchiature medicali denominate CRM, fabbricate dalla ditta ricorrente.

L’Amministrazione, ritenendo che il prodotto in argomento non rispettasse i requisiti essenziali previsti dall’art. 4 del D.Lgs. n. 46 del 1997, ne ha disposto l’interruzione dall’immissione in commercio ed il ritiro dal mercato.

La ricorrente deduce che per il tipo di dispositivo di cui trattasi, non appartenente alla classe III, non è richiesta la valutazione clinica di cui all’allegato X né è richiesto di fornire alcuna documentazione clinica ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti essenziali previsti dall’art. 4 del D.Lgs. n. 46 del 1997, essendo nullo il rischio per la sicurezza del paziente sicché il requisito di cui al paragrafo 3 dell’All. I è ottemperato con la garanzia che il fabbricante dà in relazione alle prestazioni dichiarate, ma non anche dalla sua efficacia clinica.

L’assunto non può essere condiviso.

Osserva il Collegio che è pacifico che il dispositivo in argomento rientri nella classe IIa, essendo un dispositivo attivo terapeutico che rilascia o scambia energia non in forma potenzialmente pericolosa.

Giova, altresì, puntualizzare che il provvedimento in contestazione è stato adottato, in particolare, per la mancanza di adeguati studi sulla efficacia clinica della terapia in argomento e non per la sua nocività alla salute.

Ciò detto, tuttavia, non può condividersi l’assunto della ricorrente, poiché la dichiarazione di conformità CE p. 3, elenca i documenti tecnici che devono consentire di valutare la conformità del prodotto ai requisiti del D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 e tra di essi figura anche "la valutazione clinica di cui all’allegato X".

Il punto 1.1 dell’allegato X recita: "La conferma del rispetto dei requisiti relativi alle caratteristiche ed alle prestazioni specificate ai punti 1 e 3 dell’Allegato I in condizioni normali di utilizzazione del dispositivo, nonché la valutazione degli effetti collaterali e dell’accettabilità del rapporto rischi/benefici di cui al punto 6 dell’allegato I devono basarsi, in linea di principio, su dati clinici. La valutazione di tali dati, di seguito denominata "valutazione clinica", che tiene conto – ove necessario – delle eventuali norme armonizzate pertinenti, deve seguire una procedura definita e metodologicamente valida fondata alternativamente su:

1.1.1 "un’analisi clinica della letteratura scientifica pertinente attualmente disponibile sui temi della sicurezza, delle prestazioni, delle caratteristiche di progettazione e della destinazione d’uso del dispositivo qualora: sia dimostrata l’equivalenza tra il dispositivo in esame ed il dispositivo cui si riferiscono i dati ed i dati dimostrino adeguatamente la conformità ai requisiti essenziali pertinenti".

La semplice lettura di dette disposizioni smentisce quanto affermato dalla Ditta ricorrente, secondo cui i dati clinici debbono essere assunti "esclusivamente per i dispositivi impiantabili e per i dispositivi appartenenti alla classe III" (pag. 9 del ricorso introduttivo).

Consegue che legittimamente l’Amministrazione al fine di accertare l’efficacia clinica del dispositivo in argomento abbia richiesto di valutare idonea documentazione clinica ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti essenziali di cui all’art. 4 del citato decreto legislativo .

Con il secondo motivo la ricorrente afferma che la documentazione prodotta dovrebbe soddisfare la richiesta di cui al paragrafo 1.1 dell’Allegato X , essendo errata l’interpretazione che di esso ha dato il Ministero, secondo cui sarebbero valide esclusivamente le pubblicazioni su riviste internazionali.

Osserva il Collegio che il problema centrale individuato dall’Amministrazione è stato quello di individuare una letteratura scientifica valida e specifica per il dispositivo in esame. Infatti, come riporta il parere del Consiglio Superiore di Sanità, ciò che è stato prodotto attiene ad altro dispositivo (Cranial Electrotherapy Stimulation) con caratteristiche non omogenee e, pertanto, non confrontabile; mentre la letteratura scientifica, allo stato, è stata ritenuta inidonea a fondare le affermazioni della Ditta costruttrice, poiché i risultati dello studio sperimentale, risultante dalla letteratura scientifica prodotta, è limitato ad un "lavoro effettuato su 20 uomini infertili e stressati, di cui 10 rappresentano il gruppo di controllo non trattato, accettato per la pubblicazione sulla rivista Journal of Medical Research" e, quindi, effettuato su un campione non rappresentativo, palesemente inadeguato a fornire una solida base scientifica al dispositivo.

In sostanza la Ditta produttrice non ha offerto evidenze scientifiche, riportate secondo i dati scientifici internazionali, che dimostrino l’efficacia clinica del dispositivo in argomento nel trattamento delle patologie dichiarate nella destinazione d’uso dal fabbricante.

