T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 11-03-2011, n. 394 Demolizione di costruzioni abusive Sanzione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il provvedimento meglio indicato in epigrafe, il Comune di Brescia ha ordinato a G.B. e ai comproprietari M. e R.B. di demolire, a pena delle conseguenze di legge in ordine alla gratuita acquisizione delle stesse al patrimonio comunale, le opere asseritamente abusive "accertate nella loro proprietà sita in via Milano 44, nell’area identificabile nel mappale n°160 del foglio n°85" del locale catasto, insistenti "in zona classificata B3 R2 nel P.R.G. vigente, nella fascia di rispetto cimiteriale, consistenti in un manufatto ad uso autorimessa, con pareti in muratura di prismi e copertura in eternit, di mq 25 circa ed altezza media di m 2,40 circa" (doc. 11 ricorrente, copia provvedimento citato).

Avverso tale provvedimento, G.B. propone in questa sede impugnazione, con ricorso articolato in due censure, riconducibili secondo logica ai seguenti tre motivi:

– con il primo, corrispondente alla prima parte della prima censura alle pp. 48 dell’atto, deduce eccesso di potere per sproporzione della sanzione irrogata. Premette in proposito in fatto che il manufatto abusivo in questione non sarebbe stato realizzato da lui personalmente ed esisterebbe da lunghissimo tempo, dal 1965, come riconosciuto dal Comune nel provvedimento impugnato, ovvero a suo dire già dal 1962. Ciò posto, afferma che il Comune stesso, dato l’affidamento in tal modo ingeneratosi nel privato in ordine alla regolarità dell’opera, avrebbe dovuto motivare in modo congruo in ordine all’interesse pubblico che ne imporrebbe la demolizione, anche considerata la sua modesta entità;

– con il secondo di essi, corrispondente alla seconda parte della prima censura alle pp. 813 dell’atto, deduce violazione dell’art. 338 del R.D. 27 luglio 1934 n°1265, T.U. delle leggi sanitarie, nel senso che a suo dire nelle fasce di rispetto cimiteriali non sarebbero vietate le costruzioni, come quella per cui è causa, diverse da quelle residenziali e non in contrasto con le esigenze igieniche alla base del vincolo,

– con il terzo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 13 dell’atto, deduce infine violazione dell’art. 36 del T.U. 6 giugno 2001 n°380, nel senso che una costruzione come quella per la quale è causa, ove abusiva, sarebbe sanzionabile non già con la demolizione, ma con la sola pena pecuniaria, perché si tratterebbe di pertinenza non soggetta a permesso di costruire.

Con memoria 2 febbraio 2011, il ricorrente ha ribadito le proprie ragioni.

Resiste il Comune di Brescia, con atti 14 settembre 2006 e 4 novembre 2010 e memoria 20 gennaio 2011, nei quali ha chiesto che il ricorso sia respinto, osservando:

– in ordine al primo motivo, che l’opera abusiva non è visibile dalla pubblica via, quindi non vi sarebbe a carico del Comune alcun colpevole ritardo nel provvedere, dato che essa è stata scoperta solo nel 2005;

– in ordine al secondo motivo, che il vincolo di rispetto cimiteriale va ritenuto assoluto;

– che quindi il terzo motivo deve ritenersi irrilevante.

La Sezione all’udienza del giorno 23 febbraio 2011 tratteneva il ricorso in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. Il primo motivo di ricorso, incentrato sulla presunta impossibilità di reprimere un abuso edilizio commesso a notevole distanza nel passato senza una motivazione particolarmente penetrante, è infondato e va respinto. Costante giurisprudenza della Sezione, da ultimo si cita TAR Brescia sez. I 22 febbraio 2010 n°860, afferma infatti che il potere di applicare misure repressive in materia urbanistica ed edilizia può essere esercitato in ogni tempo, senza necessità, per i relativi provvedimenti, di alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico a disporre una demolizione; in senso poi conforme si sono espresse anche numerose decisioni del C.d.S., ad esempio sez. IV, 15 settembre 2009, n°5509, che si cita per tutte.

2. Il Collegio non ignora l’esistenza di un orientamento difforme, espresso ad esempio da C.d.S. sez. V 4 marzo 2008 n°883, secondo il quale invece "il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso" e "il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza" potrebbero ingenerare un affidamento del privato, rispetto al quale sussisterebbe un "onere di congrua motivazione" circa il "pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato"; ritiene però che tale orientamento non vada condiviso.

3. In proposito, si impone anzitutto il rilievo fatto proprio dalla citata decisione C.d.S. 5509/2009, ovvero che di affidamento si può parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente e in modo compiuto reso nota la propria posizione alla p.a., venga indotto da un provvedimento della stessa a ritenere la legittimità del proprio operato, non già nel caso che rileva, in cui si commette un abuso a tutta insaputa della p.a. medesima. Inoltre, come osservato dalla Sezione nella pure citata sentenza 860/2010, l’abuso edilizio integra un illecito permanente, rappresentato dalla violazione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare in conformità a diritto lo stato dei luoghi; ditalché ogni provvedimento repressivo dell’amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, ma interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento.

4. E’infondato anche il secondo motivo, secondo il quale costruzioni come quella per cui è causa all’interno della fascia di rispetto cimiteriale sarebbero invece consentite. L’art. 338 del T.U. leggi sanitarie, così come modificato dall’art. 28 comma 1 lettera b) della l. 1 agosto 2002 n°166, consente entro fascia di rispetto cimiteriale, entro la quale, come incontestato, si trova l’autorimessa di che trattasi, interventi edilizi limitati, in sintesi estrema, alla manutenzione e al recupero dell’esistente, ma esclude in ogni caso, come risulta in modo chiaro dal primo comma dell’articolo, i "nuovi edifici", e tale concetto è senz’altro riconducibile un’autorimessa costituente manufatto fuori terra, come risulta a più forte ragione argomentando dalla recente C.d.S. sez. V 14 settembre 2010 n° 6671, che concerne un autorimessa interrata. Tale decisione ricorda come il vincolo in parola valga in assoluto, "senza necessità di compiere valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati" dallo stesso, concernenti la sacralità dei luoghi.

5. E’ da ultimo infondato anche il terzo motivo, atteso che per costante giurisprudenza la pertinenza in senso urbanistico edilizio, che non richiede, per essere realizzata, le formalità richieste per la "nuova costruzione", è solo quella che risulta "priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato", ed è quindi tale da esaurire "la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico": così per tutte come più recente C.d.S. sez. IV 18 ottobre 2010 n°7549. Tali caratteristiche, all’evidenza, non si ritrovano nell’immobile per il quale è causa, che è un box isolato, come tale ben suscettibile di utilizzazione autonoma, attraverso ad esempio la vendita o la locazione a terzi (cfr. doc. 1 ricorrente, fotografie dello stato dei luoghi).

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in conformità alla nota prodotta dall’amministrazione.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, Condanna G.B. a rifondere al Comune di Brescia le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 3.500 (tremilacinquecento/00) onnicomprensivi, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-01-2011) 29-03-2011, n. 12776 Reato continuato e concorso formale

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Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Milano, con ordinanza del 6 luglio 2010, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di M.R. perchè indagato per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6, e succ. mod. e D.L. n. 512 del 1991, art. 7. Il Tribunale per il riesame di Milano, con ordinanza del 30.07.2010 ha respinto il reclamo proposto dall’indagato e ha confermato il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il difensore, deducendo:

a) Violazione ed erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione circa i ritenuti gravi indizi di colpevolezza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente censura la decisione impugnata per omessa ed illogica motivazione, avendo ricavato i gravi indizi da un castello accusatorio in realtà inconsistente, per altro, senza valutare gli elementi di segno contrario offerti dalla difesa;

in particolare il coinvolgimento del M.R. era frutto di supposizioni, fondate sulla frequentazione di altri soggetti dediti peraltro al consumo personale di sostanze stupefacenti; in ogni caso si sarebbe dovuto configurare nei suoi confronti il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, con la possibilità di concessione della sospensione condizionale della pena. b) Violazione ed erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione circa la sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Il ricorrente lamenta che l’aggravante è stata contestata senza dimostrare che la condotta sia stata determinata, sotto il profilo soggettivo, dalla precisa volontà di facilitare con il delitto posto in essere l’attività di un gruppo di tipo mafioso, stante, eventualmente, l’esclusivo interesse personale alla cessione di modiche quantità di sostanze stupefacenti. c) Violazione ed erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione circa le ritenute esigenze cautelari.