D’altro canto, la valutazione delle pubblicazioni prodotte, ritenute inidonee dall’Amministrazione a fornire un’adeguata base scientifica sull’efficacia del dispositivo CRM è questione squisitamente di valutazione tecnico discrezionale, la quale, come noto, compete specificamente all’Amministrazione ed è sindacabile solo in caso di illogicità manifesta o di erroneità fattuale.

Con il terzo, quarto e quinto motivo, che si esaminano congiuntamente, la Ditta ricorrente, in sostanza assume la contraddittorietà dell’atto impugnato con i provvedimenti rilasciati dal Ministero medesimo, dall’Organismo notificato CERMET sia nel procedimento di verifica di conformità che nelle successive valutazioni di conformità rilasciate dal 2003 al 2008, laddove, in particolare, CERMET dichiara che l’Azienda "ha allegato documentazione clinica" e, da ultimo, con le certificazioni UNI EN ISO 9001:2000 e 13485-2003, che attestano la conformità dei requisiti del dispositivo a quelli indicati dal D.Lgs. n. 46 del 1997.

Osserva il Collegio che la documentazione attestante la conformità ed il possesso dei requisiti, rilasciata dai citati Organismi è idonea a comprovare la regolarità delle caratteristiche tecniche del dispositivo e attiene alla libera circolazione del prodotto, che comunque è soggetto ad attività di sorveglianza, ma non comprovano la efficacia clinica della terapia in argomento; questione, questa, che viene in rilievo nel caso di specie.

Con il sesto e settimo motivo, che si esaminano anch’essi congiuntamente, la ricorrente deduce che sostanzialmente l’atto impugnato si concretizza in un provvedimento in autotutela di un dispositivo commercializzato da lungo tempo, anche all’estero, e, quand’anche si trattasse di un provvedimento di revoca, esso sarebbe illegittimo, in quanto non vi è motivazione in ordine ai motivi di interesse pubblico.

Osserva il Collegio che il provvedimento impugnato non presenta le caratteristiche di un provvedimento di annullamento e nemmeno di revoca.

Invero, l’attività di sorveglianza cui l’Autorità governativa è preposta ha avviato un’indagine conoscitiva volta alla valutazione dell’efficacia terapeutica del dispositivo CRM e sulla base della inidoneità dei dati tecnico-scientifici prodotti dal fabbricante ha rilevato una situazione ritenuta non sanabile mediante l’adozione di rimedi correttivi, che ha comportato la misura restrittiva del commercio.

Quanto sopra vale a confutare anche l’ottavo motivo del ricorso introduttivo, con cui viene dedotta la violazione del principio di proporzionalità.

Con i due motivi dedotti con l’atto di motivi aggiunti, la società ricorrente assume, da un lato, che il Ministero non ha tenuto conto che i dispositivi non si trovano più nella disponibilità della società medesima, essendo stati legittimamente ceduti; dall’altro, che volendo estendere retroattivamente gli effetti del provvedimento impugnato, chiaramente questo è da qualificare quale annullamento, con efficacia retroattiva, che, come tale, è inidoneo a rimuovere effetti di provvedimenti ormai esauriti.

Questi ultimi due motivi meritano accoglimento.

Invero, il provvedimento impugnato viene giustificato dall’Amministrazione con la omessa produzione, da parte della Ditta ricorrente, di evidenze scientifiche atte a dimostrare l’efficacia clinica del dispositivo CRM, sicché, nella specie, nessuna pericolosità per la pubblica incolumità viene affermata e tanto meno dimostrata dall’Amministrazione stessa.

L’allegato I al D.Lgs. n. 46 del 1997 (art. 1), infatti, prescrive che l’utilizzazione dei dispositivi debba avvenire per gli usi ed alle condizioni previste e non debba compromettere lo stato clinico o la sicurezza dei pazienti né la sicurezza e la salute degli utilizzatori.

Stante la circostanza dell’assenza di rischi accertati sia per i pazienti che per terzi non si ravvisa la necessità di disporre il ritiro dei dispositivi ormai commercializzati, apparendo tale prescrizione fortemente onerosa e, come tale, palesemente sproporzionata.

L’Amministrazione, invero, avrebbe potuto imporre altre forme più idonee, quali, ad esempio, forme pubblicitarie, per informare del non sicuro beneficio del dispositivo in argomento.

Da quanto sopra emerge che in assenza di dimostrazione in ordine alla sussistenza di un rischio grave ed irreparabile per la salute pubblica appare, quindi, lesivo del principio di proporzionalità disporre il ritiro dal mercato dei dispositivi già commercializzati prima di averne verificato l’effettiva attitudine lesiva per la salute dei pazienti.

Per le argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere in parte respinto ed in parte accolto.

In considerazione della particolarità della fattispecie all’esame, può disporsi la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge ed in parte lo accoglie nei sensi indicati in motivazione.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Italo Riggio, Presidente

Maria Luisa De Leoni, Consigliere, Estensore

Giulia Ferrari, Consigliere

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