Secondo il ricorrente l’ordinanza è illogica, per avere ritenuto le esigenze cautelari con motivazione apodittica, priva del vaglio della effettività e senza considerare l’assenza di pericolo di inquinamento probatorio, la mancanza di pericolo di fuga, essendo un soggetto con regolare nucleo familiare e attività lavorativa, l’assenza del pericolo di reiterazione del reato; ha concluso pertanto chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

Osserva la Corte che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (vedi Cass., sez. 4^, 06.07.2007 n. 37878).

Invero, quanto al primo motivo, il Tribunale, ha ampiamente, congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, osservando per incidens che dagli elementi raccolti nel corso delle indagini era emersa la "riproduzione" in Lombardia della struttura criminale calabrese, denominata "ndrangheta", organizzata con varie "locali" in Milano e province limitrofe; che a tali conclusioni si era pervenuti sulla scorta di articolate indagini, effettuate dall’Arma dei Carabinieri, mediante attività di osservazione ed intercettazione; il Tribunale enumera la serie di osservazioni ed accertamenti relativi all’evoluzione della ‘ndrangheta" in Lombardia, con il succedersi dei vari responsabili, culminate, in epoca recente, con la registrazione della riunione del 20.01.2009, tenuta presso il ristorante della pista di motocross di Cardano al Campo, gestita da P.G., nonchè con la registrazione della riunione del 31.10.2009, di P.D.;

che dalle predette indagini, e segnatamente dalle intercettazioni anche ambientali, erano scaturiti imponenti sequestri di armi e materie esplodenti, dimostrativi della disponibilità di armi da parte dell’organizzazione; che tali elementi erano indicativi delle modalità mafiose dell’organizzazione, ancorchè non sfociate in condotte eclatanti; al riguardo il Tribunale sottolinea che l’associazione per delinquere è reato di mera condotta e di pericolo presunto; in particolare la Locale di Erba aveva avuto fondazione recente ed era "certificata" a far tempo dal maggio 2008, con a capo V.P.; il Tribunale motiva riguardo sia alla ricorrenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, sottolineando che, in base al contenuto delle intercettazioni ambientali realizzate all’interno del maneggio di Erba, del 9 dicembre 2009, (v. motivazione sub) capo 135) il colloquio tra il V.P., il M.R., C.E. e P.A., dimostra come il M. fosse pienamente inserito nel contesto dedito alla smercio di sostanze stupefacenti gestito dal gruppo V., circostanza ribadita dal contenuto delle successive telefonate del 10, 13, 15 dicembre 2009, in cui, anche in presenza di situazioni con difficoltà di gestione della situazione, essendo stata contestata la qualità della merce venduta, vengono adottate anche cautele nei comportamenti e nel linguaggio tipiche di chi appartiene ad un contesto criminale. Queste valutazioni sono corroborate dalla presenza di foto che testimoniano gli incontri tra i correi e lo scambio di merce, verosimilmente sostanza stupefacente.

Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’altro episodio contestato sub) capo 136 relativo a sostanza stupefacente custodita dallo stesso M. presso la propria abitazione e presso il maneggio di Erba. Le motivazioni relative agli episodi sopra richiamati correttamente devono essere ritenute idonee a dimostrare il collegamento "qualificato" del prevenuto con l’organizzazione mafiosa; i gravi indizi emersi dall’esame del contenuto delle intercettazioni sono indicativi della sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 in quanto riguardanti attività manifestamente orientate a favorire altri associati del gruppo mafioso e, più in generale, l’intera vita del sodalizio criminale, anche nei passaggi più delicati e cruciali del traffico della cocaina (Cass., sez. 6, 16 maggio 2007, n. 23153).

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Peraltro il requisito della gravita degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p..

Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente. (Cassazione penale, sez. 4^, 4 marzo 2008, n. 15198) Del pari infondati sono i motivi con i quali il ricorrente propone una valutazione alternativa delle prove, atteso che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice di merito (Cass., sez. 4^, 6 luglio 2007, n. 37878).

Per la sussistenza del vizio di "manifesta illogicità" della motivazione si deve dimostrare che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, non rileva la circostanza che gli atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in tesi, di eguale crisma di logicità, anche perchè l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. (Cass., sez. 4^ 12 giugno 2008, n. 35318).

Tali principi inducono a ritenere infondati anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha richiamato la presunzione legale di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3 e, contrariamente alle censure mosse dal ricorrente, ha altresì valutato gli elementi acquisiti, quali la rilevante partecipazione ad attività criminose del sodalizio per evidenziare l’assenza di elementi utili a contrastare la presunzione legale sopra citata, non essendo sufficienti i semplici dati dell’incensuratezza e dell’attività lavorativa.

Alla luce di tali considerazioni deve rigettarsi il ricorso e l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Manda alla cancelleria perchè provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p. m comma 1 ter.

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-01-2011) 15-04-2011, n. 15413 costruzioni abusive

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Sezione distaccata di Aversa – con sentenza del 12.10.2009 – affermava la responsabilità penale di D.F. in ordine ai reati di cui:

– al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71 e 72 (per avere realizzato la costruzione di un fabbricato in cemento armato, a triplice elevazione, senza la prescritta denuncia dei lavori, la presentazione del progetto esecutivo e la direzione di professionista abilitato – acc. in (OMISSIS));

– al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 (per avere realizzato la costruzione anzidetta, in zona sismica, omettendo di darne il prescritto preavviso all’autorità competente);

e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., lo condannava alla pena complessiva di Euro 600,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D., il quale ha eccepito: – la carenza di prova in ordine alla riconducibilità dell’attività di edificazione abusiva alla sua persona;

– la incongrua concessione del beneficio della sospensione condizionale, per il quale vi era stata espressa rinunzia, e la carenza assoluta di motivazione quanto alla mancata concessione del beneficio della non-menzione della condanna, che invece era stato richiesto.
Motivi della decisione

1. La doglianza riferita all’affermazione della responsabilità è infondata. L’imputato è stato condannato, infatti, in seguito a corretta valutazione della situazione concreta in cui venne svolta l’attività incriminata, e la sua responsabilità circa la realizzazione dell’opera illecita è stata dedotta: a) dalla piena disponibilità, giuridica e di fatto, dell’area abusivamente edificata; b) dall’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest"; c) dallo svolgimento di attività di materiale vigilanza dell’esecuzione dei lavori; d) nonchè dalla circostanza che egli aveva già presentato una DIA per la recinzione del fondo poi edificato (cfr. in proposito Cass., Sez. 3: 29.4.1999, n. 5476, Zarbo; 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro;

3.5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi;

26.11.2001, Sutera Sardo ed altra).

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, deve ritenersi che il beneficio della sospensione condizionale della pena non è stato concesso, poichè di esso non viene fatto alcun cenno nel dispositivo della sentenza impugnata e – secondo la giurisprudenza di questa Corte – per le sentenze pronunciate a seguito di dibattimento, quando il dispositivo e la motivazione non sono pubblicati e letti congiuntamente, la motivazione non può porsi in contrasto con il dispositivo letto in udienza, al quale va data prevalenza in caso di difformità. 3. E’ fondata, invece, la doglianza riferita alla mancata concessione del beneficio della non-menzione, che è rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito previa valutazione positiva o negativa delle circostanze di cui all’art. 133 c.p..

Nella specie il Tribunale ha chiaramente effettuato una valutazione favorevole, dando espressamente atto della incensuratezza dell’imputato e del comportamento positivo da lui tenuto dopo la commissione del reato, e ciò risponde in pieno sia ai parametri di riferimento sia alla ratio della concessione del beneficio, finalizzato a favorire il processo di ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione del pregiudizio che il suo buon nome può subire dalla annotazione della condanna sul certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.

Alla stregua delle argomentazioni già svolte dal giudice di merito, pertanto, ed in ossequio al principio della speditezza del procedimento, questo Corte può direttamente concedere il beneficio in oggetto.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all’omessa statuizione sulla richiesta di concessione del beneficio della non-menzione della condanna, beneficio che concede.

Rigetta il ricorso nel resto.

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Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-03-2011) 04-05-2011, n. 17294 Sequestro preventivo

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Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale a carico di:

A.S. indagato per il reato di cui all’art. 712 c.p.;

il GIP presso il Tribunale di Parma, in data 08.09.2009, emetteva il decreto di sequestro preventivo di un "camper" acquistato dal ricorrente e risultato essere il profitto del reato di truffa che l’accusa assume commesso dal coindagato O.S. in danno di F.A.;

L’ A. proponeva impugnazione ma il Tribunale per il riesame di Parma, con ordinanza del 22.09.2010, respingeva il gravame e confermava il decreto di sequestro impugnato.

Ricorre per cassazione l’indagato, a mezzo del Difensore di fiducia, deducendo:

1^ MOTIVO ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1)- Con il primo motivo, il ricorrente deduce la nullità della decisione derivante dal mancato rispetto del termine di gg. 10 stabilito dagli artt. 322 e 309 c.p.p., con conseguente inefficacia del decreto di sequestro impugnato;

2) – Con il secondo motivo, deduce che il Tribunale avrebbe illogicamente trascurato di considerare che il ricorrente riveste la qualità di "terzo acquirente in buona fede" per avere regolarmente acquistato il veicolo da tale Al. il quale, a sua volta, l’aveva ricevuto da O.S., presunto autore della truffa;

a parere del ricorrente, l’ordinanza era incorsa nel vizio di legge per avere ritenuto il "fumus" del reato di incauto acquisto mentre, in realtà, egli aveva proceduto all’acquisto del "camper" in piena buona fede e senza alcun collegamento con l’ O.;

CHIEDE l’annullamento del ricorso.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati.

L’ordinanza che dispone il sequestro preventivo non deve essere motivata sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza, non essendo i detti indizi richiesti fra i presupposti applicativi; e ciò in quanto è sufficiente per l’adozione della detta misura cautelare reale la presenza di un "fumus boni iuris" e cioè l’ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato, rilevabile dalla pendenza di un’imputazione e senza alcuna possibilità di apprezzamento quanto alla fondatezza dell’accusa e alla probabilità di una pronuncia sfavorevole per l’imputato.

Consegue che nel giudizio incidentale di impugnazione avverso il provvedimento che dispone il sequestro preventivo il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi all’astratta possibilità di assumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato.

Tanto meno tali questioni possono formare oggetto del ricorso per cassazione, non essendo possibile surrettiziamente introdurre in sede di legittimità un controllo che investa, sia pure in via incidentale, il merito dell’imputazione, (Cassazione penale, sez. 6, 07 luglio 1993).

Il ricorrente censura l’ordinanza deducendo l’assenza del "fumus" ma il motivo non coglie nel segno, atteso che il Tribunale ha correttamente rilevato, per un verso, che l’imputazione ex art. 712 c.p. è astrattamente applicabile alla fattispecie e, per altro verso, che l’indagato risulta avere acquistato il camper costituente il profitto della truffa e che l’esistenza stessa della contestazione di incauto acquisto esclude l’ipotesi della buona fede;

la motivazione impugnata sottolinea anche l’esistenza del "periculum" attesa la possibilità che anche l’indagato possa alienare ad altri il veicolo, aggravando ulteriormente le conseguenze del reato;

si tratta di una motivazione del tutto corretta perchè coerente e rispettosa dei principi che presiedono il giudizio in sede di reclamo avverso le misure cautelari reali e sufficiente a delineare sia il "fumus" che il "periculum";

ne deriva l’irrilevanza, in questa fase, dei motivi relativi alla dedotta buona fede, trattandosi di questione attinente la fondatezza dell’accusa, non deducibile in questa sede, giusti i principi sopra richiamati.

Ugualmente infondato è il motivo relativo alla violazione del termine di gg. 10 atteso che il Tribunale ha fondatamente osservato che il termine non poteva essere rispettato in quanto il reclamo era stato depositato in data 27.08.2010, cioè durante il periodo di sospensione dei termini feriali e che il giudizio si è tempestivamente tenuto dopo lo scadere di tale termine;

anche a tale riguardo la decisione impugnata risulta incensurabile in quanto pienamente conforme alla costante giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che la sospensione dei termini feriali si applichi ai giudizi di reclamo avverso misure cautelari reali, come nella specie. (Cass. Pen. Sez. 2, 18.12.2007 n. 1138 – Cass. Pen. SS UU 20.04.1994 n. 5).

Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.